In tema di danno personale da inadempimento contrattuale, deve essere riconosciuto il risarcimento del danno cd. morale, quale figura descrittiva afferente all’art. 2059 c.c, a causa del tardivo accredito (oltre un mese) di una cospicua somma di danaro (oltre duecento mila euro) stante il patema d’animo e la sofferenza arrecata al correntista la cui prova può esser fornita anche per presunzioni.
In tema di prova per presunzioni, non è necessario che tra il fatto noto e quello da provare intercorra una relazione di assoluta ed esclusiva causalità, ma è sufficiente che il fatto da provare costituisca una conseguenza ragionevolmente possibile, alla luce dell’id quod plerumque accidit, del fatto noto.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
*Obbligazioni e contratti – Commerciale – Accredito tardivo di bonifico e risarcimento del danno a carico della banca
Con un unico motivo la banca ricorrente denuncia violazione degli artt. 2697,2727,2729 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., per avere violato il principio secondo cui per presumere il fatto ignoto (il “sensibile patema d’animo”) da un fatto noto la legge richiede l’esistenza di più “presunzioni gravi, precise e concordanti”, mentre nella specie la corte aveva desunto l’esistenza del danno non patrimoniale da un’unica presunzione, costituita dal fatto che il bonifico aveva ad oggetto una “cospicua somma”, non essendo idoneo a fondare la prova presuntiva il ritardo di circa un mese nell’accredito.
Il motivo è infondato.
Il danno morale, inteso come sofferenza soggettiva, rappresenta una voce dell’ampia categoria del danno non patrimoniale e ben può derivare da un inadempimento contrattuale che pregiudichi un diritto inviolabile della persona (cfr. Cass. n. 21999 del 2011); deve trattarsi di un danno da stress o da patema d’animo, la cui risarcibilità presuppone la sussistenza di un pregiudizio sofferto dal titolare dell’interesse leso, sul quale grava l’onere della relativa allegazione e prova, anche attraverso presunzioni semplici (cfr. Cass. 19434 del 2019, 907 e 23754 del 2018, 2886 del 2014). È noto che nella prova per presunzioni, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità desumibile da regole di esperienza (cfr. Cass. 8605 del 2015, 656 del 2014).
Nella specie, la sentenza impugnata ha accertato, in via presuntiva, l’esistenza del danno lamentato per il patema d’animo subito in conseguenza del ritardo – integrante un incontestato adempimento tardivo – nell’accredito di una cospicua somma di denaro da parte della banca, che aveva provocato al correntista notti insonni e la necessità di assumere psicofarmaci.
Si tratta di una valutazione di tipo presuntivo insindacabile dal giudice di legittimità, quanto alla sussistenza degli elementi posti a base della presunzione e alla loro rispondenza ai requisiti di cui all’art. 2729 c.c., comma 1, tanto più che il giudice può fondare su una sola presunzione, purché grave e precisa, l’unica fonte del convincimento (cfr. Cass. 23153 del 2018, 16993 e 19088 del 2007, 4472 del 2003, 914 del 1999).
Erra, infatti, la ricorrente quando sostiene la necessità che il convincimento del giudice debba fondarsi su più presunzioni e non su una sola presunzione semplice, come si desumerebbe dal riferimento nell’art. 2729 c.c., alla concordanza delle presunzioni, secondo una opzione ermeneutica non seguita dalla giurisprudenza che ammette la validità dell’inferenza deduttiva anche quando sia fondata su una sola presunzione (il requisito della concordanza “è prescritto esclusivamente nell’ipotesi di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi”, cfr. Cass. n. 2482 del 2019).
La possibilità che da un certo fatto noto possa risalirsi per via di deduzioni logiche ad un fatto ignoto costituisce oggetto di un apprezzamento di fatto del giudice di merito, censurabile in sede di legittimità nei ristretti, e qui non rilevanti, limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 10253 del 2021).
Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Cass. civ., I, sent., 13.09.2021, n. 24643