<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte di Cassazione, V Sezione Penale, sentenza 31 marzo 2020, n. 10905</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>PRINCIPIO DI DIRITTO</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Per costante giurisprudenza nomofilattica (cfr. Sez. 5, n. 10313 del 17/01/2019, Vicaretti, Rv. 276502), l’elemento distintivo tra ingiuria e diffamazione riposa sul fatto che, nella prima, la comunicazione – con qualsiasi mezzo realizzata – è diretta all'offeso, mentre nella seconda l'offeso resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l'offensore.</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il ricorso è fondato. Difatti, è stato accertato che le espressioni offensive sono state pronunciate dall'imputato mediante comunicazione telematica diretta alla persona offesa, ed alla presenza, altresì, di altre persone “invitate” nella chat vocale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ne consegue che il fatto, come accertato dalla sentenza impugnata, deve essere qualificato come ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, ai sensi dell'art. 594, u.c., c.p., che, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. C), D.Lgs. 15.1.2016 n. 7, è stato depenalizzato. Secondo la Corte di Cassazione, la pronuncia gravata in sede di legittimità va dunque annullata senza rinvio, perché il fatto, così riqualificato, non è più previsto dalla legge come reato.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Christian Curzola </em></p>