Corte di Cassazione, I Sezione Civile, ordinanza 9 febbraio 2022, n. 4117
Il Collegio ritiene necessario inviare gli atti processuali al Primo Presidente perché valuti l’opportunità di rimettere alle Sezioni Unite Civili l’esame della questione concernente la sorte del mutuo fondiario concesso con violazione dei limiti di finanziabilità richiamati dall’art. 38, comma 2, d.lgs. n. 385/1993.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- Con l’unico motivo di ricorso, la curatela rappresenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 38 e ss. del d.lgs. n. 385 del 1993 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio: in primo luogo insiste sul tema della nullità del mutuo fondiario violativo dei limiti di finanziabilità; rappresenta, inoltre, l’omessa considerazione, da parte del giudice di appello, dell’ulteriore profilo sottoposto alla sua attenzione, e cioè la contrarietà a legge del finanziamento destinato ad estinguere passività pregresse, con conseguente necessità di escludere la garanzia ipotecaria.
- La censura introdotta dalla ricorrente implica l’esame della questione controversa, che è stata più volte affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte, concernente la sorte del mutuo fondiario concesso con violazione dei limiti di finanziabilità richiamati dall’art. 38, comma 2, d.lgs. n. 385 del 1993.
2.1. Tale norma, osserva la Corte, dopo avere al primo comma definito la nozione di credito fondiario, come quello che ha per oggetto la concessione da parte di un istituto di credito di un finanziamento a medio e lungo termine garantito da ipoteca di primo grado sull’immobile, demanda poi alla Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del Cicr, di «determinare l’ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi», ammontare determinato nella misura dell’80% nella delibera del Cicr del 22 aprile 1995. La norma non contempla alcuna conseguenza per il caso di concessione di un finanziamento violativo della soglia.
2.2. La sanzione della nullità è invece testualmente prevista dall’art. 117, comma 8, T.u.b. che assegna alla Banca d’Italia il potere di prescrivere «che determinati contratti, individuati attraverso una particolare denominazione o sulla base di specifici criteri qualificativi, abbiano un contenuto tipico determinato. I contratti difformi sono nulli. Resta ferma la responsabilità della banca o dell’intermediario finanziario per la violazione delle prescrizioni della Banca d’Italia».
- Circa il rapporto tra le due previsioni, prosegue la Corte, in un primo momento la giurisprudenza di questa Corte si era orientata nel senso che l’art. 38 non potesse in alcun modo rientrare nella previsione dell’art. 117 e dunque la nullità, prevista da quest’ultima disposizione, non potesse essere adoperata per sanzionare il mutuo violativo della soglia di finanziabilità.
3.1. In tal senso si sono espresse le “gemelle” Cass. 28/11/2013, n. 26672 e Cass. 6/12/2013, n. 27380, che hanno affermato che «L’art. 38 del d.lgs. 10 settembre 1993, n. 385, che, a tutela del sistema bancario, attribuisce alla Banca d’Italia il potere di determinare l’ammontare massimo dei finanziamenti, attiene ad un elemento necessario del contratto concordato fra le parti, qual è l’oggetto negoziale, e, pertanto, non rientra nell’ambito della previsione di cui all’art. 117 del medesimo decreto, il quale attribuisce, invece, all’istituto di vigilanza un potere “conformativo” o “tipizzatorio” del contenuto del contratto, prevedendo clausole-tipo da inserire nel regolamento negoziale a tutela del contraente debole; ne deriva che il superamento del limite di finanziabilità non cagiona alcuna nullità, neppure relativa, del contratto di mutuo fondiario» (nello stesso senso Cass. 04/11/2015, n. 22446).
3.2. Secondo tale percorso argomentativo, esclusa la riconducibilità della violazione alla nullità testuale stabilita dall’art. 117, comma 8, T.u.b., il mancato rispetto del limite di finanziabilità non costituirebbe una circostanza normalmente accertabile al momento della stipulazione del contratto (circostanza tanto più necessaria ove a venire in rilievo fosse il più grave vizio genetico della nullità), atteso che la Banca d’Italia, nel determinare il limite dei finanziamenti, non ha al contempo prescritto la necessaria indicazione nel contratto degli elementi di riferimento, quale il valore dell’immobile o il costo delle opere.
3.3. Inoltre, secondo l’indirizzo in esame, se le violazioni delle disposizioni attuative dell’art. 117 T.u.b. sono fonte di nullità relativa, mirando effettivamente a proteggere l’interesse del contraente più debole, l’art. 38, invece, lungi dal tutelare l’interesse del cliente (che, anzi, potrebbe vantare l’interesse ad ottenere il finanziamento massimo possibile), è collocato a presidio del sistema bancario, onde evitare che l’istituto assuma esposizioni eccessive senza adeguate contropartite e garanzie, venendo dunque in rilievo non una norma-atto ma una norma di buona condotta, la cui violazione può determinare solo l’irrogazione delle sanzioni previste dall’ordinamento bancario, ovvero essere fonte di eventuale responsabilità.
- A partire dal 2017, tuttavia, questa Corte ha mutato il proprio orientamento, reputando più convincente l’idea che il superamento della soglia comporti la nullità del contratto, ferma la possibilità di operare la conversione in ordinario finanziamento ipotecario, sussistendone i presupposti.
4.1. Così, secondo Cass. 13/07/2017, n. 17352, «In tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità ex art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 385 del 1993, è elemento essenziale del contenuto del contratto ed il suo mancato rispetto determina la nullità del contratto stesso (con possibilità, tuttavia, di conversione in ordinario finanziamento ipotecario ove ne sussistano i relativi presupposti, su istanza della banca nel primo momento utile successivo alla rilevazione della nullità), e costituisce un limite inderogabile all’autonomia privata in ragione della natura pubblica dell’interesse tutelato, volto a regolare il “quantum” della prestazione creditizia al fine di favorire la mobilizzazione della proprietà immobiliare ed agevolare e sostenere l’attività di impresa».
4.2. La sentenza, riaffermata la non riconducibilità della previsione dell’art. 38 alle nullità testuali previste dall’art. 117 T.u.b., non ha condiviso il restante percorso argomentativo delle pronunce “gemelle” del 2013, individuando nella sanzione della nullità virtuale l’unico possibile convincente presidio posto a tutela della natura pubblica dell’interesse (economico nazionale) violato.
4.3. E’ stato osservato al riguardo che la previsione della soglia di finanziabilità «risponde a una necessità di analitica regolamentazione dettata da obiettivi economici generali (…) attesa la ripercussione che tali tipologie di finanziamenti possono avere sull’economia nazionale», avendo la stessa Corte Costituzionale (con la sentenza 22 giugno 2004, n. 175) affermato la legittimità costituzionale della speciale disciplina di favore del credito fondiario, giustificandola con l’evidente intento di favorire la mobilizzazione della proprietà immobiliare.
4.4. Quanto poi, chiosa ancora la Corte, all’inquadramento della regola dell’art. 38 nella dicotomia norme-atto e norme-comportamento, è stato evidenziato come la violazione dei limiti di finanziabilità non è correlabile né all’area delle condotte in fase pre-negoziale, né in quelle della fase attuativa, venendo in rilievo, piuttosto, una criticità concernente un elemento relativo alla struttura negoziale (il contenuto), quale la determinazione del “quantum” della prestazione creditizia, tale da incidere direttamente sulla fattispecie: la conseguenza della nullità sarebbe, dunque, conforme all’insegnamento di Sez. U n. 26724 e n. 26725 del 2007, secondo cui la violazione di una norma imperativa determina la nullità ogni volta che si ripercuote sulla regola negoziale e dunque sia ravvisabile un contrasto tra la norma violata ed il regolamento d’interessi sotteso al negozio.
4.5. Infine, è stato rilevato come l’esclusione della nullità del contratto, per violazione dell’art. 38, si tradurrebbe «in un’inaccettabile protezione dell’illegalità», finendo, nella materia concorsuale, «per mantenere intatta una causa di prelazione resa illegittima dalla violazione del precetto normativo».
4.6. Esclusa, poi, la configurabilità di una nullità solo parziale, l’unica modalità di recupero del contratto nullo è stata individuata nella conversione in un mutuo ipotecario ordinario, ricorrendo le condizioni di cui all’art. 1424 cod. civ.
4.7. Tale orientamento si è ampiamente consolidato nella giurisprudenza successiva della Corte ed è stato seguito da: Cass. 31/07/2017, n. 19016; Cass. 6/03/2018, n. 6586; Cass. 9/05/2018, n. 11201; Cass. 28/05/2018, n. 13286; Cass. 24/09/2018, n. 22466; Cass. 19/11/2018, n. 29745; Cass. 28/06/2019, n. 17439; Cass. 21/01/2020, n. 1193 (in parte motiva).
- Nonostante tali precedenti abbiano mostrato una convinta adesione all’indirizzo interpretativo inaugurato dalla sentenza del 2017, osserva la Corte, sussistono diversi aspetti, posti a fondamento del richiamato percorso argomentativo, che, ad avviso del Collegio, sono meritevoli di approfondimento da parte delle Sezioni Unite di questa Corte.
5.1. Se l’esclusione di una nullità testuale o strutturale può certamente considerarsi un profilo condiviso dai due orientamenti indicati, il dubbio, che costituisce l’oggetto del primo nodo problematico, è se nel caso in esame possa realmente configurarsi la nullità di cui al primo comma dell’art. 1419 cod. civ., in ragione del riscontro dell’effettivo carattere imperativo della norma violata.
5.1.1. Secondo l’orientamento che in ragione della sua diffusione può definirsi attualmente prevalente, il carattere imperativo dovrebbe essere desunto dalla natura pubblicistica dell’interesse protetto, trattandosi di una disposizione ispirata ad obiettivi economici generali, attesa la ripercussione che tali tipologie di finanziamenti possono avere sull’economia nazionale, controbilanciata dal trattamento di favore accordato alla banca sotto il profilo del consolidamento breve dell’ipoteca fondiaria (art. 39 T.u.b.) e della possibilità di intraprender l’esecuzione durante il fallimento (art. 41 T.u.b.).
5.1.2. In senso opposto, potrebbe tuttavia riflettersi sulla circostanza che la determinazione che risulterebbe violata non è costituita da una fonte normativa primaria, quale è certamente l’art. 38, ma da una fonte subordinata (o, se si vuole, di soft law), da ravvisarsi nel provvedimento della Banca d’Italia.
5.1.3. Ora, precisa la Corte, se è vero che il compito istituzionale dall’Autorità di vigilanza è quello di garantire la trasparenza e correttezza dei comportamenti degli istituti di credito, ciò, forse, non è sufficiente per ritenere che ci si trovi al cospetto di un interesse di carattere generale, diretto cioè al perseguimento di obiettivi economici collegati all’economia nazionale; deve al riguardo semmai accertarsi se le regole prescritte dalla Banca d’Italia, in esecuzione della delega ricevuta dal legislatore, mirino di per sé a garantire il pubblico interesse; oppure mirino esclusivamente ad evitare, come ritenuto dalle sentenze “gemelle” del 2013, che l’istituto di credito assuma un’esposizione finanziaria senza un’adeguata contropartita e garanzia (facendosi riferimento all’art. 38 come norma «volta ad impedire che le banche si espongano oltre un limite di ragionevolezza a finanziamenti a favore di terzi che, se non adeguatamente garantiti, potrebbero portare a possibili perdite di esercizio»); oppure se, ancora, quest’ultimo scopo non sia, addirittura, esso stesso un interesse che, sebbene volto a tutelare in apparenza la posizione di uno solo dei contraenti, indirettamente miri a realizzare una finalità di carattere generale. Si impone, perciò, una attenta indagine della reale caratura dell’interesse protetto, non solo in considerazione del fatto che, nel caso in esame, tra il precetto legislativo e lo scopo tutelato si interpone una decisione dell’Autorità di vigilanza, ma anche del fatto che la prescrizione impartita da quest’ultima finisce per conformare la condotta di un singolo contraente (l’istituto di credito), che indubbiamente riveste un ruolo oltremodo delicato nel quadro economico generale. Di qui il dubbio se lo scopo perseguito dalla norma sia quello di proteggere l’istituto di credito contro rischi eccessivi oppure quello di garantire un interesse di carattere realmente generale.
5.1.4. In tale ultima prospettiva, tuttavia, andrebbe comunque tenuto presente che, anche se l’interesse alla correttezza del comportamento delle banche produce innegabili riflessi sul buon funzionamento dell’intero mercato, ciò potrebbe non essere sufficiente per far scattare la nullità virtuale, atteso che «Alla tutela di siffatto interesse sono preordinati il sistema dei controlli facenti capo all’autorità pubblica di vigilanza ed il regime delle sanzioni che ad esso accede>> (cfr. in tal senso Sez. U, n. 26724 del 2007, in tema di responsabilità degli intermediari finanziari).
5.2. Sotto altra angolazione, soggiunge la Corte, sempre secondo l’orientamento prevalente, l’art. 38 imporrebbe una regola riguardante un elemento strutturale della fattispecie, trovando pertanto applicazione il principio, ancora affermato da Sez. U n. 26724 del 2007, secondo cui la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità. Ciò in applicazione del principio, già affermato dalla sentenza 29/09/2005, n. 19024, secondo il quale la nullità del contratto per contrarietà a norme imperative postula violazioni attinenti ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, relativi alla struttura o al contenuto del contratto, come avverrebbe nel caso in esame.
5.2.1. In senso opposto (e dunque nel senso che l’art. 38 si configuri come norma-atto) potrebbe, tuttavia, riflettersi sulla circostanza che in realtà la norma, pur conferendo alla Banca d’Italia il potere di determinare la percentuale massima del finanziamento, che costituisce indubbiamente l’oggetto del contratto, non interferisce però sul contenuto del contratto “per aggiunta”, cioè prevedendo un ulteriore elemento costitutivo della fattispecie contrattuale, ma solo “per specificazione”, imponendo che un elemento intrinseco già presente nel contratto (cioè il suo oggetto) possegga una determinata caratteristica di tipo quantitativo, restando però del tutto invariata la struttura della fattispecie nei suoi fondamentali elementi tipizzati.
5.2.2. Inoltre, come pure le sentenze “gemelle” avevano avuto cura di evidenziare, la stessa previsione della soglia dell’80% non inciderebbe in alcun modo sul sinallagma contrattuale, limitandosi a disciplinare, attraverso una regola di buona condotta, il comportamento della banca in vista della tutela della sua stabilità patrimoniale.
5.3. Merita infine una doverosa riflessione anche la verifica delle conseguenze che l’applicazione della sanzione della nullità produce con riferimento agli interessi in gioco.
5.3.1. Secondo le sentenze “gemelle” del 2013, far discendere dalla violazione della soglia la conseguenza della nullità del mutuo ormai erogato (e far venir meno la connessa garanzia ipotecaria), condurrebbe al paradossale risultato di pregiudicare, ancor più, proprio quel valore della stabilità patrimoniale della banca che la norma intendeva proteggere.
5.3.2. Al contrario, l’orientamento giurisprudenziale che valorizza il carattere imperativo dell’art. 38, come norma che non è volta alla tutela della stabilità patrimoniale della singola banca, ma diretta a proteggere un interesse (pubblico) economico nazionale, vede nella nullità del contratto (compresa la costituzione dell’ipoteca) l’unica conseguenza possibile, salva l’applicazione del meccanismo della conversione in un mutuo ordinario ipotecario, ricorrendo gli estremi dell’art. 1424 c.c.
5.3.3. Riguardo a tale aspetto, osserva la Corte, potrebbe tuttavia, in senso opposto, rilevarsi (ed in tal senso valgono proprio le considerazioni svolte dalle sentenze “gemelle” del 2013) che il rispetto del limite del finanziamento non è una circostanza rilevabile dal contratto: in concreto, la verifica del reale valore del cespite può avvenire solamente attraverso valutazioni estimatorie che presentano indubbi margini di opinabilità e di incertezza valutativa, come tali non rilevabili dal testo del contratto ma spesso ricavabili, solo in corso di causa, all’esito dell’espletamento di una consulenza tecnica.
5.3.4. Tanto più che, secondo Cass. 19/11/2018, n. 29745, «l’indicazione nel contratto di mutuo fondiario del valore del bene offerto in garanzia non assurge a requisito di forma prescritto “ad substantiam”, non essendo previsto come tale dalla disciplina specifica di cui agli artt. 38 e 117 T.U.B. e non rientrando nell’ambito delle “condizioni” contrattuali di carattere economico. Ne consegue che la sua omissione non impedisce l’applicabilità del limite di finanziabilità, che è requisito di sostanza del contratto».
5.3.5. Se allora è vero che, come afferma il precedente da ultimo richiamato, l’effettivo rispetto del limite di finanziabilità non pone una questione di validità delle dichiarazioni negoziali, ma di «oggettivo riscontro fattuale», e che dunque l’indicazione del valore dell’immobile nello scritto contrattuale non possiede valore costitutivo, è anche vero che, essendo tale verifica affidata ad un accertamento tecnico, la sanzione della nullità potrebbe apparire sproporzionata se ed in quanto fondata sulla verifica di valori di mercato che presentano un certo margine di opinabilità (destinato inevitabilmente ad accrescersi se, come accade nella maggioranza dei casi, l’indagine demandata al ctu viene svolta a distanza di anni dalla data di stipulazione del contratto).
Tanto più che nessuna delle parti potrebbe fare affidamento sulla stabilità e soprattutto sulla validità ab origine del contratto stipulato, essendo ben possibile che il valore immobiliare, sia pure oggetto di iniziale perizia estimativa, sia stato inconsapevolmente sopravvalutato.
5.3.6. Senza trascurare, poi, l’esistenza di un vantaggio obiettivamente sproporzionato per il mutuatario che, per il sol fatto di aver ricevuto dall’istituto una somma superiore a quella consentita dal c.d. scarto di garanzia, realizzerebbe la completa liberazione dell’immobile dall’ipoteca; con effetti che ben potrebbero definirsi paradossali nel caso di esecuzione individuale promossa dall’istituto di procedura, per il venir meno del titolo esecutivo, anche in danno degli eventuali creditori intervenuti non muniti di titolo), e che appaiono connotati da anomalie anche nel caso di apertura di una procedura concorsuale, in cui l’ interesse dei creditori al rispetto della par condicio anziché essere tutelato con lo strumento della revocatoria (ossia con il rimedio tipico previsto per il contratto in danno dei creditori), verrebbe ad essere protetto attraverso una sanzione di nullità dell’intero contratto derivante unicamente dall’illegittima costituzione della garanzia fondiaria.
5.4. Sulla scorta di tali considerazioni, dunque, occorre verificare se la tutela degli interessi in gioco non sia più efficacemente presidiata attraverso un’operazione che, senza necessariamente utilizzare la sanzione della nullità del contratto, si limiti a risolvere la questione attraverso l’utilizzo di una semplice tecnica di natura qualificatoria (adoperata da quella parte della giurisprudenza di merito che non ha inteso aderire all’indirizzo di legittimità inaugurato da Cass. 191116/2017 cit.).
5.4.1. Sul presupposto del difficile utilizzo della conversione del contratto nullo (in quanto dal punto di vista sostanziale essa richiede l’ignoranza di entrambe le parti circa l’invalidità del contratto stipulato – cfr. Cass. 09/02/1980, n. 899 – e sotto il profilo processuale richiede che l’istanza venga formulata nella prima difesa utile successiva al rilievo della nullità), un percorso effettivamente alternativo potrebbe essere costituito dalla riqualificazione del contratto alla stregua di un mutuo ipotecario ordinario, prescindendo dal nomen iuris adoperato dalle parti e sterilizzandolo delle tutele speciali previste dalla legge, in favore del mutuante, per i finanziamenti fondiari.
5.4.2. In tal modo, conclude la Corte, il rispetto del c.d. scarto di garanzia finirebbe per incidere non sul piano della validità del contratto, ma unicamente sulla possibilità di applicare, al programma negoziale posto in essere dalle parti, le peculiari conseguenze ricollegate dalla legge al finanziamento fondiario e dunque sulla possibilità per l’istituto di godere della relativa disciplina di favore.
- Per quanto esposto, il Collegio ritiene necessario inviare gli atti processuali al Primo Presidente perché valuti l’opportunità di rimettere l’esame della questione, per cui è causa, alle Sezioni Unite Civili.