CORTE Di Cassazione, Sezioni Unite civili – sentenza 11 febbraio 2019 n. 3963
La norma abrogatrice di cui all’art. 7 del decreto legislativo n. 284 del 30 luglio 1999, al comma 3, ha previsto che i rapporti tra risparmiatori e Amministrazione postale già in essere alla data di entrata in vigore dei decreti destinati a stabilire le nuove caratteristiche dei libretti di risparmio postale e dei buoni fruttiferi postali continuano a essere regolati dalle norme anteriori; nello stesso comma 3 si prevede poi che i detti decreti possono disciplinare le modalità di applicazione delle nuove norme ai rapporti già in essere, al fine di consentire una disciplina dei rapporti più favorevole ai risparmiatori; il decreto ministeriale del Tesoro del 19 dicembre 2000, che ha disciplinato i buoni fruttiferi postali in adempimento di quanto previsto dal decreto legislativo n. 284 del 1999, ha confermato l’abrogazione dell’art. 173 del codice postale, dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale, e ha ribadito che i buoni fruttiferi postali delle serie già emesse alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale nonché le operazioni relative ai medesimi buoni, restano regolati dalla previgente disciplina; non è quindi in alcun modo contestabile che al rapporto odiernamente controverso si applichi il testo dell’art. 173 del citato D.P.R. n. 156/1973, come novellato dall’art. 1 del D.L. n. 460/1974, convertito in legge n. 588/1974, in base al quale, applicabile al caso in esame, era consentito alla PA postale di variare il tasso di interesse relativo ai buoni già emessi con decreto ministeriale da pubblicarsi in Gazzetta Ufficiale. I buoni soggetti alla variazione del tasso di interesse dovevano considerarsi rimborsati con gli interessi al tasso originariamente fissato e convertiti nei titoli della nuova serie con il relativo tasso di interesse, onde, a fronte della variazione del tasso di interesse, deve assumersi esser stata consentita al risparmiatore la scelta di chiedere la riscossione dei buoni, ottenendo gli interessi corrispondenti al tasso originariamente fissato, ovvero quella di non recedere dall’investimento che avrebbe da quel momento prodotto gli interessi di cui al decreto di variazione, salvo il diritto del risparmiatore di ottenere la corresponsione degli interessi originariamente fissati per il periodo precedente alla variazione.
Le Sezioni Unite, nella controversia decisa con pronuncia n.13979 del 2007, hanno affermato – e va ribadito – che la discrepanza tra le prescrizioni ministeriali e quanto indicato sui buoni offerti in sottoscrizione non può far ritenere che l’accordo negoziale tra PA postale e risparmiatore, in cui l’operazione di sottoscrizione si sostanzia, abbia un contenuto divergente da quello enunciato dai titoli; le Sezioni Unite non hanno invece affatto affermato la prevalenza in ogni caso del dato testuale portato dai titoli rispetto alle prescrizioni ministeriali intervenute successivamente alla emissione e ciò evidentemente non avrebbero potuto fare, e anzi hanno esplicitamente negato, a fronte all’inequivoco dato testuale dell’art. 173 del codice postale che prevedeva un meccanismo di integrazione contrattuale, riferibile alla disposizione dell’art. 1339 del codice civile e destinato ad operare, nei termini sopra descritti, per effetto della modifica, da parte della pubblica amministrazione, del tasso di interesse vigente al momento della sottoscrizione del titolo.
La configurazione delle Poste sino alla fine degli anni 90 come Azienda autonoma dello Stato (sino al 1994) e poi come Ente pubblico economico (sino al 1999) ha implicato una effettiva eterogeneità della natura degli strumenti finanziari offerti dal sistema bancario rispetto ai titoli negoziati dalle Poste Italiane; è costante in proposito, nella giurisprudenza di legittimità, la qualificazione dei buoni fruttiferi postali come titoli di legittimazione (e non già titoli di credito) sia pure con diversità di conseguenze quanto agli effetti di tale qualificazione (cfr. Cass. Civ. Sez. I n. 27809 del 16 dicembre 2005, Cass. Civ. Sezioni Unite, citata, n. 13979 del 15 giugno 2007 e Cass. Civ. Sez. I, ordinanza n. 19002 del 31 luglio 2017); nondimeno, in ogni caso deciso dalla Corte, tale qualificazione ha giustificato la soggezione dei diritti spettanti ai sottoscrittori dei buoni postali alle variazioni derivanti dalla sopravvenienza dei decreti ministeriali, volti a modificare il tasso degli interessi originariamente previsto, e ha portato a ritenere che la modificazione trovasse ingresso all’interno del contratto mediante una integrazione del suo contenuto ab externo secondo la previsione dell’art. 1339 c.c. Una simile ricostruzione, cui va data continuità, è chiaramente incompatibile con l’applicazione della disciplina di tutela dei consumatori che si estrinseca nel meccanismo della sottoscrizione separata delle clausole vessatorie o nella imposizione di obblighi informativi personalizzati cui riconnettere facoltà e diritti intesi a garantire la libera autodeterminazione, nella specie, dei risparmiatori anche nel corso del rapporto; peraltro, a fronte di una tale normativa intesa a incidere autoritativamente sul contratto e che si giustifica con la soggettività statuale del soggetto emittente e con le garanzie derivanti da tale profilo soggettivo, sta comunque il meccanismo consistente nella coincidenza temporale fra applicazione del nuovo tasso di interesse e facoltà per il risparmiatore di riscuotere il titolo percependo gli interessi corrispondenti alla originaria fissazione portata dal titolo, mentre per altro verso il risparmiatore che non intendesse disinvestire, nonostante la sopravvenuta variazione del tasso di interesse, avrebbe ricevuto comunque, al momento dell’esercizio del diritto a riscuotere il proprio credito, l’importo degli interessi corrispondenti al tasso indicato nel titolo, sino alla data della variazione; onde la variazione del tasso di interesse, disposta unilateralmente dalla PA postale, secondo la disciplina applicabile ratione temporís, attribuiva sostanzialmente al risparmiatore il diritto al recesso e tutelava il relativo affidamento sull’effettività del suo diritto a percepire gli interessi indicati dal titolo.
Il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel merito su questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito va qualificato come ricorso condizionato, dovendosi altresì rilevare la carenza di interesse della parte ad impugnare appunto con ricorso incidentale, secondo quanto già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. Civ. S.U. n. 7381 del 25 marzo 2013 e sezione I n. 4619 del 6 marzo 2015 e sezione III ordinanza n. 6138 del 14 marzo 2018, onde, alla stregua del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, il cui fine primario è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere una risposta nel merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito, mentre qualora sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale.