Corte di Cassazione civile, sentenza 21 giugno 2024, n. 17207
PRINCIPIO DI DIRITTO
La liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c. (richiamato, per la responsabilità extracontrattuale, dall’art. 2056 c.c.) presuppone che, a fronte dell’avvenuta dimostrazione dell’esistenza e dell’entità materiale del danno, per la parte interessata, risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo esatto ammontare, ferma restando la necessità di riferirsi all’integralità dei pregiudizi accertati.
Il potere di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., costituisce espressione del più generale potere di cui all’art. 115 C.P.C. ed il suo esercizio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, senza necessità della richiesta di parte, dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, con l’unico limite di non potere surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza, dovendosi, peraltro, intendere l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del danno in senso relativo e ritenendosi sufficiente anche una difficoltà solo di un certo rilievo.
In tali casi, non è, invero, consentita al giudice del merito una decisione di non liquet, risolvendosi tale pronuncia nella negazione di quanto, invece, già definitivamente accertato in termini di esistenza di una condotta generatrice di danno ingiusto e di conseguente legittimità della relativa richiesta risarcitoria
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Il primo motivo denunzia violazione dell’art. 1226 c.c., e dell’art. 132 C.P.C., per aver la Corte d’Appello stimato equitativamente il danno sofferto, con motivazione illogica circa il valore attribuito ai beni trafugati, non corrispondente al valore reale, senza tener conto dell’elenco dettagliato dei preziosi sottratti che ne indicava la qualità e la composizione.
In particolare, i ricorrenti lamentano che la Corte territoriale: abbia considerato antichi i gioielli all’attualità, non tenendo conto della data del furto e della domanda; abbia considerato utilizzabile il controvalore dedotto dai ricorrenti, riducendolo di un quarto immotivatamente, omettendo di esaminare gli elementi forniti dal mercato ufficiale.
Il secondo motivo denunzia omesso esame di fatto decisivo, relativo all’elenco dei beni trafugati, quale elemento utile per la quantificazione dei danni patiti.
Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 241 C.P.C., 2736, n. 2, c.c., per non aver la Corte d’Appello ammesso l’interrogatorio d’estimazione in relazione al valore dei beni sottratti nella cassetta di sicurezza, potendo esso essere sostituito dalla valutazione equitativa, in quanto tale mezzo di prova avrebbe colmato le incertezze in ordine al valore dei beni.
Il primo motivo è inammissibile.
La liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c. (richiamato, per la responsabilità extracontrattuale, dall’art. 2056 c.c.) presuppone che, a fronte dell’avvenuta dimostrazione dell’esistenza e dell’entità materiale del danno, per la parte interessata, risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo esatto ammontare, ferma restando la necessità di riferirsi all’integralità dei pregiudizi accertati (Cass., n. 31546/18).
Il potere di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., costituisce espressione del più generale potere di cui all’art. 115 C.P.C. ed il suo esercizio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, senza necessità della richiesta di parte, dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, con l’unico limite di non potere surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza, dovendosi, peraltro, intendere l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del danno in senso relativo e ritenendosi sufficiente anche una difficoltà solo di un certo rilievo.
In tali casi, non è, invero, consentita al giudice del merito una decisione di non liquet, risolvendosi tale pronuncia nella negazione di quanto, invece, già definitivamente accertato in termini di esistenza di una condotta generatrice di danno ingiusto e di conseguente legittimità della relativa richiesta risarcitoria (Cass., n. 13515/22).
Nella specie, il giudice di secondo grado ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi, avendo liquidato equitativamente il danno cagionato dall’illecita sottrazione dei beni custoditi nella cassetta di sicurezza della banca, accertando la mancanza di dati certi di risconto del valore reale dei beni, e rilevando che la decurtazione del valore ridotto di un quarto era giustificato anche dal fatto che si trattava di gioielli non conformi ai criteri di moda attuali.
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