Nei contratti assicurativi, in particolare per responsabilità professionale, caso in cui il professionista può ricevere la richiesta di risarcimento dopo molto tempo, vi sono due tipi differenti di clausole di garanzia: claims made e loss occurence.
La prima opera allorquando il sinistro viene attivato dalla richiesta di risarcimento del danno, che l’assicurato riceve durante il periodo di validità o vigenza della polizza. Pertanto, le relative garanzie operano dal momento in cui l’assicurato riceve queste richieste.
Nella polizza Loss occurrence, invece, affinché vi sia copertura assicurativa, è necessario che il responsabile sia già assicurato prima della commissione dell’errore professionale.
Con una polizza “claims made pura” il professionista potrebbe avere copertura assicurativa anche senza essere stato assicurato al momento della commissione dell’errore, purché sia assicurato prima di ricevere la richiesta di risarcimento danni.
Cassazione civile, sez. III, ordinanza 30 maggio 2024, n. 15216
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il giudice di merito deve valutare se il contratto presenti una assenza di corrispettività tra pagamento del premio e assunzione del rischio assicurato, accertando in concreto la presenza o meno di un sostanziale disequilibrio sinallagmatico, nei termini rigorosi indicati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 22437 del 2018.
Solo questo disequilibrio costituisce sintomo di carenza della causa in concreto e quindi di inadeguatezza del contratto rispetto agli interessi che con esso le parti intendevano tutelare.
Il giudice che ritenga inadeguata la clausola claims made pattizia, ai sensi dell’art. 1419, comma 2, c.c., è investito del compito non solo di rilevarne la nullità, ma anche di indicare la norma imperativa con la quale sostituire la predetta clausola dichiarata nulla.
Solo nel caso in cui il giudice non rinvenga la norma di riferimento che il capoverso dell’articolo 1419 c.c. esige, dovrà dedurne la nullità dell’intero contratto.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
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3.1 – La Corte di Cassazione ha affermato che si è fuori dell’ambito del giudizio di meritevolezza, relativo ai contratti atipici, dovendosi invece verificare la causa concreta di un contratto tipico, essendo il contratto in questione riconducibile alla tipologia del contratto di assicurazione contro i danni.
[…] Nel caso in esame, la Corte riscontra come riguardo alla clausola claim made il contratto sia carente di causa in concreto, in quanto esso da un lato formalmente prevede che nel suo ambito di operatività siano ricompresi anche eventi di danno verificatisi nei tre anni precedenti al periodo di vigenza (che va dal 7.5.2005 al 7.5.2008), ma poi ne esclude ampie categorie.
Ne consegue che la copertura per il periodo precedente risulta di fatto svuotata di contenuto, non essendo peraltro coperti i sinistri verificatisi nel periodo di vigenza le cui richieste di risarcimento pervengano, come è normale, dopo il termine di esso […].
3.2. – L’esame compiuto dalla corte d’appello sulla validità della clausola in discussione non appare rispondente a diritto sotto due distinti profili.
3.3. – In primo luogo, l’accertamento compiuto, sebbene formalmente qualificato come teso alla verifica della causa in concreto, appare più improntato ai caratteri del giudizio di meritevolezza di un contratto atipico.
Il giudice di merito avrebbe dovuto, invece, valutare se il contratto presentava una assenza di corrispettività tra pagamento del premio e assunzione del rischio assicurato, quindi accertare in concreto la presenza o meno di un sostanziale disequilibrio sinallagmatico. Ciò nei termini rigorosi indicati dalle Sezioni Unite, che solo avrebbe potuto costituire sintomo di carenza della causa in concreto e quindi di inadeguatezza del contratto rispetto agli interessi che con esso le parti intendevano tutelare.
L’esame condotto ai fini della verifica della causa in concreto non appare rispondente alla complessità di parametri indicati da S.U. n. 22437 del 2018, poi ripresi dalle pronunce successive (v. Cass. n. 12981 del 2022).
I parametri di cui sopra impongono di prendere in idonea considerazione, alla luce del generale modello legale, tutti gli aspetti del rapporto, la negoziazione informata, la convenienza del premio e la copertura di fatti pregressi, ovvero accaduti prima del periodo di validità della copertura decorrente dalla stipula.
In ciò risiede la prospettiva di evitare “buchi” o “vuoti” di copertura – consistere l’utilità dell’accordo per l’assicurato. L’esame della clausola, da parte della corte d’appello, si limita a porre in rilievo due dati.
Da un lato, le stringenti previsioni che concernono i tre anni precedenti la vigenza del rapporto, volte a limitare (ma non ad escludere) una effettiva risarcibilità degli eventi precedenti; dall’altro la mancanza della considerazione di richieste di sinistri pervenuti dopo il periodo di vigenza.
La motivazione non prende in considerazione, però, se, pur alla luce delle indicate limitazioni, dall’esame del complessivo assetto di interessi residui una sinallagmaticità delle prestazioni idonea a giustificare il rapporto sotto il profilo causale, ovvero se il contratto sia comunque in grado di esplicare la propria funzione tipica.
3.4. – Soprattutto, la sentenza impugnata non si preoccupa affatto di prendere in considerazione le conseguenze della declaratoria di nullità della causa in concreto della clausola contrattuale, che vanno invece gestite dal giudice stesso che dichiara la nullità della singola clausola.
Spetta, infatti, al Giudice l’indicazione della norma imperativa con la quale sostituire la clausola dichiarata nulla, ai fini di lasciare alle parti una regolamentazione depurata della clausola nulla e tuttavia utilizzabile, perché regolamentata da regole certe.
È, infatti, principio consolidato che il giudice che dichiara la nullità di una clausola del contratto ai sensi dell’art. 1419, comma 2, c.c. deve indicare la norma imperativa con la quale sostituire la predetta clausola dichiarata nulla […].
La corte d’appello, in sede di rinvio, qualora confermi la sua valutazione di nullità della clausola, dovrà procedere alla individuazione della norma di riferimento alla stregua della quale regolamentare i profili svuotati di contenuto dalla declaratoria di nullità.
Solo nel caso in cui non rinvenga la norma di riferimento che il capoverso dell’articolo 1419 c.c. esige, dovrà dedurne la nullità dell’intero contratto.
Come ricordato da Cass. n. 6490 del 2024, peraltro, mette conto sottolineare che la pronuncia n. 22437/2018 a Sezioni Unite ha agevolato il compito del giudicante, che risulta in un certo senso guidato nella ricerca della clausola sostitutiva e non più lasciato a cimentarsi in avventate operazioni di ortopedia ermeneutica allo scopo di salvare il contratto.
Nei settori in cui il legislatore è intervenuto per disciplinare le polizze claims made il giudice dispone di un serbatoio di riferimento che risponde a “scelte precise del legislatore sui criteri di opportunità, efficienza e giustizia” nell’ambito della distribuzione del rischio.
Quel serbatoio rappresenta una sorta di limite invalicabile, “fin dove reso possibile dall’operare coerente del meccanismo della nullità parziale ex art. 1419 c.c., comma 2” per le polizze stipulande e un parametro funzionale allo svolgimento dell’indagine sull’adeguatezza delle polizze già stipulate da parte del giudice che, ritenuta inadeguata la clausola claims made pattizia, è investito del compito non solo di rilevarne la nullità, ma anche di sostituirla.
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