Corte di Cassazione civile, Sezione I, ordinanza, 03 luglio 2024, n. 18230
PRINCIPIO DI DIRITTO
Ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti – quale è l’obbligo di consegnare il documento contrattuale – la quale può essere fonte di responsabilità.
Chi allega di avere effettuato un pagamento dovuto solo in parte, e proponga nei confronti dell’accipiens l’azione di indebito oggettivo per la somma versata in eccedenza, ha l’onere di provare l’inesistenza di una causa giustificativa del pagamento per la parte che si assume non dovuta. Conseguentemente, in materia di conto corrente bancario, è il cliente che agisca in giudizio per la ripetizione dell’indebito ad essere onerato della prova dei movimenti del conto.
A fronte dell’eccezione di prescrizione del credito a decorrere dalle singole rimesse, sollevata dalla banca avverso la domanda di ripetizione dell’indebito proposta dal correntista, grava su quest’ultimo la prova della natura ripristinatoria e non solutoria delle rimesse indicate, ma il giudice è comunque tenuto a valorizzare la prova della stipula di un contratto di apertura di credito purché ritualmente acquisita, indipendentemente da una specifica allegazione del correntista, perché la deduzione circa l’esistenza di un impedimento al decorso della prescrizione determinato da una apertura di credito, costituisce un’eccezione in senso lato e non in senso stretto
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- – Col primo motivo la sentenza impugnata e censurata per violazione degli artt. 1418,1421,2727e 2729 c.c., 345 c.p.c., 23 t.u.f (d.lgs. n. 58/1998) e 117 t.u.b. (d.lgs. n. 385/1993).
Col secondo mezzo si denuncia la violazione degli artt. 1175,1375,2727 e 2729 c.c..
Le due censure investono l’affermazione, contenuta nella pronuncia della Corte distrettuale, secondo cui l’atto di citazione introduttivo del giudizio in primo grado non conteneva alcuna contestazione relativa alla mancata consegna di un’esemplare del documento contrattuale al cliente, essendo state in quella sede sollevate questioni relative alla validità di specifiche clausole contrattuali: evenienza, questa, che implicava la conoscenza, da parte della società correntista, della relativa disciplina, dovendosi presumere che il detto scritto fosse stato consegnato in conformità della previsione legislativa.
Il tema è quello dell’asserita nullità del contratto discendente dalla mancata dazione, alla società oggi ricorrente, del documento contenente le intercorse pattuizioni relative al rapporto di conto corrente.
Secondo gli istanti l’impugnativa di alcune clausole dimostrerebbe «solo che il documento era a conoscenza dei medesimi al momento della redazione dell’atto di citazione». Si osserva che la Corte di appello ha fatto discendere da una presunzione – quella concernente la conoscenza del documento contrattuale – una ulteriore presunzione, concernente la consegna del documento al momento della sua sottoscrizione: e ciò nonostante il divieto della doppia presunzione.
I due motivi sono infondati.
Poiché, secondo quanto ritenuto dalla Corte di appello in un passaggio della decisione non gravato di impugnazione, la mancata consegna del documento contrattuale non era stata «contestata» – quindi prospettata – dagli odierni ricorrenti nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, è escluso che la domanda di nullità del negozio di cui qui si dibatte si fondasse su tale evenienza.
D’altro canto, deve escludersi che la mancata consegna del documento contrattuale integri una nullità, e tantomeno una nullità che i Giudici di merito avrebbero dovuto rilevare d’ufficio.
Vero è che le Sezioni Unite (con arresto reso in materia di intermediazione finanziaria, ma pacificamente riferibile anche ai rapporti bancari: da ultimo, Cass. 12 ottobre 2023, n. 28500) hanno affermato che il vincolo di forma imposto dal legislatore (cfr. art. 23, comma 1, t.u.f e art. 117, comma 1, t.u.b.) è «composito, in quanto vi rientra, per specifico disposto normativo, anche la consegna del documento contrattuale» (Cass. Sez. U. 16 gennaio 2018 n. 898, in motivazione). L’affermazione è tuttavia da intendere nel senso che la protezione del cliente si attua, nella fase di perfezionamento del contratto, anche attraverso la consegna del relativo documento. La norma contempla, difatti, uno specifico obbligo dell’istituto di credito che è complementare al vincolo di forma e che è finalizzato ad agevolare l’esercizio dei diritti da parte del cliente.
In passato, questa Corte ha avuto occasione di rilevare, se pure con riferimento alla materia dell’intermediazione finanziaria, che la mancata consegna del contratto non pone un problema di validità dello stesso [così, con riguardo all’art. 6, comma 1, lett. c), l. 2 gennaio 1991, n. 1, Cass. 18 novembre 2021, n. 3534, noi massimata in CED; con riguardo all’art. 23 t.u.f.Cass. 20 settembre 2013, n. 21600, in motivazione].
La conclusione è da confermare in tema di contratti bancari. Può osservarsi, al riguardo, che l’art. 117, comma 3, t.u.b. commina la nullità del contratto per inosservanza della forma prescritta; dal comma 2 dello stesso articolo si ricava, poi, che la «forma» presa in considerazione dal legislatore è integrata dalla veste esteriore del contratto, mentre vi resta estranea la consegna dello scritto.
A fronte della prescrizione di carattere generale, contenuta nel primo comma, per cui i contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato al cliente, il secondo comma dispone, infatti, che il CICR può prevedere che «per motivate ragioni tecniche, particolari contratti possono essere stipulati in altra forma»: locuzione, questa, in cui il termine «forma» è evidentemente da intendere nell’accezione tradizionale, come mezzo attraverso cui è manifestato il reciproco consenso delle parti quanto alla conclusione dell’affare; in altre parole, l’«altra forma» è la forma diversa da quella scritta.
Da una interpretazione sistematica dell’art. 117 si ricava, dunque, che la nullità di cui al comma 3 presidia l’osservanza della prescrizione attinente alla modalità espressiva dell’accordo, non anche l’adempimento dell’obbligo di consegna dello scritto.
Appurato che la consegna non incide sulla validità del contratto, deve trovare applicazione l’insegnamento per cui, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità (Cass. Sez. U. 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725). In conclusione, il motivo di ricorso va respinto in base al principio, qui enunciato, per cui, in materia bancaria la mancata consegna del documento contrattuale non è produttiva di alcuna nullità.
- – Col terzo mezzo si oppone la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 2697 c.c..
I ricorrenti contestano quanto ritenuto dalla Corte di appello in tema di onere della prova: che incomba, cioè, a chi agisce in giudizio per l’accertamento negativo del credito e la ripetizione dell’indebito la prova delle movimentazioni del conto.
Deducono gli istanti che «nell’ambito delle azioni di accertamento negativo del credito bancario i principi generali sull’onere della prova trovano applicazione indipendentemente dalla circostanza che la causa sia stata instaurata dal correntista debitore con azione di accertamento negativo, con la conseguenza che anche in tale situazione sono a carico della banca creditrice (convenuta in accertamento) le conseguenze della mancata dimostrazione degli elementi costitutivi della pretesa».
Il motivo è inammissibile ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c..
Chi allega di avere effettuato un pagamento dovuto solo in parte, e proponga nei confronti dell’accipiens l’azione di indebito oggettivo per la somma versata in eccedenza, ha l’onere di provare l’inesistenza di una causa giustificativa del pagamento per la parte che si assume non dovuta (Cass. 23 novembre 2022, n. 34427; Cass. 12 giugno 2020, n. 11294).
Conseguentemente, in materia di conto corrente bancario, è il cliente che agisca in giudizio per la ripetizione dell’indebito ad essere onerato della prova dei movimenti del conto (Cass. 3 dicembre 2018, n. 31187; Cass. 23 ottobre 2017, n. 24948; Cass. 13 ottobre 2016, n. 20693).
- – Il quarto motivo prospetta la violazione degli artt. 112,115,116e 345 c.p.c., 1842, 1843 e 2935 c.c..
Il tema è quello della prescrizione del diritto di ripetizione delle rimesse solutorie.
Come è noto, la natura solutoria delle rimesse è esclusa dal fatto che le stesse siano eseguite per ripristinare la provvista di un’apertura di credito concessa dalla banca: e quindi dal fatto che esse siano eseguite per ripianare una esposizione debitoria contenuta nei limiti del finanziamento accordato.
La Corte di appello, occupandosi della questione relativa all’esistenza o meno di un «fido di fatto» tra la banca e la società correntista, ha considerato che il Tribunale aveva rilevato che (omissis) s.r.l. non aveva allegato in alcun modo l’esistenza di un tale rapporto nell’atto di citazione e nella prima memoria ex art. 183, comma 6, c.c.: solo in occasione della seconda memoria di cui all’articolo testé citato erano state prodotte le risultanze della Centrale rischi presso la (omissis) che riportavano gli affidamenti per tempo segnalati da (omissis) «senza peraltro che nel corpo della memoria la produzione [venisse] in alcun modo giustificata o commentata».
Ricorda dunque la Corte territoriale che secondo il Giudice di primo grado non era possibile «porre a fondamento della decisione della presente controversia un elemento fattuale (esistenza di un fido ante 2006) non riportato da alcuna delle parti in causa».
La conclusione è sposata dalla sentenza impugnata, ove è ribadito che gli appellanti avrebbero dovuto replicare all’eccezione di prescrizione allegando l’esistenza di un fido di fatto per il periodo antecedente il 2006 nella prima memoria di cui all’art. 183, comma 6, c.c.; afferma la Corte di appello: «Poiché ciò non è avvenuto, si deve considerare corretta la decisione del Tribunale che ha escluso di poter decidere sulla prescrizione assumendo un fatto (l’esistenza di un fido ante 2006) che non era stato allegato dalle parti».
I ricorrenti censurano la pronuncia resa in sede di gravame osservando che la propria domanda era chiaramente volta all’accertamento del rapporto di dare e avere tra le parti in base a un ricalcolo da effettuarsi sull’intera documentazione prodotta, la quale dava ragione del rapporto di apertura di credito.
Il motivo merita accoglimento.
Infatti, a fronte dell’eccezione di prescrizione del credito a decorrere dalle singole rimesse, sollevata dalla banca avverso la domanda di ripetizione dell’indebito proposta dal correntista, grava su quest’ultimo la prova della natura ripristinatoria e non solutoria delle rimesse indicate, ma il giudice è comunque tenuto a valorizzare la prova della stipula di un contratto di apertura di credito purché ritualmente acquisita, indipendentemente da una specifica allegazione del correntista, perché la deduzione circa l’esistenza di un impedimento al decorso della prescrizione determinato da una apertura di credito, costituisce un’eccezione in senso lato e non in senso stretto (Cass. 6 dicembre 2019, n. 31927; in senso conforme: Cass. 17 luglio 2023, n. 20455 secondo cui qualora, a fronte di un’azione di ripetizione dell’indebito esercitata dal correntista, la banca convenuta eccepisca la prescrizione del diritto di credito sul presupposto della natura solutoria delle rimesse, l’esistenza di un contratto di apertura di credito che consenta di attribuire semplice natura ripristinatoria della provvista alle rimesse oggetto della ripetizione dell’indebito e, conseguentemente, di far decorrere il termine di prescrizione a far data dalla chiusura del rapporto, costituisce una eccezione in senso lato, come tale rilevabile d’ufficio dal giudice anche in grado di appello, purché l’affidamento risulti dai documenti legittimamente acquisiti al processo o dalle deduzioni contenute negli atti difensivi delle parti).
La Corte di appello non poteva attribuire dunque rilievo assorbente al dato della mancata allegazione del contratto di apertura di credito, dovendo piuttosto verificare se di esso fosse stata data prova (come avevano affermato i ricorrenti).
- – Col quinto motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione degli artt. 119 t.u.b. e 210 c.p.c..
La Corte di appello ha dato atto dell’inutilità dell’ordine di esibizione essendo stata già acquisita la documentazione necessaria per la ricostruzione dei rapporti negli ultimi dieci anni; ha aggiunto che, in ogni caso, l’istanza ex art. 119 t.u.b. non era stata reiterata in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado onde doveva ritenersi rinunciata e inammissibile in appello.
Assumono i ricorrenti non essere vero che essi avevano omesso di reitererare la richiesta di esibizione dei documenti in sede di precisazione delle conclusioni.
Il motivo è inammissibile.
L’affermazione circa la rinuncia all’istanza di esibizione, preceduta dalla locuzione «[i]n ogni caso», introdotta dopo aver dato conto dell’inutilità della prova richiesta, integra una motivazione ad abundantiam, insuscettibile, come tale, di impugnazione (per tutte: Cass. 11 marzo 2022, n. 7995).
Quanto alle vera e propria ratio decidendi, i ricorrenti non si sono mostrati in grado di dar conto della concreta utilità dell’acquisizione documentale, essendo restato incontestato il rilievo della Corte di appello circa la completezza del corredo probatorio relativo all’ultimo decennio: vero è che l’accoglimento del quarto motivo di ricorso potrebbe giustificare l’accertamento delle movimentazioni anteriori (posto che l’ipotetico accertamento dell’apertura di credito sarebbe in grado di determinare l’emersione di rimesse ripristinatorie non prescritte, ancorché risalenti a più di dieci anni prima dell’introduzione del giudizio); ma una indagine da compiersi in tal senso non potrebbe comunque giovarsi del diritto, riconosciuto alla società correntista, di ottenere copia della documentazione relativa alle operazioni effettuate, previsto dall’art. 119, comma 4, t.u.b., posto che tale diritto copre solo le operazioni degli ultimi dieci anni, operando, al di fuori di questo limite, il generale onere di conservazione della documentazione rappresentativa dei propri diritti, gravante in modo indifferenziato su tutte le parti (Cass. 29 novembre 2022, n. 35039).
- – Il sesto motivo censura la sentenza impugnata per error in procedendo in relazione all’art. 345 c.p.c.e all’art. 112 c.p.c.; denuncia l’omessa pronuncia e l’«incoerente, insussistente e comunque apparente motivazione», la quale non renderebbe «percepibile il fondamento della decisione», né farebbe «conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, e ciò in merito agli artt. 1842 e 1843 c.c., nonché 2935 c.c. in relazione all’eccezione di prescrizione della banca riferita ai pagamenti ripristinatori anziché solutori».
Le doglianze si correlano alla censura di cui al quarto motivo: gli istanti rilevano che la Corte di appello avrebbe dovuto dar conto dell’accoglimento dell’eccezione di prescrizione della banca e dell’inesistenza degli affidamenti che erano stati invece concessi.
Il motivo è da reputarsi assorbito in ragione dell’accoglimento del richiamato mezzo di censura.
- – Col settimo motivo si oppone la violazione degli artt. 119 t.u.b. e 210 c.p.c. con riferimento all’art. 2697 c.c., nonché degli artt. 61e 191 c.p.c.; si denuncia pure l’error in procedendo per la motivazione assente o apparente.
Il motivo, con cui i ricorrenti si dolgono della «reiezione di richiesta di nuova consulenza, anche integrativa», è inammissibile.
Non si comprende quale sia il preciso oggetto della censura: a quale aspetto dell’indagine tecnica gli istanti cioè alludano. Gli stessi fanno menzione della «violazione delle norme e dei vizi» di cui al primo motivo, ma tale rilievo non si accorda col brano della sentenza impugnato, che è estraneo a quanto dedotto con tale mezzo.
Ciò detto, il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione (Cass. 18 febbraio 2011, n. 4036; Cass. 3 agosto 2007, n. 17125; cfr. pure Cass. 24 febbraio 2020, n. 4905).
- – In conclusione, va accolto il quarto motivo, il sesto deve dichiararsi assorbito, mentre gli altri vanno disattesi.
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