Cassazione civile, Sez. Unite civili, sentenza 4 novembre 2019, n. 28314
PRINCIPIO DI DIRITTO
La nullità per difetto di forma scritta, contenuta nell’art. 23, comma 3, del d.lgs n. 58 del 1998, può essere fatta valere esclusivamente dall’investitore con la conseguenza che gli effetti processuali e sostanziali dell’accertamento operano soltanto a relativo vantaggio. L’intermediario, tuttavia, ove la domanda sia diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto, può opporre l’eccezione di buona fede, se la selezione della nullità determini un ingiustificato sacrificio economico a proprio danno, alla luce della complessiva esecuzione degli ordini, conseguiti alla conclusione del contratto quadro.
La questione di cui sono state investite le Sezioni Unite è affrontata nel secondo motivo di ricorso. Il contrasto che si è determinato all’interno della prima sezione riguardala legittimità della limitazione degli effetti derivanti dall’accertamento della nullità del contratto quadro ai soli ordini oggetto della domanda proposta dall’investitore, contrapponendosi a tale impostazione, quella, ad essa alternativa, che si fonda sull’estensione degli effetti di tale dichiarazione di nullità anche alle operazioni di acquisto che non hanno formato oggetto della domanda proposta dal cliente, con le conseguenze compensative e restitutorie che ne possono derivare ove trovino ingresso nel processo come eccezioni o domande riconvenzionali.
Prima di esaminare il secondo motivo di ricorso è necessario affrontare il terzo motivo relativo al vizio di ultrapetizione, nel quale sarebbe incorsa la sentenza impugnata per aver ritenuto che l’accertamento della nullità del contratto quadro avesse valore di giudicato. Al riguardo deve osservarsi che la parte ricorrente ha affermato che l’accertamento della nullità del contratto quadro era stata richiesta soltanto “incidenter tantum“, ed esclusivamente al fine di far valere l’invalidità degli ordini di acquisto indicati nella domanda. Secondo questa prospettazione, l’eccezione di compensazione, accolta dalla Corte d’Appello, è viziata da extrapetizione perché fondata sull’accertamento con valore di giudicato, della nullità del contratto quadro, e sulla conseguente invalidità di tutti gli ordini di acquisto con efficacia ex tunc.
La censura non è fondata. In primo luogo deve rilevarsi che l’accertamento “incidenter tantum” può riguardare soltanto un rapporto diverso da quello dedotto in giudizio che si ponga come mero antecedente logico della decisione da adottare. La giurisprudenza di legittimità ha individuato le caratteristiche distintive di tale accertamento, ad efficacia esclusivamente endoprocessuale, rispetto a quello con valore di giudicato, attraverso gli orientamenti relativi al regolamento di competenza sui provvedimenti di sospensione del processo, la cui legittimità è stata limitata agli accertamenti giurisdizionali che si pongano in relazione di pregiudizialità tecnica o giuridica con quello o quelli inerenti il processo sospeso. Alla luce dei principi indicati, l’accertamento ha valore di giudicato quando riguarda un presupposto giuridico eziologicamente collegato con la domanda tanto da costituirne premessa ineludibile. Ulteriore caratteristica distintiva è l’attitudine ad avere rilievo autonomo ed efficacia che può propagarsi oltre il perimetro endoprocessuale. (Cass.14578 del 2005, nella quale è stato escluso che l’accertamento della proprietà di un muro in una causa di risarcimento dei danni dovuta al relativo crollo potesse essere idonea alla formazione giudicato, trattandosi di rapporto diverso da quello dedotto in giudizio e 16995 del 2007).
Nella fattispecie dedotta nel presente giudizio l’accertamento della nullità del contratto quadro costituisce il presupposto non solo logico ma tecnico-giuridico della domanda oltre ad essere stato posto a base da parte dell’intermediario, dell’eccezione riconvenzionale di compensazione. L’attitudine al giudicato dell’accertamento relativo alla nullità del contratto quadro e la conseguente infondatezza della censura prospettata nel terzo motivo, non esclude, tuttavia, la necessità di affrontare la correlata questione, relativa alla legittimazione ad agire dell’intermediario, in via di azione o di eccezione, al fine di far valere gli effetti della nullità del contratto quadro anche in relazione ad ordini di acquisto diversi di quelli indicati nella domanda. Tale profilo costituisce parte integrante della censura formulata nel secondo motivo e della questione sottoposto all’esame delle Sezioni Unite, dovendo essere affrontata alla luce del peculiare regime delle nullità di protezione, all’interno delle quali si colloca, incontestatamente, la nullità per difetto di forma del contratto quadro, stabilita nell’art. 23 del t.u. n.58 del 1998.
L’esame del secondo motivo richiede una precisazione preliminare. Nel giudizio di merito si è formato il giudicato sulla nullità del contratto quadro per difetto di forma, nonostante emerga dal ricorso (pag.8), e dalla sentenza impugnata (pag. 7 in fine) che il predetto contratto (quello del 25/8/98) sia stato sottoscritto dagli investitori (il ricorrente e sua madre). L’esistenza di un testo completo e sottoscritto da uno dei contraenti, ancorché costituisca circostanza irrilevante, in relazione all’accertamento della nullità, perché coperta da giudicato, non può essere del tutto ignorata, in relazione alla valutazione della legittimità delle diverse forme di tutela dell’intermediario determinate dall’uso selettivo delle nullità di protezione. In particolare, deve escludersi l’applicabilità, nel caso di specie, dei principi contenuti nell’ordinanza della prima sezione civile, n. 10116 del 2018, secondo i quali l’intermediario non può legittimamente opporsi ad un’azione fondata sull’uso selettivo della nullità ex art. 23 T.U.F. quando un contratto quadro manchi del tutto, né attraverso l’exceptio doli (di cui si tratterà nei par. 18,19,20) né, in ragione della protrazione nel tempo del rapporto, per effetto della sopravvenuta sanatoria del negozio nullo per rinuncia a valersi della nullità o per convalida di esso, l’una e l’altra essendo prospettabili solo in relazione ad un contratto quadro formalmente esistente.
Si ritiene necessaria, in primo luogo, la ricognizione del quadro legislativo delle nullità di protezione non limitando l’esame soltanto alle norme del T.U.F ratione temporis applicabili, ma estendendo l’indagine ad aree contigue, in modo da avere un prospetto comparativo della peculiarità del regime giuridico di tale tipologia di nullità.
Al rapporto dedotto in giudizio si applica l’art. 23 del d.lgs n. 58 del 1998 nella relativa formulazione originaria. Il testo normativo è, infatti, entrato in vigore il 1/7/1998 ed il contratto quadro è stato stipulato nell’agosto del 1998. Gli ordini di cui si chiede la dichiarazione di nullità sono stati emessi nel 1999. Il testo normativo ratione temporis applicabile è il seguente: “1. I contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento e accessori sono redatti per iscritto e un esemplare e’ consegnato ai clienti. La CONSOB, sentita la Banca d’Italia, puo’ prevedere con regolamento che, per motivate ragioni tecniche o in relazione alla natura professionale dei contraenti, particolari tipi di contratto possano o debbano essere stipulati in altra forma. Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto e’ nullo. 2. E’ nulla ogni pattuizione di rinvio agli usi per la determinazione del corrispettivo dovuto dal cliente e di ogni altro onere a suo carico. In tal casi nulla e’ dovuto. 3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 la nullita’ puo’ essere fatta valere solo dal cliente.” Il comma 3 non è mutato nella versione della norma attualmente vigente.
Analogo sistema di tutela del cliente si rinviene nel d.lgs n. 385 del 1993 (d’ora in avanti denominato T.U. bancario), sia in relazione alla previsione della nullità del contratto per difetto di forma (art. 117, commi 1 e 3, rimasti immutati) sia in relazione all’applicazione delle nullità di protezione disciplinate nell’art. 127, così formulato: “1. Le disposizioni del presente titolo sono derogabili solo in senso piu’ favorevole al cliente. 2. Le nullita’ previste dal presente titolo possono essere fatte valere solo dal cliente.”. Con la modifica introdotta dall’art. 4, c.3. d.lgs n. 141 del 2010, l’attuale formulazione dell’art. 127, c.4, si è conformata al regime giuridico del Codice del Consumo (D.Igs n.206 del 2005) ed è la seguente: “Le nullita’ previste dal presente titolo operano soltanto a vantaggio del cliente e possono essere rilevate d’ufficio dal giudice“. Deve, infatti rilevarsi, che le nullità di protezione sono state introdotte nel codice civile in relazione all’inefficacia delle clausole vessatorie nei contratti conclusi con i consumatori. Al riguardo nell’art. 1469 quinquies, cod. civ., ratione temporis applicabile, è stato previsto che “l’inefficacia opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice“. Con l’introduzione del Codice del Consumo (d.lgs n. 206 del 2005), e l’abrogazione delle norme codicistiche in tema di clausole vessatorie, l’art. 36, c.3. ha esteso la tutela prevista per le clausole vessatorie alla nullità, stabilendo che: “La nullita’ opera soltanto a vantaggio del consumatore e puo’ essere rilevata d’ufficio dal giudice“.
Il confronto tra le norme sopra illustrate pone in luce come, pur in presenza di differenze testuali non prive di rilievo, il tratto unificante del regime giuridico delle nullità di protezione sia la legittimazione esclusiva del cliente ad agire in giudizio. Le conseguenze sostanziali di questo regime peculiare di legittimazione sono espresse nella regola normativa: “la nullita’ opera soltanto a vantaggio del consumatore e puo’ essere rilevata d’ufficio dal giudice“, che, tuttavia, non è testualmente riprodotta nell’art. 23 T.U.F. Al riguardo deve osservarsi che il rilievo officioso delle nullità di protezione deve ritenersi generalmente applicabile a tutte le tipologie di contratti nei quali è previsto in favore del cliente tale regime di protezione in considerazione dei principi stabiliti nella sentenza delle S.U. n. 26642 del 2014 così massimati: “La rilevabilità officiosa delle nullità negoziali deve estendersi anche a quelle cosiddette di protezione, da configurarsi, alla stregua delle indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia, come una “species” del più ampio “genus” rappresentato dalle prime, tutelando le stesse interessi e valori fondamentali – quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost) e l’uguaglianza almeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 Cost) – che trascendono quelli del singolo“,(cfr. anche la più recente Cass. 26614 del 2018, nella quale si precisa che il rilievo d’ufficio è, tuttavia, subordinato ad una manifestazione d’interesse del legittimato). Il testo, immutato, dell’art. 23, c.3, deve, pertanto, essere interpretato in modo costituzionalmente orientato e coerentemente con i principi del diritto eurounitario, così da non escluderne né il rilievo d’ufficio né l’operatività a vantaggio esclusivo del cliente.
Deve, tuttavia, rilevarsi che la configurazione normativa e l’elaborazione giurisprudenziale relativa alle nullità di protezione ne evidenziano la vocazione funzionale, ancorché non esclusiva, alla correzione parziale del contratto, limitatamente alle parti che pregiudicano la parte contraente che in via esclusiva può farle valere. Tale carattere è stato largamente sottolineato dalla dottrina che più autorevolmente si è occupata della loro collocazione nel sistema dei rimedi e delle disfunzioni del contratto. L’originaria destinazione all’eliminazione delle clausole inefficaci ne sottolinea tale profilo ed evidenzia le difficoltà di adattamento dello strumento in relazione alla produzione dell’effetto dell’invalidità dell’intero contratto. Questo ampliamento dell’ambito di applicazione delle nullità di protezione costituisce il nucleo problematico della questione sottoposta all’esame delle S.U. Può, infatti, rilevarsi che l’incidenza diretta sui requisiti di forma ad substantiam è prevista in particolare per i contratti bancari e per i contratti d’investimento. Per questi ultimi si pone in concreto l’interrogativo della legittimità e liceità dello strumento delle nullità cd. selettive. E’ la conformazione bifasica dell’impegno negoziale assunto dalle parti a determinare l’insorgenza delle criticità applicative del regime delle nullità di protezione. Il contratto quadro ha una funzione conformativa e normativa. Deve a pena d’invalidità, essere redatto per iscritto, contenendo la definizione specifica della tipologia d’investimenti da eseguire, il range di rischio coerente con il profilo del cliente e la determinazione degli obblighi che l’intermediario è tenuto ad adempiere (Cass.12937 del 2017). Il relativo perfezionamento, tuttavia, costituisce la condizione necessaria ma non sufficiente perché si realizzino tutti gli effetti scaturenti dal vincolo negoziale assunto dalle parti. Ad esso deve seguire l’effettuazione degli investimenti finanziari, attraverso l’esecuzione degli ordini di acquisto da parte dell’intermediario.
Nonostante l’impegno economico per il cliente si determini con la trasmissione degli ordini, la forma scritta, in linea generale, è imposta soltanto per il contratto quadro, salvo diversa disposizione contrattuale voluta dalle parti, perché in questo testo negoziale si cristallizzano gli obblighi dell’intermediario che il legislatore ha inteso rendere trasparenti, in primo luogo, con la predisposizione di un regolamento scritto. Tale obbligo, come specificato nella recente sentenza delle S.U. n. 898 del 2018 ha natura e contenuto funzionali e costituisce il primo, (ma non l’unico) ineliminabile strumento di superamento dello squilibrio contrattuale e dell’asimmetria informativa delle parti. L’obbligo della forma scritta, nell’impostazione funzionale prescelta dalle S.U., deve ritenersi assolto anche se il contratto quadro è sottoscritto soltanto dall’investitore, essendo destinato alla protezione effettiva del cliente senza tuttavia legittimare l’esercizio dell’azione di nullità in forma abusiva, in modo da trarne ingiusti vantaggi. Deve, pertanto, rilevarsi, come già nella sentenza delle S.U. n. 898 del 2018, siano state adombrate le criticità applicative che possono derivare dall’adozione del regime giuridico delle nullità di protezione per forme d’invalidità che colpiscano l’intero testo contrattuale. L’opzione, fortemente funzionalistica, adottata dalle S.U. nella conformazione dell’obbligo della forma scritta, contenuto nell’art. 23 T.U. n. 58 del 1998, è determinata dall’esigenza di non trascurare l’applicazione dei principi di buona fede e correttezza anche nell’esercizio dei diritti in sede giurisdizionale.
Nell’affrontare il quesito posto dall’ordinanza di rimessione, il Collegio ritiene di dover dare continuità al richiamo contenuto nei principi elaborati nella sentenza n. 898 del 2018, al fine di verificare se può configurarsi un esercizio del diritto a far valere, da parte dell’esclusivo legittimato, le nullità di protezione in un modo selettivo o se tale esercizio possa ed in quali limiti qualificarsi abusivo o contrario al canone, costituzionalmente fondato, della buona fede.
Per poter svolgere l’indagine sopra delineata occorre in primo luogo definire l’ambito effettivo della deroga ai principi generali riguardanti il regime d’invalidità dei contratti desumibile dal peculiare regime giuridico delle nullità protettive. Sarà necessario, inoltre, verificare se possa configurarsi una disciplina generale comune a tutte le nullità di protezione, salvo differenze di dettaglio ove previste da una normativa specifica di settore o se vi sia la coesistenza di differenziate forme di nullità di protezione, ciascuna dotata di un proprio statuto giuridico autonomo eventualmente anche in relazione all’esercizio selettivo dell’azione di nullità.
Il regime giuridico della legittimazione a far valere tale forma di nullità contrasta con il disposto dell’art. 1421 cod. civ.: le nullità di protezione, sia che investano singole clausole sia che riguardino l’intero contratto non possono essere fatte valere che da una sola parte, salvo il rilievo d’ufficio del giudice nei limiti indicati dalle S.U. nella pronuncia n. 26442 del 2014, proprio in applicazione del principio solidaristico e costituzionalmente fondato, della buona fede. La legittimazione dell’altra parte è radicalmente esclusa, trattandosi di nullità che operano al fine di ricomporre un equilibrio quanto meno formale (S.U. 26442 del 2014) tra le parti. Tale esclusione è il frutto della predeterminazione legislativa della posizione di squilibrio contrattuale tra le parti in relazione ad alcune tipologie contrattuali. Con riferimento ai contratti d’investimento, lo squilibrio che viene ad emersione giuridica ha carattere prevalentemente conoscitivo- informativo, fondandosi sull’elevato grado di competenza tecnica richiesta a chi opera nell’ambito degli investimenti finanziari. I rimedi volti a limitare od a colmare l’asimmetria informativa, riconosciuta come elemento caratterizzante l’intervento correttivo del legislatore, non sono riconducibili soltanto alle nullità di protezione. Proprio in funzione dell’effettiva attuazione del principio di buona fede, la nullità di protezione, applicata in via generale ed indifferenziata ad esclusivo vantaggio del cliente, opera sul requisito della forma (peraltro in chiave funzionale, come chiarito da S.U. 898 del 2018) del contratto quadro ma non in relazione a tutti gli obblighi informativi dell’intermediario, essendo la gran parte di essi conformati sul profilo del cliente e sul grado di rischiosità contrattualmente assunto. Ristabilito l’equilibrio formale con il testo contrattuale scritto, la condizione soggettiva dell’investitore e le scelte d’investimento connotano peculiarmente gli obblighi informativi dell’intermediario ed incidono sullo scrutinio dell’adempimento dell’intermediario ai fini del risarcimento del danno o della risoluzione del contratto, tenendo conto in concreto della buona fede del cliente al momento della discovery delle proprie caratteristiche d’investitore e del relativo grado di conoscenza delle dinamiche degli investimenti finanziari (S.U. 26724 del 2007).
Deve, pertanto, ritenersi che il principio di buona fede e correttezza contrattuale, così come sostenuto dai principi solidaristici di matrice costituzionale, operi, in relazione agli interessi dell’investitore, mediante la predeterminazione legislativa delle nullità di protezione predisposte a relativo, esclusivo vantaggio, in funzione di riequilibrio generale ed astratto delle condizioni negoziali garantite dalla conoscenza del testo del contratto quadro, nonché in concreto mediante la previsione di un rigido sistema di obblighi informativi a carico dell’intermediario. Tuttavia, non può escludersi la configurabilità di un obbligo di lealtà dell’investitore in funzione di garanzia per l’intermediario che abbia correttamente assunto le informazioni necessarie a determinare il profilo soggettivo del cliente al fine di conformare gli investimenti alle relative caratteristiche, alle relative capacità economiche e alla relativa propensione al rischio. Può, pertanto, rilevarsi che anche nei contratti, quali quello dedotto nel presente giudizio, caratterizzati da uno statuto di norme non derogabili dall’autonomia contrattuale volte a proteggere il contraente che strutturalmente è in una posizione di squilibrio rispetto all’altro, il principio di buona fede possa avere un ambito di operatività trasversale non limitata soltanto alla definizione del sistema di protezione del cliente, in particolare se gli strumenti normativi di riequilibrio possono essere utilizzati, anche in sede giurisdizionale, non soltanto per rimuovere le condizioni di svantaggio di una parte derivanti dalla violazione delle regole imposte al contraente “forte” ma anche per arrecare un ingiustificato pregiudizio all’altra, pur se applicate conformemente al paradigma legale.
Ritiene, pertanto, il Collegio, che la questione della legittimità dell’uso selettivo delle nullità di protezione nei contratti aventi ad oggetto servizi d’investimento debba essere affrontata assumendo come criterio ordinante l’applicazione del principio di buona fede, al fine di accertare se sia necessario alterare il regime giuridico peculiare di tale tipologia di nullità, sotto il profilo della legittimazione e degli effetti, per evitare che l’esercizio dell’azione in sede giurisdizionale possa produrre effetti distorsivi ed estranei alla ratio riequilibratrice in funzione della quale lo strumento di tutela è stato introdotto.
Per svolgere in modo esauriente tale indagine è necessario, in primo luogo, illustrare le opzioni alternative che si confrontano in dottrina e sono rappresentate in due pronunce della prima sezione civile, la n. 8395 del 2016 e la n.6664 del 2018. Il nucleo centrale della divergenza risiede proprio nella diversa declinazione dell’ambito di operatività delle nullità di protezione, in relazione alla correlazione tra legittimazione e propalazione degli effetti. Ove si ritenga che il regime di protezione si esaurisca nella legittimazione esclusiva del cliente (o nella rilevabilità d’ufficio, nei limiti precisati nel par.15.2) a far valere la nullità per difetto di forma, una volta dichiarata l’invalidità del contratto quadro, gli effetti caducatori e restitutori che ne derivano possono essere fatti valere da entrambe le parti. Il principio, posto a base dell’accurata requisitoria dell’Avvocato Generale, è stato così espresso in Cass. n. 6664 del 2018: “una volta che sia privo di effetti il contratto d’intermediazione finanziaria destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti in quanto esso sia dichiarato nullo, operano le regole comuni dell’indebito (art. 2033 cod. civ.) non altrimenti derogate. La disciplina del pagamento dell’indebito è invero richiamata dall’art.1422 cod. civ.: accertata la mancanza di una causa adquírendi– in caso di nullità (…) l’azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione dello stesso è quella di ripetizione dell’indebito oggettivo; la pronuncia del giudice è l’evenienza che priva di causa giustificativa le reciproche obbligazioni dei contraenti e dà fondamento alla domanda del solvens di restituzione della prestazione rimasta senza causa“.
L’opinione radicalmente contraria si fonda invece sull’operatività piena, processuale e sostanziale, del regime giuridico delle nullità di protezione esclusivamente a vantaggio del cliente (nella specie dell’investitore), anche ove l’invalidità riguardi l’intero contratto. L’intermediario non può avvalersi della dichiarazione di nullità in relazione alle conseguenze, in particolare restitutorie, che ne possono scaturire a relativo vantaggio, dal momento che il regime delle nullità di protezione opera esclusivamente in favore dell’investitore. Il contraente privo della legittimazione a far valere le nullità di protezione può, di conseguenza, subire soltanto gli effetti della dichiarazione di nullità selettivamente definiti nell’azione proposta dalla parte esclusiva legittimata, non potendo far valere qualsiasi effetto “vantaggioso” che consegua a tale declaratoria. L’indebito, così come previsto nell’art. 1422 cod. civ., può operare solo ove la legge non limiti con norma inderogabile la facoltà di far valere la nullità ed i relativi effetti in capo ad uno dei contraenti, essendo direttamente inciso dallo “statuto” speciale della nullità cui si riferisce. Le nullità di protezione sono poste a presidio esclusivo del cliente. Egli ex lege ne può trarre i vantaggi (leciti) che ritiene convenienti. La selezione degli ordini sui quali dirigere la nullità è una conseguenza dell’esercizio di un diritto predisposto esclusivamente in relativo favore. Una diversa interpretazione del sistema delle nullità di protezione condurrebbe all’effetto, certamente non voluto dal legislatore, della sostanziale abrogazione dello speciale regime d’intangibilità ed impermeabilità proprio delle nullità di protezione (Cass. 8395 del 2016). In particolare, con riferimento alla tipologia contrattuale oggetto del presente giudizio, l’investitore, ove fosse consentito all’intermediario di agire ex art. 2033 cod. civ., non potrebbe mai far valere il difetto di forma di alcuni ordini in relazione ad un rapporto di lunga durata che abbia avuto parziale esecuzione, perché le conseguenze economico patrimoniali sarebbero per lui verosimilmente quasi sempre pregiudizievoli, così vanificandosi la previsione legale di un regime di protezione destinato ad operare a suo esclusivo vantaggio.
Vi è una terza opzione che rinviene nel principio della buona fede, variamene declinato, lo strumento più adeguato, per affrontare il tema dell’uso eventualmente distorsivo dello strumento delle nullità di protezione in funzione selettiva, perché, senza alterarne il regime giuridico ed in particolare l’unilateralità dello strumento di tutela legislativamente previsto, consente, per la relativa adattabilità al caso concreto, di ricostituire l’equilibrio effettivo della posizione contrattuale delle parti, impedendo effetti di azioni esercitate in modo arbitrario o nelle quali può cogliersi l’abuso dello strumento di “protezione” ad esclusivo detrimento dell’altra parte. Già nelle ordinanze interlocutorie n. 12388, 12389 e 12390 del 2017, nelle quali la questione della legittimità dell’uso selettivo della nullità era subordinata a quella principale relativa alla validità, sotto il profilo del requisito di forma, del contratto quadro sottoscritto dal solo investitore, era stata prospettata l’esperibilità dell’exceptio doli generalis, al fine di paralizzare l’uso selettivo della nullità, ritenendo centrale nell’esaminare la questione, il rilievo della buona fede “come criterio valutativo della regola contrattuale“.
Nell’ordinanza interlocutoria n. 23927 del 2018, dalla quale è scaturito il presente giudizio, anche alla luce degli orientamenti, ancorché non univoci che sono intervenuti medio tempore (Cass. 6664 e 10116 del 2018) è stata posta in evidenza la questione della compatibilità tra il peculiare regime delle nullità protettive nei contratti d’intermediazione finanziaria e l’opponibilità della “eccezione di correttezza e di buona fede“, in funzione della individuazione di un punto di equilibrio tra le esigenze di garanzia degli investimenti dei privati in relazione alla collocazione dei propri risparmi (art. 47 Cost.) e la tutela dell’intermediario anche in funzione della certezza dei mercati in materia d’investimenti finanziari.
La dottrina non ha prospettato soluzioni univoche, formulando indicazioni variamente assimilabili a quelle che hanno caratterizzato gli orientamenti giurisprudenziali sopra illustrati. Come riscontrato anche nel confronto tra le due ordinanze interlocutorie che hanno posto alle S.U. la questione della legittimità dell’uso selettivo delle nullità di protezione, il principio di buona fede non è stato preso in considerazione in modo univoco. Si è affermato che attraverso la formulazione dell’exceptio doli generalis si possa impedire in via generale l’uso selettivo delle nullità di protezione, in quanto dettato esclusivamente dall’intento di colpire gli investimenti non redditizi (la tesi viene prospettata seppure in via ipotetica nelle ordinanze interlocutorie n.12388,12389 12390 del 2017). In questa lettura l’azione di nullità, ove sia diretta a colpire alcuni soltanto degli ordini eseguiti, viene ritenuta intrinsecamente connotata da un intento opportunistico che va oltre la funzione di protezione voluta dal legislatore. Rispetto alla tesi illustrata supra, la differenza si può cogliere nell’ effetto esclusivamente paralizzante conseguente alla formulazione dell’eccezione, rimanendo preclusa all’intermediario l’esercizio dell’azione di ripetizione dell’indebito.
La tesi esposta postula che l’uso selettivo delle nullità di protezione determini sempre la violazione del canone di buona fede. L’investitore, ove intraprenda l’azione, si pone nella condizione di produrre un pregiudizio economico ingiustificato all’altra parte dovuto alla natura potestativa ed unilaterale della selezione operata. L’exceptio doli, così configurata, ricorrerebbe sempre in via generale ed astratta e deriverebbe dall’uso della nullità selettiva, ancorché astrattamente lecito. La tesi viene criticata per la relativa assolutezza perché, pur non escludendo la formale applicazione dello statuto normativo delle nullità di protezione, ne trascura la funzione di reintegrazione di una preesistente condizione di squilibrio strutturale che permea le fattispecie contrattuali nelle quali trova applicazione e d’inveramento del sistema assiologico fondato sui principi di uguaglianza, solidarietà e tutela del risparmiatore ritraibili dalla Costituzione. Inoltre, con tale impostazione, si trascura la strutturale vocazione delle nullità protettive ad un uso selettivo, ancorché non arbitrario, in quanto correlato alla operatività a vantaggio esclusivo di uno dei contraenti.
Nel solco dell’applicazione in chiave riequilibratrice del principio di buona fede si collocano posizioni intermedie che, partendo dalla legittimita’ dell’azione di nullità cd. selettiva da parte del cliente, ovvero di una domanda formulata in relazione ad alcuni ordini d’investimento, ritengono che da parte dell’intermediario possa essere fatta valere l’exceptio doli generalis ove l’esercizio del diritto da parte dell’investitore sia avvenuto in malafede attraverso una valutazione che deve essere svolta in concreto secondo parametri oggettivi e soggettivi sui quali, tuttavia, non si riscontra unitarietà di vedute. Viene escluso, al riguardo, che il possibile conflitto tra la specifica istanza di solidarietà costituita dal regime peculiare delle nullità di protezione e quella che scaturisce dal principio di affidamento, possa trovare una soluzione, stabilendo un criterio di prevalenza applicabile in ogni ipotesi, tenuto conto che la dinamica selettiva è ipotizzabile esclusivamente nelle nullità di protezione.
L’affidamento, che costituisce il nucleo costitutivo della nozione di buona fede, ha un sicuro ancoraggio costituzionale nell’art. 2 Cost. Le nullità di protezione, come evidenziato da S.U. 26242 del 2014, fondano l’inderogabilità del loro statuto, contrassegnato dall’operatività a “vantaggio” del cliente, non solo sull’art. 2 ma anche sull’art. 3 (essendo finalizzate a rimuovere il primo grado dell’asimmetria informativa) e sull’art. 41 cui si aggiunge, per l’intermediazione finanziaria, la tutela del risparmio (art. 47 Cost.). Poiché le nullità di protezione costituiscono, dunque, una diretta attuazione di principi costituzionali, tale qualificazione non è priva di conseguenze in relazione alla concorrente operatività del principio di buona fede come criterio arginante l’uso arbitrario dello strumento di tutela. Ne consegue che la mera invocazione di effetti selettivi da parte del cliente non può giustificare di per sé – pena lo svuotamento e la vanificazione della funzione delle nullità di protezione e della connessa tutela giurisdizionale,—l’automatica opponibilità da parte dell’intermediario dell’exceptio doli generalis.
L’eccezione, secondo una delle tesi in campo, può essere proposta per paralizzare l’azione volta a far valere le nullità di protezione in funzione selettiva, tutte le volte che l’investitore ponga in essere una condotta soggettivamente connotata da malafede o frode ovvero preordinata alla produzione di un pregiudizio per l’intermediario, non ravvisandosi alcuna incompatibilità tra l’esercizio dell’azione di nullità e la predetta eccezione ma solo la necessità di un adeguato bilanciamento da svolgersi secondo il paradigma contenuto negli artt. 1993, secondo comma, e 2384, secondo comma, cod. civ. individuabile nel non potere agire, neanche attraverso l’esercizio di un proprio diritto, arrecando intenzionalmente danno all’altra parte. Lo statuto protettivo dell’investitore non può determinare a relativo vantaggio un regime di sostanziale irresponsabilità ed esonerarlo dal controllo della conformità del relativo agire, in quanto la regola di buona fede, assiologicamente espressiva del dovere di solidarietà costituzionale e costituente il tessuto connettivo dei rapporti contrattuali, impone tale verifica di conformità purché svolta in concreto. In conclusione, secondo questa prospettazione, occorre verificare se l’azione è stata preordinata alla produzione di un pregiudizio per l’altro contraente.
La tesi sopra illustrata si espone a rilievi critici per aver limitato l’opponibilità dell’exceptio doli alla valutazione della buona fede soggettiva così da escludere ogni rilevanza alla oggettiva determinazione di un ingiustificato e sproporzionato sacrificio di una sola controparte contrattuale. Al fine di poter svolgere un giudizio comparativo che tenga conto anche della eventuale violazione della buona fede sotto il profilo oggettivo del pregiudizio arrecabile ad una sola delle parti, si è fatto ricorso alla categoria dell’abuso del diritto, in relazione al quale non è sufficiente che una parte del contratto abbia tenuto una condotta non idonea a salvaguardare gli interessi dell’altra, quando tale condotta persegua un risultato lecito attraverso mezzi legittimi, essendo, invece, configurabile allorché il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà sono attribuiti (Cass. 15885 del 2013; 10568 del 2018). Non è configurabile un abuso che derivi soltanto dall’aver voluto conseguire un proprio vantaggio economico mediante uno strumento di tutela previsto dall’ordinamento che, peraltro, deriva, dall’attivazione di uno statuto di tutela inderogabile, essendo necessario che il fine dell’azione sia incoerente rispetto a quello legale in funzione del quale è stato attribuito il diritto di agire (Cass.29792 del 2017, in relazione alla configurabilità dell’abuso del diritto potestativo dei soci di una società di capitali che rappresentino un terzo del capitale sociale, di chiedere il differimento dell’assemblea ove dichiarino di non essere stati sufficientemente informati) o determini effetti del tutto sproporzionati rispetto al fine di tutela per cui si è agito.
Alla luce delle considerazioni svolte, ritiene il Collegio, in risposta al quesito formulato, di dovere, preliminarmente, escludere entrambe le opzioni che prescindono del tutto dalla considerazione del principio di buona fede o perché negano la legittimità dell’uso selettivo delle nullità di protezione fino al riconoscimento del diritto a richiedere la ripetizione dell’indebito in relazione agli investimenti non selezionati dall’investitore ma travolti dalla nullità del contratto quadro, o perché ne considerano legittima l’azione senza alcun limitazione, ritenendo tale soluzione l’unica coerente con l’operatività ad esclusivo vantaggio del cliente delle nullità di protezione. In contrasto con le tesi criticate, il Collegio reputa che la questione della legittimità dell’uso selettivo delle nullità di protezione nei contratti aventi ad oggetto servizi d’investimento, possa essere risolta ricorrendo, come criterio ordinante, al principio di buona fede, da assumere, tuttavia, in modo non del tutto coincidente con le illustrate declinazioni dell’exceptio doli generalis e dell’abuso del diritto.
Al riguardo si ritiene di dover ribadire che, in relazione ai contratti d’investimento che costituiscono l’oggetto del presente giudizio, della dichiarata invalidità del contratto quadro, ancorché accertata con valore di giudicato, può avvalersi soltanto l’investitore, sia sul piano sostanziale della legittimazione esclusiva che su quello sostanziale dell’operatività ad esclusivo vantaggio di esso.
L’uso selettivo del rilievo della nullità del contratto quadro non contrasta, in via generale, con lo statuto normativo delle nullità di protezione ma la relativa operatività deve essere modulata e conformata dal principio di buona fede secondo un parametro da assumersi in modo univoco e coerente. Ove si ritenga che l’uso selettivo delle nullità di protezione sia da stigmatizzare ex se, come contrario alla buona fede,solo perché limitato ad alcuni ordini di acquisto, si determinerà un effetto sostanzialmente abrogativo del regime giuridico delle nullità di protezione, dal momento che si stabilisce un’equivalenza, senza alcuna verifica di effettività, tra uso selettivo delle nullità e violazione del canone di buona fede. Deve rilevarsi, tuttavia, l’insufficienza anche della esclusiva valorizzazione della buona fede soggettiva, ove ravvisabile solo se si dimostri un intento dolosamente preordinato a determinare effetti pregiudizievoli per l’altra parte.
Al fine di modulare correttamente il meccanismo di riequilibrio effettivo delle parti contrattuali di fronte all’uso selettivo delle nullità di protezione, non può mancare un esame degli investimenti complessivamente eseguiti, ponendo in comparazione quelli oggetto dell’azione di nullità, derivata dal vizio di forma del contratto quadro, con quelli che ne sono esclusi, al fine di verificare se permanga un pregiudizio per l’investitore corrispondente al petitum azionato. In questa ultima ipotesi deve ritenersi che l’investitore abbia agito coerentemente con la funzione tipica delle nullità protettive, ovvero quella di operare a vantaggio di chi le fa valere. Pertanto, per accertare se l’uso selettivo della nullità di protezione sia stato oggettivamente finalizzato ad arrecare un pregiudizio all’intermediario, si deve verificare l’esito degli ordini non colpiti dall’azione di nullità e, ove sia stato vantaggioso per l’investitore, porlo in correlazione con il petitum azionato in conseguenza della proposta azione di nullità.
Può accertarsi che gli ordini non colpiti dall’azione di nullità abbiano prodotto un rendimento economico superiore al pregiudizio confluito nel petitum. In tale ipotesi, può essere opposta, ed al solo effetto di paralizzare gli effetti della dichiarazione di nullità degli ordini selezionati, l’eccezione di buona fede, al fine di non determinare un ingiustificato sacrificio economico in capo all’intermediario stesso. Può, tuttavia, accertarsi che un danno per l’investitore, anche al netto dei rendimenti degli investimenti relativi agli ordini non colpiti dall’azione di nullità, si sia comunque determinato. Entro il limite del pregiudizio per l’investitore accertato in giudizio, l’azione di nullità non contrasta con il principio di buona fede. Oltre tale limite, opera, ove sia oggetto di allegazione, l’effetto paralizzante dell’eccezione di buona fede. Ne consegue che, se, come nel caso di specie, i rendimenti degli investimenti non colpiti dall’azione di nullità superino il petitum, l’effetto impeditivo è integrale, ove invece si determini un danno per l’investitore, anche all’esito della comparazione con gli altri investimenti non colpiti dalla nullità selettiva, l’effetto paralizzante dell’eccezione opererà nei limiti del vantaggio ingiustificato conseguito.
La soluzione della questione sottoposta all’esame del Collegio può, in conclusione, così essere sintetizzata. Anche in relazione all’art. 23, comma 3, d.lgs n. 58 del 1998, il regime giuridico delle nullità di protezione opera sul piano della legittimazione processuale e degli effetti sostanziali esclusivamente a favore dell’investitore, in deroga agli artt. 1421 e 1422 cod. civ. L’azione rivolta a far valere la nullità di alcuni ordini di acquisto richiede l’accertamento dell’invalidità del contratto quadro. Tale accertamento ha valore di giudicato ma l’intermediario, alla luce del peculiare regime giuridico delle nullità di protezione, non può avvalersi degli effetti diretti di tale nullità e non è conseguentemente legittimato ad agire in via riconvenzionale od in via autonoma ex artt.1422 e 2033 cod. civ. I principi di solidarietà ed uguaglianza sostanziale, di derivazione costituzionale (art. 2,3, 41 e 47 Cost., quest’ultimo con specifico riferimento ai contratti d’investimento) sui quali le S.U., con la pronuncia n. 26642 del 2014, hanno riposto il fondamento e la ratio delle nullità di protezione operano, tuttavia, anche in funzione di riequilibrio effettivo endocontrattuale quando l’azione di nullità, utilizzata, come nella specie, in forma selettiva, determini esclusivamente un sacrificio economico sproporzionato nell’altra parte.
Limitatamente a tali ipotesi, l’intermediario può opporre all’investitore un’eccezione, qualificabile come di buona fede, idonea a paralizzare gli effetti restitutori dell’azione di nullità selettiva proposta soltanto in relazione ad alcuni ordini. L’eccezione sarà opponibile, nei limiti del petitum azionato, come conseguenza dell’azione di nullità, ove gli investimenti, relativi agli ordini non coinvolti dall’azione, abbiano prodotto vantaggi economici per l’investitore. Ove il petitum sia pari od inferiore ai vantaggi conseguiti, l’effetto impeditivo dell’azione restitutoria promossa dall’investitore sarà integrale. L’effetto impeditivo sarà, invece, parziale, ove gli investimenti non colpiti dall’azione di nullità abbiano prodotto risultati positivi ma questi siano di entità inferiore al pregiudizio determinato nel petitum. L’eccezione di buona fede operando su un piano diverso da quello dell’estensione degli effetti della nullità dichiarata, non è configurabile come eccezione in senso stretto non agendo sui fatti costitutivi dell’azione (di nullità) dalla quale scaturiscono gli effetti restitutori, ma sulle modalità di esercizio dei poteri endocontrattuali delle parti. Deve essere, tuttavia, oggetto di specifica allegazione.
La soluzione della questione di massima di particolare importanza rimessa all’esame delle S.U. può essere risolta alla luce del seguente principio di diritto: “La nullità per difetto di forma scritta, contenuta nell’art. 23, comma 3, del d.lgs n. 58 del 1998, può essere fatta valere esclusivamente dall’investitore con la conseguenza che gli effetti processuali e sostanziali dell’accertamento operano soltanto a suo vantaggio. L’intermediario, tuttavia, ove la domanda sia diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto, può opporre l’eccezione di buona fede, se la selezione della nullità determini un ingiustificato sacrificio economico a suo danno, alla luce della complessiva esecuzione degli ordini, conseguiti alla conclusione del contratto quadro“