Massima
La libertà di testare fino all’ultimo attimo di vita – e quella, correlata, di ricevere per via successoria quanto spettante – corrispondono entrambe ad un inviolabile principio di ordine pubblico che i privati non possono compromettere in alcun modo (né diretto, né indiretto) con pattuizioni capaci, all’opposto, di vincolare ex ante ed in modo irreversibile una successione (o una quota di essa, o singoli beni che la compongono) ad una prefissata destinazione soggettiva; tale destinazione deve dunque poter essere revocata dal soggetto della cui successione si tratta, salve le eccezioni peculiarmente (ed espressamente) previste dalla legge, mentre il soggetto che naturaliter ne sarebbe il beneficiario non può rinunziarvi anzitempo o disporre, del pari anzitempo, dei pertinenti diritti.
Crono-articolo
Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)
1865
Nella codificazione liberale l’articolo 954 vieta la rinunzia all’eredità di una persona vivente e l’alienazione dei diritti eventuali su detta eredità; il successivo art. 1118 sancisce poi in via generale il divieto di stipulazione intorno ad una successione non ancora aperta.
1942
Il codice civile all’art.458 dichiara nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione, ed altresì nullo ogni atto col quale taluno disponga dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi. Da notare come il progetto definitivo del libro delle successioni dapprima riportasse, una sola norma del codice abrogato (l’art.954 sui c.d. patti rinunciativi, riprodotta nell’art. 70 del progetto definitivo) mentre nella stesura definitiva il legislatore del codice civile conferisce al divieto dei patti successori una portata assai più generale (includendovi anche i patti istitutivi e quelli dispositivi). Significativo, in tema di patti successori c.d. rinunciativi, l’art.557 che, in tema di successione necessaria, vieta ai legittimari – durante la vita del soggetto della cui successione si tratta – di rinunciare pro futuro all’azione di riduzione per eventuale lesione della quota di legittima. Rilevante altresì l’art.771 in tema di nullità della donazione di beni non presenti nel patrimonio del donante, e dunque di beni futuri (tra i quali appunto quelli che si riceveranno per via successoria), nonché l’art.791 che prevede la possibilità per il donante di disporre la reversibilità a sé medesimo dei beni donati in caso di premorienza del donatario. Degno di nota anche l’art.1412 sul contratto a favore di terzo con effetti posticipati alla morte dello stipulante. Importante infine anche l’art.2284 c.c. che prevede la possibilità per i soci di accordarsi sulla sorte della partecipazione in caso di morte di uno dei soci medesimi.
1947
Il 9 aprile esce la sentenza della Cassazione n.526 che si occupa di un particolare caso di patto successorio, quello in qualche modo previsto dall’art.2284 c.c. in tema di società di persone e di morte di uno dei soci nel corso del rapporto sociale. La norma consente ai soci di accordarsi preventivamente (“salva contraria disposizione del contratto sociale”) sulla sorte della partecipazione del detto socio che venga a mancare, e tra le varie clausole configurabili vi è quella c.d. di consolidazione o accrescimento, nella cui versione “pura”, in caso appunto di morte di uno dei soci in costanza di rapporto sociale, la relativa quota di partecipazione si accresce in capo agli altri soci, senza che agli eredi del socio defunto la quota medesima venga liquidata. Per la Corte si tratta di un patto successorio vietato, dal momento che i soci si accordano ex ante in sede di atto costitutivo nel senso di disporre di una parte della successione di quello di essi che dovesse perdere la vita durante il rapporto sociale, attribuendo la pertinente quota sociale non già agli eredi del socio che morirà, ma agli altri soci superstiti.
1949
*Il 21 aprile esce la sentenza della Cassazione n.973 che si occupa di un particolare caso di patto successorio, quello in qualche modo previsto dall’art.2284 c.c. in tema di società di persone e di morte di uno dei soci nel corso del rapporto sociale. La norma consente ai soci di accordarsi preventivamente (“salva contraria disposizione del contratto sociale”) sulla sorte della partecipazione del detto socio che venga a mancare, e tra le varie clausole configurabili vi è quella c.d. di consolidazione o accrescimento, nella cui versione “pura”, in caso appunto di morte di uno dei soci in costanza di rapporto sociale, la relativa quota di partecipazione si accresce in capo agli altri soci, senza che agli eredi del socio defunto la quota medesima venga liquidata. Per la Corte si tratta di un patto successorio vietato, dal momento che i soci si accordano ex ante in sede di atto costitutivo nel senso di disporre di una parte della successione di quello di essi che dovesse perdere la vita durante il rapporto sociale, attribuendo la pertinente quota sociale non già agli eredi del socio che morirà, ma agli altri soci superstiti.
1951
*Il 17 marzo esce la sentenza della Cassazione n.685 che – ribadendo il proprio precedente orientamento – si occupa di un particolare caso di patto successorio, quello in qualche modo previsto dall’art.2284 c.c. in tema di società di persone e di morte di uno dei soci nel corso del rapporto sociale. La norma consente ai soci di accordarsi preventivamente (“salva contraria disposizione del contratto sociale”) sulla sorte della partecipazione del detto socio che venga a mancare, e tra le varie clausole configurabili vi è quella c.d. di consolidazione o accrescimento, nella cui versione “pura”, in caso appunto di morte di uno dei soci in costanza di rapporto sociale, la relativa quota di partecipazione si accresce in capo agli altri soci, senza che agli eredi del socio defunto la quota medesima venga liquidata. Per la Corte si tratta di un patto successorio vietato, dal momento che i soci si accordano ex ante in sede di atto costitutivo nel senso di disporre di una parte della successione di quello di essi che dovesse perdere la vita durante il rapporto sociale, attribuendo la pertinente quota sociale non già agli eredi del socio che morirà, ma agli altri soci superstiti.
1959
Il 22 maggio esce la sentenza della Cassazione n.1556 che ritiene nulli, oltre ai patti successori ex art.458 c.c. ad efficacia immediata e “reale”, anche quelli a mera efficacia obbligatoria, in cui l’oggetto “ereditario” del patto nullo è una obbligazione (istitutiva, dispositiva o rinunciativa).
1964
*Il 10 aprile esce la sentenza della Cassazione n.835 che ritiene nulli, oltre ai patti successori ex art.458 c.c. ad efficacia immediata e “reale”, anche quelli a mera efficacia obbligatoria, in cui l’oggetto “ereditario” del patto nullo è una obbligazione (istitutiva, dispositiva o rinunciativa).
1975
*Il 16 aprile esce la sentenza della Cassazione n.1434 che – ribadendo il proprio precedente orientamento – si occupa di un particolare caso di patto successorio, quello in qualche modo previsto dall’art.2284 c.c. in tema di società di persone e di morte di uno dei soci nel corso del rapporto sociale. La norma consente ai soci di accordarsi preventivamente (“salva contraria disposizione del contratto sociale”) sulla sorte della partecipazione del detto socio che venga a mancare, e tra le varie clausole configurabili vi è quella c.d. di consolidazione o accrescimento, nella cui versione “pura”, in caso appunto di morte di uno dei soci in costanza di rapporto sociale, la relativa quota di partecipazione si accresce in capo agli altri soci, senza che agli eredi del socio defunto la quota medesima venga liquidata. Per la Corte si tratta di un patto successorio vietato, dal momento che i soci si accordano ex ante in sede di atto costitutivo nel senso di disporre di una parte della successione di quello di essi che dovesse perdere la vita durante il rapporto sociale, attribuendo la pertinente quota sociale non già agli eredi del socio che morirà, ma agli altri soci superstiti.
1992
Il 19 novembre esce la sentenza del Tribunale di Vercelli che torna ad occuparsi di un particolare caso di patto successorio, quello in qualche modo previsto dall’art.2284 c.c. in tema di società di persone e di morte di uno dei soci nel corso del rapporto sociale. La norma consente ai soci di accordarsi preventivamente (“salva contraria disposizione del contratto sociale”) sulla sorte della partecipazione del detto socio che venga a mancare, e tra le varie clausole configurabili vi è quella c.d. di consolidazione o accrescimento, nella cui versione “pura”, in caso appunto di morte di uno dei soci in costanza di rapporto sociale, la relativa quota di partecipazione si accresce in capo agli altri soci, senza che agli eredi del socio defunto la quota medesima venga liquidata. Per il Tribunale non si tratta, come tralatiziamente affermato dalla Cassazione, di un patto successorio vietato per frizione con l’art.458 c.c., quanto piuttosto di accordo in contrasto con il divieto del patto tontinario, una c.d. “assicurazione sulla vita a ripartizione” alla cui stregua – secondo l’atteggiarsi della pertinente fattispecie, quando venuta alla luce (viene fatto ufficialmente risalire XVII secolo e precisamente al 1653, ideato dal banchiere e governatore di Gaeta Lorenzo De Tonti che, recatosi in Francia, propose al cardinale Mazzarino questa peculiare e “primitiva” forma di assicurazione sulla vita) – ciascun contraente, dietro pagamento di una somma prestabilita (normalmente variabile in base all’età) si vede corrispondere una rendita vitalizia immediata: da tale momento si innesca una sorta di “roulette assicurativa”, in base alla quale chi sopravvive agli altri contraenti incassa via via anche le rate di rendita altrui. Una sorta dunque di “società reale” che – pur destando da subito perplessità – è stata inizialmente giudicata conforme al sistema, fino al 1912, anno in cui in Italia è nato il monopolio statale sulle assicurazioni sulla vita. Le clausole di accrescimento o consolidazione configurano dunque, per il Tribunale, una forma larvata di patto tontinario vietato.
1995
Il 16 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.1683 che ribadisce come nei patti successori vietati la morte è la causa del trasferimento; proprio per questo la dottrina li distingue dai c.d. atti post mortem, nei quali il trasferimento ha una causa diversa dalla morte di un soggetto, e la morte funge solo da parametro cronologico di produzione degli effetti, compendiando un termine o l’evento di una condizione.
2000
Il 9 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.5870 che esclude dall’area di operatività dell’art.458 c.c. la mera promessa verbale di nominare erede un determinato soggetto, dacché la disposizione vieta i contratti che abbiano ad oggetto la successione di taluno, e non già le mere promesse unilaterali (che non sono patti), come tali prive di valore giuridico.
2006
Il 14 febbraio viene varata la legge n.55 recante modifiche al codice civile in materia di patti di famiglia, che incide in modo innovativo sull’art.458 c.c. dichiarando nulli i patti successori “fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768-bis e seguenti” e dunque proprio nei casi dei c.d. patti di famiglia, che finiscono per produrre un temperamento al tradizionale divieto.
2009
Il 30 giugno esce la sentenza del Tribunale di Napoli, onde il patto successorio istitutivo, nullo ai sensi dell’art. 458 c.c., ricorre nell’ipotesi di convenzione avente ad oggetto la disposizione di beni afferenti ad una successione non ancora aperta, vale a dire di accordo che costituisca attuazione dell’intento delle parti, rispettivamente di provvedere in tutto o in parte alla propria successione e di acquistare un diritto sui beni della futura proprietà a titolo di erede o legatario; tale accordo, laddove di natura obbligatoria, deve essere inteso a far sorgere un vero e proprio vinculum iuris di cui la successiva disposizione testamentaria costituisce l’adempimento; conseguentemente deve essere esclusa la sussistenza di un patto successorio quando tra le parti non sia intervenuta alcuna convenzione e la persona della cui eredità trattasi abbia solo manifestato verbalmente all’interessato o a terzi l’intenzione di disporre dei propri beni in un determinato modo, atteso che tale promessa verbale non crea alcun vincolo giuridico e non è quindi idonea a limitare la piena libertà del testatore che è il vero oggetto della tutela legislativa.
Il 19 novembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.24450 alla cui stregua configurano un patto successorio – per definizione non suscettibile di conversione in un testamento, ai sensi dell’art. 1424 c.c., in quanto in contrasto col principio dell’ordinamento, di ordine pubblico, onde il testatore è libero di disporre dei propri beni fino al momento della morte – sia le convenzioni aventi ad oggetto una vera istituzione di erede rivestita della forma contrattuale, sia quelle che abbiano ad oggetto la costituzione, trasmissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta, tali da far sorgere un vinculum iuris di cui la disposizione ereditaria rappresenti l’adempimento. Decidendo il peculiare caso di specie, per la Corte ha natura di patto successorio e non di transazione – come erroneamente ritenuto dal giudice di merito – la scrittura privata con la quale una sorella ha acconsentito al trasferimento in favore dei fratelli della proprietà di immobili appartenenti al padre, a fronte dell’impegno, assunto dai medesimi, di versarle una somma di denaro, da considerare, in relazione allo specifico contesto, come una tacitazione dei relativi diritti quale erede legittimario.
2010
Il 12 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 3345, secondo la quale la clausola statutaria che attribuisce ai soci superstiti di una società di capitali, in caso di morte di uno di essi, il diritto di acquistare – secondo un valore da determinarsi in base a criteri prestabiliti – dagli eredi del de cuius la partecipazione già appartenuta a quest’ultimo e pervenuta iure successionis agli eredi medesimi, non viola il divieto di patti successori di cui all’art. 458 c.c., in quanto il vincolo che ne deriva a carico reciprocamente dei soci è destinato a produrre effetti solo dopo il verificarsi della vicenda successoria e dopo il trasferimento (per legge o per testamento) della partecipazione agli eredi, con la conseguenza onde la morte di uno dei soci costituisce soltanto il momento a decorrere dal quale può essere esercitata l’opzione per l’acquisto suddetto, senza che ne risulti incisa la disciplina legale della delazione ereditaria o che si configurino gli estremi di un (vietato) patto di consolidazione delle azioni fra soci.
2011
Il 29 dicembre esce la sentenza della I sezione della Cassazione n. 30020 onde non viola il patto successorio la clausola statutaria di società a responsabilità limitata che sancisca il divieto del trasferimento delle quote per causa di morte se non a favore del coniuge e dei discendenti in linea retta dei soci fondatori e il subentro dei soci superstiti.
2014
Il 20 ottobre esce la sentenza del Tribunale di Udine che si occupa della clausola, contenuta in un contratto di mutuo, ove si prevede che il mutuatario sia liberato dall’eventuale debito residuo alla data della morte del mutuante. Per il Tribunale detta clausola non costituisce violazione del divieto dei patti successori, trattandosi di un negozio inter vivos di remissione di debito immediatamente produttivo di effetti e non di un negozio mortis causa.
2015
Il 25 febbraio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 3819. che dichiara nulla la rinuncia preventiva alla quota di comproprietà derivante da una futura eventuale successione in quanto costituente patto successorio vietato dalla legge.
Il 27 novembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 24291 secondo la quale l’assunzione tra fratelli dell’obbligo di conguaglio per la differenza di valore dei beni loro donati in vita dal genitore non vìola il divieto di patti successori, non concernendo i diritti spettanti sulla futura successione mortis causa del genitore.
2016
Il 6 aprile esce la sentenza del Tribunale di Pordenone che si occupa della donazione c.d. cum praemoriar (subordinata cioè alla premorienza del donante); essa non costituisce, per il Tribunale, un contratto mortis causa, che come tale sarebbe nullo per violazione dell’art. 458 c.c., rappresentando piuttosto una normale (e, quindi consentita) donazione tra vivi sottoposta a termine e condizione, con la sola particolarità che l’evento è dato dalla (pre) morte del donante; una donazione, quella con questa foggia, la cui validità va per il Tribunale affermata ogni volta in cui la morte costituisce non già la causa dell’attribuzione, quanto piuttosto un evento condizionante la produzione degli effetti definitivi, senza impedire la produzione di effetti prodromici e preliminari.
Il 15 luglio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n. 14566 che assume configurare patto successorio, vietato dall’art. 458 c.c., l’accordo col quale i contraenti si attribuiscono le quote di proprietà di un immobile oggetto dell’altrui futura successione mortis causa, pattuendo di rimanere in comunione ai sensi dell’art. 1111, 2º comma, c.c.; a nulla rileva, quanto al giudizio di invalidità ex art. 458 c.c., il collegamento tra tale scrittura privata ed il negozio traslativo concluso con lo stesso de cuius, né la di lui consapevole adesione ad un precedente patto successorio dispositivo.
Il 12 settembre esce la sentenza della XII sezione del Tribunale di Napoli secondo cui la clausola di un contratto di assicurazione che prevede l’intrasmissibilità del diritto all’indennizzo nel caso in cui l’assicurato muoia prima della concreta liquidazione dell’indennità stessa non riguarda l’oggetto del contratto, né il rischio garantito, ma rappresenta una limitazione della responsabilità dell’assicuratore. Una simile clausola è vessatoria e, quindi, ai sensi dell’art. 36, comma 1, cod. consumo, è da dichiararsi nulla, anche se munita di “doppia sottoscrizione”, ferma restando la validità del contratto. La dottrina ha evidenziato come, nel caso di specie, siano individuabili cinque diversi profili di nullità e in particolare: 1) un caso di esonero illegittimo di responsabilità dell’assicuratore per inadempimento; 2) la violazione dell’art. 458 c.c.; 3) l’inosservanza dell’obbligo di trasparenza del contenuto contrattuale; 4) l’illegittima deroga ai principi in tema di condizione meramente potestativa; 5) in ogni caso, la violazione di norme imperative.
Il 29 ottobre esce la sentenza del Tribunale di Roma onde il mandato mortis causa conseguente all’intestazione fiduciaria, con indicazione da parte del mandante (futuro de cuius) al mandatario fiduciario di trasferire i beni a chi sia stato indicato come beneficiario, con trasferimento da operarsi successivamente alla morte del mandante medesimo, è illegittimo ed invalido, in quanto in violazione dei patti successori ai sensi e per gli effetti dell’art. 458 c.c.
Il 15 novembre esce la sentenza della III sezione del Tribunale di Verona onde la disposizione testamentaria che attribuisca il patrimonio mobiliare del de cuius ad uno solo tra gli eredi non può essere considerata come inequivoca revoca della designazione di tutti gli eredi, genericamente indicati, come beneficiari di una polizza vita previamente stipulata.
Questioni intriganti
Quale è il fondamento del divieto di patti successori?
- occorre tutelare la libertà del testatore;
- egli deve scegliere che destinazione dare post mortem al proprio patrimonio fino all’ultimo istante e senza condizionamenti;
- ripugna sotto il profilo sociale che una persona vivente disponga anzitempo ed in modo irrevocabile dei propri diritti per il periodo in cui non ci sarà più (o che altri, che egli ha inteso beneficiare, lo facciano anzitempo in sua vece, rinunziando ai pertinenti diritti o disponendone quando egli è ancora in vita);
- la piena libertà di testare fino all’ultimo momento di vita è principio di ordine pubblico, come tale non derogabile dall’autonomia privata, onde si tratta di accordi nulli che non possono essere fatti oggetto di conversione ex art.1424c.;
- l’accordo è vietato perché ha ad oggetto un trasferimento mortis causa, e dunque la morte di un soggetto è la causa del trasferimento divisato dalle parti con l’accordo (proprio per questo) nullo; la fattispecie è – almeno sul piano teorico – diversa nei c.d. atti post mortem, laddove la morte di un soggetto non è la causa di un trasferimento (che trova dunque la propria funzione economico-individuale aliunde), ma soltanto il momento cronologico di produzione concreta degli effetti dell’accordo di trasferimento, quale termine ovvero quale condizione;
Quante categorie di patti successori possono tradizionalmente isolarsi?
- patti istitutivi: interviene un accordo – non importa se a titolo oneroso o gratuito – tra il soggetto A e il soggetto B, in forza del quale il primo nomina erede il secondo, o dispone con testamento a relativo vantaggio, ovvero si obbliga (senza dunque effetti immediati) ad istituirlo erede (successione a titolo universale) ovvero a beneficiarlo di un legato (successione a titolo particolare), tanto che il patto abbia ad oggetto un singolo cespite, ovvero una quota del patrimonio o ancora tutto il patrimonio del disponente; il patto potrebbe anche intervenire tra A ed il terzo C, pur avendo ad oggetto l’istituzione di B come erede ovvero il beneficio per lui di un legato, quand’anche con effetti meramente obbligatori;
- patti dispositivi: l’accordo (o l’”atto”, che in questo caso può dunque essere anche unilaterale) lascia fuori il soggetto della cui successione si tratta (la successione non è ancora aperta ed il futuro de cuius è ancora in vita), intervenendo tra chi presuntivamente ne sarà erede ed un terzo, tanto che coinvolga l’intera eredità, ovvero una quota della medesima, ovvero ancora singoli beni; nel caso di disposizione a titolo gratuito la nullità è a doppio titolo, essendo nulla la donazione di beni futuri (non presenti nel patrimonio del donante) ex 771 c.c.; anche per i patti dispositivi è nulla, oltre alla versione ad efficacia reale (e dunque immediata), anche la versione a mera efficacia obbligatoria;
- patti rinunciativi: l’accordo (o l’”atto”, che in questo caso può dunque essere anche unilaterale) può coinvolgere il futuro de cuius, nei confronti del quale il presunto futuro erede rinuncia alla eredità teoricamente spettantegli (in toto, pro quota o limitatamente a singoli beni); ovvero può coinvolgere un terzo a beneficio del quale il presunto futuro erede opera la rinuncia: tipico l’esempio c.1) del legittimario che rinuncia pro futuro all’azione di riduzione per il caso di eventuale lesione della relativa quota di legittima (qui la rinuncia è vietata, quale species a genus, dall’557 c.c.); c.2) della rinuncia a favore del chiamato in subordine rispetto a chi rinuncia; c.3) della rinuncia a favore del coerede in accrescimento, che della rinuncia può avvantaggiarsi in virtù proprio dell’accrescimento; anche per i patti dispositivi è nulla, oltre alla versione ad efficacia reale (e dunque immediata), anche la versione a mera efficacia obbligatoria;
Quali problemi pone in particolare il patto successorio nullo di natura “obbligatoria”?
Tutto dipende dalla consapevolezza o meno in capo al soggetto obbligato di eseguire, attraverso l’adempimento dell’obbligazione, un patto successorio nullo:
- chi adempie è consapevole della nullità del patto dal quale discende l’obbligazione che va eseguendo: la consapevolezza rompe il nesso tra l’atto adempitivo e la nullità del patto dal quale discende l’obbligazione che si adempie, onde l’atto adempitivo viene assunto valido;
- chi adempie non è consapevole della nullità del patto dal quale discende l’obbligazione che va eseguendo: la mancata consapevolezza lascia in piedi il nesso tra l’atto adempitivo e la nullità dell’atto dal quale discende l’obbligazione che si adempie ed in simili casi: b.1) laddove il patto successorio obbligatorio sia istitutivo e il testatore, per onorare l’obbligo assunto, istituisca taluno erede, si configura un errore di diritto sul motivo ex624 c.c., che rende il testamento annullabile; per un’altra tesi più radicale il testamento sarebbe invece radicalmente nullo per motivo illecito ex art.626 c.c.; b.2) laddove il patto successorio obbligatorio sia dispositivo o rinunciativo e il soggetto obbligato, per onorare l’obbligo assunto, disponga della propria futura successione o vi rinunzi, si configura un errore di diritto ex art.1429, n.4, c.c., che rende l’atto inter vivos annullabile.
Quali istituti o figure giuridiche sono a rischio di nullità per violazione del divieto dei patti successori?
- il mandato post mortem, laddove il mandatario si obbliga ad eseguire la divisata attività giuridica dopo la morte del mandante; se si tratta di mera attività materiale (mandato post mortem exequendum) si è al di fuori dei patti successori, con conseguente validità del mandato, come nel tipico caso – rammentato dalla dottrina – delle istruzioni fornite al mandatario per procedere alla tumulazione del mandante, una volta defunto; se invece si tratta di attività giuridica, ed in particolare di una attribuzione patrimoniale, si profila un patto successorio nullo quando l’attribuzione operata dal mandatario nell’interesse del mandante trovi la propria causa nella morte di quest’ultimo (potendosi configurare un patto successorio istitutivo vietato); non è vero e proprio mandato il c.d. mandato post mortem in senso stretto, che non è un contratto ma, piuttosto, un atto unilaterale: sono le ipotesi della nomina da parte del testatore di un terzo incaricato di redigere il progetto di divisione della propria eredità ex art.733c., ovvero della nomina di un esecutore testamentario o di un terzo arbitratore ai sensi degli articoli 630-632 c.c.;
- il negozio fiduciario, laddove fiduciante e fiduciario – in forza del pactum fiduciae – si accordino nel senso onde, alla morte del primo (fiduciante), i beni trasferiti al secondo (fiduciario) mentre il primo era in vita siano trasferiti in proprietà ad un terzo beneficiario: sebbene possa profilarsi una frizione con il divieto di patti successori istitutivi, si tratta di negozio generalmente assunto valido (escluse le fattispecie in cui esso si palesi in frode alla legge, come nel caso in cui il beneficiario sia un soggetto incapace di succedere), muovendo dal presupposto che esso compendia in realtà un negozio inter vivos, in cui il fiduciario acquista subito la proprietà dei beni da parte del fiduciante e, qualora si renda inadempiente al pactum fiduciae, è solo tenuto al risarcimento del danno nei confronti degli eredi del fiduciante;
- il contratto a favore di terzo in cui la prestazione del promittente nei confronti del terzo va effettuata dopo la morte dello stipulante ex 1412 c.c.: se ne ammette generalmente la validità, trattandosi di disposizione che ha effetti immediati a favore del terzo, con mero spostamento in avanti del tempus della prestazione del promittente, collegata alla morte dello stipulante (che dunque si palesa più occasione che causa dell’attribuzione); si tratta insomma di un atto inter vivos con effetti post mortem, come dimostra il fatto che, se il terzo premuore allo stipulante, la prestazione del promittente si dirige – alla morte dello stipulante – nei confronti dei relativi eredi, con conferma dell’efficacia immediata del negozio; la disciplina prevede – anche per il caso in cui il terzo abbia dichiarato di voler profittare della prestazione (post mortem) a relativo favore – la possibilità per lo stipulante di revocare la disposizione fino alla morte, con possibilità tuttavia di rinunciare per iscritto a detta facoltà di revoca;
- la donazione a causa di morte: il donante appone al proprio atto di liberalità una condizione sospensiva, coincidente con l’evento della propria morte, e si riserva il potere di revocare la donazione stessa; la figura – oltre che per possibile conflitto con il divieto dei patti successori, dacché la morte del donante viene assunta come causa del trasferimento sotteso alla donazione stessa – confligge con il principio di normale irrevocabilità della donazione (salvi i casi espressamente previsti dalla legge: ingratitudine e sopravvenienza di figli) e, massime, con la norma che dichiara vietata la condizione meramente potestativa, ovvero l’1355 c.c.; quando invece la donazione è irrevocabile ed è fatta con (mero) termine di efficacia fissato al momento della morte del donante (c.d. donazione cum moriar), si tratta di atto post mortem giudicato valido perché la causa della donazione resta lo spirito di liberalità del donante (cui corrisponde un’aspettativa giuridicamente tutelata del donatario), e non già la relativa morte (anche se, nel concreto, esso potrebbe eludere il divieto dei patti successori istitutivi); parimenti è atto post mortem assunto valido la donazione i cui effetti sono subordinati alla circostanza onde il donante muore prima del donatario (c.d. donazione si premoriar), poiché anche in questo caso la causa dell’atto donativo e lo spirito di liberalità del donante (cui corrisponde anche qui un’aspettativa giuridicamente tutelata del donatario) e non già la relativa morte (anche se, nel concreto, anch’esso potrebbe eludere il divieto dei patti successori istitutivi); non configura certamente patto successorio vietato la fattispecie di cui all’art.791 c.c. in cui il donante sottoponga il proprio trasferimento con causa di liberalità – che ha effetti immediati – alla condizione risolutiva della premorienza del donatario, onde se il donatario decede anteriormente al donante, i beni donati tornano nel patrimonio del donante stesso (c.d. reversibilità);
- la sorte della partecipazione sociale in caso di morte di uno dei soci, che può essere oggetto di accordi ex ante tra i soci medesimi ai sensi dell’2284 c.c. in tema di società semplice, richiamato per le società in nome collettivo dall’art.2293 e per quelle in accomandita semplice (per quanto riguarda il solo socio accomandatario) dall’art.2322 c.c.; si parte dalla regola generale onde, in caso di morte di un socio, laddove nulla sia stato disposto dai soci in sede di costituzione della società, il rapporto sociale si scioglie e gli eredi hanno diritto alla liquidazione della quota, salvo che i soci superstiti non intendano liquidare (tutta) la società, ovvero ancora non preferiscano continuare la società con gli eredi del socio mancato, e tali eredi prestino il consenso a tale continuazione, configurandosi per tale via, ex post, un accordo inter vivos che non crea problemi di validità. Ex ante, è tuttavia possibile per i soci, nel momento stesso in cui costituiscono la società, accordarsi tra loro per disciplinare la sorte delle partecipazioni in caso di morte di taluno di loro, profilandosi in tal caso nell’atto costitutivo della società: e.1) clausole di continuazione: gli eredi del socio defunto hanno la facoltà (clausola facoltativa: si tratta di un’opzione) ovvero l’obbligo (clausola obbligatoria: proposta irrevocabile del socio poi defunto, con obbligo pertinente che si trasferisce agli eredi medesimi) di continuare la società con i soci superstiti, ed in quest’ultimo caso – laddove scelgano di non continuare la società nonostante il pertinente obbligo assunto – sono inadempienti e come tali tenuti a risarcire il danno; questo genere di clausole non si pongono in frizione con il divieto dei patti successori e sono dunque valide; e.2) clausole di successione: la società prosegue con gli eredi del socio defunto a prescindere dal relativo consenso, impegnandone la responsabilità illimitata (senza consenso) anche per le obbligazioni che la società (di persone) ha contratto anteriormente al relativo subentro (circostanza che fa dubitare della relativa validità, senza tuttavia che si ricada nel divieto dei patti successori); e.3) clausole di consolidazione o accrescimento: all’opposto rispetto a quelle di successione, esse tagliano fuori gli eredi del defunto, prevedendo la continuazione automatica della società tra i soli soci superstiti, senza che gli eredi del socio defunto possano appunto scegliere di far parte (comunque) della società; si distinguono in “impure”, laddove – sulla base delle regole successorie – agli eredi del socio defunto viene liquidata la quota del socio medesimo, non affiorando pertanto alcun problema di patto successorio; e “pure”, dove invece la quota sociale “si accresce” per i soci superstiti senza che agli eredi del socio defunto venga liquidata la quota di pertinenza, che invece è in frizione (oltre che eventualmente con il patto c.d. “leonino” ex art.2265 c.c., onde si condividono gli utili e non anche le perdite, e con quello “tontinario”, una sorta di “roulette assicurativa” che avvantaggia chi vive di più rispetto a chi muore prima, anche) con il divieto dei patti successori, in quanto i soci si accordano ex ante nel senso di disporre di una parte della successione di quello di essi che dovesse perdere la vita durante il rapporto sociale, attribuendo la pertinente quota sociale non già agli eredi del socio che morirà, ma agli altri soci superstiti.