Corte di Cassazione, Sez. II Civile, Ordinanza interlocutoria, 10 luglio 2024, n. 18903
QUESITO DI DIRITTO
Vanno rimessi gli atti per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite al fine di decidere se sia corretto ritenere che il ripianamento di precedenti passività eseguito da una Banca autonomamente e immediatamente con operazione di giroconto soddisfi il requisito della traditio della disponibilità giuridica della somma a favore del mutuatario, per cui il ripianamento delle passività abbia costituito una modalità di impiego dell’importo mutuato entrato nella disponibilità del mutuatario; in caso di risposta positiva, se in tale ipotesi il contratto di mutuo possa costituire anche titolo esecutivo.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il primo motivo è intitolato “nella prima parte, nullità del procedimento e conseguentemente della sentenza ex artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.; nella seconda parte, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1813 c.c., 117 T.U.B. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.“.
Con esso i ricorrenti, evidenziando che il motivo è decisivo in quanto la Banca non ha azionato titoli diversi rispetto all’ultimo mutuo e al conto corrente ipotecario contestuale, in primo luogo censurano la sentenza impugnata per avere dichiarato che la decisione di impiegare le somme mutuate per estinguere i debiti precedenti era stata una libera scelta al fine di mantenere il rapporto con la Banca, in quanto essi avevano sempre dedotto che mancava la prova degli atti di disposizione del denaro, solo apparentemente erogato; quindi rilevano che la Corte d’Appello avrebbe dovuto spiegare da dove avesse ricavato che le operazioni erano state volute e autorizzate dai ricorrenti perché, in mancanza di dimostrazione dell’accordo sulla destinazione della somma, viene confermata la tesi che la traditio era stata assente, in quanto unilateralmente e contestualmente la Banca aveva accreditato e stornato la somma di Lire. 897.000.000 mediante un mero giroconto.
Di seguito i ricorrenti sostengono che la sentenza, disattendendo l’eccezione di nullità e comunque di inesistenza del mutuo, abbia erroneamente escluso la rilevanza del precedente di Cass. 20896/2019, perché anche nel loro caso non è avvenuto alcun trasferimento di proprietà ma una semplice operazione contabile, definita tecnicamente dalla Banca “operazione di giro”, con la quale la Banca ha utilizzato le somme per estinguere i finanziamenti pregressi dei correntisti, in assenza di alcuna istruzione in tal senso; sostengono che il mero accredito sul conto corrente, a cui consegua l’immediata riappropriazione autonoma delle somme da parte della Banca mutuante, impedisca di fare ritenere acquisita la disponibilità delle somme in capo al mutuatario, in quanto nel caso di specie l’operazione non risultava autorizzata dai ricorrenti.
2.Il secondo motivo è intitolato “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2730 e dell’art. 1852 c.c. in relazione all’art. 1813 c.c. e degli artt. 112 e 342 c.p.c. – nullità del procedimento e/o della sentenza -art. 360 n. 4″ e con esso i ricorrenti evidenziano che l’estratto conto del 31-12-2000 qualificava come “operazione di giro” quello che la Corte d’Appello aveva qualificato erroneamente come mutuo; sostengono che, essendo stata da loro posta la questione, la Corte d’Appello avrebbe dovuto prendere posizione sul problema della valenza dell’affermazione contenuta nel documento e, ritenendola come ammissione di un fatto a sé sfavorevole, cioè come ammissione di non avere mai messo a effettiva disposizione di A.A. le somme oggetto del mutuo inesistente, avrebbe dovuto accogliere l’impugnazione.
3.Con il terzo motivo i ricorrenti deducono “nullità del procedimento e della sentenza per omessa pronuncia o quanto meno per pronuncia apparente su motivo di impugnazione, con conseguente violazione degli artt. 112 o 132 c.p.c. in entrambi i casi in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. da cui è derivata la violazione e/o falsa applicazione della L. 7 marzo 1996“.
Evidenziano che nell’atto di citazione in appello avevano censurato la sentenza di primo grado per non avere considerato che l’ultimo mutuo stipulato nel 2000 aveva un tasso di mora superiore a quello legale, in quanto il tasso di mora era dell’11,2%, all’epoca il tasso medio per le operazioni similari era del 6,63%, con conseguente superamento del tasso soglia pari a 9,95% (6,63×1,5). Rilevano che la Corte d’Appello non ha considerato la
censura per il fatto che il consulente d’ufficio aveva maggiorato la soglia del 2,1% come stabilito dalla Banca d’Italia, dichiarando che il tasso soglia di mora era del 13,10, creando un tasso soglia ad hoc per gli interessi di mora in termini illegittimi secondo la pronuncia di Cass. 27442/2018.
4.Con il quarto motivo i ricorrenti deducono “nullità del procedimento e della sentenza per omessa pronuncia o quanto meno per pronuncia apparente su motivo di impugnazione, con conseguente violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. in entrambi i casi in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., da cui è derivata la violazione e/o falsa applicazione della L. 7 marzo 1996 n. 108 e dell’art. 644 c.p. e degli artt. 1815 e 2909 c.c.“.
Rilevano che la sentenza impugnata, sulla base della c.t.u., ha riscontrato nel rapporto di cui all’ultimo mutuo il superamento del tasso soglia ed evidenziano che nell’atto di appello avevano sostenuto che tale superamento avrebbe dovuto comportare l’applicazione dell’art. 1815 co. 2 cod. civ. con esclusione della debenza degli interessi per tutto il rapporto e non solo per i due trimestri individuati dal consulente d’ufficio; aggiungendo che Guber Spa non aveva proposto appello incidentale, lamentano che la sentenza impugnata abbia trascurato le loro deduzioni, in quanto sull’accertamento dell’avvenuto superamento del tasso soglia era sceso il giudicato; sostengono che ciò comportava che il mutuo doveva definitivamente essere considerato usurario e lamentano che la Corte d’Appello abbia omesso di statuire sul motivo di appello con il quale si chiedeva l’azzeramento di tutti gli interessi applicati al rapporto contrattuale.
5.Con il quinto motivo i ricorrenti deducono “violazione dell’art. 112 e degli artt. 342 e 343 c.p.c., dell’art. 2934 e dell’art. 2947, comma 3 c.c. e dell’art. 644, commi nn. 1 e 3 e dell’art. 644 ter c.p. – nullità della sentenza – art. 360 n. 3 e 4″.
Rilevano che avevano chiesto di accertare l’usura in concreto, e cioè l’istituto previsto dall’art. 644 co.3 cod. pen. e, esponendo il contenuto degli atti nei quali avevano proposto la questione, lamentano che la sentenza abbia dichiarato irrilevanti le loro deduzioni; dichiarano che le deduzioni avrebbero dovuto essere esaminate nel merito, non essendo rilevante la questione della prescrizione, sia perché essi non avevano proposto domanda di restituzione ma si erano limitati a eccepire l’esistenza di rapporto usurario, sia perché l’eccezione di prescrizione era stata formulata dalla controparte con riguardo ai contratti conclusi prima del 2000 e perciò non con riguardo all’ultimo mutuo, sia perché il reato di usura non era prescritto.
6.Con il sesto motivo i ricorrenti deducono “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. Art. 360, n. 4 c.p.c., con conseguente nullità del procedimento e della sentenza”; evidenziano di avere chiesto la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui non aveva considerato la circostanza che la Banca aveva calcolato gli interessi anche sulla somma di Lire.2.900.000, che aveva trattenuto a titolo di spese e non aveva perciò certamente erogato; lamentano l’omessa pronuncia sulla questione che, nonostante la modestia, avrebbe dovuto essere oggetto di vaglio.
7.Con il settimo motivo i ricorrenti deducono “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 233 c.p.c. e degli artt. 1418, 1421, 1813 e 2736 c.c. Art. 360, n. 3 e n. 4 c.p.c. con conseguente nullità del procedimento e della sentenza”; lamentano che non sia stato ammesso il giuramento decisorio, da loro ritualmente deferito alla controparte, in quanto la formula del giuramento era conforme a quella ritenuta corretta da Cass. 26027/2014 e i capitoli, relativi al contenuto dell’operazione, avrebbero dovuto essere ammessi, in quanto idonei a definire la controversia.
8.Con l’ottavo motivo i ricorrenti deducono “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 221 c.p.c. e dell’art. 2700 c.c. Art. 360 n. 4 c.p.c. con conseguente nullità del procedimento e della sentenza” e con esso i ricorrenti lamentano che non sia stata ammessa la querela di falso avente a oggetto il contenuto dell’atto notarile “contratto di mutuo fondiario” del 29-11-2000 da loro prodotto con l’atto di opposizione al decreto ingiuntivo e prodotto da Guber Spa quale titolo fondante la procedura esecutiva. Evidenziano che la sentenza impugnata, al fine di ritenere la consegna delle somme, ha fatto riferimento alla documentazione bancaria e alla quietanza sottoscritta davanti al notaio, contro i quali era diretta la querela di falso.
9.Con il nono motivo i ricorrenti deducono “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. – Art. 360 n. 3 c.p.c.” ed evidenziano che la sentenza di primo grado, avendo accertato il superamento del tasso soglia in alcuni periodi, aveva disposto la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica per gli accertamenti che avesse ritenuto di svolgere in ordine alla configurabilità del reato di usura; rilevano che nell’atto di appello avevano chiesto di correggere la sentenza di primo grado laddove non aveva fatto conseguire a tale dato il risarcimento dal reato di usura; lamentano che la sentenza impugnata, esprimendo condivisione alle deduzioni della Banca appellata, non abbia considerato che sulla questione dell’usura sussisteva giudicato, in mancanza di impugnazione della Banca.
10.Ritiene il Collegio che il primo e il secondo motivo di ricorso pongano questioni decisive al fine della decisione, relative alla qualificazione del cosiddetto “mutuo solutorio”, sulle quali si sono registrate soluzioni non uniformi nella giurisprudenza di questa Corte e che hanno indubbio rilievo concettuale e pratico, tali da costituire anche questioni di massima di particolare importanza, rendendosi perciò opportuno l’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite.
11.Secondo Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23149 del 25-7-2022 (Rv. 665427-01), il cosiddetto “mutuo solutorio”, stipulato per ripianare la pregressa esposizione debitoria del mutuatario verso il mutuante, non è nullo – in quanto non contrario né alla legge, né all’ordine pubblico – e non può essere qualificato come una mera dilazione del termine di pagamento del debito preesistente oppure quale pactum de non petendo in ragione della pretesa mancanza di un effettivo spostamento di denaro, poiché l’accredito in conto corrente delle somme erogate è sufficiente a integrare la datio rei giuridica propria del mutuo e il loro impiego per l’estinzione del debito già esistente purga il patrimonio del mutuatario di una posta negativa.
Questa sentenza, espressione dell’indirizzo maggioritario che specificamente richiama in motivazione, anche confutando l’indirizzo minoritario, si pone in continuità già a Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5193 del 9-5-1991 (Rv. 472085-01) e Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1945 del 8-3-1999 (Rv. 523924-01), secondo le quali il perfezionamento del contratto di mutuo, con la consequenziale nascita dell’obbligo di restituzione a carico del mutuatario, si verifica nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non consegnata materialmente, sia posta nella disponibilità del mutuatario medesimo, non rilevando, a detto fine, che sia previsto l’obbligo di utilizzare quella somma a estinzione di altra posizione debitoria verso il mutuante.
Nello stesso senso, Cass. Sez. 3, Ordinanza n.37654 del 30-11-2021 (Rv. 663324-01), Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 724 del 18-1-2021, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16377 del 9-6-2023, non massimate, per tutte.
Nel senso difforme, sul quale insistono i ricorrenti al fine di negare che l’accordo concluso nel 2000 configuri autonomo contratto di mutuo, sono i precedenti di Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1517 del 25-1-2021 (Rv. 660370-01) e di Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 20896 del 5-8-2019 (Rv. 655022-01), secondo i quali l’utilizzo di somme da parte di un istituto di credito per ripianare la pregressa esposizione del correntista, con contestuale costituzione in favore della banca di una garanzia reale, costituisce un’operazione meramente contabile in dare e avere sul conto corrente, non inquadrabile nel mutuo ipotecario, il quale presuppone sempre l’avvenuta consegna del denaro dal mutuante al mutuatario; tale operazione determina di regola gli effetti del pactum de non petendo ad tempus, restando modificato soltanto il termine per l’adempimento, senza alcuna novazione dell’originaria obbligazione del correntista.
In senso analogo si registra Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7740 dell’8-4-2020 n. 7740, non massimata; i ricorrenti in memoria richiamano a sostegno della medesima tesi anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12007 del 3-5-2024, Rv. 670868-01 -relativa a ipotesi di accordo negoziale con il quale la banca concede somma a mutuo erogandola al mutuatario ma convenendo che la somma sia immediatamente restituita al mutuante, con l’intesa che sarà svincolata a favore del mutuatario solo al verificarsi di determinate condizioni-, in quanto la leggono quale conferma che non sia integrata la realità del mutuo nel caso in cui le somme oggetto del mutuo ipotecario non siano effettivamente entrate nella disponibilità del mutuatario.
A sostegno dell’indirizzo minoritario, sulla base dell’osservazione che il mutuo solutorio provoca l’effetto sostanziale di dilatare le scadenze dei debiti pregressi, è stato rilevato in dottrina che l’art. 1231 cod. civ. fa espresso riferimento alle modificazioni accessorie dell’obbligazione che, come tali, non producono novazione.
Evidenziando come tra le diverse modificazioni non novative di un rapporto obbligatorio siano annoverate dalla giurisprudenza anche l’apposizione di diverse condizioni economiche, la modificazione di clausole relative al tasso di interessi e l’aggiunta di garanzie, in dottrina si è sostenuto che il rapporto obbligatorio, pur modificato, conserva la propria precedente identità anche dopo la conclusione del mutuo solutorio; ciò in quanto manca, per qualificare il mutuo solutorio in termini di novazione, anche l’animus novandi, posto che nei contratti di mutuo solutorio non si rintraccia in genere alcuna espressa e inequivoca volontà di estinguere l’obbligazione precedente.
Non essendo questa la sede per esaminare analiticamente e porre a confronto gli argomenti svolti dai due indirizzi, basti osservare che neppure l’indirizzo minoritario nega che per il perfezionamento del mutuo sia sufficiente la dazione giuridica delle somme, con la conseguenza che anche l’accredito in conto corrente sia sufficiente a questo fine; però, tale indirizzo si fonda sulla considerazione che la traditio debba realizzare il passaggio delle somme dal mutuante al mutuatario, e cioè comportare l’acquisizione della loro disponibilità da parte del mutuatario, che non ravvisa nel caso in cui la banca già creditrice con tali somme realizzi il ripianamento del precedente debito.
Sul punto, gli stessi precedenti che affermano che l’accreditamento in conto corrente della somma mutuata a favore del mutuatario integri la traditio rei rilevano che in tal modo il mutuante crea, con l’uscita delle somme dal proprio patrimonio, un autonomo titolo di disponibilità in favore del mutuatario (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2483 del 21-2-2001 Rv. 543989-01, Cass. Sez. 3 27-8-2015 n. 17194 Rv. 636304-01). Già Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11116 del 12-10-1992 (Rv. 478874-01) ha evidenziato che, al fine della sussistenza della disponibilità giuridica, occorre che il mutuante crei un titolo autonomo di disponibilità a favore del mutuatario, perché solo in tal modo la somma esce dal patrimonio del mutuante ed entra in quello del mutuatario, il quale ne può disporre non solo sen za l’intermediazione del mutuante , ma anche invito mutuante; tale precedente aggiunge che, nel caso in cui nell’atto di mutuo siano contenute specifiche pattuizioni consistenti nell’incarico che il mutuatario conferisce al mutuante di impiegare la somma mutuata per soddisfare un interesse di esso mutuatario meritevole di tutela, quale il pagamento di precedente debito nei confronti del mutuante, deve ritenersi avvenuta la consegna simbolica, perché le parti consensualmente hanno posto in essere un meccanismo giuridico diretto a evitare il duplice e inutile trasferimento.
In questa prospettiva, nella presente fattispecie ci si chiede anche se sia corretto ritenere che il ripianamento delle precedenti passività eseguito dalla Banca autonomamente e immediatamente con operazione di giroconto, secondo quanto lamentano i ricorrenti, soddisfi il requisito della disponibilità giuridica della somma a favore del mutuatario, per cui il ripianamento delle passività abbia costituito una modalità di impiego dell’importo mutuato entrato nella disponibilità del mutuatario; in caso di risposta positiva, ci si chiede se in tale ipotesi il contratto di mutuo possa costituire anche titolo esecutivo.
Per le ragioni esposte, si dispone la trasmissione degli atti alla Prima Presidente, affinché possa valutare l’opportunità di assegnare la causa alle Sezioni Unite.