Corte di Cassazione, III Sezione Civile, sentenza 22 febbraio 2023, n. 5479
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il contratto (nella specie, di garanzia) cui sia stata apposta la firma apocrifa del legale rappresentante della società apparentemente firmataria è privo di effetti nei confronti della società stessa, ma può essere recepito nella sua sfera giuridica, in applicazione analogica del disposto dell’art. 1399 c.c., qualora questa, a mezzo di atti o comportamenti concludenti, provenienti dal legale rappresentante avente allo scopo adeguati poteri rappresentativi, manifesti univocamente la volontà di avvalersene.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- Propone ricorso per Cassazione la sola Rosa Bassone denunciando, con l’unico motivo, la nullità o inesistenza del contratto di garanzia per falsità della sottoscrizione del legale rappresentante della s.a.s. nonché la violazione e falsa applicazione degli articoli 1325, 1418, 1399 cod. civ. in relazione all’articolo 360, numeri 3 e 5, cod. proc. civ.
1.1. La ricorrente censura la sentenza impugnata laddove, pur avendo dato atto della falsità della firma apposta in calce al contratto di fideiussione, ha reputato che il contratto potesse comunque essere ratificato come se fosse stato stipulato da un falsus procurator e ha attribuito valore di ratifica da parte della società al fatto che la stessa, e per essa il suo accomandatario, avesse beneficiato della garanzia avvalendosi del contratto, avendolo presentato al Ministero per ottenere l’erogazione del contributo, secondo lo schema della falsa rappresentanza.
1.2. Pur denunciando nella rubrica la nullità o l’inesistenza del contratto, rileva che in effetti non si trattava né di contratto inefficace ma ratificabile né di contratto nullo non ratificabile, ma di una terza ipotesi, riconducibile al “contratto stipulato sotto nome altrui pur se con la decisiva variante che il falso nome è stato usato da colui che ha agito come legale rappresentante della società, essendo questa stata indicata come parte contrattuale”.
E’ stato accertato quindi, precisa la Corte, che si è verificata la stipulazione di un contratto con sostituzione di persona ed usurpazione del nome del legale rappresentante della società, cui è stata intestata la polizza fideiussoria al contempo gravandola delle obbligazioni restitutorie conseguenti alla escussione della polizza. Riconosce che a determinate condizioni il contratto sotto falso nome ben può essere inteso come riferito sia dall’autore della dichiarazione che dalla sua controparte contrattuale al vero portatore del nome e produrre effetti nei confronti di quest’ultimo, secondo lo schema della falsa rappresentanza.
1.3. Sottolinea che parte della dottrina ritiene il contratto stipulato dall’usurpatore di nome altrui nullo per mancanza di volontà del soggetto a cui quella dichiarazione si attribuisce, ovvero per mancanza dell’accordo tra le parti, il che escluderebbe la possibilità della ratifica. Evidenzia che la peculiarità nel caso di specie è che il contratto è stato riferito alla società, imputando a quest’ultima il contratto di garanzia con tutti gli effetti anche di carattere negativo che ne sono conseguiti e ritiene la situazione assimilabile a una spendita indebita del nome del legale rappresentante della società come ritenuto dal giudice di merito, ipotesi non immediatamente riconducibile a quella della rappresentanza diretta, essendo possibile l’applicazione in via analogica della relativa disciplina codicistica.
1.4. Conclude nel senso che il contratto ben avrebbe potuto essere ratificato dalla società, ma tale ratifica poteva provenire solo dal legale rappresentante di essa, che avrebbe dovuto compiere un atto formale in tal senso, che a sua volta avrebbe dovuto essere oggetto di indagine da parte del giudice di merito. Sostiene che invece non si è indagato se ci fosse l’intenzione, da parte della società, di far propri gli effetti della polizza stipulata sotto falso nome.
- La Atradius, nel proprio controricorso, sostiene l’inammissibilità del gravame avversario per difetto di interesse, e perché la sentenza impugnata ha deciso in conformità alla giurisprudenza della Corte, e l’esame dei motivi non offre elementi per mutare orientamento. Sottolinea che la fideiussione non necessita di prova scritta e che, a norma di legge, è efficace anche se il debitore non ne ha conoscenza, che la prestazione finanziaria pubblica è stata richiesta dalla società Globo Suole, che ha in tal modo realizzato, come affermato dalla corte d’appello, una condotta specificamente diretta ad avvalersi del contratto di garanzia pur malamente stipulato, sopportandone ogni conseguenza.
Essendo queste le premesse, l’apocrifia della firma del soggetto oblato (che all’epoca dei fatti, era socio accomandatario illimitatamente responsabile della società richiedente il finanziamento) costituisce un dato irrilevante. Sottolinea infine che il caso va inquadrato nell’ambito dell’accesso alla finanza pubblica agevolativa, che è essenziale a sostegno del sistema produttivo e può operare solo se a sua volta assistita da specifiche guarentigie: in questo contesto, la causa concreta della garanzia, necessaria per accedere ai finanziamenti agevolati, è quella di realizzare la più completa elisione del rischio per la finanza pubblica, e a garantire al creditore (la P.A.) l’oggetto della prestazione.
Richiama a tal fine un precedente di questa Corte (Cass. n. 65 del 2012, nel quale, a proposito dei negozi autonomi di garanzia, o polizze fideiussorie, con i quali una società di assicurazione garantisce all’Amministrazione finanziaria, a norma dell’art. 38-bis d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, la restituzione delle somme indebitamente versate da questa in sede di procedura di rimborso anticipato tramite conto fiscale, si afferma “l’irrilevanza giuridica dell’aspetto soggettivo della garanzia, valendo il dovere restitutorio (del finanziamento pubblico) su di un piano meramente oggettivo, attesa l’inderogabile esigenza di tutela della finanza pubblica”.
- Il ricorso è infondato, e va pertanto rigettato.
- 1. I fatti, che emergono con chiarezza dalla sentenza impugnata e non sono neppure contestati nella loro ricostruzione della ricorrente, indicano che nel caso di specie si è verificata non una attività svolta da un falsus procurator, quanto, come evidenzia la stessa ricorrente, l’ipotesi, distinta, del contratto stipulato sotto nome altrui, o con sostituzione di persona, pur se con la decisiva variante che il falso nome è stato usato da colui che ha agito come legale rappresentante della società, essendo questa stata indicata come parte contrattuale (analogamente all’ipotesi alla base di Cass. n. 22891 del 2016).
Nel caso di specie, infatti, non si è verificato che una persona, correttamente identificata, abbia agito in nome e per conto della s.a.s. assumendo di averne i poteri, dei quali era invece sprovvisto. E’ rimasto accertato invece che vi è stata la sottoscrizione della polizza fideiussoria, da parte di una persona rimasta sconosciuta, che ha firmato, nella qualità di debitore, con il nome della socia accomandataria dell’epoca, Rosa Bassone, per conto della Globo Suole di Bassone Rosa s.a.s. E’ stato altresì accertato in giudizio che il documento, che era necessario a norma di legge per consentire alla Globo Suole s.a.s. di Bassone Rosa di accedere ai finanziamenti previsti dalla legge n. 488 del 1992, e che era stato predisposto a tal fine secondo il modello indicato dalla relativa circolare ministeriale, sia stato portato a conoscenza, da un lato, del Ministero delle Attività Produttive, creditore garantito, e dall’altro della società debitrice, dalla garante Atradius, e che il predetto documento sia stato fatto proprio ed utilizzato dalla società garantita, che non solo nulla ha rilevato in ordine alla prestazione della garanzia (e quindi alla riconducibilità in capo alla società della richiesta di garanzia e alla assunzione in capo alla stessa degli impegni economici da essa derivanti), ma soltanto grazie a quella garanzia ha potuto incassare la prima tranche del finanziamento, che altrimenti il Ministero, senza idonea garanzia del recupero delle somme, ove dovuto, non avrebbe erogato
- Il contratto stipulato in tal modo, osserva la Corte, non è nullo (come affermato, in fattispecie in qualche misura analoga, da Cass. n. 27008 del 2020, che evoca quell’orientamento minoritario sia in dottrina che in giurisprudenza, che riconduce alla nullità la stessa attività svolta dal rappresentante senza poteri) – e neppure la ricorrente, del resto, nello sviluppo argomentativo del motivo ipotizza la nullità, affermandone invece l’inefficacia – ma sarebbe improduttivo di effetti nella sfera giuridica dell’apparente firmatario, a meno che questi non lo faccia proprio.
4.1. A monte, occorre distinguere le ipotesi in cui l’autore della dichiarazione abbia voluto per sé il risultato del negozio, ovvero abbia inteso attribuirlo al titolare del nome usato, dovendosi procedere volta a volta ad una delicata operazione ermeneutica del comune volere dei contraenti. Nel caso in esame il contratto di garanzia non avrebbe potuto essere riferito al dichiarante quale persona fisica, risultando dal contratto medesimo che la beneficiaria della garanzia era la s.a.s..
L’usurpatore, o l’usurpatrice, del nome della legale rappresentante, infatti, non ha riferito il contratto né a sé stesso né alla persona fisica della quale ha usato falsamente il nome (nella specie, Rosa Bassone); piuttosto, come detto, l’ha riferito alla società, imputando comunque a quest’ultima il contratto di garanzia della restituzione del finanziamento. Con la conseguenza che il Ministero erogatore del finanziamento ha prestato il suo consenso, ed erogato la prima tranche del finanziamento, consapevole che esso era garantito dalla polizza fideiussoria che il soggetto finanziato aveva richiesto.
4.2. La situazione finisce quindi, precisa la Corte, per essere assimilabile ad una spendita indebita del nome del legale rappresentante della società, come ritenuto dal giudice di merito. La falsificazione della sottoscrizione del vero legale rappresentante dà luogo – sul piano dell’apparenza – alla riferibilità del negozio alla società, alla persona giuridica, esattamente come la conclusione del negozio da parte di chi dichiari di rappresentare un soggetto che non è abilitato a rappresentare.
Se l’ipotesi non è immediatamente riconducibile a quella della rappresentanza diretta, è tuttavia possibile l’applicazione in via analogica della relativa disciplina codicistica.
- Inoltre, rileva la circostanza che il contratto di garanzia non è un contratto formale, con la conseguenza che la mancanza di sottoscrizione da parte del (vero) legale rappresentante non è determinante per l’esistenza del contratto nemmeno quanto all’onere della forma scritta.
- In una situazione siffatta, chiosa ancora la Corte, è quindi possibile, mediante l’applicazione analogica delle norme sulla rappresentanza, la ratifica da parte della società, che certamente va accertata in concreto, con un accurato esame di atti o comportamenti concludenti, che integrino una manifestazione di volontà, anche tacita, di avvalersi del contratto di garanzia facendolo proprio, provenienti dalla società e per essa dal suo legale rappresentante dotato allo scopo adeguati poteri rappresentativi, idonei a recuperare l’atto nella propria sfera giuridica (cfr. Cass. n. 27335/05 e n. 20805/11, nel senso che nel caso di negozio concluso nel nome di una società, il comportamento dal quale possa inferirsi l’esistenza della ratifica deve provenire dall’organo istituzionalmente competente a provvedere su di essa).
6.1. Tanto, come ricordato, è stato in effetti accertato dal giudice di merito, che ha verificato che la società, in persona del suo legale rappresentante dell’epoca, portata formalmente a conoscenza dell’avvenuta prestazione della garanzia da parte della garante, non soltanto non l’ha immediatamente disconosciuta, denunciando la falsità della firma ed esplicitando che il proprio legale rappresentante non aveva mai sottoscritto il contratto, ma se ne è avvalsa, facendola propria ed acquisendo in tal modo a sé gli effetti dell’attività svolta dal falso sottoscrittore (ed assumendone le relative obbligazioni), nell’ambito procedimentale del finanziamento richiesto al Ministero, all’interno del quale l’avvenuta prestazione di idonea garanzia era una tappa indefettibile per poter ricevere il finanziamento.
6.2. Il successivo disconoscimento della firma sul contratto, effettuato solo in sede di opposizione al decreto ingiuntivo richiesto dalla garante in via di regresso dopo aver pagato, neppure accompagnato da una denuncia penale, ed anche l’esito della CTU confermativo della apocrifia della firma, scolorano sul piano della decisività a fronte del formarsi in capo al giudice del motivato convincimento che quell’atto sia stato fatto proprio, nei suoi immediati vantaggi ed anche nelle conseguenti obbligazioni, dal soggetto che ne risulta l’apparente firmatario.
Il ricorso, conclude la Corte, va pertanto rigettato, in conformità al presente principio di diritto: “Il contratto (nella specie, di garanzia) cui sia stata apposta la firma apocrifa del legale rappresentante della società apparentemente firmataria è privo di effetti nei confronti della società stessa, ma può essere recepito nella sua sfera giuridica, in applicazione analogica del disposto dell’art. 1399 c.c., qualora questa, a mezzo di atti o comportamenti concludenti, provenienti dal legale rappresentante avente allo scopo adeguati poteri rappresentativi, manifesti univocamente la volontà di avvalersene“.
Si dispone la compensazione delle spese del presente giudizio, in ragione della complessità della questione, e delle oscillazioni dottrinarie e giurisprudenziali sul tema.
Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002.