Cassazione penale, Sez. III, sentenza 20 settembre 2024, n. 35320
PRINCIPIO DI DIRITTO
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo chiarito la portata della causa ostativa della commissione di più reati della stessa indole, prevista dall’art. 131 -bis cod. pen., rispetto all’applicazione del regime della speciale tenuità del fatto affermando che ” il tenore letterale lascia intendere che l’abitualità si concretizza in presenza di una pluralità di illeciti della stessa indole (dunque almeno due) diversi da quello oggetto del procedimento nel quale si pone la questione dell’applicabilità dell’art. 131-bis”. Il regime di favore previsto dalla disposizione codicistica, coerentemente con tali principi, non opera se in passato l’imputato ha commesso almeno due reati della stessa indole, anche se il. reato concretamente dedotto in giudizio risulta di indole diversa e autonoma rispetto ai precedenti. Se ne ricava che il concetto di abitualità ostativa non va inteso come il riferimento ad un comportamento abituale che abbraccia anche il reato attualmente dedotto in giudizio, sviluppandosi “nel presente”; è sufficiente invece che quel contegno abituale, consistito nella commissione di più reati della stessa indole, sia stato tenuto “nel passato”, anche se il reato dedotto in giudizio non presenta nulla in comune quei precedenti, e, anzi, appare del tutto autonomo rispetto ad essi. La disposizione, sotto questo profilo, inibisce l’applicazione della causa di non punibilità, anche se il fatto commesso è tenue, a causa di autonome pregresse manifestazioni di pericolosità dell’imputato, che da sole sono sufficienti a rendere inopportuna la concessione del beneficio. Va anche richiamata una considerazione delle più recenti Sezioni Unite, occupatesi dell’applicabilità dell’art. 131-bis al reato continuato, secondo cui la nozione di reati della stessa indole fa riferimento a un duplice ambito di valutazione, sia oggettivo (“la natura dei fatti”) che soggettivo (” i motivi che li determinarono”), da cui desumere la ricorrenza di quei “caratteri fondamentali comuni” che, ai sensi dell’art. 101 cod. pen., qualificano l’indole criminale di un soggetto.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- Il ricorso è fondato.
- Da questo punto di vista, è d’interesse la sentenza delle Sezioni Unite, pronunciatesi sulla rilevanza delle false dichiarazioni tese ad ottenere il reddito di cittadinanza, in cui si è affermato che il reato di cui all’art. 7 del D.L. n. 4 del 2019 è reato di pericolo concreto a consumazione anticipata posto a presidio delle risorse pubbliche economiche destinate a finanziare il reddito di cittadinanza, impedendone la dispersione a favore di chi non ne ha (o non ne ha più) diritto o ne ha diritto in misura minore. È reato posto a tutela del patrimonio dell’ente erogante e, in particolare, delle specifiche (e limitate) risorse destinate all’erogazione del beneficio ed al perseguimento del fine pubblico ad esso sotteso. Analoghe considerazioni valgono inoltre, mutatis mutandis, anche per il secondo comma della disposizione in quanto il minimo comune denominatore di entrambe le fattispecie penali, quella di cui al primo comma e quella di cui al secondo comma dell’art. 7, è costituito dal patrimonio (o dalle risorse economiche) dell’ente e dal fine che con il suo utilizzo si intende perseguire. Il patrimonio non rileva come bene di proprietà, ma come strumento per il raggiungimento di determinati obiettivi; non rileva l’aspetto statico, bensì quello dinamico: sullo sfondo s’intravede l’interesse pubblico leso dall’azione di chi sottrae risorse per perseguirlo”.
- Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Campobasso ha riconosciuto la sussistenza del reato di cui all’art. 7, comma 2, del D.L. n. 4 del 2019, e ha applicato l’art. 131-bis, cod. pen., avendo ritenuto tenue il falso presentato per ottenere il reddito di cittadinanza, e irrilevante invece, ai fini della configurabilità della causa ostativa dell’abitualità, la commissione di precedenti reati contro il patrimonio, in quanto ritenuti di indole diversa da quello attualmente dedotto in giudizio. Così argomentando, la Corte territoriale non ha applicato i principi indicati dalle Sezioni Unite secondo cui è irrilevante che il reato dedotto in giudizio sia espressione attuale di un’abitualità al reato, essendo sufficiente invece soltanto che il contegno abituale vi sia stato ” in passato”. Inoltre, anche prescindendo da tale assorbente considerazione, deve rilevarsi che, essendo il delitto di cui all’art. 7, comma 2, un reato di natura anche patrimoniale, esso si pone perfettamente in linea con i precedenti, anch’essi di natura patrimoniale, dell’imputato; mentre, dal punto di vista soggettivo, i motivi dell’ imputato,che ha commesso una serie di reati contro il patrimonio, appaiono ragionevolmente i medesimi. Si tratta, perciò, di reati che, che ai fini che qui interessano, possono essere considerati della stessa indole, e mostrano un’abitualità a delinquere ancora viva “nel presente”.
- Da quanto precede consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio alla Corte di appello di Salerno, perché procede a nuovo giudizio, tenendo conto dei principi di diritto sopra espressi.