CORTE DI CASSAZIONE, I CIVILE – ordinanza 02.09.2024 n. 23460
PRINCIPIO DI DIRITTO
È erroneo l’assunto secondo cui per i contratti della p.a. è sempre necessario un unico atto, atteso che il requisito della forma scritta “ad substantiam” non richiede necessariamente la redazione di un unico documento, sottoscritto contestualmente dalle parti, poiché l’art. 17 del R.D. n. 2440 del 1923 contempla ulteriori ipotesi in cui il vincolo contrattuale si forma mediante l’incontro di dichiarazioni scritte, manifestate separatamente.
In tema di azione di ingiustificato arricchimento, l’obbligo indennitario dell’amministrazione non sorge con la compiuta realizzazione dell’opera in conformità al progetto, ma in virtù del dato oggettivo dell’utilizzazione della prestazione, che avviene nel momento in cui l’elaborato progettuale viene acquisito dalla pubblica amministrazione e comunque da essa adoperato.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la nullità della sentenza per error in procedendo, ai sensi dell’art. 360, n. 4 c.p.c. in relazione agli artt. 132, comma 2, n. 4 e 112 c.p.c., per motivazione meramente apparente, essendosi la Corte limitata a confermare la decisione di primo grado senza approfondire i motivi di appello.
La parte deduce di avere sempre affermato che era errato considerare l’arricchimento avvenuto al momento della consegna dell’opera, perché l’arricchimento avviene nel momento in cui il Comune diventa proprietario delle opere, il che, per il principio dell’accessione, era accaduto nel momento in cui le opere erano state realizzate.
La ricorrente deduce, inoltre, di avere lamentato, con l’atto di appello, che erroneamente il giudice di primo grado aveva affermato che si fosse raggiunto tra le parti un accordo transattivo, perché l’ATI aveva chiaramente subordinato l’accettazione dell’indennizzo offerto alla condizione che tali somme venissero maggiorate di rivalutazione ed interessi, e quindi non si era perfezionato alcun accordo transattivo; inoltre, la istante deduce di aver contestato che la valutazione delle opere fosse avvenuta sulla base dei valori correnti al momento della loro consegna al Comune.
Osserva che su questi punti la motivazione della Corte d’appello è meramente apparente perché si limita a confermare le statuizioni della decisione di primo grado, affermando che l’accordo transattivo si era perfezionato con la sottoscrizione di un verbale di consegna, mentre la odierna ricorrente aveva sempre osservato che, vertendosi di un rapporto instaurato tra un privato e un ente pubblico, l’accordo avrebbe dovuto essere contenuto in un unico atto sottoscritto, non solo dal legale rappresentante dell’ATI, ma anche dal dirigente del Comune a ciò autorizzato in virtù di apposita delibera.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c., la violazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1362 e 1965 c.c., per violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale, avendo la Corte d’appello attribuito natura transattiva al verbale di consegna dell’opera, sebbene dall’esame letterale e logico del medesimo si evincesse chiaramente l’inesistenza di qualsivoglia accordo sulle somme offerte dal Comune a titolo di indennizzo, avendo l’ATI richiesto che su tali somme andassero riconosciuti rivalutazione ed interessi. Nel verbale si dava atto, peraltro, di tale circostanza di fatto, avendo l’affidataria dato la sola disponibilità a consegnare le opere realizzate. La parte, trascrivendo il verbale nel ricorso, afferma che erroneamente la Corte d’appello ne avrebbe tratto la conclusione che era stata stipulata una transazione, con rinuncia delle imprese associate alla rivalutazione monetaria e agli interessi, violando così il criterio letterale ex art. 1362 c.c.
3.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta, ai sensi dell’art 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1965 c.c., degli artt. 16 e 17 del R.D. 2440 del 1923 e del T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al D. Lgs. 267/2000 che imponevano la forma scritta degli atti di transazione, atti che andavano racchiusi in un unico documento, sottoscritto, per conto dell’Amministrazione, dal Dirigente competente, a ciò autorizzato in virtù di apposita delibera della Giunta.
- I primi tre motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono inammissibili.
4.1.- Tra le parti è stato redatto in data 21 marzo 2002 un verbale di consegna, trascritto in atti, nel quale sono premesse e richiamate le comunicazioni epistolari tra di loro intercorse, nonché una serie di altri atti procedimentali quali il parere pro veritate chiesto al professor Nigro; nel predetto verbale si dà anche atto che è intervenuta una delibera di Giunta (il 27.2.2002) con la quale si è stabilito di liquidare le somme calcolate e offerte quali costi delle opere eseguite e valutate a misura. Questo verbale è stato considerato dalla Corte d’appello un atto unitario di natura transattiva, in virtù del quale la parte ricorrente avrebbe riconsegnato il cantiere e l’amministrazione avrebbe pagato una certa somma a titolo di indennizzo ai sensi dell’art. 2041 c.c.
La stessa Corte ha poi specificato che la somma pattuita e corrisposta a titolo di indennizzo è stata accettata dalla controparte sia pure con la specificazione che sull’importo andava calcolata la rivalutazione per il periodo intercorso tra il momento del fatto che dà luogo all’arricchimento senza causa e quello dell’effettivo pagamento; su questo punto, rimasto controverso nonostante la transazione, la Corte d’appello si pronuncia, spiegando le ragioni per le quali a suo parere non era dovuta alcuna rivalutazione e cioè perché le opere erano state valutate alla attualità e perché tra la consegna del cantiere e il pagamento erano trascorsi solo sei giorni.
4.2.- Le ragioni della decisione sono quindi adeguatamente esplicitate e anche se esse coincidono con le motivazioni della sentenza di primo grado, rendono evidente il precorso logico seguito. Gli argomenti chiave nella risposta alle eccezioni delle parte sono infatti così delineati: a) tra le parti è stata stipulata una transazione poiché hanno sottoscritto il verbale di consegna in cui, richiamando gli atti precedenti, si prevedeva la consegna e il pagamento della indennità e successivamente vi è stata una determina dirigenziale che ha liquidato le somme che sono state incassate con la riserva di cui sopra; b) la riserva sulla rivalutazione è priva di fondamento perché il valore delle opere è stato stimato al momento della consegna e tra la consegna e il pagamento sono passati solo sei giorni. La Corte di merito ha quindi manifestato, anche se in modo sintetico e condividendo le argomentazioni esposte dal giudice di primo grado, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione presentati, così da offrire un percorso argomentativo adeguato e corretto, tale da rendere possibile ed agevole il controllo (v. Cass. 07/11/2023, n.30936).
4.3.- Quanto al resto, la parte non si confronta adeguatamente con il contenuto della sentenza impugnata e le ragioni decisorie ivi esposte.
La ricorrente afferma che la Corte avrebbe errato a ritenere che il rapporto epistolare intercorso tra le parti, integrato con le dichiarazioni rese nel verbale di consegna, abbia perfezionato un accordo transattivo relativo alla determinazione dell’indennizzo che prevedeva l’accettazione delle somme offerte dall’ente e la rinuncia delle imprese associate alla rivalutazione monetaria e agli interessi. Si tratta di una lettura erronea della sentenza della Corte di merito; il giudice d’appello non ha affermato che l’accordo transattivo è dato dallo scambio epistolare bensì dal verbale -in cui è richiamato lo scambio epistolare e la delibera di Giunta che autorizzava il pagamento – integrato dalla successiva determinazione dirigenziale che dispone il pagamento.
Deve qui inoltre ricordarsi che è erroneo l’assunto secondo cui per i contratti della p.a. è sempre necessario un unico atto, atteso che il requisito della forma scritta “ad substantiam” non richiede necessariamente la redazione di un unico documento, sottoscritto contestualmente dalle parti, poiché l’art. 17 del R.D. n. 2440 del 1923 contempla ulteriori ipotesi in cui il vincolo contrattuale si forma mediante l’incontro di dichiarazioni scritte, manifestate separatamente (Cass. S.U. 9775/2022; Cass. 3543/2023). È vero che le transazioni della p.a. devono rivestire forma scritta (Cass. n. 638 del 14/01/2019) ma tale è appunto il verbale di consegna, che peraltro richiama i contenuti di una delibera di Giunta autorizzativa (n. 96 del 2002 del 27.2.2002).
Inoltre, la Corte d’appello non ha affermato che la transazione sia avvenuta anche sulla questione della rivalutazione, anzi sulla rivalutazione del credito si è pronunciata nel merito, ritenendola non dovuta perché tra la consegna del cantiere e il pagamento della somma erano passati soltanto sei giorni e le somme erano state determinate alla attualità; sul punto la parte non precisa adeguatamente in cosa la Corte di merito si sarebbe discostata dai criteri di ermeneutica contrattuale, limitandosi a trascrivere il contenuto del verbale e a proporne una sua diversa ed alternativa interpretazione.
Deve qui ricordarsi che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. 9461/2021; Cass. 25728/2013).
L’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., anche nell’ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. 10745/2022). E, nella specie, la ricorrente ‒ nel secondo e terzo motivo ‒ non indica sotto quali profili, anche omissivi, l’interpretazione del predetto atto del 21 marzo 2002 sia stata erronea (v. Cass. n. 995 del 20/01/2021).
Le censure, pertanto, oltre a presentare plurimi profili di inammissibilità e travisare il contenuto delle argomentazioni rese dalla Corte d’appello, non sono in linea con i principi consolidati in materia dati dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte.
5.- Con il quarto motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c. la violazione dell’art. 2041 c.c., per avere il giudice d’appello ritenuto che l’indennizzo spettante all’impoverito andava calcolato al momento della consegna dell’opera, anziché a quello di realizzazione della stessa che aveva determinato l’impoverimento. Rileva che le somme sono state valutate sulla base del prezziario del 1990 con abbattimento del 5% e che pertanto, considerato che l’indennizzo costituisce un debito di valore, le somme liquidate andavano maggiorate di rivalutazione quantomeno dalla data di redazione del prezziario a quello della liquidazione dell’indennizzo.
5.1.-Il motivo è infondato.
La parte lamenta che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello l’opera non sarebbe stata valutata alla attualità ma in base al prezziario del 1990; e d’altra parte lamenta che la rivalutazione doveva decorrere dal momento degli esborsi sostenuti in quanto l’arricchimento della p.a. si era concretizzato al momento dell’acquisizione dell’opera realizzata (costruzione) e non già al momento della sua consegna. Quest’ultimo argomento si pone però in contrasto con la affermazione – corretta in linea di principio- che il debito ex art 2041 c.c. è un debito di valore; se il valore dell’opera di cui la pubblica amministrazione si è giovata viene stimato al momento del pagamento dell’indennizzo, non vi è necessità alcuna di calcolare la rivalutazione, poiché il credito è già liquidato alla attualità.
In tal senso si è pronunciata la Corte d’appello la quale ha affermato che l’entità dell’indennizzo è stata determinata con riferimento al valore che le opere avevano al momento della loro consegna al Comune, cui è seguito dopo sei giorni il pagamento dell’indennizzo.
Deve peraltro qui ricordarsi che in tema di azione di ingiustificato arricchimento, l’obbligo indennitario dell’amministrazione non sorge con la compiuta realizzazione dell’opera in conformità al progetto, ma in virtù del dato oggettivo dell’utilizzazione della prestazione, che avviene nel momento in cui l’elaborato progettuale viene acquisito dalla pubblica amministrazione e comunque da essa adoperato (Cass. 11803/2020).
La parte assume che il valore delle opere non è stato liquidato alla attualità ma secondo il prezziario del 1990 e quindi le somme liquidate andavano maggiorate di rivalutazione, quantomeno dalla data di redazione del prezziario a quello della liquidazione dell’indennizzo. La ricorrente fonda questo argomento sul contenuto della delibera del 2002, richiamato nel verbale di consegna, ove si legge “i consulenti hanno depositato appendici alla perizia con valutazione delle opere all’attualità ovvero con applicazione del vigente tariffario edizione 90”.
La ricorrente, tuttavia, trascura di considerare che il tariffario, per quanto risalente al 1990 era vigente nell’anno 2002, secondo quanto riportato nel verbale, e la Corte d’appello ha appunto ritenuto che le opere fossero state valutate alla attualità perché sulla base del prezzario vigente in quel momento.
Non si discosta quindi la Corte dal criterio letterale della interpretazione dei contratti, anzi si attiene strettamente ad esso, posto che nell’atto si parla di valutazione di opere “alla attualità” e “vigente tariffario”, mentre di contro la parte propone una sua diversa interpretazione del verbale che essa stessa ha firmato, censura che in questa sede non può trovare spazio, secondo i principi sopra richiamati.
Il giudice d’appello ha quindi ritenuto che l’indennizzo, in quanto calcolato ai valori vigenti al momento della firma della transazione e la somma pagata dopo pochi giorni, non fosse soggetto ad ulteriore rivalutazione; ragionamento che appare corretto posto che la rivalutazione serve ad attualizzare un valore se tra il tempo della stima e il tempo della liquidazione vi è stata variazione del potere di acquisto della moneta; ma qui il tempo decorso (sei giorni) tra la stima alla attualità e la liquidazione è stato ritenuto troppo breve per incidere in tal senso.
- – Ne consegue il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.