Corte di Cassazione civile, Sezione II, ordinanza 27 giugno 2024, n. 17776
PRINCIPIO DI DIRITTO
Quando l’acquirente in base ad un atto nullo (cioè colui che avrebbe acquistato se l’atto non fosse stato nullo) trasmette per atto tra vivi il suo preteso diritto ad un terzo allora quest’ultimo – che altri non è se non un acquirente a non domino – viene tutelato dalla legge ed il suo acquisto resta consacrato solo qualora ricorrano le seguenti condizioni: a) che egli sia in buona fede (non occorrendo, invece, la buona fede del suo autore); b) che abbia trascritto il suo acquisto e che sia stato trascritto anche l’acquisto del suo autore; c) che la domanda di nullità sia stata trascritta dopo il decorso di 5 anni dalla trascrizione dell’atto impugnato e, in ogni caso, dopo la trascrizione dell’acquisto del terzo.
Il giudizio sulla sussistenza o meno della buona fede soggettiva importa un apprezzamento di fatto, sottratto al sindacato di legittimità ove sorretto da esauriente motivazione e ispirato a esatti criteri giuridici
In materia di patto commissorio, l’art. 2744 c.c. deve essere interpretato in maniera funzionale, sicché in forza della sua previsione risulta colpito da nullità non solo il “patto” ivi descritto, ma qualunque tipo di convenzione, quale ne sia il contenuto, che venga impiegata per conseguire il risultato concreto, vietato dall’ordinamento giuridico, dell’illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, accettando preventivamente il trasferimento della proprietà di un suo bene quale conseguenza della mancata estinzione di un suo debito
In tema di patto commissorio, l’automatismo del vietato trasferimento di proprietà del bene costituisce un connotato della figura tipica di cui alla previsione dell’art. 2744 cod. civ., mentre nelle ipotesi in cui non vi sia stata la concessione di pegno o ipoteca e l’illegittima finalità venga realizzata indirettamente in virtù di strumenti negoziali preordinati a tale particolare scopo, il requisito dell’anzidetto automatismo non può ritenersi esigibile, giacché la sanzione della nullità deriva dall’applicazione dell’art. 1344 cod. civ., per snaturamento della causa tipica del negozio, piegata all’elusione della norma imperativa di cui al citato art. 2744 cod. civ.
Il divieto di patto commissorio, ex art. 2744 c.c., si estende a qualsiasi negozio che venga utilizzato per conseguire il risultato concreto vietato dall’ordinamento, ne consegue che anche la procura a vendere un immobile, conferita dal mutuatario al mutuante contestualmente alla stipulazione del mutuo, è idonea a integrare la violazione della norma suddetta, qualora si accerti che tra il mutuo e la procura sussista un nesso funzionale.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’articolo 2652, comma 1, n. 6, c.c. per avere la sentenza di appello escluso la sua applicabilità pur ricorrendone tutte le condizioni previste dalla legge e violazione dell’articolo 2697 c.c. in tema di distribuzione dell’onere della prova.
Secondo i ricorrenti la Corte d’appello avrebbe erroneamente interpretato ed applicato la disciplina dell’efficacia sanante rispetto ai terzi prevista dall’articolo citato in rubrica non avendo ravvisato nella fattispecie concreta le condizioni ed i requisiti richiesti dalla norma, in particolare con riguardo alla buona fede.
Ricostruiti i fatti di causa ai fini della specificità del ricorso, i ricorrenti riportano integralmente i seguenti documenti: la nota di trascrizione dell’ipoteca rilasciata in favore di C.C. da H.H. per l’importo di Lire 60.000.000; l’atto di alienazione mediante procura a vendere, anche a se stesso, rilasciata in favore di B.B., l’atto di donazione a A.A. dell’immobile e l’autorizzazione del giudice tutelare del Tribunale.
Parte ricorrente ritiene che i diritti acquisiti a qualunque titolo dai terzi di buona fede non siano pregiudicati una volta trascorsi cinque anni dalla trascrizione dell’atto, anche in caso di suo annullamento, se la domanda giudiziale non sia stata trascritta entro il suddetto termine.
Nella specie la domanda era stata trascritta nel 2005, mentre l’atto di donazione era stato trascritto nel 1993 e l’atto di alienazione addirittura nel 1988.
Per questo motivo i terzi chiamati, C.C. ed B.B., avevano eccepito preliminarmente il difetto di interesse ad agire in relazione alla domanda riconvenzionale spiegata anche nei loro confronti proprio in ragione dell’operatività dell’art. 2652, comma 1, n. 6, c.c.
I ricorrenti ritengono sussistente nella specie anche il requisito della buona fede il cui onere della prova circa la sua mancanza spettava alla controparte.
La Corte salentina avrebbe del tutto disatteso entrambi i principi dovendosi presumere l’esistenza della buona fede e dovendosi provare la sua mancanza.
Parte ricorrente evidenzia che A.A. all’epoca era minorenne e che la donazione comprendeva ben undici immobili di rilevante valore e, dunque, tale negozio di liberalità non poteva ritenersi finalizzato allo spossessamento del bene oggetto dell’atto asseritamente concluso in violazione del divieto di patto Commissorio.
Peraltro, l’onere di superare tale presunzione di buona fede gravava sulle attrici in riconvenzionale che non avevano fornito invece alcuna prova.
La stipulazione del mutuo da parte della C.C. e la conseguente iscrizione a garanzia del credito non erano mai state oggetto di impugnazione per simulazione reale né personale.
La C.C. era in buona fede nel contesto dello specifico atto di donazione compiuto in rappresentanza del donatario, A.A., in quanto estranea al precedente rapporto di vendita dell’immobile, conclusosi otto anni prima e integrante a parere del giudice di secondo grado, un patto commissorio. La valutazione in concreto della buona fede richiede una lettura in combinato disposto dall’articolo 1391 c.c. e dell’articolo 320, comma 3, c.c. avendo la C.C. agito in forza di autorizzazione del giudice tutelare di Ostuni, il quale aveva preventivamente verificato che sussistessero i presupposti di legge e, dunque, l’evidente utilità per il figlio.
In pratica, l’avvenuta risoluzione moltI anni prima della vicenda relativa alla concessione del mutuo, la complessità dell’operazione economica che coinvolgeva l’intero patrimonio di B.B. ed infine il controllo della Autorità giudiziaria sulla convenienza per il minore conferirebbe alla signora C.C. un ruolo del tutto svincolato dalle suddette vicende e il suo apporto al compimento dell’atto sarebbe di carattere puramente oggettivo e del tutto neutro.
Inoltre, la Corte d’appello non avrebbe applicato l’articolo 2652 comma 1, n. 6, secondo periodo, c.c. giacché non si era in presenza di un acquisto a non domino.
1.1 Il primo motivo di ricorso è infondato. Il motivo lamenta l’erronea applicazione dell’art. 2652, comma 1, n. 6, c.c.
Secondo i ricorrenti nel caso di specie la suddetta norma era applicabile in quanto sussisteva il requisito della buona fede il cui onere della prova circa la sua mancanza spettava alla controparte.
La sentenza impugnata ha, invece, dato conto adeguatamente delle ragioni per le quali si è ritenuto che mancasse il suddetto requisito.
Si è correttamente posto in luce che al momento della donazione il A.A. era minorenne ed era rappresentato dalla madre (C.C.) che era direttamente coinvolta nella complessa operazione negoziale integrante la violazione del patto commissorio.
Il fatto che tra l’atto dichiarato nullo e la successiva donazione sia trascorso un lungo lasso di tempo non ha alcun rilievo ai fini della applicabilità della norma che, infatti, fa riferimento alla trascrizione della domanda decorsi cinque anni.
Allo stesso modo non rileva il fatto che la donazione comprenda una pluralità di immobili, circostanza peraltro che non risulta dalla sentenza impugnata e i ricorrenti non indicano dove l’hanno sollevata.
In altri termini deve trovare conferma la sentenza nella parte in cui ha escluso la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità della norma invocata dai ricorrenti.
Infatti, quando l’acquirente in base ad un atto nullo (cioè colui che avrebbe acquistato se l’atto non fosse stato nullo) trasmette per atto tra vivi il suo preteso diritto ad un terzo allora quest’ultimo – che altri non è se non un acquirente a non domino – viene tutelato dalla legge ed il suo acquisto resta consacrato solo qualora ricorrano le seguenti condizioni: a) che egli sia in buona fede (non occorrendo, invece, la buona fede del suo autore); b) che abbia trascritto il suo acquisto e che sia stato trascritto anche l’acquisto del suo autore; c) che la domanda di nullità sia stata trascritta dopo il decorso di 5 anni dalla trascrizione dell’atto impugnato e, in ogni caso, dopo la trascrizione dell’acquisto del terzo.
Nella specie, come si è detto, manca il primo dei requisiti sopra indicati non potendosi considerare in buona fede la C.C. e a nulla rilevando l’autorizzazione del giudice titolare dovuta alla minore età del figlio (donatario).
D’altra parte, il giudizio sulla sussistenza o meno della buona fede importa un apprezzamento di fatto, sottratto al sindacato di legittimità ove sorretto da esauriente motivazione e ispirato a esatti criteri giuridici (Sez. 2, Ordinanza n. 22585 del 10/09/2019, Rv. 655221).
- Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’articolo 2744 c.c., non configurabilità del patto commissorio nel caso di specie e violazione degli articoli 1414 e ss. c.c. in tema di prova della simulazione.
A parere del ricorrente non ricorrerebbero i presupposti per la configurabilità del patto commissorio oltre che sotto il profilo strutturale anche per l’inesistenza dell’eccezione di simulazione. Sotto il profilo strutturale i soggetti originari del rapporto di mutuo rispetto alla vendita sarebbero diversi, circostanza oramai inoppugnabile non avendo la controparte proposto domanda di simulazione.
Peraltro, la simulazione avrebbe dovuto essere provata per iscritto e anche il collegamento negoziale sarebbe stato solo affermato senza alcun riferimento al requisito oggettivo del nesso teleologico tra i negozi e al requisito soggettivo del comune intento pratico delle parti.
Nessuna prova del nesso funzionale tra negozi sarebbe stata acquisita al processo a fronte invece di atti pubblici intangibili ed a negozi separati e distinti intercorsi persino tra soggetti diversi.
L’unico contatto tra i due negozi sarebbe rappresentato dalla vendita del bene ad un soggetto terzo estraneo tramite procura per soddisfare un precedente debito scaduto e rimasto insoluto e non potendosi quindi intravedere un fine ulteriore rispetto a quello tipico dei negozi.
Inoltre, nella specie mancherebbe un altro presupposto necessario per la configurabilità del patto, ovvero la convenzione commissoria, quale accordo tra creditore e debitore diretto alla vendita del bene come conseguenza preventivamente ipotizzata ed accettata di un futuro inadempimento.
Parte ricorrente richiama la giurisprudenza in materia e ritiene che nella specie non vi sia disvalore alcuno nel comportamento assunto dai contraenti rispetto ai fatti di causa tenuto conto anche della sequenza temporale degli stessi.
La vendita dell’immobile aveva immediata efficacia traslativa con funzione di procurare alla controparte la liquidità per soddisfare un’obbligazione sorta precedentemente.
Peraltro mancherebbe la prova dell’esistenza dell’unico elemento idoneo a trasformare una vendita lecita solutoria in un illecito patto commissorio, ovverosia l’accordo che preventivamente vincoli il bene alla funzione di garanzia.
A tal proposito secondo i ricorrenti la prova testimoniale non solo non proverebbe l’esistenza del patto ma addirittura la escluderebbe.
2.1 Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Il collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: In materia di patto commissorio, l’art. 2744 c.c. deve essere interpretato in maniera funzionale, sicché in forza della sua previsione risulta colpito da nullità non solo il “patto” ivi descritto, ma qualunque tipo di convenzione, quale ne sia il contenuto, che venga impiegata per conseguire il risultato concreto, vietato dall’ordinamento giuridico, dell’illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, accettando preventivamente il trasferimento della proprietà di un suo bene quale conseguenza della mancata estinzione di un suo debito (Sez. 3, Ordinanza n. 2469 del 25/01/2024, Rv. 670068-01).
Nello stesso senso può richiamarsi anche la seguente pronuncia così massimata: in tema di patto commissorio, l’automatismo del vietato trasferimento di proprietà del bene costituisce un connotato della figura tipica di cui alla previsione dell’art. 2744 cod. civ., mentre nelle ipotesi in cui non vi sia stata la concessione di pegno o ipoteca e l’illegittima finalità venga realizzata indirettamente in virtù di strumenti negoziali preordinati a tale particolare scopo, il requisito dell’anzidetto automatismo non può ritenersi esigibile, giacché la sanzione della nullità deriva dall’applicazione dell’art. 1344 cod. civ., per snaturamento della causa tipica del negozio, piegata all’elusione della norma imperativa di cui al citato art. 2744 cod. civ.
In siffatti casi la coartazione del debitore, preventivamente assoggettatosi alla discrezione del creditore, è ” in re ipsa”, non disponendo il medesimo (come nella specie, in cui era stata conferita procura irrevocabile a vendere il bene senza necessità di ulteriori “consensi, approvazioni o ratifiche”) di alcuna possibilità di evitare la perdita del bene costituito in sostanziale garanzia. (Sez. 2, Sentenza n. 5426 del 05/03/2010, Rv. 611785-01).
Il divieto di patto commissorio, ex art. 2744 c.c., come correttamente rilevato dalla Corte d’Appello, si estende a qualsiasi negozio che venga utilizzato per conseguire il risultato concreto vietato dall’ordinamento, ne consegue che anche la procura a vendere un immobile, conferita dal mutuatario al mutuante contestualmente alla stipulazione del mutuo, è idonea a integrare la violazione della norma suddetta, qualora si accerti che tra il mutuo e la procura sussista un nesso funzionale.
Tale valutazione è demandata al giudice di merito che, nel compierla, non deve limitarsi ad un esame formale degli atti posti in essere dalle parti, ma deve considerarne la causa in concreto e, in caso di operazione complessa, valutarli alla luce di un loro potenziale collegamento funzionale, apprezzando ogni circostanza di fatto rilevante e il risultato stesso che l’operazione negoziale era idonea a produrre e, in concreto, ha prodotto (Sez. 2, Sentenza n. 22903 del 26/09/2018, Rv. 650377-01).
La tesi dei ricorrenti circa la necessità della prova scritta, trovando applicazione i limiti di prova tra le parti del negozio simulato, è del tutto infondata.
La prova del patto commissorio può essere data con ogni mezzo.
Si è, infatti, già affermato che trattandosi di far valere l’illiceità del negozio, la prova della simulazione può essere data anche per testimoni o per presunzioni a norma dell’ultima parte dell’articolo 1417 c.c. (ex plurimus (Sez. 6-2, Ordinanza n. 23617 del 09/10/2017, Rv. 646791, Sez. 2, Sentenza n. 7740 del 1999).
Quanto all’attendibilità delle testimonianze si tratta di un giudizio di merito non sindacabile in questa sede.
- In conclusione, il ricorso è rigettato.
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