<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte di Cassazione, II Sezione Civile, ordinanza 22 giugno 2021, n. 17819</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>PRINCIPIO DI DIRITTO</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In tema di contratto di appalto, la diligenza qualificata <em>ex</em> art. 1176, comma 2, c.c., che impone all’appaltatore (sia egli professionista o imprenditore) di realizzare l’opera a regola d’arte impiegando le energie ed i mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili in relazione alla natura dell’attività esercitata, onde soddisfare l’interesse creditorio ed evitare possibili eventi dannosi, rileva anche se egli si attenga alle previsioni di un progetto altrui, sicché, ove sia il committente a predisporre il progetto e a fornire indicazioni per la sua realizzazione, l’appaltatore risponde dei vizi dell’opera se, fedelmente eseguendo il progetto e le indicazioni ricevute, non ne segnali eventuali carenze ed errori, il cui controllo e correzione rientrano nella sua prestazione, mentre è esente da responsabilità ove il committente, edotto di tali carenze ed errori, richieda di dare egualmente esecuzione al progetto o ribadisca le indicazioni, riducendo così l’appaltatore a proprio mero “<em>nudus minister</em>”, direttamente e totalmente condizionato dalle istruzioni ricevute senza possibilità di iniziativa o vaglio critico.</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)</em></strong></p> <ol style="text-align: justify;" start="13"> <li><em> Ritiene il collegio che, prima di esaminare le proposte censure, sia opportuno operare una premessa di carattere generale sull’inquadramento del <strong>contratto di appalto</strong>, con particolare evidenziazione delle obbligazioni che scaturiscono dalla sua conclusione.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>Si osserva come non sia discutibile che nell’obbligazione principale dell’appaltatore sia compresa, dal punto di vista contenutistico, <strong>ogni attività finalizzata a raggiungere lo scopo del contratto</strong>. In questa generale dimensione elemento essenziale di tale obbligazione diviene la <strong>funzione di responsabilità</strong>, dovendo, in ogni caso, l’esecuzione dell’opera essere giuridicamente ascritta all’appaltatore nella fase organizzativa, che non può, però, prescindere dall’esercizio di una posizione di controllo e di direzione sull’attività dell’apparato imprenditoriale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Poiché, precisa la Corte, la prestazione dell’appaltatore si risolve nell’adempimento di <strong>un’obbligazione di risultato</strong>, egli è tenuto ad assolvere ai propri obblighi osservando i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, rispondendo per le imperfezioni o i vizi dell’opera, di cui deve garantire l’assenza.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il contenuto dell’obbligazione dell’assuntore dell’appalto è delineato, innanzitutto, dalla previsioni contrattuali che descrivono e specificano l’oggetto commissionato. Ma oltre alla <strong>regolamentazione contrattuale</strong>, l’appaltatore deve conformarsi, nell’attuare l’opera affidatagli, alle <strong>regole d’arte</strong>, ossia alle conoscenze tecnico-scientifiche di settore, ai <strong>principi tecnici</strong> e agli <strong>usi</strong> che presiedono all’esecuzione nel momento storico e nel luogo di cui l’opera deve essere realizzata. Le regole tecniche riguardano, principalmente, la sicurezza, la stabilità e l’utilizzabilità dell’opera ma possono concernere anche l’aspetto estetico.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>È importante porre in risalto che il rispetto di tali regole prescinde da una specifica previsione del contratto e deriva direttamente dal <strong>canone della diligenza</strong>, cui l’assuntore deve adeguarsi alla stregua della natura dell’attività esercitata. La qualità di imprenditore dell’appaltatore e l’elevato tasso tecnico della prestazione alla quale è obbligato gli impongono di adottare <strong>una particolare perizia in fase esecutiva</strong>. Non si ricade, dunque, nella diligenza dell’uomo medio, richiedendosi all’assuntore un’attenzione notevole, tale da esigere l’adeguamento ad un modello di diligenza professionale del buon appaltatore nel soddisfare le utilità connesse alla funzione esplicitata nel contratto. Atteso che dalla natura del contratto di appalto - che ha per oggetto l’espletamento di un’attività da eseguire a regola d’arte con l’ausilio di regole tecniche - discende il principio secondo cui l’esecuzione dei lavori non solo deve avvenire con l’osservanza della perizia che inerisce a ciascun campo di attività, ma anche che l’opera stessa, nella progettazione ed esecuzione, deve corrispondere alla funzionalità ed utilizzabilità previste dal contratto, con la conseguenza che l’appaltatore ha l’obbligo di consegnare l’opera conforme a quanto pattuito ed, in ogni caso, eseguita a regola d’arte. All’appaltatore competono le scelte delle tecniche realizzative, anche in ragione delle proprie opzioni gestionali e produttive.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Può, peraltro, accadere che le regole dell’arte siano in contrasto con le specifiche previsioni contrattuali; tale <strong>potenziale conflitto </strong>impone all’appaltatore di segnalare al committente l’attività che il rispetto delle suddette regole imporrebbe, rispetto alla diversa pattuizione contrattuale vigente. All’esito di tale segnalazione, il committente potrebbe acconsentire ai correttivi suggeriti dall’assuntore, oppure insistere nel pretendere l’adeguamento alle prescrizioni negoziali. In ogni caso, <strong>la responsabilità dell’assuntore è esclusa solo ove abbia assolto al compito di informare circa l’emergenza di siffatta contrapposizione</strong>.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="14"> <li><em> Ciò premesso, il collegio rileva che il primo motivo del ricorso è fondato e deve essere, perciò, accolto.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>La Corte di appello ha, in modo del tutto superficiale, escluso un coinvolgimento dell’appaltatrice nel controllo delle attività del progettista e direttore dei lavori sul presupposto di una estraneità alla sue specifiche competenze delle conoscenze necessarie a valutare la correttezza dell’operato delle due citate figure professionali. È, peraltro, risultato incontestatamente dagli atti del giudizio (e i controricorrenti appaltatori non hanno, infatti, contestato la relativa circostanza) che le ditte a cui erano stati appaltati l’lavori non avevano manifestato alcun dissenso rispetto ad alcuna soluzione progettuale od esecutiva, mentre si erano manifestati obiettivamente vari <strong>difetti</strong> durante l’esecuzione dei lavori.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Detti lavori attenevano, peraltro, all’esecuzione di una specifica e non consueta prestazione, siccome consistenti nella ristrutturazione di un edificio per l’eliminazione delle barriere architettoniche, il che avrebbe dovuto far rendere agevolmente percepibili eventuali difetti costruttivi dipendenti da previsioni progettuali o direttive del direttore dei lavori.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Al riguardo, osserva la Corte, appare indubbio che sarebbero stati agevolmente accertabili dagli appaltatori - non richiedendosi, neanche, specifiche competenze in merito - i numerosi vizi specificamente richiamati (e qui da intendersi trascritti) a pag. 22 del ricorso (comportanti una difformità rispetto alle prescrizioni imposte dalla legge specifica in materia n. 6/1989 e dal D.M. 14 giugno 1989, n. 236, dirette a favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati), che, di per sé, non avrebbero potuto consentire di pervenire al risultato finale dell’appalto consistente nell’abbattimento e nel superamento delle barriere architettoniche dell’abitazione dell’U.R. (che - ove i lavori non fossero stati adeguati in corso di esecuzione - non avrebbe potuto accedere con la sua carrozzella nemmeno nell’adiacente area giardino), di cui la stessa Corte di appello da atto in sentenza (v. pagg. 30-32), pur non ritenendoli imputabili - ma erroneamente - anche ad una possibile omessa vigilanza della ditta appaltatrice, da considerarsi, invece, solo come una mera esecutrice di ordini e progetti altrui.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ravvisando questa esclusione di responsabilità in capo agli appaltatori, la Corte di appello ha disatteso l’univoco indirizzo della giurisprudenza di questa Corte (ai cui principi dovrà uniformarsi il giudice di rinvio: cfr., tra le tante, Cass. n. 3520/1997 e Cass. n. 1981/2016), secondo cui, in tema di contratto di appalto, la <strong>diligenza qualificata ex art. 1176 c.c., comma 2,</strong> che impone all’appaltatore (sia egli professionista o imprenditore) di realizzare l’opera a regola d’arte, impiegando le energie ed i mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili in relazione alla natura dell’attività esercitata, onde soddisfare <strong>l’interesse creditorio</strong> ed evitare possibili eventi dannosi, rileva <strong>anche se egli si attenga alle previsioni di un progetto altrui</strong>, sicché, ove sia il committente a predisporre il progetto e a fornire indicazioni per la sua realizzazione, l’appaltatore risponde dei vizi dell’opera se, fedelmente eseguendo il progetto e le indicazioni ricevute, non ne segnali eventuali carenze ed errori, il cui controllo e correzione rientrano nella sua prestazione, mentre - come già sottolineato - è esente da responsabilità ove il committente, edotto di tali carenze ed errori, richieda di dare egualmente esecuzione al progetto o ribadisca le indicazioni, riducendo così l’appaltatore a proprio mero <strong>"nudus minister"</strong>, direttamente e totalmente condizionato dalle istruzioni ricevute senza possibilità di iniziativa o vaglio critico.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Pertanto, soggiunge la Corte, in difetto di qualsiasi manifestazione di volontà dei committenti e non avendo gli appaltatori espresso alcun dissenso rispetto a nessuna soluzione progettuale od esecutiva, questi ultimi, nel procedere alla realizzazione del progetto, avrebbero dovuto comunque attivarsi per evitare di eseguire un’opera caratterizzata da numerosi difetti accertati in sede di c.t.u. e che, in quanto tale, avrebbe potuto comportare il mancato conseguimento del risultato obiettivizzato nel contratto di appalto e, quindi, la possibile dichiarazione di risoluzione dello stesso per effetto della gravita dell’inadempimento imputabile direttamente agli appaltatori, che - si badi - sussiste anche nell’eventualità in cui si sia venuto a configurare un errore progettuale consistente nella mancata previsione di accorgimenti o manufatti necessari per rendere le opere appaltate tecnicamente valide e funzionali rispetto alle esigenze del committente.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Pertanto, il primo motivo deve essere considerato fondato non essendosi attenuta la Corte bresciana al principio in base al quale, in tema di appalto ed in ipotesi di responsabilità per vizi dell’opera, l’appaltatore, anche quando sia chiamato a realizzare un progetto altrui, è sempre tenuto a rispettare le regole dell’arte e, in caso di loro violazione, è responsabile delle relative conseguenze, con il conseguente <strong>obbligo risarcitorio</strong>, il quale non viene meno neppure in caso di possibili vizi imputabili ad errori del progettista o del direttore dei lavori (eseguendone comunque le relative disposizioni), se egli, accortosi dei vizi, non li abbia <strong>tempestivamente denunziati</strong> al committente manifestando formalmente il proprio dissenso, ovvero non abbia rilevato i vizi pur potendo e dovendo riconoscerli in relazione alla perizia ed alla capacità tecnica da lui esigibili nel caso concreto, come verificatosi nel caso di specie.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="15"> <li><em> Anche il secondo motivo - che è, peraltro, collegato al primo - è fondato dal momento che gli attuali ricorrenti non sono affatto incorsi nella violazione dell’art. 346 c.p.c., perché - diversamente da quanto ritenuto nell’impugnata sentenza - i fratelli U. , vittoriosi all’esito del giudizio di primo grado, non avrebbero dovuto riproporre i profili relativi alla prospettata responsabilità dell’appaltatore di prestare "assistenze" agli artigiani, non implicando tali aspetti la proposizione di domande ed eccezioni respinte, sui quali, oltretutto, la Corte di appello si è, comunque, pronunciata nel merito.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>E a quest’ultimo riguardo, reiterando i principi evidenziati con riferimento al primo motivo, è indubbio che, con riferimento all’appalto in questione (oltretutto finalizzato alla rimozione di barriere architettoniche), l’appaltatore sarebbe stato tenuto a prestare assistenza agli artigiani incaricati e, quindi, a <strong>controllare</strong> l’esecuzione di quei particolari lavori (indicati a pag. 32 del ricorso, che si hanno qui per richiamati) emergenti come difettosi (come appurato dal c.t.u.) e, perciò, attivandosi a <strong>segnalare</strong> ai committenti e alla direzione dei lavori l’incongruità della soluzione progettuale prevista od esecutiva in concreto adottata, non potendosi, peraltro, rapportare la figura dell’appaltatore a quella di un "muratore".</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>È pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 12162/2007 e Cass. n. 20172/2014) il principio (a cui pure dovrà uniformarsi il giudice di rinvio) alla stregua del quale l’accoglimento della domanda in base ad una sola delle "causae petendi" fungibilmente poste a fondamento della stessa non implica, per l’appellato vittorioso, l’onere di proporre appello incidentale per far valere le "causae petendi" non esaminate dal giudice di primo grado, né quello di riproporre con espresse deduzioni e ragioni pretermesse, essendo sufficiente che ad esse la parte non rinunci, esplicitamente o implicitamente, manifestando in qualsiasi modo la volontà di provocarne il riesame.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="16"> <li><em> Pure il terzo motivo, prosegue la Corte, merita accoglimento poiché, proprio in dipendenza della ricostruzione operata con riguardo ai primi due motivi e alle derivanti esplicitate conseguenze giuridiche, appare evidente che, nella vicenda in questione, sia da escludersi la riconducibilità degli appaltatori alla figura di "nudi ministri".</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>È, infatti, incontestabile il principio (cui pure dovrà conformarsi il giudice di rinvio), in virtù del quale, in tema di appalto, la circostanza che l’appaltatore esegua l’opera su progetto del committente o dallo stesso fornito non lo degrada, per ciò solo, al rango di <strong>"nudus minister"</strong> poiché la fase progettuale non interferisce nel contratto e non ne compone la struttura sinallagmatica, esulando dagli obblighi delle rispettive parti, con la conseguenza che l’appaltatore è tenuto non solo ad eseguire a regola d’arte il progetto, ma anche a controllare, con la <strong>diligenza richiesta dal caso concreto</strong> e nei limiti delle cognizioni tecniche da lui esigibili, la congruità e la completezza del progetto stesso e della direzione dei lavori, segnalando al committente gli eventuali errori riscontrati, quando l’errore progettuale consiste nella mancata previsione di accorgimenti e componenti necessari per rendere il prodotto tecnicamente valido e idoneo a soddisfare le esigenze del committente (v., ex multis, Cass., n. 6754/2003 e, da ultimo, Cass. n. 23594/2017).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In altri termini, l’appaltatore, dovendo assolvere al proprio obbligo di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è tenuto a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto - va sottolineato - ad eseguirle, quale "nudus minister", per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo (sollecitazioni che, nel caso di specie, non sono emerse). Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di <strong>responsabilità contrattuale</strong>, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’<strong>intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera</strong>, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="17"> <li><em> In definitiva, conclude la Corte, i primi tre motivi vanno accolti e dalla loro ritenuta fondatezza discende l’assorbimento di tutte le altre censure, siccome attengono a profili ulteriori dipendenti riguardanti lo svolgimento del rapporto di appalto, la prospettata responsabilità per inadempimento dell’appaltatore e progettista e la contestazione del riconoscimento del diritto al corrispettivo in favore dell’appaltatore.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>Ne consegue la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio della causa alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, che si uniformerà agli enunciati principi di diritto e provvedere a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p>