Cassazione penale, Sez. IV, sentenza 4 aprile 2025, n. 13141
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’entità della violazione delle prescrizioni va rapportata proprio agli standard di perizia richiesti dalle linee guida, dalle virtuose pratiche mediche o, in mancanza, da corroborate informazioni scientifiche di base. Quanto maggiore sarà il distacco dal modello di comportamento, tanto maggiore sarà la colpa
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
lL ricorso è manifestamente infondato, per le seguenti ragioni. WOLTERS KLUWER ONE LEGALE Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 11 Aprile 2025 pag. 5 2.
Prendendo le mosse dal primo motivo, con il quale si contesta la mancanza di correlazione tra accusa e sentenza, essendo – si evidenzia – il capo di imputazione incentrato sulla omessa effettuazione dell’emogasanalisi e della ventilazione meccanica, mentre la condanna è intervenuta per il malfunzionamento, il silenziamento e il mancato controllo del saturimetro, osserva il Collegio quanto segue.
Si rinviene risposta in ciò che la Corte di appello scrive alle pp. 4-9 della sentenza impugnata, in particolare nel riferimento, alle pp. 5-7, alla possibilità effettiva di difendersi nel dibattimento, con richiamo, tra gli altri, ai precedenti di legittimità di Sez. 4, n. 36778 del 03/12/2020, Celli, Rv. 280084 (sia pure reso in non coincidente fattispecie) e delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619, che ha affermato che “Con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'” iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione”; in termini, successivamente, Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051).
Ebbene, la possibilità di difendersi (come si legge alle pp. 7-9 della sentenza impugnata) è stata assicurata per avere costruito già il Tribunale la colpa dell’imputato come una “culpa in vigilando” non incompatibile con la originaria incolpazione. Prosegue così il ragionamento della Corte di appello (pp. 8-9): “… a carico dell’A.A. non si era ravvisato in primo grado un fatto radicalmente diverso rispetto a quello contestato (consistente nello specifico nell’omessa attivazione di uno strumento diagnostico, EGA, e di una eventuale terapia di ventilazione meccanica, PEEP, da adottarsi laddove dai primi fossero emersi valori di ossigenazione del sangue tali da imporre un intervento certamente più invasivo ma risolutivo per superare il distress respiratorio) ma la condotta colposa per negligenza ed imprudenza consistita nel silenziamento dei sensori del saturimetro, che pur se materialmente effettuato dall’infermiera H.H., rientrava, comunque, nella sfera di controllo del medico imputato nel presente processo, nonché nel mancato costante monitoraggio dei valori della saturazione, condotte delle quali, a dire del primo giudice, dovrebbero rispondere anche le due infermiere coinvolte nella vicenda e che, comunque, sono perfettamente ricollegabili allo schema di colpa generica e specifica contenuto e descritto nell’editto accusatorio, laddove, in particolare, si evidenziano le difficoltà respiratorie associate alla insufficiente saturazione di ossigeno nel sangue da cui era affetta B.B., nonché le scelte ed omissioni che hanno complessivamente influenzate e condizionato negativamente il trattamento intrapreso nei confronti della piccola paziente.
Deve, inoltre, evidenziarsi che il silenziamento dei sensori del saturimetro, nonché il mancato costante monitoraggio dei valori della saturazione di ossigeno della piccola D.D. B.B. ha costituito argomento e specifico thema probandum emerso durante l’istruttoria dibattimentale di primo grado, specificamente affrontato anche in sentenza dal primo giudice in ordine al quale l’ imputatoha avuto sin da subito la concreta possibilità di difendersi. L’argomento del regolare funzionamento o malfunzionamento dell’apparecchiatura, in particolare, dei sensori del saturimetro con la quale la piccola vittima veniva monitorata, viene, infatti, sin dall’inizio ad essere oggetto della deposizione testimoniale di C.C., madre la vittima; per poi essere oggetto di specifiche domande rivolte a H.H. e a I.I. L’eccezione di nullità deve, pertanto, considerarsi infondata”. Si tratta di risposta adeguata, in linea con consolidata giurisprudenza di legittimità, richiamata in maniera pertinente nella sentenza impugnata. WOLTERS KLUWER ONE LEGALE Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 11 Aprile 2025 pag. 6 A riprova, già nell’atto di appello la Difesa ha sostenuto che non vi è prova che il macchinario funzionasse male e, anzi, che la stessa funzionava bene (pp. 13-15 e 23 dell’appello), e che una cosa è abbassare il volume dei sensori ed un’altra è silenziarli del tutto (pp. 5-8, 23 e 26-27), quindi difendendosi pienamente nel merito.
E, a proposito del merito, la Corte territoriale ha spiegato (alla p. 10), quanto al tema del silenziamento/volume abbassato, che è stato, in ogni caso, alterato il funzionamento dei segnali acustici di allarme; al riguardo, il Tribunale aveva già precisato, alle pp. 6-7, quanto segue: “… con riferimento al momento in cui il sensore del saturimetro veniva silenziato, la C.C. ebbe a dichiarare: “questa apparecchiatura (il saturimetro) dava però continui segnali sonori d’allarme… chiesi quindi all’infermiera presente come mai quello strumento emettesse dei suoni continui e questa mi disse che era dovuto al sensore di rilevamento collegato al polso della bimba. Poco dopo infatti abbassò l’audio dello strumento. Il dottor A.A. in tutta questa fase fu sempre presente””.
Il passaggio che si è appena riferito consente di affrontare un altro dei temi posti nel ricorso (p. 6), ove si sostiene che quanto accaduto sarebbe colpa esclusiva dell’infermiera, mentre si è in presenza, ad avviso di entrambi i giudici di merito, di una colpa concorrente ex art. 41 cod. pen.; in particolare, il Tribunale ha a più riprese indicato (alle pp. 18, 20 e passim) le infermiere come possibili corresponsabili. Quanto alla denunziata inversione dell’onere della prova, non è tale il significato di ciò che si legge alla p. 10 della decisione impugnata, ove, invece, si dice soltanto che la madre è risultata teste attendibile e che la Difesa non ha introdotto elementi per incrinarne la credibilità della donna. Quanto alla mancata perizia sull’apparecchio, spiega la Corte (alle pp. 1011) che non era malfunzionante nell’accezione di rotto o di difettoso ma che fu spenta (ovvero abbassata) la suoneria e che ciò ha inficiato il corretto e costante monitoraggio dei valori dell’ossigenazione del sangue e che, quindi, non vi era motivo per svolgere accertamenti tecnici.
- Quanto al secondo motivo, in tema di grado della colpa, che sarebbe, ad avviso della Difesa, lieve, con conseguente applicabilità del regime normativo più favorevole, la sentenza di appello dedica le pp. 16-17, anche richiamando il contenuto delle pp. 25-26 della sentenza di primo grado, a spiegare perché la colpa debba nel caso di specie ritenersi grave, in ragione del marcato allontanamento dalla condotta improntata a prudenza che ci si sarebbe attesi, in linea con l’autorevole insegnamento di Sez. 4, n. 16237 del 29/01/2013, Cantore, Rv. 255105, nella cui motivazione (sub n. 14 del “considerato in diritto”, alle pp. 20-21) si legge, assai persuasivamente, quanto segue: “l’entità della violazione delle prescrizioni va rapportata proprio agli standard di perizia richiesti dalle linee guida, dalle virtuose pratiche mediche o, in mancanza, da corroborate informazioni scientifiche di base.
Quanto maggiore sarà il distacco dal modello di comportamento, tanto maggiore sarà la colpa; e si potrà ragionevolmente parlare di colpa grave solo quando si sia in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato definito dalle standardizzate regole d’azione”. Ed è proprio applicando tale canone al caso di specie che si è ritenuto che, per effetto dell’avvenuto silenziamento dell’apparecchio, ci si sarebbe dovuti accertare costantemente dei valori e delle condizioni di salute della piccola, non avendo, in definitiva, a disposizione dati certi sulla ossigenazione della paziente.
A ciò si aggiunga che alla p. 23 della sentenza del Tribunale si legge che “In ogni caso è proprio il meccanismo causale che ha condotto alla morte a convincere che una ventilazione meccanica avrebbe evitato l’evento letale: l’arresto cardiaco nel cuore sano della piccola B.B. è stata conseguenza certa di un distress respiratorio prolungato ed evidentemente sottovalutato quando si è deciso incautamente di silenziare i sensori del pulsossimetro e si è abbandonata la piccola al suo destino senza monitorare costantemente i valori della saturazione e le sue effettive condizioni”.
- Censura poi il ricorrente con il terzo motivo, sempre sull’an della responsabilità, la mancata WOLTERS KLUWER ONE LEGALE Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 11 Aprile 2025 pag. 7 assoluzione dell’imputato e la omessa risposta a plurimi rilievi critici mossi in appello. In realtà, leggendo le due sentenze si rinvengono tutte le risposte attese, mentre l’impugnazione tenta – senza riuscirvi – di parcellizzare le questioni, che vengono meramente reiterate. Peraltro, il ricorrente non spiega (cfr. pp. 14-15 del ricorso) in che cosa gli undici testimoni ulteriori rispetto alla madre ad al consulente del P.M., tra i tredici complessivamente escussi, avrebbero fatto emergere “un’altra verità”, in quanto successivamente fa riferimento soltanto ai due consulenti tecnici della Difesa, rispetto ai cui contributi sia il Tribunale (alle pp. 19-21) che la Corte di appello (alle pp. 11- 15) hanno spiegato perché risulti preferibile la ricostruzione del consulente del P.M. Va poi rammentato che il Tribunale dubita della veridicità della documentazione contenuta nel “diario infermieristico” e ne spiega il perché alle pp. 18-21, in ragione della provenienza dello stesso proprio da quelle stesse infermiere che talora hanno risposto “non ricordo” o che non hanno saputo chiarire determinati aspetti (pp. 7-10 e 19) e, soprattutto, che avevano interesse ad allontanare da sé possibili sospetti di responsabilità; e si tratta di valutazione che viene condivisa dalla Corte di appello, che vi aggiunge (alle pp. 13-14) la seguente chiosa: ” in ordine a tali dati oggettivi ed inconfutabili (riferiti in precedenza), di nessun rilievo ed incidenza probatoria è quanto affermato dall’appellante in merito: ai dati rilevabili dal cosiddetto registro infermieristico che, rispetto ai dati ufficialmente riportati nelle cartelle cliniche e non rimessi in discussione nell’atto di gravame, non assume alcuna valenza documentale (… e che) la documentazione infermieristica assume valore probatorio solo se diviene parte integrante della cartella clinica che rappresenta il documento sanitario che costituisce la verbalizzazione dell’attività proprie del reparto ospedaliero”.
Ma, soprattutto, la Corte di appello spiega (alla p. 14) che vi è discrasia tra la cartella clinica, il cui valore legale è noto, che riporta un valore di ossigenazione massimo dell’88 % e il diario infermieristico, redatto dalle infermiere, di cui si è detto, ove è annotato un 95%. Si tratta di ragionamenti che risultano non incongrui né illogici, cui il ricorrente oppone, come nel caso dei precedenti motivi di impugnazione, il proprio mero dissenso soggettivo.
- Infine, sostiene il ricorrente che difetterebbe nel caso di specie l’approfondimento circa il nesso di causalità. L’assunto risulta smentito per tabulas: infatti Corte territoriale parla diffusamente del nesso di causalità alle pp. 11 e ss., recependo con adeguata motivazione la ricostruzione operata dal consulente del P.M; ed occorre dare atto anche che già il Tribunale, alle pp. 12-13, aveva spiegato che “nel corso dell’esame dibattimentale del consulente della pubblica accusa il dottor E.E. ha confermato che laddove fosse stata praticata una adeguata ossigenoterapia attraverso PEEP (ventilazione meccanica) “con altissima probabilità, quasi vicina alla certezza, la bambina avrebbe superato questo momento di grande difficoltà respiratoria”. Il ricorrente si limita – ma inammissibilmente – ad opporre affermazione di segno contrario.
- La situazione risulta impermeabile all’astratto calcolo della prescrizione poiché, non essendosi, in ragione della inammissibilità, instaurato alcun valido rapporto processuale, non possono rilevarsi cause di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen., quale appunto la prescrizione medio tempore in ipotesi maturata (fondamentale principio risalente a Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266; in conformità, tra le Sezioni semplici, v. Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricomi, Rv. 228349). 7. Essendo, quindi, il ricorso inammissibile e non ravvisandosi (art. 616 cod. proc. pen.) assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000 ), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria in dispositivo. Attesa la soccombenza, il ricorrente va anche condannato alla refusione delle spese del giudizio di WOLTERS KLUWER ONE LEGALE Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l. 11 Aprile 2025 pag. 8 legittimità in favore delle parti civili, che si liquidano, esaminata la notula ed in base alle tariffe vigenti, come in dispositivo.