Corte di Cassazione, II Sezione Civile, ordinanza 08 marzo 2022, n. 7520
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- Il motivo del ricorso principale denuncia la violazione degli artt. 163,164 e 342 c.p.c., e artt. 2504 e 2504-bis c.c., evidenziando come l’avvenuta fusione per incorporazione della (omissis) s.r.l. nella (omissis) s.r.l. avesse determinato – alla stregua della disciplina anteriore alle modifiche operate dal D.Lgs. n. 6 del 2003, ratione temporis applicabile – l’estinzione della società incorporata, con conseguente necessità di notificare l’atto di appello alla società incorporante. Né la costituzione in giudizio della (omissis) (avvenuta allorquando era già decorso il termine lungo per l’impugnazione ex art. 327 c.p.c.) poteva ritenersi aver sanato il vizio dell’atto introduttivo, trovando applicazione l’art. 164 c.p.c., nella formulazione anteriore alla riforma di cui alla L. n. 353 del 1990, che non prevedeva una sanatoria con efficacia ex tunc. Per quel che riguarda il profilo della conoscenza della fusione societaria, la ricorrente deduce l’inapplicabilità dei criteri applicabili all’evento interruttivo ex art. 300 c.p.c., in funzione del decorso del termine per la riassunzione del processo, richiamando quello della conoscibilità secondo l’ordinaria diligenza di cui a Cass., S.U., n. 15783/2005 (da considerarsi, a suo dire, senz’altro integrato nella specie, ove sussisteva financo la conoscenza dell’evento in discorso da parte dell’appellato).
Il motivo è infondato.
Va premesso che, secondo quanto chiarito da Cass., S.U., n. 6070/2013, l’impugnazione non diretta verso la “giusta parte” è da considerarsi non già nulla ex art. 164 c.p.c., bensì inammissibile, dal momento che “la nullità (..) è contemplata dall’art. 163 c.p.c., comma 3, n. 2 e art. 164 c.p.c., comma 1, nel caso in cui la lettura di quell’atto evidenzi l’omissione o l’assoluta incertezza degli elementi che occorrono per la corretta identificazione delle parti”, mentre, nel caso in questione, “lungi dall’esservi incertezza sull’identità della parte, questa è ben chiara, ma accade che il giudizio sia stato promosso, oppure che in esso sia stata evocata, una parte (la società estinta) diversa da quella (..) che quel giudizio avrebbe potuto promuovere, o che avrebbe dovuto esservi evocata”.
Con riferimento alla fusione per incorporazione, realizzatasi anteriormente all’entrata in vigore del nuovo art. 2504-bis c.c. (in merito alla nuova disciplina si veda invece, da ultimo, Cass., S.U., n. 21970/2021), Cass., S.U., n. 19509/2010 affermò che “l’impugnazione è validamente notificata al procuratore costituito di una società che, successivamente alla chiusura della discussione (o alla scadenza del termine di deposito delle memorie di replica) si sia estinta per incorporazione, se l’impugnante non abbia avuto notizia dell’evento modificatore della capacità giuridica mediante la notificazione di esso”.
Per quel che riguarda poi, osserva la Corte, la fusione verificatasi (sempre ante riforma) in pendenza del processo di primo grado, si è espressa, invece, Cass., n. 28664/2013, alla cui stregua “la parte non colpita dall’evento estintivo può notificare validamente l’atto di citazione in appello non solo nei confronti della società incorporante ma, nonostante la regolare pubblicazione nel registro delle imprese dell’atto di fusione, anche nei confronti della società incorporata, salvo che l’appellante sia stato edotto dell’estinzione di quest’ultima mediante qualsiasi atto idoneo a comunicare il fatto al destinatario in modo certo e documentalmente dimostrabile, anche se non necessariamente in via diretta attraverso una notificazione” (nel caso di specie, la S.C. ritenne corretta la declaratoria di inammissibilità dell’appello notificato nei confronti di una banca incorporata, sul presupposto dell’intervenuta comunicazione della fusione all’appellante mediante la relazione di notifica della sentenza di primo grado).
Occorre, dunque, indagare – caso per caso – se l’evento in discorso sia stato comunicato alla parte attraverso un “atto idoneo a portarlo nella sfera di conoscibilità del destinatario in maniera adeguata a garantirne la certezza e la dimostrazione documentale” (così la pronuncia appena citata, in motivazione). Da tale angolo visuale – e con specifico riferimento alla fattispecie in esame -, a fronte della mancata evidenza di un qualsivoglia atto di comunicazione formale dell’evento nei confronti dell’amministratore del condominio, deve ritenersi che la consapevolezza di quest’ultimo, ai fini di cui si discute, non potesse desumersi dal mero fatto che vi si fosse fatto riferimento nell’atto di citazione introduttivo di un diverso processo tra il condominio e un’altra società (nel quale, peraltro, il condominio era difeso da altro procuratore). Tale conclusione si mostra coerente con l’orientamento di questa Corte, che ricollega l’idoneità della comunicazione avvenuta in altro processo ad assurgere a fonte di conoscenza legale dell’evento interruttivo alla medesimezza delle parti dei due processi (Cass., n. 20744/2012; Cass., n. 13900/2017).
- Con l’unico motivo di ricorso incidentale, prosegue la Corte, il condominio “(omissis) ” denuncia la violazione degli artt. 1321,1362,1372 e 1223 c.c., censurando la sentenza di merito nella parte in cui, dopo aver riconosciuto l’inadempimento della società costruttrice all’obbligo (contrattualmente assunto nei confronti del condominio) di adibire un’unità immobiliare di circa 50 mq. ad alloggio del portiere, ha quantificato il danno derivante dalla messa a diposizione di un semplice gabbiotto di mq. 11, prendendo come riferimento il canone medio relativo a un immobile di mq. 40 (individuato in Euro 500,00) per un periodo di sei mesi (parametrato al preavviso con il quale, sempre ai termini del menzionato accordo, la società costruttrice avrebbe potuto reclamare la restituzione dell’immobile). Deduce il ricorrente incidentale che tale quantificazione arbitrariamente trascura la previsione contrattuale secondo cui, nell’eventualità in cui avesse preteso indietro quel locale, la società avrebbe dovuto mettere a disposizione gratuitamente un altro locale per l’alloggio del custode.
Il motivo è fondato, tenuto conto che il risarcimento del danno da inadempimento contrattuale (e, in generale, da inadempimento di un’obbligazione, indipendentemente dalla fonte contrattuale di quest’ultima) non può che essere parametrato all’utilità che il creditore avrebbe conseguito nell’ipotesi in cui il contratto fosse stato correttamente adempiuto. Se, dunque, nel caso di specie, si parte dal presupposto che il costruttore si era obbligato a consentire l’uso gratuito, da parte del condominio, di una porzione immobiliare nella quale il custode potesse dimorare stabilmente con la propria famiglia (quella specificamente indicata dalle parti ovvero, in caso di richiesta di restituzione, un’altra), la limitazione dell’arco temporale di riferimento al solo periodo di sei mesi si mostra incoerente con l’entità del pregiudizio al quale ragguagliare la liquidazione equitativa. La sentenza impugnata dev’essere, quindi, cassata con rinvio, affinché il giudice del rinvio proceda a una nuova quantificazione del danno in discorso in ragione (dell’inadempimento) della specifica obbligazione contrattualmente assunta dalla ricorrente.
- Poiché il ricorso principale è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis.