Corte di Giustizia UE, sentenza 08 settembre 2022 (cause riunite da C‑80/21 a C‑82/21), D.B.P. e a.
PRINCIPI DI DIRITTO
1) L’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una giurisprudenza nazionale, secondo la quale il giudice nazionale può accertare il carattere abusivo non dell’integralità della clausola di un contratto concluso tra un consumatore e un professionista, bensì solo degli elementi di quest’ultima che le conferiscono carattere abusivo, di modo che detta clausola rimane parzialmente efficace dopo l’eliminazione di siffatti elementi, qualora una simile eliminazione equivalga a modificare il contenuto della clausola in parola, incidendo sulla sua sostanza, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
2) L’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una giurisprudenza nazionale secondo la quale il giudice nazionale può, dopo aver accertato la nullità di una clausola abusiva contenuta in un contratto concluso tra un consumatore e un professionista che non determini la nullità di tale contratto nel suo complesso, sostituire tale clausola con una disposizione suppletiva di diritto nazionale.
3) L’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una giurisprudenza nazionale secondo la quale il giudice nazionale può, dopo aver accertato la nullità di una clausola abusiva contenuta in un contratto concluso tra un consumatore e un professionista che determini la nullità di tale contratto nel suo complesso, sostituire la clausola dichiarata nulla vuoi con un’interpretazione della volontà delle parti, al fine di evitare la dichiarazione di nullità di detto contratto, vuoi con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva, anche qualora il consumatore sia stato informato delle conseguenze della nullità del medesimo contratto e le abbia accettate.
4) La direttiva 93/13, letta alla luce del principio di effettività, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una giurisprudenza nazionale secondo la quale il termine di prescrizione decennale, relativo all’azione del consumatore diretta a ottenere la restituzione di somme indebitamente corrisposte a un professionista in adempimento di una clausola abusiva contenuta in un contratto di mutuo, inizia a decorrere dalla data di esecuzione di ciascuna prestazione da parte del consumatore, anche nel caso in cui quest’ultimo non fosse in grado, a tale data, di valutare lui stesso il carattere abusivo della clausola contrattuale o non avesse conoscenza del carattere abusivo di detta clausola, e senza tener conto della circostanza che tale contratto prevedesse un periodo di rimborso, pari nel caso di specie a trent’anni, ampiamente superiore al termine di prescrizione decennale, fissato dalla legge.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Procedimento dinanzi alla Corte
56 Con decisione del presidente della Corte del 14 aprile 2021, le cause da C‑80/21 a C‑82/21 sono state riunite ai fini delle fasi scritta e orale del procedimento, nonché della sentenza.
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione nella causa C‑80/21
57 Con tale questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una giurisprudenza nazionale, secondo la quale il giudice nazionale può accertare il carattere abusivo non dell’integralità della clausola di un contratto concluso tra un consumatore e un professionista, bensì solo degli elementi di quest’ultima che le conferiscono carattere abusivo, di modo che detta clausola rimane parzialmente efficace dopo l’eliminazione di siffatti elementi.
58 Per rispondere a tale questione va anzitutto ricordato che, a termini dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, spetta ai giudici nazionali escludere l’applicazione delle clausole abusive affinché non producano effetti vincolanti nei confronti del consumatore, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga (sentenza del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).
59 Secondo la giurisprudenza della Corte, poi, qualora il giudice nazionale accerti la nullità di una clausola abusiva in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una norma di diritto nazionale che consente al giudice nazionale di integrare detto contratto, rivedendo il contenuto di tale clausola (sentenza del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).
60 Infine, se il giudice nazionale potesse rivedere il contenuto delle clausole abusive contenute in un tale contratto, una facoltà del genere potrebbe compromettere la realizzazione dell’obiettivo di lungo termine di cui all’articolo 7 della direttiva 93/13. Infatti, tale facoltà contribuirebbe ad eliminare l’effetto dissuasivo esercitato sui professionisti dalla pura e semplice disapplicazione nei confronti del consumatore di dette clausole abusive, dal momento che essi rimarrebbero tentati di utilizzare le clausole di cui trattasi, sapendo che, quand’anche esse fossero invalidate, il contratto potrebbe nondimeno essere integrato, per quanto necessario, dal giudice nazionale, in modo tale, quindi, da garantire l’interesse di detti professionisti (sentenza del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).
61 Nel caso di specie, emerge dalla decisione di rinvio che la parte delle clausole di conversione che risulterebbe abusiva in base alla giurisprudenza polacca riguarda il consenso della banca all’erogazione e al rimborso del mutuo in franchi svizzeri.
62 A tal riguardo la Corte ha effettivamente dichiarato che l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non ostano a che il giudice nazionale sopprima unicamente l’elemento abusivo di una clausola di un contratto concluso tra un professionista e un consumatore, qualora l’obiettivo dissuasivo perseguito da tale direttiva sia garantito da disposizioni legislative nazionali che ne disciplinano l’utilizzo, purché tale elemento consista in un obbligo contrattuale distinto, idoneo ad essere oggetto di un esame individualizzato del suo carattere abusivo. Per contro, le medesime disposizioni ostano a che il giudice nazionale sopprima unicamente l’elemento abusivo di una clausola di un contratto concluso tra un professionista e un consumatore, qualora una siffatta soppressione equivalga a rivedere il contenuto di detta clausola incidendo sulla sua sostanza (v., in tal senso, sentenza del 29 aprile 2021, Bank BPH, C‑19/20, EU:C:2021:341, punto 80 e giurisprudenza ivi citata).
63 Nel caso di specie, nel fascicolo di cui dispone la Corte non vi è nulla che indichi l’esistenza di disposizioni nazionali che disciplinino l’uso di una clausola di conversione e che contribuiscano a garantire l’effetto dissuasivo perseguito dalla direttiva 93/13, né che la parte abusiva della clausola di conversione costituisca un’obbligazione contrattuale distinta, tale che l’eliminazione di detta parte non equivarrebbe a modificare la clausola in parola, incidendo sulla sua sostanza. Spetta, tuttavia, al giudice del rinvio verificare se siano soddisfatte le condizioni enunciate dalla giurisprudenza citata al punto precedente della presente sentenza.
64 Dalle considerazioni che precedono risulta che l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una giurisprudenza nazionale, secondo la quale il giudice nazionale può accertare il carattere abusivo non dell’integralità della clausola di un contratto concluso tra un consumatore e un professionista, bensì solo degli elementi di quest’ultima che le conferiscono carattere abusivo, di modo che detta clausola rimane parzialmente efficace dopo l’eliminazione di siffatti elementi, qualora una simile eliminazione equivalga a modificare il contenuto della clausola in parola, incidendo sulla sua sostanza, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
Sulla prima questione nella causa C‑81/21
65 Con tale questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una giurisprudenza nazionale secondo la quale il giudice nazionale può, dopo aver accertato la nullità di una clausola abusiva contenuta in un contratto concluso tra un consumatore e un professionista che non determini la nullità di tale contratto nel suo complesso, sostituire tale clausola con una disposizione suppletiva di diritto nazionale.
66 Occorre ricordare che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, e in particolare la sua seconda parte di frase, ha quale scopo non la dichiarazione di nullità di tutti i contratti contenenti clausole abusive, ma di sostituire all’equilibrio formale che il contratto determina tra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime, fermo restando che il contratto di cui trattasi deve, in via di principio, sussistere senza nessun’altra modifica se non quella risultante dalla soppressione delle clausole abusive. Sempreché quest’ultima condizione sia soddisfatta, il contratto in questione può, in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, essere mantenuto purché, conformemente alle norme di diritto interno, una simile sopravvivenza del contratto senza le clausole abusive sia giuridicamente possibile, il che va verificato secondo un’analisi obiettiva (sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak, C‑260/18, EU:C:2019:819, punto 39).
67 La possibilità eccezionale di sostituire, ad una clausola abusiva dichiarata nulla, una disposizione nazionale di natura suppletiva è limitata alle ipotesi in cui l’eliminazione di tale clausola abusiva obblighi il giudice nazionale a dichiarare invalido tale contratto nella sua interezza, esponendo in tal modo il consumatore a conseguenze particolarmente dannose, tali da penalizzare quest’ultimo (v., in tal senso, sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak, C‑260/18, EU:C:2019:819, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).
68 Pertanto, qualora un contratto possa rimanere in vigore dopo l’eliminazione delle clausole abusive, il giudice nazionale non può sostituire tali clausole con una disposizione nazionale di natura suppletiva.
69 Ne consegue che l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una giurisprudenza nazionale secondo la quale il giudice nazionale può, dopo aver accertato la nullità di una clausola abusiva contenuta in un contratto concluso tra un consumatore e un professionista che non determini la nullità di tale contratto nel suo complesso, sostituire tale clausola con una disposizione suppletiva di diritto nazionale.
Sulla seconda questione nella causa C‑80/21 e sulla seconda questione nella causa C‑81/21
70 Con tali questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una giurisprudenza nazionale secondo la quale il giudice nazionale può, dopo aver accertato la nullità di una clausola abusiva contenuta in un contratto concluso tra un consumatore e un professionista che determini la nullità di tale contratto nel suo complesso, sostituire la clausola dichiarata nulla vuoi con un’interpretazione della volontà delle parti, al fine di evitare la dichiarazione di nullità di detto contratto, vuoi con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva, anche qualora il consumatore sia stato informato delle conseguenze della nullità del medesimo contratto e le abbia accettate.
71 In primo luogo, occorre ricordare che, come emerge dal punto 67 della presente sentenza, la possibilità eccezionale di sostituire ad una clausola abusiva dichiarata nulla una disposizione nazionale di natura suppletiva è limitata alle ipotesi in cui l’eliminazione di tale clausola abusiva obblighi il giudice a dichiarare invalido il contratto nella sua interezza, esponendo in tal modo il consumatore a conseguenze particolarmente dannose, tali da penalizzare quest’ultimo.
72 In secondo luogo, occorre sottolineare che la suddetta possibilità di sostituzione – che fa eccezione alla regola generale secondo cui il contratto in esame resta vincolante per le parti solo se può sussistere senza le clausole abusive in esso contenute – è limitata alle disposizioni di diritto interno di natura suppletiva o applicabili in caso di accordo tra le parti e si basa, in particolare, sul rilievo secondo cui si presuppone che tali disposizioni non contengano clausole abusive (sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak, C‑260/18, EU:C:2019:819, punto 59 e giurisprudenza ivi citata).
73 In terzo luogo, quanto all’importanza che deve essere attribuita alla volontà espressa dal consumatore di avvalersi della direttiva 93/13, la Corte ha precisato, in relazione all’obbligo del giudice nazionale di disapplicare, se necessario d’ufficio, le clausole abusive conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva, che lo stesso non è tenuto a disapplicare la clausola in questione qualora il consumatore, dopo essere stato avvisato da detto giudice, intenda non invocarne la natura abusiva e non vincolante, dando quindi un consenso libero e informato alla clausola in questione (v., in tal senso, sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak, C‑260/18, EU:C:2019:819, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).
74 In quarto e ultimo luogo, la Corte ha altresì dichiarato che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che, da un lato, le conseguenze sulla situazione del consumatore provocate dall’invalidazione di un contratto nella sua interezza, come indicate nella sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282), devono essere valutate alla luce delle circostanze esistenti o prevedibili al momento della controversia e che, dall’altro, ai fini di tale valutazione, la volontà che il consumatore ha espresso al riguardo è determinante (sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak, C‑260/18, EU:C:2019:819, punto 56 e giurisprudenza ivi citata). Tale volontà espressa non può tuttavia prevalere sulla valutazione, che rientra nella competenza sovrana del giudice adito, della questione se l’applicazione delle misure previste, se del caso, dalla normativa nazionale pertinente consenta effettivamente di ripristinare la situazione di diritto e di fatto in cui il consumatore si sarebbe trovato in assenza di tale clausola abusiva (v., in tal senso, sentenza del 2 settembre 2021, OTP Jelzálogbank e a., C‑932/19, EU:C:2021:673, punto 50).
75 Nel caso di specie, da un lato, risulta dal fascicolo sottoposto alla Corte che tanto E.K. e S.K., nella causa C‑80/21, quanto B.S. e W.S., nella causa C‑81/21, sono stati informati delle conseguenze correlate alla dichiarazione di nullità dei contratti di mutuo nel loro complesso e che essi hanno acconsentito a una siffatta dichiarazione di nullità.
76 D’altro lato, fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, dal fascicolo di cui dispone la Corte non risulta che esistano disposizioni di diritto polacco di natura suppletiva destinate a sostituirsi alle clausole abusive eliminate. Infatti, il giudice del rinvio interroga la Corte, a priori, sulla possibilità di sostituire le clausole abusive eliminate con disposizioni di diritto nazionale di carattere generale, che non sono destinate ad applicarsi specificamente ai contratti conclusi tra un professionista e un consumatore.
77 Orbene, la Corte ha ritenuto che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che esso osta a che sia posto rimedio alle lacune di un contratto, provocate dalla soppressione delle clausole abusive contenute in quest’ultimo, sulla sola base di disposizioni nazionali di carattere generale, che non sono né di natura suppletiva né applicabili in caso di accordo tra le parti del contratto (v., in tal senso, sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak, C‑260/18, EU:C:2019:819, punto 62).
78 In ogni caso, come risulta dal punto 75 della presente sentenza, nella fattispecie i consumatori coinvolti nei procedimenti principali sono stati informati delle conseguenze correlate alla dichiarazione di nullità integrale dei contratti di mutuo da essi conclusi e le hanno accettate. In tali circostanze, tenuto conto del carattere determinante della volontà dei consumatori, richiamata al punto 74 della presente sentenza, non sembra che sia soddisfatta la condizione secondo cui la dichiarazione di nullità del contratto nel suo complesso esporrebbe i consumatori interessati a conseguenze particolarmente dannose, richiesta affinché il giudice nazionale sia autorizzato a sostituire la clausola abusiva dichiarata nulla con una disposizione di diritto interno di natura suppletiva. Spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare tale aspetto.
79 Per quanto riguarda la possibilità di sostituire una clausola abusiva dichiarata nulla con un’interpretazione giudiziale, essa deve essere esclusa.
80 A tal riguardo, è sufficiente ricordare che i giudici nazionali sono tenuti unicamente ad escludere l’applicazione di una clausola contrattuale abusiva affinché essa non produca effetti vincolanti nei confronti del consumatore, senza essere autorizzati a rivedere il contenuto della medesima. Infatti detto contratto deve sussistere, in linea di principio, senz’altra modifica che non sia quella risultante dalla soppressione delle clausole abusive purché, conformemente alle norme di diritto interno, una simile sopravvivenza del contratto sia giuridicamente possibile (v., in tal senso, sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito, C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).
81 Per quanto riguarda la possibilità di mantenere in vigore un contratto che non può rimanere tale dopo l’eliminazione di una clausola abusiva, nonostante il fatto che il consumatore interessato abbia accettato la sua nullità, la Corte ha dichiarato, da un lato, che la direttiva 93/13 osta ad una normativa nazionale che vieta al giudice adito di accogliere una domanda diretta all’annullamento di un contratto, che sia basata sul carattere abusivo di una clausola, qualora si sia constatato che tale clausola è abusiva e che il contratto non può sopravvivere senza la clausola suddetta (v., in tal senso, sentenza del 14 marzo 2019, Dunai, C‑118/17, EU:C:2019:207, punto 56).
82 D’altro lato, la Corte ha altresì constatato che tale direttiva non osta ad una normativa nazionale adottata da uno Stato membro, nel rispetto del diritto dell’Unione, la quale permetta di dichiarare la nullità complessiva di un contratto stipulato tra un professionista ed un consumatore che contenga una o più clausole abusive, qualora ciò risulti garantire una migliore tutela del consumatore (sentenza del 15 marzo 2012, Pereničová e Perenič, C‑453/10, EU:C:2012:144, punto 35).
83 Da tale giurisprudenza discende che un giudice nazionale non è autorizzato a modificare il contenuto di una clausola abusiva dichiarata nulla al fine di mantenere in vigore un contratto che non può rimanere tale dopo l’eliminazione di detta clausola, qualora il consumatore interessato sia stato informato delle conseguenze della dichiarazione di nullità del contratto e abbia accettato le conseguenze di tale nullità.
84 Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una giurisprudenza nazionale secondo la quale il giudice nazionale può, dopo aver accertato la nullità di una clausola abusiva contenuta in un contratto concluso tra un consumatore e un professionista che determini la nullità di tale contratto nel suo complesso, sostituire la clausola dichiarata nulla vuoi con un’interpretazione della volontà delle parti, al fine di evitare la dichiarazione di nullità di detto contratto, vuoi con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva, anche qualora il consumatore sia stato informato delle conseguenze della nullità del medesimo contratto e le abbia accettate.
Sulla questione unica nella causa C‑82/21
85 Con tale questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 93/13, letta alla luce del principio di effettività, debba essere interpretata nel senso che essa osta a una giurisprudenza nazionale secondo la quale il termine di prescrizione decennale, relativo all’azione del consumatore diretta a ottenere la restituzione di somme indebitamente corrisposte a un professionista in adempimento di una clausola abusiva contenuta in un contratto di mutuo, inizia a decorrere dalla data di esecuzione di ciascuna prestazione da parte di tale consumatore, anche nel caso in cui quest’ultimo non fosse in grado, a tale data, di valutare lui stesso il carattere abusivo della clausola contrattuale o non avesse conoscenza del carattere abusivo di detta clausola, e senza tener conto della circostanza che tale contratto prevedesse un periodo di rimborso, pari nel caso di specie a trent’anni, ampiamente superiore al termine di prescrizione decennale, fissato dalla legge.
86 A tal riguardo, occorre rilevare che, conformemente a una giurisprudenza costante, in mancanza di una disciplina specifica dell’Unione in materia, le modalità di attuazione della tutela dei consumatori prevista dalla direttiva 93/13 rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri, in virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi. Tali modalità non devono tuttavia essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né essere strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (sentenza del 10 giugno 2021, BNP Paribas Personal Finance, da C‑776/19 a C‑782/19, EU:C:2021:470, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).
87 Per quanto riguarda il principio di effettività, si deve osservare che ciascun caso in cui si ponga la questione, se una disposizione procedurale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione, deve essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta disposizione nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Sotto tale profilo si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio di certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (sentenza del 10 giugno 2021, BNP Paribas Personal Finance, da C‑776/19 a C‑782/19, EU:C:2021:470, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).
88 Inoltre, la Corte ha precisato che l’obbligo per gli Stati membri di garantire l’effettività dei diritti spettanti alle persone in forza del diritto dell’Unione implica, segnatamente per i diritti derivanti dalla direttiva 93/13, un dovere di tutela giurisdizionale effettiva, sancito parimenti dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che vale, tra l’altro, per quanto riguarda la definizione delle modalità procedurali relative alle azioni giudiziarie fondate su siffatti diritti (sentenza del 10 giugno 2021, BNP Paribas Personal Finance, da C‑776/19 a C‑782/19, EU:C:2021:470, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).
89 Riguardo all’analisi delle caratteristiche del termine di prescrizione di cui ai procedimenti principali, la Corte ha precisato che siffatta analisi deve vertere sulla durata di tale termine e sulle modalità della sua applicazione, ivi compresa la modalità adottata per dare inizio al decorso di detto termine (sentenza del 10 giugno 2021, BNP Paribas Personal Finance, da C‑776/19 a C‑782/19, EU:C:2021:470, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).
90 Se è vero che la Corte ha dichiarato che una domanda proposta dal consumatore ai fini dell’accertamento del carattere abusivo di una clausola, contenuta in un contratto stipulato tra quest’ultimo e un professionista, non può essere sottoposta a un qualsivoglia termine di prescrizione (v., in tal senso, sentenza del 10 giugno 2021, BNP Paribas Personal Finance, da C‑776/19 a C‑782/19, EU:C:2021:470, punto 38 e giurisprudenza ivi citata), tuttavia essa ha precisato che l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non ostano a una normativa nazionale che assoggetta a un termine di prescrizione la domanda di un tale consumatore volta a far valere gli effetti restitutori di tale accertamento, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza ed effettività (v., in tal senso, sentenza del 10 giugno 2021, BNP Paribas Personal Finance, da C‑776/19 a C‑782/19, EU:C:2021:470, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).
91 Pertanto si deve ritenere che l’opposizione di un termine di prescrizione alle domande di natura restitutoria, proposte da consumatori al fine di far valere diritti che essi traggono dalla direttiva 93/13, non sia, di per sé, contraria al principio di effettività, purché la sua applicazione non renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti da tale direttiva (sentenza del 10 giugno 2021, BNP Paribas Personal Finance, da C‑776/19 a C‑782/19, EU:C:2021:470, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).
92 Per quanto riguarda la durata del termine di prescrizione al quale è soggetta una domanda presentata da un consumatore ai fini della restituzione di importi indebitamente versati sulla base di clausole abusive ai sensi della direttiva 93/13, occorre rilevare che la Corte ha già avuto modo di pronunciarsi sulla compatibilità con il principio di effettività di termini di prescrizione inferiori a quello di cui trattasi nei procedimenti principali, aventi durata di tre e cinque anni, che erano stati opposti ad azioni dirette a far valere gli effetti restitutori dell’accertamento del carattere abusivo di una clausola contrattuale. A condizione che siano stabiliti e conosciuti in anticipo, termini del genere sono, in linea di principio, sufficienti per consentire al consumatore interessato di preparare e proporre un ricorso effettivo. Pertanto, termini di prescrizione da tre a cinque anni non sono, di per sé, incompatibili con il principio di effettività (sentenza del 10 giugno 2021, BNP Paribas Personal Finance, da C‑776/19 a C‑782/19, EU:C:2021:470, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).
93 Di conseguenza, occorre giudicare che, purché sia stabilito e conosciuto in anticipo, un termine di prescrizione decennale, come quello di cui ai procedimenti principali, opposto ad una domanda presentata da un consumatore ai fini della restituzione di importi indebitamente versati, sulla base di clausole abusive ai sensi della direttiva 93/13, non appare tale da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dalla direttiva 93/13. Un termine di una durata del genere, infatti, è, in linea di principio, materialmente sufficiente per consentire al consumatore la preparazione e la presentazione di un ricorso effettivo al fine di fare valere i diritti conferitigli dalla suddetta direttiva, e ciò segnatamente sotto forma di richieste, di natura restitutoria, fondate sul carattere abusivo di una clausola contrattuale.
94 Tuttavia, si deve tenere conto della situazione di inferiorità del consumatore rispetto al professionista sia per quanto riguarda il potere nelle trattative sia rispetto al grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni previamente predisposte dal professionista, senza poter incidere sul contenuto delle stesse. Del pari, occorre ricordare che i consumatori possono ignorare il carattere abusivo di una clausola contenuta in un contratto di mutuo ipotecario o non conoscere la portata dei loro diritti derivanti dalla direttiva 93/13 (sentenza del 10 giugno 2021, BNP Paribas Personal Finance, da C‑776/19 a C‑782/19, EU:C:2021:470, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).
95 In tale contesto la Corte ha statuito che contratti di credito, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, sono generalmente eseguiti nel corso di periodi di lunga durata, sicché, se l’evento che fa scattare il termine di prescrizione decennale consiste in un qualsiasi pagamento effettuato dal debitore, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, non si può escludere che, almeno per una parte dei pagamenti effettuati, la prescrizione maturi prima della scadenza del contratto di cui trattasi, di modo che un simile regime di prescrizione è tale da privare sistematicamente i consumatori della facoltà di chiedere la restituzione dei pagamenti effettuati sul fondamento di clausole contrarie alla suddetta direttiva (v., in tal senso, sentenza del 22 aprile 2021, Profi Credit Slovakia, C‑485/19, EU:C:2021:313, punto 63).
96 Pertanto, per quanto riguarda il dies a quo del termine di prescrizione di cui trattasi nel procedimento principale, sussiste un rischio non trascurabile che, tenuto conto della modalità di determinazione di quest’ultimo da parte della giurisprudenza nazionale, il consumatore non sia in grado di invocare utilmente i diritti conferitigli dalla direttiva 93/13.
97 Infatti, dalle indicazioni fornite dal giudice del rinvio risulta che tale termine di prescrizione decennale inizia a decorrere dalla data di esecuzione di ciascuna prestazione da parte del consumatore interessato, quand’anche quest’ultimo non fosse stato in grado, a tale data, di valutare lui stesso il carattere abusivo della clausola contrattuale o non avesse avuto conoscenza del carattere abusivo di detta clausola, e senza tener conto della circostanza che tale contratto prevedesse un periodo di rimborso, pari nel caso di specie a trent’anni, ampiamente superiore al termine di prescrizione decennale, fissato dalla legge.
98 Va rilevato che un termine di prescrizione può essere compatibile con il principio di effettività unicamente se il consumatore ha avuto la possibilità di conoscere i suoi diritti prima che detto termine inizi a decorrere o scada (sentenza del 10 giugno 2021, BNP Paribas Personal Finance, da C‑776/19 a C‑782/19, EU:C:2021:470, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).
99 Orbene, l’opposizione di un termine di prescrizione decennale, quale quello in questione nel procedimento principale, a una domanda proposta da un consumatore per la restituzione di somme indebitamente corrisposte, in base a una clausola abusiva, ai sensi della direttiva 93/13, di un contratto di mutuo concluso con un professionista, che inizi a decorrere dalla data di esecuzione di ciascuna prestazione da parte di tale consumatore, quand’anche quest’ultimo non fosse stato in grado, a tale data, di valutare lui stesso il carattere abusivo della clausola contrattuale o non avesse avuto conoscenza del carattere abusivo di detta clausola, e senza tener conto della circostanza che tale contratto prevedesse un periodo di rimborso, pari nel caso di specie a trent’anni, ampiamente superiore al termine di prescrizione decennale, fissato dalla di legge, non è idonea a garantire a detto consumatore una tutela effettiva. Un siffatto termine rende, pertanto, eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti che tale consumatore trae dalla direttiva 93/13 e viola, conseguentemente, il principio di effettività.
100 Ne consegue che la direttiva 93/13, letta alla luce del principio di effettività, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una giurisprudenza nazionale secondo la quale il termine di prescrizione decennale, relativo all’azione del consumatore diretta a ottenere la restituzione di somme indebitamente corrisposte a un professionista in adempimento di una clausola abusiva contenuta in un contratto di mutuo, inizia a decorrere dalla data di esecuzione di ciascuna prestazione da parte del consumatore, anche nel caso in cui quest’ultimo non fosse in grado, a tale data, di valutare lui stesso il carattere abusivo della clausola contrattuale o non avesse conoscenza del carattere abusivo di detta clausola, e senza tener conto della circostanza che tale contratto prevedesse un periodo di rimborso, pari nel caso di specie a trent’anni, ampiamente superiore al termine di prescrizione decennale, fissato dalla legge.
Sulle spese
101 Nei confronti delle parti nei procedimenti principali la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.