<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, sentenza 8 novembre 2019 n. 229</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>Va dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 58-quater, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui si applica ai condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di cui all’art. 630 del codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato; va altresì dichiarata, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 58-quater, comma 4, ordin. penit., nella parte in cui si applica ai condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di cui all’art. 289-bis cod. pen. che abbiano cagionato la morte del sequestrato.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Secondo la dottrina sinora espressasi sul punto, il tenore letterale dell’art. 58-quater, comma 4, ordin. penit. farebbe inequivoco riferimento all’ipotesi dolosa, prevista dall’art. 630, terzo comma, cod. pen., in cui «</em>il colpevole cagiona la morte del sequestrato<em>», e non già a quella, prevista dal secondo comma, in cui «</em>dal sequestro deriva comunque la morte, quale conseguenza non voluta dal reo, della persona sequestrato<em>». Il giudice a quo, tuttavia, motiva in maniera non implausibile la propria scelta ermeneutica, argomentando nel senso della riconducibilità all’area semantica del verbo “</em>cagionare<em>” anche dell’ipotesi in cui la morte del sequestrato sia comunque “</em>derivata<em>”, in termini eziologici, dalla condotta dell’autore del reato, ancorché quest’ultimo non fosse animato dalla volontà di uccidere la vittima.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Anche per i condannati a pena temporanea per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione qualificato dalla causazione della morte della vittima vale anzitutto il rilievo, già svolto dalla sentenza n. 149 del 2018 in riferimento ai condannati all’ergastolo per il medesimo reato, che la rigida preclusione temporale posta dalla disposizione censurata all’accesso ai benefici sovverte irragionevolmente la logica gradualistica sottesa al principio della «</em>progressività trattamentale e flessibilità della pena<em>», già enucleato da numerose pronunce della Corte (sentenze n. 257 del 2006, n. 255 del 2006, n. 445 del 1997 e n. 504 del 1995) come corollario del mandato costituzionale secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, fissando l’unica e indifferenziata soglia dell’espiazione effettiva dei due terzi della pena irrogata quale condizione per l’accesso a tutti i benefici penitenziari. In tal modo, la disposizione opera in senso distonico rispetto all’obiettivo, costituzionalmente imposto, di consentire alla magistratura di sorveglianza di verificare gradualmente e prudentemente, anzitutto attraverso la concessione di permessi premio e l’autorizzazione al lavoro all’esterno, l’effettivo percorso rieducativo compiuto dal soggetto, prima di ammetterlo in una fase successiva dell’esecuzione – sulla base anche dell’esito positivo di quelle prime sperimentazioni – alla semilibertà e poi alla liberazione condizionale. Il che determina la violazione da parte delle norme denunciate del combinato disposto degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Come giustamente rilevato da entrambi i giudici rimettenti, inoltre, la rimozione della preclusione contenuta nella disposizione censurata con riferimento ai condannati all’ergastolo da parte della sentenza n. 149 del 2018 ha prodotto l’irragionevole conseguenza che, oggi, essi godono di un trattamento penitenziario più favorevole rispetto a quello riservato ai condannati a pena detentiva temporanea per i medesimi titoli di reato. I condannati alla pena dell’ergastolo che abbiano cagionato la morte del sequestrato, infatti, possono – in forza della citata sentenza n. 149 del 2018 – accedere al beneficio del permesso premio, in caso di collaborazione o condizioni equiparate, dopo aver espiato dieci anni di pena, riducibili sino a otto anni grazie alla liberazione anticipata. I condannati a pena detentiva temporanea per il medesimo titolo delittuoso possono invece accedere al predetto beneficio, a parità di condizioni quanto alla collaborazione con la giustizia, solo dopo aver scontato i due terzi della pena inflitta, senza poter beneficiare di alcuna riduzione di tale termine a titolo di liberazione anticipata: e cioè dopo aver scontato un periodo di detenzione che – tenuto conto delle elevatissime cornici edittali previste per le ipotesi delittuose in questione – è nella generalità dei casi ben superiore a otto anni, come mostrano del resto i due casi oggetto dei giudizi </em>a quibus<em>. Una tale conseguenza, evidentemente incompatibile con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3, primo comma, Cost., era stata peraltro puntualmente segnalata all’attenzione del legislatore da parte di questa Corte nella sentenza n. 149 del 2018, senza che – tuttavia – a tale monito abbia fatto seguito la necessaria modifica della normativa vigente. Da tutto ciò consegue la necessità di rimuovere la preclusione stabilita dall’art. 58-quater, comma 4, ordin. penit. anche con riferimento ai condannati a pena temporanea per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione che abbiano cagionato (dolosamente o colposamente) la morte del sequestrato, con conseguente automatica riespansione, nei loro confronti, della disciplina applicabile alla generalità dei condannati per i delitti previsti dall’art. 4-bis, comma 1, ordin. penit.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Così come avvenuto nella sentenza n. 149 del 2018, la presente dichiarazione di illegittimità costituzionale deve essere estesa, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), alla parte della disposizione censurata che si riferisce ai condannati a pene detentive temporanee per il delitto di sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione, di cui all’art. 289-bis cod. pen., che abbiano cagionato la morte del sequestrato. Per effetto della presente pronuncia, dunque, la disposizione di cui all’art. 58-quater, comma 4, ordin. penit. resta interamente caducata.</em></p>