Cass. civ., III, ord., 21.10.2021, n. 29344
PRINCIPIO DI DIRITTO
La concessione in godimento, mediante contratto di locazione, di terreni demaniali soggetti ad uso civico è subordinata alla condizione che la destinazione concreta impressa al bene sia conforme all’esercizio dell’uso civico o, se diversa, che la stessa sia comunque temporanea e tale da non determinare l’alterazione della qualità originaria del bene. L’onere della prova della sussistenza di tali requisiti incombe sulla parte che intende far valere in giudizio diritti derivanti dal contratto. In mancanza il contratto deve ritenersi nullo per contrasto con norma imperativa.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. 16 giugno 1927, n. 1766, artt. 12 e segg. e art. 21, comma 3 (Riordinamento degli usi civici), del R.D. 26 febbraio 1928, n. 332, art. 41, comma 1 (Approvazione del regolamento per la esecuzione della L. 16 giugno 1927, n. 1766, sul riordinamento degli usi civici) e della L.R. Campania 17 marzo 1981, n. 11, art. 2 (Norme in materia di usi civici), con conseguente nullità del contratto di locazione in applicazione dell’art. 1418 c.c., commi 1 e 2, avendo il Comune di Casal Velino provveduto a mutare la destinazione d’uso del bene oggetto della locazione (un terreno) da agricola ad artigianale/industriale senza aver preliminarmente osservato, in qualità di gestore dei beni di uso civico, il procedimento autorizzatorio previsto dalla legge sul riordinamento degli usi civici e dal relativo regolamento di attuazione.
- Con il secondo motivo il ricorrente ha rappresentato, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un punto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti, lamentando in particolare la mancata valutazione, da parte del giudice di appello, di specifiche circostanze quali l’insussistenza di alcun procedimento amministrativo che autorizzasse il cambio di destinazione del bene civico, la tendenziale definitività del predetto cambio di destinazione nonché l’intervenuta alterazione, dell’uso siccome previsto nel contratto di locazione, della qualitas soli originaria e della destinazione ex lege del bene.
- Con il terzo motivo il ricorrente ha prospettato, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, non avendo la Corte di appello richiesto alle parti di esplicitare le proprie posizioni difensive sulla compatibilità del mutamento di destinazione e sulla natura definitiva, o non, del mutamento medesimo, perpetrato dall’ente locatore.
- Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto la nullità derivata, quale riflesso consequenziale della nullità dell’atto presupposto, dei capi della sentenza concernenti la declaratoria di risoluzione del contratto di locazione per grave inadempimento del conduttore, la condanna di lui al rilascio dell’immobile, al pagamento dei canoni scaduti e a scadere, ed infine alle spese di lite.
- Rileva il collegio che il primo motivo è fondato, comportando l’assorbimento del secondo e del terzo, nei termini appresso precisati. La Corte di appello ha respinto l’eccezione di nullità del contratto di locazione, ritenendo, per converso, validamente concesso in locazione il terreno de quo, richiamando a supporto il precedente di Cass. n. 4694 del 1999, supponendo che da esso fosse ritraibile il principio per cui il trasferimento a privati del godimento dei beni di uso civico mediante atti di concessione amministrativa oppure contratti di locazione è da considerare sempre legittimo, dal momento che “in tali ipotesi la durata del rapporto è predeterminata e non si registrano riflessi negativi sul carattere originario dei beni gravati da uso civico”. Tuttavia, ad avviso della Corte la lettura in tali termini del sopraccitato precedente si manifesta errata ed errata è, pertanto, la regola di giudizio applicata al caso in esame dal giudice di appello.
Prosegue la Corte riportando per esteso, nella parte che interessa, la motivazione del richiamato precedente la quale se, da una parte, sostiene che per la L. n. 1766/1927 “l’alienazione e qualsiasi mutamento definitivo di destinazione dei terreni soggetti a diritti d’uso civico sono consentiti solo se autorizzati dall’Autorità competente, a seguito di un procedimento particolare, essendo altrimenti il godimento di essi riservato esclusivamente alla comunità i cui componenti, come titolari di tali diritti, possono chiedere in ogni momento l’immediato reimpiego dei beni alla destinazione prevista dalla legge”, dall’altra afferma che “è anche vero che i terreni demaniali eccedenti i bisogni della popolazione possano ricevere eccezionalmente una destinazione diversa da quella dell’esercizio dell’uso civico, purché tale destinazione sia temporanea e non determini l’alterazione della qualità originaria di essi”. Continua la motivazione nei termini che seguono. “Questa Corte ha, pertanto, già altre volte ritenute legittime, tra le destinazioni atipiche, quelle conseguenti al trasferimento a privati del godimento dei beni di uso civico mediante atti di concessione amministrativa o contratti d’affitto in base al rilievo che in tali ipotesi si abbia predeterminazione della durata del rapporto e, almeno normalmente, l’assenza di riflessi negativi sul carattere originario dei suoli (sent. nn. 2806 del 1995, 5187 del 1993, 2069 del 1983, 2600 del 1950)”. “Nella specie il Commissario, avendo ritenuto legittime le concessioni per uso cave dei terreni d’uso civico, si è adeguato a questi principi, in quanto dagli elementi acquisiti al processo non è risultato che il trasferimento dei detti beni nel godimento di privati per periodi di tempo predeterminati abbia alterato la qualitas soli originaria e la sua destinazione ex lege, né la stessa Regione ha evidenziato alcuna influenza negativa su tale qualità dei beni, essendosi limitata a sostenere la tesi del divieto di mutamento di destinazione prima dell’assegnazione dei terreni a categoria (L. n. 1766 del 1927, art. 12), tesi non condivisibile perché il divieto senza autorizzazione riguarda la diversa ipotesi dell’alienazione e del mutamento definitivo della destinazione dei terreni di uso civico”. “Poiché l’impiego dei beni demaniali civici per uso temporaneo di cave di pietra non presuppone “l’assegnazione a categoria” né la previa autorizzazione di cui della L. n. 1766 del 1927, menzionato art. 12, nessuna ragione aveva il Commissario di esercitare i suoi poteri d’ufficio al fine di accertare se i terreni oggetto delle concessioni fossero stati o meno inclusi in una delle due categorie previste dalla norma”.
- Precisa, dunque, la Corte che il precedente di Cass. n. 4694 del 1999, lungi dal postulare una indiscriminata e aprioristica legittimità, pur in assenza di autorizzazione concessa all’esito del previsto procedimento amministrativo, di ogni atto di concessione in godimento di beni di uso civico, la subordina, al contrario, al puntuale accertamento che: a) la destinazione concreta impressa al bene sia conforme all’esercizio dell’uso civico; b) ove invece sia diversa, la stessa sia comunque temporanea e tale da non determinare l’alterazione della qualità originaria di essi; limiti e presupposti, questi, chiaramente desumibili dalla L. n. 1766 del 1927 e segnatamente dall’art. 12, comma 2, a mente della quale “I Comuni e le associazioni non potranno, senza l’autorizzazione del Ministero dell’economia nazionale, alienarli o mutarne la destinazione”. Essendo l’atto dispositivo a porsi quale eccezione alla regola che riserva esclusivamente alla comunità il godimento del bene, è evidente che ove non si abbia sufficiente contezza del rispetto di detti limiti l’atto dispositivo andrà considerato in contrasto con la previsione di legge. Ed invero, in coerenza con tale ricostruzione, il precedente citato intanto conclude per la legittimità della destinazione concreta in quel caso impressa al bene di uso civico in quanto, e solo in quanto, come espressamente rimarcato, era risultato accertato in giudizio “che il trasferimento dei detti beni nel godimento di privati per periodi di tempo predeterminati non (aveva) alterato la qualitas soli originaria e la sua destinazione ex lege, né la stessa Regione (aveva) evidenziato alcuna influenza negativa su tale qualità dei beni”.
Nel caso qui in esame un analogo accertamento non risulta invece compiuto, nemmeno per implicito, alla stregua di un eventuale, ma nella specie mancante, rilievo della natura incontroversa dei relativi presupposti. Il risultato ne è stato che si è ritenuto rispettoso dei limiti dettati dalla legge la concessione in godimento di un bene di uso civico in mancanza del previo accertamento dei requisiti suindicati, solo in presenza dei quali, invece, tale conformità avrebbe potuto predicarsi, così dunque sussumendosi nella previsione normativa astratta un fatto che, così come (allo stato) ricostruito, è diverso da quello previsto. Tale accertamento andrà dunque nuovamente condotto dal giudice del rinvio, ovviamente sulla base degli elementi ritualmente acquisiti al giudizio, mettendo conto al riguardo precisare che l’eventuale incertezza sul punto – ossia sulla conformità dell’atto dispositivo ai limiti entro i quali è per legge consentito – si risolverebbe in danno della parte che su di esso intende fondare i diritti azionati in giudizio. Trattandosi di fatto costitutivo del diritto azionato spetta, infatti, a chi intende farlo valere in giudizio, secondo l’ordinaria regola di riparto dell’onere probatorio (art. 2697 c.c.), dimostrarne la sussistenza, con riferimento a tutti i requisiti che ne consentano una valutazione di conformità alla fattispecie legale.
- In relazione al quarto motivo di ricorso, prosegue la Corte, esso deve ritenersi accolto solo in parte. Non può, invero, revocarsi in dubbio che l’eventuale (accertanda) violazione dei limiti posti alla concessione in godimento del bene di uso civico – violazione conseguente, per quanto detto, anche alla sola incertezza in ordine alla conformità dell’atto ai requisiti detti – comporterebbe la nullità del contratto di locazione (in quanto strumento attraverso cui si realizza ciò che invece è vietato dalla legge). Si tratterebbe, più precisamente, di nullità per contrasto con norma imperativa (art. 1418 c.c., comma 1), quale deve ritenersi quella dettata dalla citata disposizione, in quanto posta a tutela di sopraordinati interessi di natura pubblica (sulla rilevanza della natura pubblica dell’interesse tutelato, ai fini della individuazione del carattere imperativo della norma e della conseguente nullità dell’atto negoziale che ne determini violazione, v. Cass. Sez. U. 21/08/1972, n. 2697, ove è affermato il principio, tuttora incontrastato e al quale va data continuità, secondo cui “poiché a norma degli artt. 1418,1419 e 1339 c.c., il contratto è nullo quando è contrario a norma imperativa, salva l’eccezione di una diversa disposizione di legge, allorquando si sia in presenza di una norma proibitiva non formalmente perfetta, cioè priva della sanzione dell’invalidità dell’atto proibito, occorre specificamente controllare la natura della disposizione violata per dedurre la invalidità o la semplice irregolarità dell’atto e tale controllo si risolve nella indagine sullo scopo della legge ed in particolare sulla natura della tutela apprestata, se cioè di interesse pubblico o privato, senza che soccorra il criterio estrinseco della forma”; v. anche, conff., Cass. 27/11/1975, n. 3974; 18/07/2003, n. 11256; 30/12/2011, n. 30634). Ne deriverebbe anche, per ulteriore conseguenza, l’impossibilità di pronunciare la risoluzione del contratto di locazione (la risoluzione contrattuale essendo coerente solo con l’esistenza di un contratto valido: v. Cass. Sez. U. 04/09/2012 n. 14828, a cui hanno fatto poi seguito, come noto, Cass. Sez. U., 12/12/2014, nn. 26242-3) e le connesse ulteriori statuizioni sui crediti che da tale contratto vengono fatti derivare.
- Per le argomentazioni complessivamente svolte, la Corte conclude enunciando i seguenti principi di diritto: “La concessione in godimento, mediante contratto di locazione, di terreni demaniali soggetti ad uso civico è subordinata alla condizione che la destinazione concreta impressa al bene sia conforme all’esercizio dell’uso civico o, se diversa, che la stessa sia comunque temporanea e tale da non determinare l’alterazione della qualità originaria del bene. L’onere della prova della sussistenza di tali requisiti incombe sulla parte che intende far valere in giudizio diritti derivanti dal contratto. In mancanza il contratto deve ritenersi nullo per contrasto con norma imperativa”.
- Difettando, allo stato, il preliminare necessario accertamento sulla sussistenza di dette condizioni la sentenza impugnata va pertanto cassata anche nella parte in cui ha confermato la risoluzione del contratto di locazione e le connesse ulteriori statuizioni sui crediti che da tale contratto vengono fatti derivare, con la sola eccezione dell’ordine di rilascio del terreno dal momento che questo trova, comunque, in un caso (nullità del contratto) o nell’altro (risoluzione per inadempimento), piena giustificazione.
- In accoglimento del primo e del quarto motivo di ricorso, nei termini e nei limiti sopra indicati, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.