<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, sentenza 12 giugno 2020 n. 113</strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 30-ter, comma 7, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui prevede, mediante rinvio al precedente art. 30-bis, che il provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza entro ventiquattro ore dalla sua comunicazione, anziché prevedere a tal fine il termine di quindici giorni.</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>2.– Dal tenore complessivo dell’ordinanza di rimessione si evince che oggetto delle censure del giudice a quo è unicamente il termine di ventiquattro ore per la proposizione del reclamo avverso le decisioni in materia di permessi premio, che risulta dal richiamo operato dall’art. 30-ter, comma 7, ordin. penit. alle «procedure di cui all’art. 30-bis» ordin. penit., e in particolare al comma 3 di tale disposizione; mentre resta estraneo a tali censure il medesimo termine di ventiquattro ore, previsto dallo stesso art. 30-bis, comma 3, ordin. penit., per i reclami contro i permessi disciplinati dall’art. 30 ordin. penit. (i cosiddetti permessi “di necessità”).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Le questioni sollevate dal giudice a quo devono dunque essere rettamente intese come riferite al solo art. 30-ter, comma 7, ordin. penit., nella parte in cui – richiamando le procedure di cui all’art. 30-bis ordin. penit. – prevede un termine di ventiquattro ore anche per il reclamo contro le decisioni del magistrato di sorveglianza in materia di permessi premio.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.– Le questioni sono fondate in riferimento agli artt. 3, 24 e 27, terzo comma, Cost.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.1.– La sola tipologia di permessi per i detenuti contemplata dalla legge sull’ordinamento penitenziario, nella sua versione originaria, era quella di cui all’art. 30, che disciplina i permessi cosiddetti “di necessità”, i quali possono essere concessi al detenuto nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente, nonché – in via eccezionale – per altri eventi di particolare gravità. L’art. 30-bis ordin. penit., introdotto dalla legge 20 luglio 1977, n. 450 (Modifiche al regime dei permessi ai detenuti ed agli internati previsto dall’art. 30 della legge 26 luglio 1975, n. 354), disciplina il procedimento applicativo di tale beneficio, disponendo in particolare al comma 3 che tanto il detenuto quanto il pubblico ministero possono, entro ventiquattro ore dalla comunicazione del provvedimento del magistrato di sorveglianza, proporre reclamo al tribunale di sorveglianza (ovvero alla corte d’appello, se il provvedimento è stato adottato da altro organo).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Come è noto, la legge 10 ottobre 1986, n. 663 (Modifiche alla legge sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) – la cosiddetta “legge Gozzini” – introdusse nella legge sull’ordinamento penitenziario il nuovo istituto dei permessi premio, disciplinato all’art. 30-ter, il cui comma 7 – in questa sede censurato – dispone che «[i]l provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza, secondo le procedure di cui all’art. 30-bis».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In forza di tale richiamo, il termine per proporre reclamo contro la decisione del magistrato di sorveglianza in materia di permessi premio è il medesimo indicato dall’art. 30-bis, comma 3, ordin. penit. per il reclamo contro il provvedimento relativo ai permessi “di necessità”, ed è dunque pari a ventiquattro ore dalla sua comunicazione.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.2.– La sentenza n. 235 del 1996 di questa Corte, richiamata dalla Sezione rimettente, ha già esaminato questioni di legittimità costituzionale aventi a oggetto l’eccessiva brevità di tale termine, formulate – allora – sotto il concorrente profilo degli artt. 3, 25 e 27 Cost.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Questa Corte aveva sottolineato, in quell’occasione, la funzionalità del permesso premio alla finalità di graduale reinserimento sociale del condannato nella società, definendolo anzi come uno «strumento cruciale ai fini del trattamento»; e ne aveva evidenziato la «profonda distinzione» rispetto al permesso cosiddetto di necessità previsto dall’art. 30 ordin. penit., «istituto peraltro non connaturato alla esecuzione della pena», potendo essere concesso anche prima del passaggio in giudicato della sentenza.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La Corte non aveva potuto non rilevare, allora, «che la fissazione di un identico termine per il reclamo nei confronti dei provvedimenti concernenti i permessi di necessità ed il reclamo nei confronti dei provvedimenti concernenti i permessi premio si rivel[a] non ragionevole, rispondendo ciascuno dei due provvedimenti reclamati a presupposti e finalità diverse»; e che la stessa disciplina dell’art. 30-ter, comma 7, non poteva non suscitare «dubbi di ragionevolezza, potendo apparire non del tutto congruo il termine di ventiquattro ore per censurare un provvedimento che incide su un regime che è parte integrante del trattamento e da cui possono discendere conseguenze dirette anche al fine dell’applicazione delle misure alternative alla detenzione».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Tuttavia, la Corte aveva ritenuto di doversi arrestare a una pronuncia di inammissibilità delle questioni prospettate, non riuscendo a rintracciare nell’ordinamento una soluzione costituzionalmente obbligata che potesse consentire di porre direttamente rimedio alla pur riscontrata eccessiva brevità del termine in esame.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Un tale compito non poteva, secondo la Corte, che spettare al legislatore, il quale era stato così invitato a «provvedere, quanto più rapidamente, alla fissazione di un nuovo termine che contemperi la tutela del diritto di difesa con le esigenze di speditezza della procedura».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.3.– A ventiquattro anni di distanza da quel monito, rimasto inascoltato, questa Corte non può che ribadire la valutazione di contrarietà alle norme costituzionali del termine in esame, già espressa in sostanza nella sentenza n. 235 del 1996.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Irragionevole al metro dell’art. 3 Cost. appare, anzitutto, la previsione di un unico termine di ventiquattro ore sia per il reclamo avverso il provvedimento relativo ai permessi “di necessità” – rispetto ai quali la brevità del termine appare correlata, nell’ottica del legislatore, alla situazione di urgenza allegata dall’interessato a fondamento della propria richiesta –, sia per il reclamo contro la decisione sui permessi premio, rispetto alla quale tali ragioni di urgenza certamente non sussistono.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Ingiustificatamente pregiudizievole rispetto all’effettività del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. è, d’altra parte, un termine così breve rispetto alla necessità, per l’interessato, di articolare compiutamente nello stesso reclamo, a pena di inammissibilità, gli specifici motivi in fatto e in diritto sui quali il tribunale di sorveglianza dovrà esercitare il proprio controllo sulla decisione del primo giudice. E ciò anche in relazione alla oggettiva difficoltà, per il detenuto, di ottenere in un così breve lasso di tempo l’assistenza tecnica di un difensore, che pure è – in via generale – parte integrante del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento (sentenze n. 143 del 2013, n. 120 del 2002, n. 175 del 1996, e ulteriori precedenti ivi richiamati).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Tali ostacoli alla possibilità di far valere efficacemente le proprie ragioni avverso una decisione su un istituto già riconosciuto dalla sentenza n. 235 del 1996 come «cruciale ai fini del trattamento», e di cui la costante giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto l’essenziale «funzione “pedagogico-propulsiva” (sentenze n. 504 del 1995, poi sentenze n. 445 del 1997 e n. 257 del 2006) [che] permette l’osservazione da parte degli operatori penitenziari degli effetti sul condannato del temporaneo ritorno in libertà (sentenza n. 227 del 1995)» (sentenza n. 253 del 2019), determinano infine un indebito ostacolo alla stessa funzione rieducativa della pena di cui all’art. 27, terzo comma, Cost. nell’eventualità di decisioni erronee del magistrato di sorveglianza, che l’interessato non abbia la possibilità di contestare efficacemente avanti al tribunale di sorveglianza proprio per effetto dell’eccessiva brevità del termine concessogli per il reclamo.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.4.– D’altra parte, l’introduzione, ad opera dell’art. 3, comma 1, lettera b), del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146 (Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria), convertito, con modificazioni, nella legge 21 febbraio 2014, n. 10, della disciplina di cui all’art. 35-bis ordin. penit. sul reclamo giurisdizionale avverso le decisioni delle autorità penitenziarie che riguardano il detenuto, fornisce oggi – come giustamente rileva il giudice a quo – un «precis[o] punto di riferimento, già rinvenibil[e] nel sistema legislativo» (sentenza n. 236 del 2016) idoneo a eliminare il vulnus riscontrato, ancorché non costituente l’unica soluzione costituzionalmente obbligata (sentenze n. 242, n. 99 e n. 40 del 2019, nonché n. 233 e n. 222 del 2018).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Il comma 4 del menzionato art. 35-bis ordin. penit. prevede nell’ambito di quel procedimento – che disciplina in via generale il controllo giurisdizionale su tutte le decisioni che incidono sui diritti del detenuto – il termine di quindici giorni per il reclamo innanzi al tribunale di sorveglianza, decorrente dalla notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito della decisione del magistrato di sorveglianza. Tale termine – che peraltro coincide con quello previsto in via generale dall’art. 585 cod. proc. pen. per l’impugnazione dei provvedimenti emessi all’esito della camera di consiglio – costituisce dunque una soluzione già esistente nel sistema, che si presta naturalmente a essere estesa al reclamo avverso i provvedimenti del magistrato di sorveglianza concernenti i permessi premio, da presentare parimenti al tribunale di sorveglianza. E ciò ferma restando la possibilità per il legislatore di individuare – nel rispetto dei principi costituzionali sopra richiamati – altro termine, se ritenuto più congruo, per lo specifico reclamo in esame.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.5.– L’art. 30-ter, comma 7, ordin. penit. deve pertanto essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede, mediante rinvio al precedente art. 30-bis, che il provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza entro ventiquattro ore dalla sua comunicazione, anziché prevedere a tal fine il termine di quindici giorni, tanto per l’interessato quanto per il pubblico ministero, restando fermo il rinvio alle procedure di cui all’art. 30-bis ordin. penit. per ogni profilo diverso dal termine per il reclamo.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>4.– Resta assorbita la questione formulata con riferimento all’art. 111 Cost.</em></p>