Corte di Cassazione, II Sezione Civile, ordinanza 01 luglio 2024, n. 17988
PRINCIPIO DI DIRITTO
In tema di annullamento del contratto per dolo, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1439 e 1440 c.c., il dolus causam dans, ossia tale che senza di esso l’altra parte non avrebbe contrattato (sull’an), si distingue dal dolus incidens, ossia che influisce sulle sole condizioni della contrattazione (sul quomodo), ma non è determinante del consenso, il quale non può dar luogo ad invalidità del contratto, ma solo alla riparazione dei danni, sicché, ove il raggiro abbia influito solo sulla quantificazione del prezzo, il contratto di vendita non può essere annullato.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
1.1. – Il motivo è, nel suo complesso, infondato.
Il primo aspetto attiene all’interpretazione della domanda, rimessa al giudicante, con l’effetto che le contestazioni mosse non possono incidere sulla procedibilità di detta domanda, potendo semmai essere oggetto di censura l’esito di tale interpretazione (come avvenuto con precipuo riferimento al secondo motivo).
Quanto alla mancata produzione dei contratti del 4 luglio 2003 e del 17 luglio 2003, la sentenza impugnata ha chiarito nell’ordine: a) che l’avvenuto acquisto nelle date indicate delle due vetture usate era pacifico e incontestato dalle parti; b) che la vendita di autoveicoli non esigeva la forma scritta ad substantiam; c) che i contratti si erano conclusi in ragione dello scambio dei consensi tra le parti e della traditio dei beni; d) che in ogni caso erano in atti le scritture private del 4 luglio 2003 e del 17 luglio 2003, evidentemente riferibili alle vendite in esame.
In ordine alla contestata esistenza delle convenzioni di compensazione e alla correlata eccezione relativa al difetto di legittimazione attiva, con l’eventuale omissione dell’ordine di integrazione del contraddittorio, ogni profilo sul punto non assume rilevanza, posto che la sentenza impugnata nulla ha disposto sulle predette convenzioni, riformando sul punto la sentenza del Tribunale che ne aveva disposto l’annullamento.
Né assumono rilievo gli aspetti inerenti alla contestazione della legittimazione di Pato, alla stregua dell’acquisto delle autovetture nuove a cura della società di leasing Mercedes Benz Daimler Chrysler Servizi finanziari Spa, con la correlata contestazione della mancata disposizione dell’integrazione del contraddittorio verso tale società, stante che la Corte d’Appello ha precisato che nessun legame strutturale e funzionale ricorreva tra le vendite delle due autovetture usate e le vendite delle due autovetture nuove, di cui è stata affermata la loro totale eterogeneità e autonomia, con la conseguenza che, in difetto di alcuna domanda e statuizione sugli atti traslativi aventi ad oggetto le auto nuove, nessuna questione di coinvolgimento nella causa della società di leasing si sarebbe potuta porre nel giudizio.
Con riferimento alla reclamata inammissibilità della modifica della domanda di condanna, occorre rilevare che il petitum immediato e la causa petendi sono rimasti immutati, avendo sin dall’origine La Rotonda richiesto la condanna di Pato al pagamento della somma di Euro 54.500,00, concordata a titolo di prezzo d’acquisto delle due auto usate (rispettivamente per i corrispettivi di Euro 16.500,00 e di Euro 38.000,00), con l’effetto che l’articolazione delle conclusioni nella memoria ex art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c. vigente ratione temporis, con precipuo riguardo alla specificazione della causale della “restituzione” di tali somme, ha avuto la mera valenza, non già di determinare una mutatio libelli, bensì di precisare la domanda medesima (rispetto al generico richiamo contenuto nella citazione introduttiva del giudizio al “saldo” dei prezzi di acquisto).
Rispetto al rigetto delle eccezioni di decadenza e prescrizione, la Corte del gravame ha puntualizzato che nessuna garanzia per i vizi delle cose vendute è stata fatta valere, sicché non avrebbero potuto operare i termini di cui all’art. 1495 c.c. Ed invero nessuna azione edilizia è stata spiegata, ma è stata rivendicata la nullità o l’annullamento o la risoluzione dei contratti di vendita, in ragione della scoperta alterazione dei contachilometri.
In ultimo, in ordine all’asserita omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità del cumulo della domanda di annullamento per errore e per dolo, la sentenza d’appello ha evidenziato che nessun cumulo è stato prospettato, avendo l’attrice richiesto l’annullamento per errore o, in alternativa, per dolo. A fronte di questa impostazione della domanda, sarebbe spettato al giudicante l’esatto inquadramento giuridico della fattispecie.
- – Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 Cost. nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 112, 115 e 116 c.p.c. ed ancora degli artt. 1427, 1429 e 1439 c.c., per avere la Corte territoriale, in spregio ai principi sulla distribuzione dell’onere probatorio e sulla libera disponibilità della prova, nonché travisando le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio – secondo cui l’alterazione dei contachilometri non avrebbe pregiudicato la vendibilità delle autovetture usate, il cui valore era stato stimato in misura pressocché coincidente con i prezzi corrisposti da La Rotonda -, ritenuto che la manomissione di detti contachilometri fosse stata effettuata da Pato, senza che sul punto fosse stata eseguita alcuna indagine e senza che esistesse alcun riscontro nel processo, e per avere altresì – con motivazione apodittica, priva di un adeguato, anzi di qualunque, apparato logico-argomentativo – affermato contraddittoriamente, per un verso, che la società appellata non avrebbe acquistato i due mezzi ove avesse conosciuto l’alterazione dei contachilometri e, per altro verso, che ne avrebbe certamente discusso in modo più conveniente il prezzo, nel contesto di una scelta non spettante al giudicante, essendo del tutto comprensibile che la circostanza accertata avrebbe incrinato il rapporto fiduciario tra le parti.
Osserva l’istante che – da un lato – l’errore indotto da tali pretesi raggiri ben avrebbe potuto essere evitato dal concessionario, impiegando le competenze che la sua professionalità ed esperienza avrebbero presupposto ovvero utilizzando quegli strumenti tecnici di cui lo stesso era fornito e dei quali si era avvalso attraverso il minutissimo esame emergente dalle schede tecniche allegate all’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, in ordine alle verifiche della garanzia presso la casa madre, e – dall’altro – tali raggiri non avrebbero comunque determinato la volontà contraria del deceptus sulla scorta del precetto secondo cui il dolo causam dans costituisce ragione di annullamento del contratto soltanto nel caso in cui la falsa rappresentazione della realtà da esso ingenerata sia stato essenziale ai fini della conclusione dell’atto, con l’effetto che, avendo tale alterazione dei contachilometri inciso solo sul valore di mercato delle auto comunque rivendibili (secondo la ricostruzione della stessa attrice e della consulenza tecnica d’ufficio), l’annullamento sarebbe stato precluso.
2.1. – Il motivo è fondato nei termini che seguono.
Quanto alla prova sulla manomissione del contachilometri a cura dell’alienante, la Corte d’Appello ha dedotto, evocando specifica pronuncia di legittimità (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1480 del 02/02/2012), che, in ordine all’integrazione dei raggiri, la Pato sarebbe stata responsabile quand’anche non avesse manomesso personalmente i contachilometri, non controllando la veridicità del dato eventualmente manomesso da altri e non comunicandolo all’acquirente, sicché, all’atto della vendita, la venditrice avrebbe dovuto comunque garantire la correttezza dei dati inerenti al chilometraggio dei mezzi, senza che assumesse rilievo la circostanza che non avesse assunto formalmente la veste di concessionario.
Dunque, sul punto attinente alla integrazione dei raggiri sussiste una congrua motivazione.
Le argomentazioni esposte sono invece avvinte da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili (e, dunque, ricadono nel vizio di carenza di motivazione ex art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. denunciabile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.: Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022; Sez. 6-3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017), nella parte in cui, dopo avere sostenuto che l’errore indotto dai raggiri era stato tale da determinare la parte a concludere un contratto che altrimenti non avrebbe concluso, la sentenza impugnata ha aggiunto che comunque tale errore avrebbe potuto certamente incidere sul prezzo, ossia sulla conclusione del contratto a condizioni diverse.
E ha altresì chiosato in ordine al fatto che stabilire se i raggiri abbiano inciso sull’an (della stipulazione) o sul quomodo (delle condizioni) del contratto non sarebbe stata una valutazione spettante alla Corte, essendo comunque certo che la circostanza avrebbe incrinato il rapporto fiduciario tra le parti.
Ora, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1439 e 1440 c.c., il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati da uno dei contraenti siano stati tali che senza di essi l’altra parte non avrebbe contrattato mentre, ove i raggiri non siano stati tali da determinare il consenso, il contratto è valido, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse.
Con la conseguenza che – contrariamente all’assunto incomprensibile della sentenza impugnata – sarebbe stato determinante stabilire se il dolo fosse stato causam dans o meramente incidens ai fini della declaratoria di annullamento del contratto.
Ed invero il dolo, quale vizio del consenso, inteso in senso oggettivo, in contrapposizione al dolo in senso soggettivo, si concretizza nei raggiri perpetrati ai fini di alterare la volontà negoziale della vittima, inducendola così in errore. In questa dimensione il dolo è sinonimo di inganno e causa di annullamento del contratto quando i raggiri adoperati abbiano ad oggetto circostanze essenziali del negozio, nel senso di determinanti per la prestazione del consenso del raggirato.
Pertanto, il dolus causam dans, ossia tale che senza di esso l’altra parte non avrebbe contrattato (sull’an), si distingue dal dolus incidens, ossia che influisce sulle sole condizioni della contrattazione (sul quomodo), ma non è determinante del consenso, il quale non può dar luogo ad invalidità del contratto, ma solo alla riparazione dei danni.
Ne discende che, ai fini dell’annullamento del contratto, il raggiro posto a fondamento del dolo, per un verso, deve ingenerare nella parte che lo subisce una rappresentazione alterata della realtà e, per altro verso, deve provocare un errore influente sull’an della prestazione del consenso.
Sicché affinché vi sia dolo devono sussistere le seguenti condizioni: a. che vi sia una condotta, commissiva od omissiva, materializzata da raggiri, ossia da un complesso di manovre e artifizi; b. che tale condotta sia riconducibile ad un animus decipiendi del deceptor, ossia che vi sia una specifica intenzione di ingannare; c. che in conseguenza il deceptus sia caduto in errore; d. che vi sia un nesso di causalità sia tra i raggiri e l’errore sia tra la condotta fraudolenta e la decisione del deceptus di stipulare il contratto.
Quindi, il dolo può essere commissivo od omissivo.
Il dolo commissivo richiede la realizzazione di una condotta attiva, in cui siano ravvisabili gli estremi di un complesso di artifizi integranti i raggiri, che alterino il processo di formazione della volontà del deceptus. Segnatamente il dolo commissivo postula che un contraente sia stato ingannato per il tramite di una macchinazione fraudolenta e attiva posta in essere da un altro soggetto. Rientra in tale condotta ogni artifizio, ogni menzogna, purché grave e non facilmente smascherabile. E ciò anche quando tali raggiri siano utilizzati non per suscitare nella controparte l’intento di contrarre, bensì per indurla a tenere un comportamento del quale l’autore dei raggiri ignorava il contenuto negoziale. Sul piano oggettivo l’idoneità a trarre in inganno richiede l’impiego di mezzi adeguati.
Mentre la reticenza e silenzio possono acquistare rilevanza in relazione alle circostanze e al contegno che determina l’errore. È necessario però che il silenzio sia intenzionalmente ingannevole ovvero che la reticenza del contraente si inserisca in una condotta che si configuri nel complesso quale malizia o astuzia diretta a realizzare un inganno (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 11605 del 11/04/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 11009 del 08/05/2018; Sez. L, Sentenza n. 8260 del 30/03/2017; Sez. L, Sentenza n. 7751 del 17/05/2012; Sez. 2, Sentenza n. 9253 del 20/04/2006; Sez. 2, Sentenza n. 5549 del 15/03/2005; Sez. L, Sentenza n. 2104 del 12/02/2003; Sez. 1, Sentenza n. 8295 del 11/10/1994; Sez. 1, Sentenza n. 11038 del 18/10/1991).
La prova che il raggiro abbia provocato sul meccanismo volitivo un errore da considerarsi essenziale ricade sulla parte che lo deduce (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5734 del 27/02/2019; Sez. 3, Sentenza n. 21074 del 01/10/2009; Sez. L, Sentenza n. 16679 del 24/08/2004; Sez. 2, Sentenza n. 3065 del 19/04/1988).
Per l’effetto, affinché si produca l’annullamento del contratto, non è sufficiente una qualunque influenza psicologica sull’altro contraente, ma sono necessari artifici o raggiri, o anche semplici menzogne, che abbiano avuto comunque un’efficienza causale sulla determinazione volitiva della controparte e quindi sulla prestazione del consenso di quest’ultima (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20231 del 23/06/2022; Sez. 1, Sentenza n. 1585 del 20/01/2017; Sez. 3, Sentenza n. 12892 del 23/06/2015; Sez. 3, Sentenza n. 12424 del 25/05/2006; Sez. 3, Sentenza n. 20792 del 27/10/2004; Sez. U, Sentenza n. 1955 del 11/03/1996).
Alla stregua dei precedenti rilievi, il giudice del rinvio dovrà chiarire se i raggiri abbiano avuto un’incidenza determinante sulla stipulazione del contratto oppure abbiano inciso sulle sole condizioni del contratto (e segnatamente sulla quantificazione del corrispettivo).
- – Con il terzo motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 Cost. nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 102 e 354 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. nonché degli artt. 1322 e 1372 c.c. e dei principi in materia di collegamento negoziale, per avere la Corte distrettuale prospettato la radicale autonomia dei contratti di vendita delle auto nuove rispetto ai contratti di vendita delle auto usate, con motivazione apodittica, che avrebbe escluso il collegamento funzionale dei sei contratti conclusi (due contratti di compravendita dell’usato, due contratti di compravendita delle auto nuove e due contratti di leasing).
Espone l’istante che la decisione di Pato di acquistare le autovetture nuove, con la concessione in leasing, sarebbe stata determinata dalla valutazione dell’usato operata da La Rotonda, con l’effetto che l’eventuale caducazione di uno o più dei detti contratti, in collegamento funzionale tra loro, non avrebbe non potuto determinare anche la caducazione dei restanti contratti.
3.1. – Il motivo è inammissibile.
Infatti, la sentenza impugnata ha specificato che il rapporto contrattuale inerente alla vendita delle auto nuove era autonomo e del tutto distinto da quello oggetto di causa, inerente alle auto usate, senza che l’appellante avesse addotto alcuna plausibile ragione a fondamento dell’asserito collegamento negoziale.
Senonché il motivo non è autosufficiente in ordine alle ragioni di critica verso tale statuizione, limitandosi a sostenere, in chiave del tutto assertoria, che Pato non avrebbe acquistato le auto nuove senza la vendita ai prezzi concordati delle auto usate.
Ma di tale asserto non vi è alcuna argomentazione a supporto, posto che, ove vi fosse stato un indissolubile legame tra le vendite, si sarebbe proceduto con atti unitari di permuta e non con separate negoziazioni di alienazione.
Tanto più che la stessa ricorrente ha addotto la non coincidenza soggettiva delle parti delle vendite (posto che l’acquisto delle auto nuove sarebbe avvenuto in favore della società di leasing), senza alcuna compensazione tra i corrispettivi delle vendite medesime.
In specie, la doglianza non esplicita alcuna specifica ragione di critica attinente all’interpretazione della volontà contrattuale, da cui si sarebbe potuto desumere tale collegamento, non censurandosi alcuna violazione dei criteri di logica ermeneutica e di corretto apprezzamento delle risultanze di fatto.
E ciò tenuto conto che il collegamento negoziale, al fine di assumere rilievo sul piano causale, tanto da imporre la considerazione unitaria della fattispecie, esige non solo la presenza del requisito oggettivo costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, ma anche quella del requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere, insieme all’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 14561 del 25/05/2023; Sez. 3, Sentenza n. 11974 del 17/05/2010; Sez. 2, Sentenza n. 5851 del 16/03/2006).
A tali elementi costitutivi della fattispecie non è dedicato alcun argomento specifico nell’articolazione della censura.
In questi termini non è sufficientemente aggredita la valutazione sull’inesistenza del collegamento funzionale fra negozi, la quale postula un accertamento riservato al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità sempreché sia condotto nel rispetto dei criteri di logica ermeneutica e di corretto apprezzamento delle risultanze di fatto, quindi considerando la volontà dichiarata dalle parti alla stregua degli interessi dalle stesse perseguiti nella prospettiva dell’operazione economica complessiva (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 28324 del 10/10/2023; Sez. 6-1, Ordinanza n. 20634 del 07/08/2018; Sez. L, Sentenza n. 18585 del 22/09/2016; Sez. 3, Sentenza n. 14611 del 12/07/2005; Sez. 2, Sentenza n. 4401 del 05/08/1982).
- – Con il quarto motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., dell’art. 111 Cost. e dell’art. 116 c.p.c. nonché della violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2037 c.c. nonché dei principi in materia di obblighi restitutori derivanti dall’invalidità/inefficacia del contratto, per avere la Corte del gravame negato la spettanza di alcuna indennità per il deprezzamento dei veicoli di cui era stata disposta la restituzione, anche in ragione del fatto che nessuna specifica questione sul punto fosse stata espletata nel giudizio di primo grado.
Per converso, ad avviso dell’istante, sarebbe stato equo riconoscere un compenso commisurato all’uso effettuato da La Rotonda di tali veicoli e al conseguente azzeramento del valore, essendo stato accertato dal consulente tecnico d’ufficio che i veicoli erano stati utilizzati dalla concessionaria ed abbandonati in un campo, esposti alle intemperie.
Quanto alla mancata formulazione di alcuna domanda indennitaria nel giudizio di primo grado, essa avrebbe dovuto essere valutata non già come domanda autonoma, ma come mera difesa, diretta a paralizzare la pretesa avversaria, quantomeno riducendo il preteso ed invero inesistente credito di controparte.
4.1. – Il motivo è assorbito dall’accoglimento del secondo motivo.
E ciò perché è stata caducata la statuizione presupposta dall’articolazione di tale motivo (ossia la pronuncia di annullamento, che aveva indotto la Corte di merito a disporre la restituzione dei veicoli, pronuncia di cui dovranno essere rivalutate le condizioni, alla stregua dell’incidenza del raggiro sulla prestazione del consenso).
- – In definitiva, il secondo motivo del ricorso deve essere accolto, nei sensi di cui in motivazione, il primo e il terzo motivo devono essere rigettati mentre l’ulteriore motivo articolato resta assorbito.
La sentenza impugnata va dunque cassata, limitatamente al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi al seguente principio di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
“In tema di annullamento del contratto per dolo, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1439 e 1440 c.c., il dolus causam dans, ossia tale che senza di esso l’altra parte non avrebbe contrattato (sull’an), si distingue dal dolus incidens, ossia che influisce sulle sole condizioni della contrattazione (sul quomodo), ma non è determinante del consenso, il quale non può dar luogo ad invalidità del contratto, ma solo alla riparazione dei danni, sicché, ove il raggiro abbia influito solo sulla quantificazione del prezzo, il contratto di vendita non può essere annullato”.