<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte di Cassazione, I Sezione Penale, sentenza 12 maggio 2021, n. 18434</strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>PRINCIPIO DI DIRITTO</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>Anche a seguito delle modifiche introdotte all’art. 41 bis Ord. Pen. dalla L. n. 94 del 2009, il controllo svolto dal Tribunale di sorveglianza sul decreto di proroga del regime di detenzione differenziato, diversamente dal sindacato conducibile nel giudizio di legittimità, non è limitato ai profili di violazione della legge per inosservanza o erronea applicazione, ma si estende alla motivazione ed alla sussistenza, sulla base delle circostanze di fatto indicate nel provvedimento, dei requisiti della capacità del soggetto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, della sua pericolosità sociale e del collegamento funzionale tra le prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza.</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em> </em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il ricorso proposto è infondato e va dunque respinto.</em></p> <ol style="text-align: justify;"> <li><em> È noto che la L. n. 354 del 1975, art. 41-bis, comma 2-bis, sostituito dalla L. 23 dicembre 2002, n. 279, art. 2 e da ultimo dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 2, comma 25, lett. b), stabilisce che i <strong>provvedimenti applicativi del regime di detenzione differenziato</strong> "sono prorogabili nelle stesse forme per periodi successivi, ciascuno pari ad un anno, purché non risulti che la capacità del detenuto o dell’internato di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o eversive sia venuta meno". L’ambito del sindacato devoluto alla Corte di cassazione è segnato dal comma 2-sexies del novellato <strong>art. 41-bis</strong>, a norma del quale il Procuratore generale presso la Corte d’appello, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni della sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale per violazione di legge. Per pacifico arresto giurisprudenziale, la limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da intendere nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza di specifiche disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione, integrante in sé un’ipotesi di trasgressione, sia del disposto generale dall’art. 125 c.p.p., sia della prescrizione dell’art. 41-bis Ord. Pen., comma 2-sexies, secondo la quale il Tribunale di Sorveglianza "decide in camera di consiglio, nelle forme previste dagli artt. 666 e 678 c.p.p., sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento e sulla congruità del contenuto dello stesso rispetto alle esigenze di cui al comma 2".</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>1.1. Da tali premesse, precisa la Corte, discende che l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza, che abbia deciso il reclamo avverso il decreto applicativo del regime detentivo differenziato, oppure quello di proroga, è censurabile col <strong>ricorso per cassazione</strong> in caso di motivazione graficamente assente, constando il provvedimento del solo dispositivo ed in quelli, ben più frequenti, nei quali l’apparato giustificativo del provvedimento sia privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidoneo a rendere comprensibile la ratio decidendi perché le relative linee esplicative sono talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da compromettere l’intelligibilità della decisione, ovvero ancora quando non affrontino le tematiche poste col reclamo, sostanzialmente eluse, tutte situazioni nelle quali le argomentazioni giustificative, pur presenti, in realtà non assolvano alla funzioni cui sono destinate (Sez. Un. 28/5/2003, Pellegrino, Rv. 224611; Sez. 1, 9/11/2004, Santapaola, Rv. 230203).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>1.2. È, invece, da escludere che la <strong>violazione di legge</strong> possa ricomprendere il vizio di insufficienza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, che non può evidentemente trovare ingresso nel giudizio di legittimità in merito all’applicazione o alla proroga del regime detentivo differenziato.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>1.3. Deve poi ricordarsi che, per effetto dei principi interpretativi, formulati da questa Corte dalla sentenza n. 423 del 26/1/2004, Zara, Rv. 228049 in poi e ribaditi dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 417 del 13/12/2004, che ha respinto la questione di incostituzionalità della norma di cui all’art. 41-bis Ord. Pen., comma 2-bis, nel testo introdotto dalla L. n. 279 del 2002, art. 2, la conformità alla Costituzione della disposizione è garantita soltanto a condizione che ogni decreto applicativo o di proroga sia dotato di <strong>congrua e propria motivazione in ordine alla sussistenza o persistenza dei presupposti per la sottoposizione al regime detentivo differenziato</strong>, non consentendo l’ordinamento giuridico una perpetuazione automatica della compressione dei diritti del condannato in espiazione di pena, disposta al di fuori del vaglio giudiziale ancorato alla situazione personale concreta ed alla reale ed attuale pericolosità sociale nella sua forma specifica della capacità di mantenere collegamenti con le associazioni criminali di appartenenza. Al riguardo, tenuto conto della riforma ulteriore dell’art. 41-bis, comma 2-bis, introdotta nel 2009, e pure sottoposta a verifica di conformità ai principi costituzionali (sent. n. 190 del 2010), va ricordato che la <strong>proroga</strong> del decreto ministeriale postula l’accertamento della <strong>persistenza della capacità del condannato di tenere contatti con l’associazione di riferimento</strong>, non già l’effettivo mantenimento di tali relazioni, verifica da condurre anche utilizzando gli specifici <strong>parametri</strong>, ritenuti dal legislatore significativi e non necessariamente compresenti, del profilo criminale, della posizione rivestita dal soggetto in seno all’organizzazione, della perdurante operatività del sodalizio, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non considerate in precedenza, degli esiti del trattamento intramurario e del tenore di vita dei familiari, in ordine ai quali è necessario che il provvedimento del Tribunale di sorveglianza espliciti la valutazione condotta sulla scorta di <strong>circostanze ed elementi concreti</strong>, significanti che il pericolo di contatti del condannato con l’esterno ed i gruppi criminali di appartenenza, quindi della ripresa dell’attività criminosa, non è cessato (sez. 7, n. 19290 del 10/03/2016, Giuliano, Rv. 267248; Sez. 1, n. 18791 del 06/02/2015, Caporrimo, Rv. 263508; Sez. 5, n. 40673 del 30/05/2012, Badagliacca, Rv. 253713; Sez. 5, n. 18054 del 25/01/2012, Russo, Rv. 253759; Sez. 1, n. 14822 del 03/02/2009, P.G. in proc. Calabrò, Rv. 243736).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>1.4. Infine, soggiunge la Corte, deve richiamarsi per la piena condivisione del relativo principio, quanto affermato anche di recente da questa sezione, ossia che "Ai fini della proroga del regime detentivo differenziato di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 41-bis, l’accertamento dell’attuale capacità del condannato di mantenere contatti con l’associazione criminale, da svolgere tenendo conto dei parametri indicati in termini non esaustivi dal comma 2-bis della norma citata, si sostanzia in un ponderato apprezzamento di merito involgente tutti gli elementi, non necessariamente sopravvenuti, rivelatori della permanenza delle condizioni di pericolo già in origine poste a fondamento del suddetto regime. (In applicazione del principio la Corte ha ritenuto adeguatamente motivato il provvedimento di proroga fondato, tra l’altro, sulla posizione di rilievo assunta dal ricorrente in un "clan" camorristico ancora attivo e operativo nell’ambito territoriale di riferimento e sui suoi legami familiari con l’esponente di vertice) " (Sez. 1, n. 2660 del 09/10/2018, dep. 2019, Vinciguerra, Rv. 274912).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>1.5. È comunque altrettanto assodato che non sussiste un onere a carico del condannato di offrire prova della cessazione di tale pericolo, <strong>gravando piuttosto sull’amministrazione penitenziaria dimostrare che le condizioni giustificanti la sottrazione al regime ordinario permangono</strong>.</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="2"> <li><em> Tanto premesso, prosegue la Corte, vanno svolte alcune precisazioni in merito alla <strong>natura dei</strong> poteri cognitivi, demandati alla giurisdizione di sorveglianza, in riferimento ai <strong>provvedimenti di applicazione o di proroga del regime detentivo differenziato</strong>.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>2.1 Invero, il provvedimento impugnato, dopo avere premesso alcuni "criteri di giudizio" che in via programmatica il Tribunale ha inteso enunciare, alla pagina 3 ha affermato che il proprio intervento cognitivo, sollecitato dal reclamo, fosse assimilabile "ad un giudizio di legittimità avente ad oggetto la congruità della motivazione del decreto in relazione agli elementi informativi posseduti e vagliati dal Ministro della Giustizia".</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.2 Ebbene, afferma la Corte, il tema è stato posto e più volte risolto in primo luogo dagli interventi interpretativi della Consulta. Chiamata a verificare la compatibilità con la Carta costituzionale del regime carcerario speciale, sin dagli anni novanta la Corte costituzionale aveva riscontrato <strong>l’inviolabilità dei diritti fondamentali della persona</strong>, poiché costituzionalmente protetti, <strong>quale limite al potere discrezionale dell’Amministrazione penitenziaria</strong> di inasprire con l’imposizione di specifiche prescrizioni le modalità di espiazione della pena detentiva. Aveva quindi riconosciuto che, contro tale inasprimento, pur in assenza di espressa previsione normativa, la tutela andava riconosciuta mediante l’esperibilità del <strong>reclamo</strong> proponibile all’autorità giudiziaria ordinaria, secondo quanto previsto più in generale dall’art. 14-ter dell’ordinamento penitenziario, ritenuto applicabile a tutti i regimi detentivi fondati su forme qualificate di pericolosità. Mediante il reclamo era consentito provocare il sindacato giurisdizionale sulle determinazioni dell’amministrazione per riscontrare l’effettiva sussistenza dei presupposti applicativi e la conformità del decreto ai limiti imposti dalla legge e dalla Costituzione, col riconoscimento, in caso di accertata violazione dei diritti del detenuto, della possibilità della sua disapplicazione (Corte Cost., 18 ottobre 1996, n. 351; 22 luglio 1994, n. 332; 23 novembre 1993, n. 410; 28 luglio 1993, n. 349). Si era, dunque, definito il controllo esercitabile dalla magistratura di sorveglianza come attinente al contenuto dispositivo ed alla <strong>legittimità delle singole misure imposte nell’ambito di un sindacato di ampia latitudine</strong>, da condursi sino al punto da disattendere eventuali limitazioni illegittimamente penalizzanti per i diritti del detenuto. Tali indicazioni esegetiche erano state interpretate in senso restrittivo dalla giurisprudenza di legittimità che, sul presupposto della <strong>natura amministrativa</strong> del decreto ministeriale applicativo, incidente sui diritti soggettivi del detenuto, pur avendo ribadito il controllo sulla legittimità del provvedimento, aveva escluso il potere giudiziale di integrazione e modificazione rispetto a singole prescrizioni imposte ed ammesso la mera possibilità di disporne la <strong>revoca</strong> a fronte del riscontro della carenza delle ragioni giustificative (Cass. sez. 1, n. 4251 del 04/10/1994, P.G. in proc. Greco, rv. 199482; sez. 1, n. 2625 del 28/04/1995, P.G. in proc Farinella, rv. 201479; sez. 1, n. 3890 del 27/06/1995, P.G. in proc. Minichini, rv. 202437; sez. 1, n. 4149 del 07/07/1995, P.M. e Toma, rv. 202344; sez. 1, n. 6873 del 22/12/1995, P.G. in proc. Furnari, rv. 203659).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.3 Gli orientamenti già espressi dalla giurisprudenza, anche costituzionale, hanno trovato positivo riconoscimento, dapprima con la L. 7 gennaio 1998, n. 11, art. 4, introduttivo dell’art. 41-bis, comma 2-bis, che ha assegnato al tribunale di sorveglianza la competenza a decidere i reclami avverso i provvedimenti in materia di sospensione delle regole ordinarie di trattamento dei detenuti, quindi con la L. 23 dicembre 2002, n. 279. L’art. 2 di tale legge ha innovato il testo dell’art. 41-bis Ord. Pen. mediante sostituzione dei commi 2 e 2-bis ed aggiunta di quattro nuovi commi, con i quali sono stati ridefiniti: i presupposti e le finalità del regime detentivo differenziato; il procedimento applicativo, la durata e la prorogabilità delle misure; la revoca del provvedimento conseguente al venire meno delle esigenze che l’hanno giustificato; le limitazioni adottabili con la sospensione delle regole del trattamento; la possibilità di presentare reclamo al tribunale di sorveglianza, il relativo procedimento e la ricorribilità per cassazione contro la decisione del reclamo. In particolare, assume rilievo la previsione del comma 2-sexies, secondo il quale al giudice spetta il sindacato sulla "sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento e sulla congruità del contenuto dello stesso rispetto alle esigenze" di cui al comma 2 della norma stessa.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Alla novellazione del testo dell’art. 41-bis Ord. Pen., chiosa ancora la Corte, la giurisprudenza di legittimità, allineandosi alle osservazioni della Consulta (C. Cost. ord., n. 417 del 23/12/2004) ha adeguato le proprie posizioni, pretendendo dall’ordinanza del tribunale di sorveglianza che abbia deciso sul reclamo dell’interessato una "autonoma congrua <strong>motivazione</strong> in ordine alla permanenza attuale dei pericoli per l’ordine e la sicurezza che le misure medesime mirano a prevenire" e tanto anche in riferimento al decreto ministeriale di proroga, nella ribadita inammissibilità del ricorso a "motivazioni apparenti o stereotipe, inidonee a giustificare in termini di attualità le misure disposte" (sez. 1, n. 15283 del 4/4/2006 Orefice, rv. 234844; sez. 1, n. 22721 del 26/03/2013, Di Grazia, rv. 256495). Ulteriore intervento legislativo di modifica del testo dell’art. 41-bis Ord. Pen. si è registrato con la L. n. 94 del 2009, che con il primo capoverso del comma 2-quater ha sostituito la locuzione "può comportare" con la dizione "prevede" e ha inserito la previsione di un <strong>numero tassativo ed obbligatorio di restrizioni</strong>, da applicare ai soggetti destinatari della norma e con il comma 2- sexies ha eliminato quale oggetto del sindacato giudiziale sul decreto ministeriale il controllo sulla congruità del contenuto del provvedimento rispetto alle esigenze di sicurezza pubblica, da esercitarsi quindi soltanto sulla ricorrenza dei presupposti applicativi.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Le censure di incostituzionalità per contrasto con l’art. 13 Cost., comma 2, l’art. 24 Cost., comma 1, e l’art. 113 Cost., commi 1 e 2, sollevate in merito alla portata della nuova formulazione del <strong>comma 2-sexies</strong> sono state disattese dalla Corte costituzionale, che, dapprima con le ordinanze nn. 220 e 313 del 2009, quindi con le sentenze n. 266 del 2009 e n. 190 del 2010, ha offerto un’interpretazione sistematica della nuova norma nel contesto dei vari istituti dell’ordinamento penitenziario; ha dunque riscontrato: il mantenimento immutato nell’ambito di tale corpo normativo del rimedio previsto dall’art. 14-ter, quale strumento col quale far valere la violazione dei diritti del detenuto anche nei riguardi del decreto di sottoposizione al regime detentivo differenziato; la contrazione dei poteri discrezionali del Ministro della giustizia nella scelta circa il contenuto del regime imposto per la possibilità di applicare soltanto le prescrizioni limitative, previste in un elenco tassativo, sul presupposto della ritenuta già operata dal legislatore valutazione di congruità rispetto al fine perseguito di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblici; la perdurante esistenza del sindacato sulla legittimità del contenuto dell’atto quanto all’eventuale violazione dei diritti soggettivi del destinatario.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ha dunque concluso che la novellazione dell’art. 41-bis non ha soppresso uno strumento di tutela a garanzia del detenuto, che può sempre esperire il reclamo ex art. 14-ter Ord. Pen., e che l’intervento giudiziale del tribunale di sorveglianza, chiamato a pronunciarsi sul reclamo, continua a riguardare le condizioni di applicazione del regime detentivo speciale e la funzionalità della sua imposizione al perseguimento delle finalità previste dalla disciplina normativa. Pertanto, come affermato da sez. 1, n. 22721 del 26/03/2013, Di Grazia, rv. 256495, "la scomparsa del riferimento testuale al controllo sulla congruità dei mezzi rispetto ai fini, (ma) non ha certamente eliminato il controllo di legittimità sul contenuto dell’atto in relazione all’eventuale violazione di diritti soggettivi del detenuto", sicché l’<strong>interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 41-bis Ord. Pen.</strong> impone la conclusione per cui, anche dopo le modifiche introdotte al suo testo dalla L. n. 94 del 2009, il controllo di legalità, da parte del Tribunale di sorveglianza, sui presupposti del provvedimento applicativo o di proroga del regime differenziato continua ad essere fondato sui principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale e da quella di legittimità più recente.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.4 La verifica del Tribunale di sorveglianza, in quanto organo giurisdizionale di merito, non è circoscritta al solo rispetto delle norme di legge costituenti il parametro del giudizio espresso nel decreto ministeriale e si deve estendere alla relativa motivazione in riferimento alle circostanze di fatto valutate, come desunte dalle fonti compulsate, per riscontrarne la valenza e l’idoneità rappresentativa della capacità del soggetto sottoposto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata e della sua pericolosità sociale ed assicurare il collegamento funzionale tra prescrizioni imposte e tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza. Ed in ciò si apprezza la distinzione con i margini più limitati di intervento del sindacato del giudice di legittimità, riguardante il <strong>solo vizio di violazione di legge sostanziale e processuale</strong> e quindi esercitatile, quanto alla legalità della decisione sul reclamo, in riferimento ai parametri normativi che regolano il procedimento e la materia ed alla presenza di motivazione, reale ed effettiva, senza potersi addentrare in considerazioni sul materiale probatorio, la sua corretta valutazione e la logicità del procedimento inferenziale che ha condotto alla decisione, nè poter prendere in esame, per quanto già esposto, eventuali profili di illogicità o contraddittorietà della motivazione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Va dunque formulato il seguente principio di diritto: "Anche a seguito delle modifiche introdotte all’art. 41 bis Ord. Pen. dalla L. n. 94 del 2009, il controllo svolto dal Tribunale di sorveglianza sul decreto di proroga del regime di detenzione differenziato, diversamente dal sindacato conducibile nel giudizio di legittimità, non è limitato ai profili di violazione della legge per inosservanza o erronea applicazione, ma si estende alla motivazione ed alla sussistenza, sulla base delle circostanze di fatto indicate nel provvedimento, dei requisiti della capacità del soggetto di mantenere collegamenti con la criminalità organizzata, della sua pericolosità sociale e del collegamento funzionale tra le prescrizioni imposte e la tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza".</em></p> <ol style="text-align: justify;" start="3"> <li><em> Se dunque, per le considerazioni esposte, non può essere condivisa in linea di principio l’affermazione del Tribunale di sorveglianza, per la quale il compito devolutogli dalla proposizione del reclamo del detenuto non si traduce in una <strong>delibazione</strong> di merito, ma <strong>di mera legittimità</strong>, ciò nonostante, l’ordinanza in verifica risulta corredata da motivazione effettiva e chiaramente esplicativa delle ragioni della decisione, che ha investigato i profili fattuali necessari per ravvisare la legittima proroga della sottoposizione del ricorrente al regime penitenziario differenziato di cui alla L. n. 354 del 1975, art. 41-bis.</em></li> </ol> <p style="text-align: justify;"><em>3.1 II provvedimento impugnato, chiarisce infatti la Corte, ha ancorato il giudizio circa la perdurante sussistenza del pericolo di mantenimento dei contatti con l’organizzazione di appartenenza da parte del ricorrente: alla <strong>natura dei fatti</strong> per i quali egli ha riportato condanna irrevocabile; al <strong>ruolo di rilievo</strong> svolto nell’ambito dell’organizzazione di stampo mafioso "cosa nostra", quale reggente del mandamento di San Giuseppe Jato; al suo <strong>attivismo</strong> nel mantenere contatti con esponenti mafiosi di altre famiglie e nel favorire la costituzione del nuovo mandamento di Camporeale; alla <strong>perdurante operatività</strong> nel territorio d’influenza della stessa compagine, mostratasi in grado di riorganizzarsi ed adattarsi alla scomparsa dei vecchi capimafia R. e P. , secondo quanto dimostrato da recenti investigazioni relative ad attività criminali del 2018; alla <strong>mancata</strong> emersione grazie all’osservazione penitenziaria di elementi sintomatici di <strong>dissociazione</strong> e di recupero ai valori della legalità.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Sotto quest’ultimo profilo l’ordinanza ha evidenziato che M. ha riportato sanzioni disciplinari per passaggi non consentiti e, pur disponibile al dialogo con gli operatori penitenziari, nega di aver commesso i reati ascrittigli.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ha quindi concluso che le restrizioni imposte sono funzionali a salvaguardare l’ordine e la sicurezza pubblica, nella sussistenza del <strong>concreto pericolo di una ripresa dei contatti del ricorrente con gli esponenti liberi dell’organizzazione</strong> e della possibilità che, ammesso al regime ordinario, possa impartire ordini, determinare o suggerire il compimento di ulteriori intraprese delittuose.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>3.2. Il Tribunale di sorveglianza, soggiunge inoltre la Corte, ha preso in considerazione anche i profili di contestazione articolati col reclamo, che ha disatteso, rilevando che il ruolo criminale qualificato, assunto dal ricorrente all’interno dell’organizzazione, la vitalità attuale della stessa cosca, l’assenza di elementi indicativi della dissociazione o dello scioglimento della consorteria di stampo mafioso, giustificano il giudizio prognostico circa la attuale capacità di mantenere contatti con l’organizzazione ed i suoi partecipi ancora liberi.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>3.3. Tale percorso giustificativo della decisione assunta non può dirsi apparente, nè frutto della carente valutazione delle ragioni del reclamo e dell’omessa considerazione della capacità del detenuto di mantenere i contatti con il sodalizio di appartenenza, come preteso dall’art. 41-bis, comma 2-bis, tanto più che, per affermazione di questa Corte, che si condivide, "In tema di trattamento penitenziario differenziato, non costituisce violazione di legge, unico vizio legittimante il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di applicazione o di proroga del regime previsto dalla L. n. 354 del 1975, art. 41 bis, l’omessa enunciazione delle ragioni per le quali il Tribunale di sorveglianza non abbia ritenuto rilevanti gli argomenti e la documentazione prodotta dalla difesa, ove i dati assunti a fondamento della decisione siano sufficienti a sostenerla e non risultino intrinsecamente apparenti o fittizi" (Sez. 1, n. 37351 del 06/05/2014, Trigila, Rv. 260805).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>3.4 Non hanno alcun fondamento le doglianze espresse in ricorso, che censurano in modo non consentito la struttura motivazionale del provvedimento in esame ed assumono come verificate circostanze rimaste prive di riscontro probatorio, quali precedenti assoluzioni rispetto alla condanna per la quale sta espiando pena detentiva ed il mancato svolgimento di funzioni apicali. Si tratta di deduzioni che non contraddicono l’attribuzione, ormai irrevocabile, del ruolo dirigenziale nell’ambito del mandamento di cui è originario e richiamano una fonte dichiarativa, escussa in un imprecisato contesto processuale, che evidentemente non è stata ritenuta significativa o è stata smentita da altre risultanze apprezzate come più convincenti.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Del pari la contestazione sull’assenza di relazioni e contatti con altri esponenti delle cosche mafiose della provincia di Palermo e Trapani è oggetto di labiale affermazione, rimasta priva di agganci probatori.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>È, poi, smentita anche la pretesa regolarità del comportamento tenuto durante la detenzione, risultando dall’ordinanza impugnata l’irrogazione di plurime sanzioni disciplinari e l’assoluta mancanza di resipiscenza o di revisione critica per le esperienze criminose passate, del tutto negate nella loro verificazione. Si richiama al riguardo quanto affermato da questa Corte, ossia che, per poter accogliere il ricorso avverso il provvedimento di proroga del regime detentivo differenziato di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 41-bis, è necessaria l’acquisizione di elementi specifici e concreti, indicativi della sopravvenuta carenza di pericolosità sociale, che <strong>non</strong> possono identificarsi con <strong>il mero trascorrere del tempo dalla prima applicazione del regime differenziato</strong>, nè essere rappresentati da un apodittico e generico riferimento a non meglio precisati risultati dell’attività di trattamento penitenziario (Sez. 1, n. 32337 del 03/07/2019, Graviano, Rv. 276720; Sez. 1, n. 14822 del 3/02/2009, Pg in proc. Calabrò, Rv. 243736).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Infine, non viene considerata in ricorso la recentissima sottoposizione di M. a misure di prevenzione, personale e reale, che hanno interessato anche le proprietà intestate a moglie e figlio sul presupposto della sua attuale pericolosità sociale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il ricorso va dunque respinto con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p>