Con la sentenza n. 37312 del 2019, la V Sezione della Suprema Corte si è pronunciata in merito alla configurabilità del delitto di cui all’art. 328 c.p. in capo al soggetto appartenente alle forze dell’ordine –precisamente alla Polizia Municipale- in riferimento al fatto compiuto al di fuori del servizio di lavoro.
Va ricordato, chiosa la Corte, che a norma dell’art. 57 c.p.p., comma 2, lett. b), in combinato disposto con la L. n. 65 del 1986, art. 5 (Legge quadro sulla Polizia Municipale), gli agenti della Polizia Municipale hanno a tutti gli effetti la qualifica di agenti di polizia giudiziaria quando sono in servizio nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza. Vero è che, a differenza di altri corpi (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, ecc.) – i cui appartenenti operano su tutto il territorio nazionale e sono sempre in servizio -, la qualifica di agenti di polizia giudiziaria attribuita ai vigili urbani è limitata nel tempo (“quando sono in servizio”) e nello spazio (“nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza”) (Sez. 1, n. 8281 del 09/05/1995, Macrì, Rv. 202121), ma tale limitazione alle ipotesi indicate non esclude e non ridimensiona la loro funzione, nè è idonea a svilirne i compiti e gli obblighi.
Nel caso di specie, assume la Corte, appare indiscusso che l’imputato sia intervenuto nella sua qualità di appartenente alla Polizia Municipale in servizio nel territorio dell’ente di appartenenza, tanto che egli si presentava in divisa e armato, mentre svolgeva il suo regolare turno di lavoro.
La circostanza che lo Z. si era recato in loco su richiesta di parte e a causa di una diatriba inerente al posizionamento dei confini tra due proprietà non esclude, alla luce di quanto esposto, che egli dovesse anche garantire la sicurezza pubblica.
Ciò posto, deve ritenersi corretta l’affermazione della sussistenza del delitto di omissione di atti di ufficio ex art. 328 c.p., comma 1.
Quanto appena notato vale innanzitutto con riferimento al contegno omissivo, consistito nel fatto di non essersi in alcun modo attivato per impedire che la contesa sui confini sfociasse nell’uccisione di un uomo e nel ferimento di altre persone.
In definitiva, come sottolineato nella sentenza impugnata, l’imputato seppur intervenuto per una controversia di natura privatistica, conservava la sua veste di pubblico ufficiale preposto alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. Ne discende che, con riferimento alla seconda fattispecie contestata -omissione di atti di ufficio- oggetto del quarto motivo di ricorso, l’imputato era altresì tenuto a raccogliere le prove e a svolgere tutte quelle attività di identificazione, accertamento de indagine che conseguono alla commissione di reati, compreso procedere all’arresto del colpevole.
Da tutto quanto esposto discende che il ricorso dev’essere rigettato, essendo del tutto infondati i rilievi mossi in ordine alla sussistenza dei reati ricostruiti e ravvisati nella sentenza impugnata.
Domiziana Pinelli