<p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tra le facoltà in qualche modo intrinseche al diritto di proprietà viene tradizionalmente annoverata quella edificatoria, che tuttavia non può estrinsecarsi “</em>random<em>”, dovendo piuttosto essere coordinata con le analoghe facoltà degli altri proprietari ubicati in un dato territorio di riferimento, e con le esigenze pubblicistiche da soddisfare nel medesimo, pertinente ambito spaziale; donde la necessità della pianificazione urbanistica (ed edilizia), riservata ai pubblici poteri nazionali e locali e capace di riconoscere (giusta “</em>zonizzazione<em>”) determinati vincoli “</em>congeniti<em>” a talune categorie di beni, come di (giusta “</em>localizzazione<em>”) apporne di specifici su beni individui, massime al fine di espropriarli onde realizzare divisate opere pubbliche; con l’ulteriore precipitato di dover garantire meccanismi compensativi e perequativi al fine di attutire le inevitabili discriminazioni connesse alla ripartizione del territorio in rigide zone di connotazione fondiaria.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1939</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 giugno viene varata la legge n.1497 in materia di tutela delle bellezze naturali, che è la base per taluni vincoli afferenti a determinate categorie di beni, che saranno annoverati come vincoli conformativi, in quanto legati appunto alla peculiare natura dei beni coinvolti.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il codice civile (21 aprile) disciplina il diritto di proprietà agli articoli 832 e seguenti, prevedendolo assai meno sacrale rispetto al codice del 1865, stante la necessità per il proprietario privato di osservare gli obblighi previsti dall’ordinamento giuridico, ivi compresi quelli direttamente riconnessi alle materie dell’urbanistica e dell’edilizia (tipica l’ipotesi della distanza tra costruzioni di cui agli articoli 873 e seguenti)</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 agosto viene varata la legge n. 1150, che è la legge urbanistica fondamentale, imperniantesi sul concetto di pianificazione e di connessa c.d. zonizzazione, secondo un modello nato negli USA con il nome di “<em>zoning</em>”. Il relativo articolo 1 si preoccupa di definire l’urbanistica, additandola come quel coacervo di norme che disciplinano l’assetto e l’incremento edilizio dei centri abitati e, più in genere, lo sviluppo urbanistico (così collegando l’edilizia all’urbanistica). Particolarmente importante l’art.7, che disciplina il PRG, il Piano Regolatore Generale, di livello comunale, cui è demandato di enunciare quali criteri seguire per sistemare i quartieri esistenti e (massime) quali invece seguire per la costruzione di quelli nuovi, dovendo gli insediamenti edilizi sparsi sul territorio trasformarsi e svilupparsi secondo per l’appunto le previsioni programmatorie del PRG. Tale piano si inserisce in un contesto concatenato di piani a cascata, l’uno presupponente l’altro, via via sempre più specifici in termini di indicazione di concreto sviluppo del territorio zona per zona. Importante anche il regime dei possibili vincoli alla proprietà privata che possono essere apposti in sede di PRG nell’interesse pubblico (art.40), vincoli per i quali non è previsto indennizzo al privato, senza tuttavia che vengano distinti i vincoli c.d. conformativi da quelli più propriamente espropriativi. Importante anche l’art.23 della legge urbanistica, laddove prevede – per l’attuazione delle previsioni del Piano – lo strumento del comparto edificatorio, nel cui ambito può intervenire un consorzio tra i diversi proprietari delle aree compartimentali al fine di distribuire tra loro vantaggi e oneri della pianificazione comunale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana, che prevede all’art.42 la proprietà pubblica accanto a quella privata, ed in particolare la possibilità (comma 3) di espropriare i beni privati ed avocarli alla mano pubblica per motivi di interesse generale e salvo indennizzo. Sempre l’art.42 (comma 2) prevede che sia la legge a fissare i modi di acquisto, di godimento ed i limiti della proprietà privata, onde assicurarne la funzione sociale e renderla accessibile a tutti, prefigurando i vincoli c.d. conformativi, riconnessi a determinate categorie di beni (e non a beni specifici come nel caso dell’espropriazione pura), il cui godimento appare, per intrinseca natura dei beni stessi, limitato. L’esproprio, questa volta a livello aziendale (c.d. nazionalizzazione), viene previsto anche dal successivo art.43, in presenza di determinati presupposti di pubblica utilità. Sul crinale più strettamente dell’espropriazione di proprietà private, il fatto che l’art.42, comma 3, preveda la riserva di legge (principio di legalità) ed in ogni caso l’indennizzo farà dubitare della legittimità di disposizioni di PRG che nel futuro faranno luogo a previsioni di tipo diverso rispetto al tradizionale modulo espropriativo, segnatamente inaugurando il modello della perequazione. Importante anche un richiamo all’art.23 della Costituzione che, per le prestazioni personali o patrimoniali “<em>imposte</em>”, esige la base legislativa primaria (c.d. riserva relativa di legge).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1966</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 gennaio esce la sentenza della Corte costituzionale n.6, che dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 2, della legge 20 dicembre 1932, n. 1849, sulle servitù militari, in riferimento all'art. 42, comma 3, della Costituzione, in quanto non prevede indennizzo per limitazioni della proprietà privata di natura espropriativa: si tratta della prima pronuncia in cui la Corte parla di vincoli sostanzialmente espropriativi apposti sulla proprietà privata, e dunque di possibilità che l’espropriazione si manifesti non già solo attraverso la concreta avocazione alla mano pubblica di beni privati, ma anche giusta apposizione di vincoli preordinati all’espropriazione sui ridetti beni. Per la Corte, più in specie, è da considerarsi come di carattere espropriativo anche l'atto che, pur non disponendo una traslazione totale o parziale di diritti, imponga limitazioni tali da svuotare di contenuto il diritto di proprietà del soggetto privato, incidendo sul godimento del bene tanto profondamente da renderlo inutilizzabile in rapporto alla destinazione inerente alla natura del bene stesso o determinando il venir meno del (o una penetrante incisione sul) relativo valore di scambio; del pari, è da considerare come di carattere espropriativo l'atto che costituisca servitù o imponga limiti a carico della proprietà, quando le une e gli altri siano di entità apprezzabile, anche se non tali da svuotare di contenuto il diritto del proprietario. La Corte riconosce come innegabile che nei criteri esposti una parte notevole sia assegnata ad elementi quantitativi, onde il carattere espropriativo é fatto dipendere anche dalla maggiore o minore incidenza che il sacrificio imposto spiega sul contenuto del diritto, ma soggiunge che trattasi di un elemento insopprimibile del concetto di espropriazione, dovendo questa essere intesa non soltanto come trasferimento ma anche come sottrazione o menomazione del godimento del diritto: sottrazione o menomazione che deve essere prevista ed accertata anche in rapporto alla concretezza del sacrificio imposto.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1967</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 6 agosto viene varata la legge n.765, conosciuta come “<em>legge-ponte</em>”, perché quando viene varata è allo studio una nuova legge urbanistica generale che dovrebbe subentrare in seguito al posto di quella del 1942 (ma che non vedrà mai la luce). La legge-ponte è importante perché fa perno, quanto a relativa disciplina, sul concetto di “<em>zona</em>” urbanistica, prevedendo per ciascuna zona, per l’appunto, precisi standards urbanistici ed edilizi a cagione della specifica omogeneità riconosciuta a tale zona. Viene distinta una zonizzazione di tipo funzionale, afferente alla particolare destinazione urbanistica impressa a ciascuna zona; una zonizzazione infrastrutturale, afferente alla dotazione dei servizi ed infrastrutture per ciascuna zona; una zonizzazione architettonica, afferente agli edifici delle singole zone, alla volumetria e alle caratteristiche di costruzione che essi devono rispettare.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1968</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 2 aprile viene varato il noto DM n.1444, recante limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi; limiti da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'<a href="http://www.bosettiegatti.eu/info/norme/statali/1942_1150.htm#41.qui">art. 17 della legge n. 765 del 1967</a>. Si tratta, in concreto e nella sostanza, della disciplina degli standard urbanistici ed edilizi, diversificati a seconda delle diverse zone prese in considerazione dallo strumento pianificatorio urbanistico ed edilizio.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 maggio esce la importante sentenza della Corte costituzionale n.55, che dichiara l'illegittimità costituzionale del numeri 2, 3, 4 dell'art. 7 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e dell'art. 40 della stessa legge, nella parte in cui non prevedono un indennizzo per l'imposizione di limitazioni operanti immediatamente e a tempo indeterminato nei confronti dei diritti reali, quando le limitazioni stesse abbiano contenuto espropriativo nei sensi indicati in motivazione. In sostanza la Corte introduce l’obbligatorietà dell’indennizzo nel caso di apposizione di vincoli di natura espropriativa <em>sine die</em> su specifici beni, a differenza di quanto accade per i vincoli di natura meramente conformativa, legati alla qualità di intere categorie di beni. La questione concerne in particolare la necessità che il vincolo espropriativo rechi un termine massimo di efficacia (dovendo in caso contrario essere indennizzato il privato che lo subisce), e la connessa necessità (al momento solo <em>in nuce</em>) che – in caso di reitera – sia del pari previsto un indennizzo per il privato proprietario destinatario.</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 novembre viene varata la legge n.1187, recante modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, il cui assai importante articolo 2 – dando seguito alle indicazioni della Corte costituzionale di cui alla sentenza n.55 del medesimo anno - dispone che laddove un vincolo apposto da un Piano (in specie, dal PRG) abbia natura espropriativa, lo stesso diviene inefficace se entro 5 anni dalla relativa approvazione non siano stati approvati i pertinenti piani particolareggiati, con conseguente avvio della procedura espropriativa vera e propria. All’opposto, laddove il vincolo sia scaduto per decorso del quinquennio, l’eventuale procedura di esproprio iniziata <em>ex post</em> deve assumersi illegittima: in sostanza, la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera da realizzarsi sul fondo privato deve intervenire (quand’anche implicita nell’approvazione del progetto di opera pubblica) entro 5 anni dall’apposizione del vincolo in sede di PRG, derivandone in caso contrario l’illegittimità della procedura ablatoria.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1989</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 luglio esce la sentenza della Corte costituzionale n.391 che si occupa dei rapporti tra legislazione regionale e diritto privato (quello che in futuro sarà l’ordinamento civile, come materia di legislazione esclusiva dello Stato), rappresentando come – per ragioni di necessaria uniformità di disciplina – alle Regioni è per l’appunto precluso legiferare in materia di diritto privato, ma ciò per quanto riguarda i rapporti intersoggettivi tra privati, e non i rapporti tra privato e pubblico, con particolare riguardo al potere di conformare il contenuto della proprietà privata al fine di assicurarne la funzione sociale ex art.42 Cost, la riserva di legge contenuta in quest’ultima norma dovendosi (e potendosi) assumere riferita, oltre che alla legge statale, anche alla legge regionale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1990</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 7 agosto viene varata la legge 241 sul procedimento amministrativo che, all’art.11, prevede gli accordi integrativi e sostitutivi di provvedimento come prezioso strumento di partecipazione del privato non già solo al procedimento, ma financo al provvedimento amministrativo, che può assumere anche una veste consensuale attraverso il c.d. accordo sostitutivo. L’art.13 prevede peraltro che le norme sulla c.d. partecipazione procedimentale non si applichino nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1994</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 7 novembre esce la sentenza della Corte costituzionale n.379 che si occupa nuovamente dei rapporti tra legislazione regionale e diritto privato (quello che in futuro sarà l’ordinamento civile, come materia di legislazione esclusiva dello Stato), ribadendo come – per ragioni di necessaria uniformità di disciplina – alle Regioni è per l’appunto precluso legiferare in materia di diritto privato, ma ciò per quanto riguarda i rapporti intersoggettivi tra privati, e non i rapporti tra privato e pubblico, con particolare riguardo al potere di conformare il contenuto della proprietà privata al fine di assicurarne la funzione sociale ex art.42 Cost, la riserva di legge contenuta in quest’ultima norma dovendosi (e potendosi) assumere riferita, oltre che alla legge statale, anche alla legge regionale.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1997</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 agosto esce la sentenza della I sezione del Tar Veneto n.1356 che annulla il PRG di Bassano del Grappa laddove prevede una nuova tecnica di acquisizione alla mano pubblica di terreni privati alternativa alla tradizionale espropriazione e fondata sulla c.d. perequazione urbanistica. Per il Tar si ravvisa un contrasto tra tali disposizioni pianificatorie, che riservano al Comune di Bassano del Grappa una quota pari al 50% della capacità insediativa totale (in sostanza, della edificabilità), e l’art.42 della Costituzione, laddove disegna appunto lo strumento espropriativo come il solo in grado, sulla scorta della legge che lo prevede e salvo indennizzo al privato espropriato, di ottenere i terreni che occorrono per la realizzazione di attrezzature ed opere pubbliche o per la destinazione alla erogazione di servizi pubblici.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1999</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 20 maggio esce la sentenza della Corte costituzionale n.179, la quale dichiara l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica) e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), nella parte in cui si consente all’Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di indennizzo. La sentenza è importante perché qualifica i c.d. vincoli espropriativi contenuti nei Piani, additandoli come tali quando su beni determinati appartenenti a soggetti privati viene svuotato in modo consistente ed assai incisivo il contenuto della proprietà giusta imposizione di vincolo specifico e a titolo particolare, immediatamente efficace; in queste ipotesi (vincolo espropriativo) non può essere superata la durata che la legge ha fissato come limite (non arbitrario né irragionevole) alla c.d. sopportabilità del vincolo (espropriativo) da parte del privato proprietario: perché non avvenga tale superamento occorre che intervenga l’ablazione o che quanto meno sia fatta partire la procedura espropriativa attraverso l’approvazione di quei piani particolareggiati che normalmente dichiarano la pubblica utilità dell’opera da realizzarsi sul bene vincolato, e che recano a propria volta dei limiti temporali massimi. Sotto altro profilo è espropriativo (e non conformativo) il vincolo che – pur stante il disposto dell’art.42, comma 2, Cost. alla cui stregua è la legge a fissare i modi di godimento e il limiti della proprietà, allo scopo di garantirne la funzione sociale – si atteggia tuttavia a vincolo che supera la normale tollerabilità. La qualifica di un vincolo come espropriativo (piuttosto che come conformativo) è importante perché ai vincoli di natura espropriativa, laddove reiterati, deve corrispondere un indennizzo erogato al privato “<em>vincolato</em>”. La Corte sollecita il legislatore ad intervenire per garantire al proprietario che sia stato reso destinatario di un vincolo espropriativo decaduto e poi rinnovato dalla PA un indennizzo, senza indicare specificamente i criteri di quantificazione concreta (lasciati dunque al legislatore), ma additando comunque quale parametro di commisurazione il mancato uso normale del bene vincolato, ovvero la diminuzione del valore di mercato del bene medesimo rispetto alla relativa consistenza economica prima dell’apposizione del vincolo stesso. La sentenza si palesa importante anche sul profilo della legittimità – pur in assenza di specifiche norme di legge autorizzative – di meccanismi alternativi all’esproprio vero e proprio, ai vincoli che lo precedono ed all’esborso monetario (per la PA) connesso all’indennizzo: in sostanza, nella c.d. perequazione il privato che perde il bene lo fa cedendolo, non venendone espropriato, ricevendo - in cambio della cessione ed in funzione compensativa da parte dell’Amministrazione - “<em>quote di edificabilità</em> “ (quelli che saranno chiamati diritti edificatori) spendibili eventualmente in futuro su terreni diversi rispetto a quello ceduto alla PA. In sostanza, operata dal Comune una scelta urbanistica su un determinato bene privato, piuttosto che apporvi un vincolo preordinato all’esproprio, espropriarlo ed erogare al privato (ex) proprietario un indennizzo monetario, per la Corte è ben possibile – anche prescindendo da specifiche disposizioni di legge in tale senso – prevedere meccanismi compensativi fondati sulle quote di edificabilità, e dunque non onerosi per la competente PA.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2000</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 31 maggio esce la sentenza della Corte costituzionale n.164 che torna ad occuparsi dei rapporti tra legislazione regionale e diritto privato (quello che in futuro sarà l’ordinamento civile, come materia di legislazione esclusiva dello Stato), ribadendo come – per ragioni di necessaria uniformità di disciplina – alle Regioni è per l’appunto precluso legiferare in materia di diritto privato, ma ciò per quanto riguarda i rapporti intersoggettivi tra privati, e non i rapporti tra privato e pubblico, con particolare riguardo al potere di conformare il contenuto della proprietà privata al fine di assicurarne la funzione sociale ex art.42 Cost, la riserva di legge contenuta in quest’ultima norma dovendosi (e potendosi) assumere riferita, oltre che alla legge statale, anche alla legge regionale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 ottobre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.5325 che, con riferimento alla destinazione a verde pubblico impressa alle aree private in seno al PRG, afferma essersi al cospetto di vincolo meramente conformativo (e non espropriativo), come tale non soggetto all’art.2 della legge 1187.68, non soggetto alla decadenza quinquennale e non indennizzabile: ciò in quanto si tratta di vincolo che non inibisce l’utilizzazione dei beni da parte dei privati proprietari, ma ne prescrive soltanto le modalità di sfruttamento, che possono realizzarsi anche su iniziativa dei privati proprietari medesimi.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2001</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 marzo esce l’importante parere dell’Adunanza Generale del Consiglio di Stato n.4, che esclude ormai definitivamente l’autonomia del procedimento espropriativo, collegandolo piuttosto necessariamente e funzionalmente al precedente procedimento pianificatorio, dal momento che un ordinato assetto del territorio ed una concreta attuazione delle scelte urbanistiche presuppone per l’appunto l’operatività dello strumento espropriativo orientato ad attuare le scelte operate (a monte) dalla pianificazione pubblica.</p> <p style="text-align: justify;">L’8 giugno viene varato il decreto legislativo n.327, recante il testo unico in materia di espropri, che dispone tra l’altro l’abrogazione dell’art.2 della legge 1187.68 in materia di decadenza quinquennale dei vincoli c.d. espropriativi (l’effettiva abrogazione sarà prorogata fino al 30 giugno 2003). Il Testo Unico ripropone tuttavia la disciplina abrogata all’art.9, secondo il disposto dei cui primi comma un bene è sottoposto al vincolo preordinato all'esproprio quando diventa efficace l'atto di approvazione del piano urbanistico generale, ovvero una sua variante, che prevede la realizzazione di un opera pubblica o di pubblica utilità; per tale vincolo preordinato all'esproprio è prevista la durata di cinque anni ed entro tale termine può essere adottato il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera; laddove non sia tempestivamente dichiarata la pubblica utilità dell'opera, il vincolo preordinato all'esproprio decade ma, dopo la relativa decadenza, può essere motivatamente reiterato, con la rinnovazione dei procedimenti previsti al comma 1 e tenendo conto delle esigenze di soddisfacimento degli standard. Nondimeno, laddove il vincolo preordinato all’esproprio venga (motivatamente) reiterato, l’art.39 del TU prevede la corresponsione di un indennizzo al proprietario che lo subisce, con conseguente (e perdurante) necessità di distinguere i vincoli espropriativi (soggetti a decadenza, a possibile reiterazione motivata e ad indennizzo) da quelli conformativi, a regime tutt’affatto diverso perché connaturati alla categoria di beni cui afferiscono. Con l’art.39 del TU il legislatore raccoglie l’invito della Corte costituzionale, contenuto nella sentenza 179.99, onde laddove venga apposto un vincolo preordinato all’esproprio o sostanzialmente espropriativo, e questo alla scadenza venga reiterato, va corrisposta al proprietario una somma che sia commisurata all’entità del danno effettivamente prodotto: il proprietario resta tale, ma sa che verrà espropriato prima o poi, e dunque non può utilizzare il proprio immobile come farebbe laddove tale vincolo non vi fosse, con conseguente privazione che va indennizzata avuto riguardo alle condizioni del bene ed alle utilità che se ne potrebbero ritrarre nel momento in cui il vincolo, scaduto, viene dalla PA reietato. Importante anche l’art.45 del TU, che disciplina gli accordi sostitutivi dell’espropriazione e che costituisce una specificazione, in materia espropriativa, degli accordi sostitutivi di provvedimento di cui all’art.11 della legge 241.90.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 14 giugno esce la sentenza della Corte costituzionale n.190 che si occupa ancora una volta dei rapporti tra legislazione regionale e diritto privato (quello che in futuro sarà l’ordinamento civile, come materia di legislazione esclusiva dello Stato), ribadendo come – per ragioni di necessaria uniformità di disciplina – alle Regioni è per l’appunto precluso legiferare in materia di diritto privato, ma ciò per quanto riguarda i rapporti intersoggettivi tra privati, e non i rapporti tra privato e pubblico, con particolare riguardo al potere di conformare il contenuto della proprietà privata al fine di assicurarne la funzione sociale ex art.42 Cost, la riserva di legge contenuta in quest’ultima norma dovendosi (e potendosi) assumere riferita, oltre che alla legge statale, anche alla legge regionale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 ottobre viene varata la legge costituzionale n.3, il cui articolo 3 riformula l’art.117 della Costituzione; nel nuovo testo, vengono riservate alla legislazione esclusiva dello Stato sia (comma 2, lettera l) la materia dell’ordinamento civile (che dunque non appartiene alle singole Regioni, con particolare riguardo al diritto privato); sia (comma 2, lettera m) la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/460.html">diritti civili</a> e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 dicembre esce la sentenza della Corte costituzionale n.411, che dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 52, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218 (Testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno), nella parte in cui consente all’Amministrazione di reiterare i vincoli, scaduti, preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di un indennizzo. La Corte, che dà seguito sul punto alla giurisprudenza di cui alla sentenza 179.99, prende atto della mancata previsione legislativa di specifici canoni per la liquidazione di tale indennizzo da reiterazione del vincolo, e finisce col demandare al giudice competente (che sarà poi identificato nella Corte d’Appello, e dunque nel GO) dapprima l’accertamento della natura realmente espropriativa del vincolo, e – a valle – la ritrazione dall’ordinamento vigente delle regole che consentono di liquidare l’obbligazione indennitaria, quale obbligazione scaturente dalla rinnovazione o dal protrarsi del vincolo e dal pregiudizio che ne subisce il privato inciso.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2002</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 5 luglio esce la sentenza del Tar Campania, Salerno, n.670 che si occupa della c.d. perequazione urbanistica, ed in particolare della perequazione c.d. ristretta, operativa non già a monte – ovvero in via generale ed a livello di PRG – quanto piuttosto a valle, e dunque a livello di piani attuativi o particolareggiati. Si tratta di una tecnica che riguarda dunque solo alcuni ambiti del territorio comunale, i c.d. comparti, previamente identificati e circoscritti in sede di PRG: da questo punto di vista, la perequazione non è da considerarsi alternativa alla (o addirittura in frizione con la) zonizzazione, quanto piuttosto un precipuo strumento per attuarla, proprio perché riguarda singole “<em>zone</em>” del territorio comunale, e non tutto il territorio comunale. Il Tar interviene peraltro, sdoganando la c.d. perequazione, prima dell’intervento di tutta una serie di leggi regionali che ne costituiscono lo sfondo legislativo (seppure, per l’appunto, regionale), onde la pronuncia è importante anche perché assume gli istituti perequativi non in frizione con il principio di legalità.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 giugno entra in vigore il TU in materia di espropri n.327.01, con conseguente abrogazione dell’art.2 della legge 1187.68 in materia di decadenza quinquennale dei vincoli c.d. espropriativi (tuttavia riproposta dal TU medesimo).</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 dicembre esce la sentenza della Corte costituzionale n.359 che si occupa della legislazione concorrente Stato-Regioni e dell’ipotesi in cui lo Stato non abbia dettato con propria legge i principi fondamentali cui dovrebbe adeguarsi la legislazione regionale: laddove manchi una espressa disciplina di legge statale, per la Corte non può assumersi impedito alle Regioni di esercitare i propri poteri legislativi, potendo in ogni caso i ridetti principi fondamentali essere desunti dalla preesistente legislazione statale. Per quanto riguarda poi i rapporti tra legislazione regionale e “<em>ordinamento civile</em>” (nella sostanza, il diritto privato), quale materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato, per la Corte la legge regionale non può interferire nella disciplina dei diritti soggettivi, con particolare riguardo ai profili civilistici dei rapporti da cui tali diritti soggettivi derivano, vale a dire i modi di acquisto e di estinzione, i modi di accertamento, le regole su adempimento delle obbligazioni e responsabilità per inadempimento, la disciplina della responsabilità aquiliana, i limiti del diritto di proprietà connessi a rapporti di vicinato e così via. Quello su cui invece la legislazione regionale può incidere è la conformazione del diritto di proprietà (con, sullo sfondo, interessi di rango pubblicistico).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 febbraio viene varata la legge n.15 che, nel novellare l’art.1 della legge 241.90, vi introduce un comma 1.bis alla cui stregua la PA, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente. Si tratta, secondo una accreditata interpretazione, di una conferma della preferenza del legislatore per i moduli consensuali rispetto a quelli unilaterali, anche se per vero la disposizione concerne atti “<em>paritetici</em>” (non autoritativi), e dunque già <em>ex se</em> costruiti su un modello “<em>consensuale</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 febbraio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.693, onde la qualificazione di un vincolo come sostanzialmente espropriativo, quand’anche ad esso possa riconnettersi una inedificabilità assoluta del bene inciso, può ritrarsi unicamente dal fatto che sia stato azzerato il contenuto economico della proprietà del bene ridetto.</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 aprile esce la sentenza del Tar Abruzzo, Pescara, n.181, secondo la quale l’atto di reiterazione del vincolo di natura espropriativa va corredato da una motivazione adeguata dalla quale affiori da un lato il perdurante interesse pubblico alla conservazione del vincolo medesimo, e dall’altro il difetto di intenti vessatori o comunque ingiusti nei confronti del privato proprietario che ne risulti destinatario. Muovendo dallo specifico contenuto del provvedimento di reiterazione, il GA eventualmente adito avverso il medesimo deve vagliarne la consistenza motivazionale alla luce dell’art.3 della legge 241.90.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 17 maggio esce la sentenza della V sezione del Tar Campania, n.6345, che ribadisce come l’atto di reiterazione del vincolo di natura espropriativa va corredato da una motivazione adeguata dalla quale affiori da un lato il perdurante interesse pubblico alla conservazione del vincolo medesimo, e dall’altro il difetto di intenti vessatori o comunque ingiusti nei confronti del privato proprietario che ne risulti destinatario. Muovendo dallo specifico contenuto del provvedimento di reiterazione, il GA eventualmente adito avverso il medesimo deve vagliarne la consistenza motivazionale alla luce dell’art.3 della legge 241.90.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 agosto esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato, n.4843, che ribadisce come l’atto di reiterazione del vincolo di natura espropriativa vada corredato da una motivazione adeguata dalla quale affiori da un lato il perdurante interesse pubblico alla conservazione del vincolo medesimo, e dall’altro il difetto di intenti vessatori o comunque ingiusti nei confronti del privato proprietario che ne risulti destinatario. Muovendo dallo specifico contenuto del provvedimento di reiterazione, il GA eventualmente adito avverso il medesimo deve vagliarne la consistenza motivazionale alla luce dell’art.3 della legge 241.90. Di quel medesimo giorno anche l’importante sentenza sempre della IV sezione del Consiglio di Stato n.4833, che conferma la sentenza della I sezione del Tar Veneto n.1356.97 e, con essa, la illegittimità delle previsioni di cui al PRG del Comune di Bassano del Grappa. In particolare, viene dichiarata illegittima la disposizione del PRG alla cui stregua una quota del 50% della capacità insediativa totale viene riservata <em>ex novo</em> (e dunque in senso modificativo rispetto agli indici di edificabilità previsti dal vecchio PRG) al Comune, e ciò perché si forgia in tal modo una forma di espropriazione tutt’affatto atipica, che non può essere ricondotta a nessuna norma di legge e dunque a nessuna precisa base legale, entrando dunque in rotta di collisione con il principio di legalità, comprimendo la proprietà privata al di fuori delle garanzie previste dall’art.42 Cost, che richiede invece una legge sia per disciplinare i modi acquisto, di godimento e i limiti della proprietà privata (comma 2), sia per normarne l’eventuale esproprio per motivi di interesse generale e salvo indennizzo (comma 3).</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 ottobre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.5954 che, con riferimento alla destinazione – contenuta in un PRG – della proprietà privata a “<em>verde pubblico</em>”, assume come la medesima – anche a prescindere dalla connotazione del relativo vincolo in termini conformativi – determinando l’impossibilità per il privato proprietario di adibire l’area a scopi edificatori, deve intendersi configurare un vincolo soggetto all’art.2 della legge n.1187 del 1968, e dunque limitato nel tempo alla durata di 5 anni. In sostanza, per il Consiglio di Stato si tratta dunque di un vincolo espropriativo, come tale soggetto a decadenza ed indennizzabile.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 maggio esce l’importante sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.7 che, scandagliando l’ipotesi della reiterazione di vincoli espropriativi di cui all’art.39 del TU 327.01, la riconduce all’esercizio di un potere pubblico che va fatto precedere da una istruttoria idonea, e che va corredato da una motivazione adeguata dalla quale affiori da un lato il perdurante interesse pubblico alla conservazione del vincolo, e dall’altro il difetto di intenti vessatori o comunque ingiusti nei confronti del privato proprietario che ne risulti destinatario. Muovendo dallo specifico contenuto del provvedimento di reiterazione, il GA eventualmente adito avverso il medesimo deve vagliarne la consistenza motivazionale alla luce dell’art.3 della legge 241.90, dovendosi distinguere in particolare il caso in cui il vincolo a suo tempo apposto su più aree appartenenti a diversi proprietari sia reiterato con riguardo a tutte tali aree (c.d. reiterazione in blocco del vincolo), ovvero soltanto con riguardo a talune di esse, nel primo caso la motivazione palesandosi meno complessa a fronte della circostanza onde la parità di trattamento riservata a tutti i destinatari del precedente vincolo (reiterato “<em>in blocco</em>”) esclude di per sé intenti vessatori, mentre l’interesse pubblico alla reiterazione appare affiorare con sufficiente evidenza in considerazione del fatto che – data la necessità di rispettare determinati standard capaci di assicurare la vivibilità degli abitanti del Comune di riferimento – la reiterazione è imposta dalla constatata insufficienza delle aree disponibili a soddisfare l’attuale e specifico interesse pubblico al rispetto di tali standard. In sostanza, in sede di reiterazione del vincolo espropriativo la PA apponente deve indicare in modo espresso le ragioni della disposta reiterazione, da fondarsi in particolare sul difetto di aree “<em>altre</em>” più idonee da destinare all’uopo, sulle esigenze della collettività comunale sottese alla reiterazione e, in definitiva, sulla perdurante conformità del vincolo originariamente apposto all’interesse pubblico. L’Adunanza si pone poi il problema della incidenza sulla legittimità dell’atto di reiterazione del vincolo espropriativo della spettanza dell’indennizzo dovuto al privato, rappresentando come in realtà la questione dell’indennizzo non sia idonea ad incidere sulla legittimità di tale atto, palesandosene piuttosto sganciata: è vero che la Corte costituzionale, con la sentenza 179.99, ha previsto la debenza dell’indennizzo in caso di reitera del vincolo, ma va considerato che quando il Comune adotta la variante al PRG che reitera il vincolo (adozione cui potrebbe peraltro non seguire l’approvazione da parte della Regione), è incerto sia l’<em>an</em> che il <em>quantum</em> dell’indennizzo stesso, divenendo dunque difficile impegnare le pertinenti somme in bilancio: quanto all’<em>an</em>, la Regione potrebbe non approvare la variante di reitera; in ordine al <em>quantum</em> dovuto, esso dipende da complessi accertamenti di tipo fattuale che solo il privato inciso può rappresentare, peraltro solo al termine del procedimento pianificatorio. L’Adunanza conclude dunque nel senso onde la debenza dell’indennizzo al privato non incide sulla legittimità del procedimento pianificatorio con il quale viene adottata dal Comune (e poi verrà approvata dalla Regione) la variante al PRG che reitera il vincolo (che non deve neppure prevedere la relativa spettanza), e le pertinenti questioni – che seguono la fine del ridetto procedimento pianificatorio – debbono intendersi devolute al GO, e segnatamente alla Corte d’Appello (similmente a quanto accade con l’indennità di esproprio <em>tout court</em>), come delineato all’art.39, comma 1, del D.p.R. 327.01 alla cui stregua il presupposto processuale per richiedere alla Corte d’Appello l’indennizzo in parola è l’attivazione da parte del privato di un apposito procedimento giusta il quale egli è chiamato a provare l’entità del danno concretamente subito da indennizzarsi. Da quest’ultimo punto di vista, sempre seguendo la scia della Corte costituzionale (179.99 e 411.01), il ristoro da garantire al privato non deve essere necessariamente integrale o comunque equivalente al sacrificio subito per la reiterazione del vincolo, dovendo essere commisurato al mancato uso normale del bene, ovvero alla diminuzione del prezzo di mercato subita dal bene medesimo rispetto alla situazione giuridica che ha preceduto l’imposizione del vincolo medesimo. Più in specie, il privato creditore dell’indennizzo deve fornire la prova di concrete possibilità di utilizzazione economica del bene inciso che egli non ha potuto sfruttare a cagione della reiterazione del vincolo (come nel caso in cui abbia instaurato trattative per la vendita del bene poi abbandonate dalla controparte proprio perché il vincolo, piuttosto che decadere, è stato reiterato dalla PA). Il tutto per l’Adunanza trova un preciso addentellato normativo nell’art.39 del TU 327.01, che si riferisce ai vincoli espropriativi ed anche a quei vincoli che, sotto mentite spoglie conformative, sono invece “<em>sostanzialmente espropriativi</em>”, in quanto le facoltà inerenti alla dominicalità non possono estrinsecarsi a cagione di tali incisivi vincoli. Seguendo ancora una volta la sentenza della Corte costituzionale n.179.99, occorre distinguere i vincoli che svuotano in misura consistente una o più proprietà specificamente individuate (massime laddove dispongono l’immediata inedificabilità assoluta del bene inciso) – da assumersi appunto sostanzialmente espropriativi e dunque indennizzabili in caso di motivata reietera ex art.39 del TU 327.01 – e quelli, da assumersi conformativi, che incidono in modo oggettivo su una intera categoria di beni (con particolare riguardo ai vincoli di tipo paesistico od ambientale), o che non superano la c.d. “<em>normale tollerabilità</em>”, o che hanno una durata “<em>ragionevolmente sopportabile</em>”, o che impongono alla proprietà limiti di natura non ablatoria tipici della pianificazione urbanistica.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 giugno esce la sentenza della VIII sezione del Tar Campania, n.6104, che ascrive il vincolo di destinazione a verde pubblico apposto in sede di PRG ai vincoli conformativi, e non espropriativi.</p> <p style="text-align: justify;">Il 20 luglio esce la sentenza della Corte costituzionale n.314, che si occupa dei vincoli espropriativi apposti da PRG di Comuni ubicati in aree di sviluppo industriale: in particolare, oggetto dello scrutinio della Corte sono due leggi regionali (Campania) che prorogano per 3 anni i PRG dei Comuni ubicati in nuclei e aree industriali, con riferimento ai vincoli in essi contenuti e già scaduti, laddove la proroga è avvenuta senza indennizzo. La sentenza è importante perché afferma come, a seguito della entrata in vigore dell’art.39 del TU in materia di espropri (327.01), costituisca ormai un principio consolidato dell’ordinamento la regola onde i vincoli espropriativi, laddove reiterati, vanno indennizzati. Per la Corte qualunque vincolo preordinato all’esproprio o sostanzialmente espropriativo, laddove reiterato, va inteso come implicitamente integrabile con il principio generale della indennizzabilità, laddove non preveda, di suo, un indennizzo per il privato proprietario che lo subisce.</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 settembre esce la sentenza della I sezione del Tar Puglia, Lecce, n.3249 che, sulla scia di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza 179.99 ed in altre sul tema, qualifica i c.d. vincoli espropriativi contenuti nei Piani, additandoli come tali quando su beni determinati appartenenti a soggetti privati viene svuotato in modo consistente ed assai incisivo il contenuto della proprietà giusta imposizione di vincolo specifico e a titolo particolare, immediatamente efficace; in queste ipotesi (vincolo espropriativo) non può essere superata la durata che la legge ha fissato come limite (non arbitrario né irragionevole) alla c.d. sopportabilità del vincolo (espropriativo) da parte del privato proprietario: perché non avvenga tale superamento occorre che intervenga l’ablazione o che quanto meno sia fatta partire la procedura espropriativa attraverso l’approvazione di quei piani particolareggiati che normalmente dichiarano la pubblica utilità dell’opera da realizzarsi sul bene vincolato, e che recano a propria volta dei limiti temporali massimi. Sotto altro profilo è espropriativo (e non conformativo) il vincolo che – pur stante il disposto dell’art.42, comma 2, Cost. alla cui stregua è la legge a fissare i modi di godimento e il limiti della proprietà, allo scopo di garantirne la funzione sociale – si atteggia tuttavia a vincolo che supera la normale tollerabilità. La qualifica di un vincolo come espropriativo (piuttosto che come conformativo) è importante perché ai vincoli di natura espropriativa, laddove reiterati, deve corrispondere un indennizzo erogato al privato “<em>vincolato</em>”.</p> <p style="text-align: justify;">Il 24 ottobre esce la sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana n.1017 che, uniformandosi alla giurisprudenza maggioritaria sul punto, ribadisce come, con riferimento alla destinazione a verde pubblico impressa alle aree private in seno al PRG, si sia al cospetto di vincolo meramente conformativo (e non espropriativo), come tale non soggetto all’art.2 della legge 1187.68, non soggetto alla decadenza quinquennale e non indennizzabile: ciò in quanto si tratta di vincolo che non inibisce l’utilizzazione dei beni da parte dei privati proprietari, ma ne prescrive soltanto le modalità di sfruttamento, che possono realizzarsi anche su iniziativa dei privati proprietari medesimi.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 28 dicembre esce la sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n.6741 che, sulla scia di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza 179.99 ed in altre sul tema, qualifica i c.d. vincoli espropriativi contenuti nei Piani, additandoli come tali quando su beni determinati appartenenti a soggetti privati viene svuotato in modo consistente ed assai incisivo il contenuto della proprietà giusta imposizione di vincolo specifico e a titolo particolare, immediatamente efficace; in queste ipotesi (vincolo espropriativo) non può essere superata la durata che la legge ha fissato come limite (non arbitrario né irragionevole) alla c.d. sopportabilità del vincolo (espropriativo) da parte del privato proprietario: perché non avvenga tale superamento occorre che intervenga l’ablazione o che quanto meno sia fatta partire la procedura espropriativa attraverso l’approvazione di quei piani particolareggiati che normalmente dichiarano la pubblica utilità dell’opera da realizzarsi sul bene vincolato, e che recano a propria volta dei limiti temporali massimi. Sotto altro profilo è espropriativo (e non conformativo) il vincolo che – pur stante il disposto dell’art.42, comma 2, Cost. alla cui stregua è la legge a fissare i modi di godimento e il limiti della proprietà, allo scopo di garantirne la funzione sociale – si atteggia tuttavia a vincolo che supera la normale tollerabilità. La qualifica di un vincolo come espropriativo (piuttosto che come conformativo) è importante perché ai vincoli di natura espropriativa, laddove reiterati, deve corrispondere un indennizzo erogato al privato “<em>vincolato</em>”.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 28 gennaio esce la sentenza della sezione II.bis del Tar Lazio n.627, che statuisce sulla natura del vincolo di destinazione a verde pubblico presente nel PRG, annoverandolo tra i vincoli espropriativi (e non conformativi): si tratta di un vincolo che, laddove impresso senza un termine di scadenza (come sarebbe laddove venisse assunto conformativo), appare idoneo a paralizzare ogni possibilità per il proprietario di fruire del pertinente bene, non potendo in particolare sfruttarlo a scopi edificatori. Ne consegue la necessità per tale vincolo di un termine di decadenza, e la conseguente sottoponibilità all’egida precettiva dell’art.2 legge 1187.68, con conseguente inefficacia alla scadenza del quinquennio laddove non siano stati approvati i piani particolareggiati.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 25 novembre esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.28051 che, sulla scia di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza 179.99 ed in altre sul tema, qualifica i c.d. vincoli espropriativi contenuti nei Piani, additandoli come tali quando su beni determinati appartenenti a soggetti privati viene svuotato in modo consistente ed assai incisivo il contenuto della proprietà giusta imposizione di vincolo specifico e a titolo particolare, immediatamente efficace; in queste ipotesi (vincolo espropriativo) non può essere superata la durata che la legge ha fissato come limite (non arbitrario né irragionevole) alla c.d. sopportabilità del vincolo (espropriativo) da parte del privato proprietario: perché non avvenga tale superamento occorre che intervenga l’ablazione o che quanto meno sia fatta partire la procedura espropriativa attraverso l’approvazione di quei piani particolareggiati che normalmente dichiarano la pubblica utilità dell’opera da realizzarsi sul bene vincolato, e che recano a propria volta dei limiti temporali massimi. Sotto altro profilo è espropriativo (e non conformativo) il vincolo che – pur stante il disposto dell’art.42, comma 2, Cost. alla cui stregua è la legge a fissare i modi di godimento e il limiti della proprietà, allo scopo di garantirne la funzione sociale – si atteggia tuttavia a vincolo che supera la normale tollerabilità. La qualifica di un vincolo come espropriativo (piuttosto che come conformativo) è importante perché ai vincoli di natura espropriativa, laddove reiterati, deve corrispondere un indennizzo erogato al privato “<em>vincolato</em>”.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2009</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 settembre esce la sentenza della II sezione del Tar Lombardia n.4671 che si occupa della distinzione tra c.d. perequazione e c.d. compensazione, ed in particolare delle due soluzioni tecniche adottate dal pianificatore comunale negli strumenti urbanistici più recenti, entrambe alternative alla procedura espropriativa, ovvero appunto la c.d. cessione compensativa e la c.d. cessione perequativa. Per il Tar, giusta compensazione, il Comune in sede di pianificazione impone in via autoritativa il vincolo espropriativo su aree private, che vengono in tal modo destinate alla costruzione della città pubblica, onde in questo modello l’Amministrazione non rinuncia a priori al vincolo ed alla connessa facoltà imperativa ed unilaterale di acquisizione coattiva delle aree, apponendo il vincolo c.d. preespropriativo e dovendo far ricorso nei cinque anni successivi all’espropriazione tradizionale; nondimeno, in questa fattispecie il privato espropriato – e qui sta la novità - ottiene dei c.d. crediti compensativi, onde la c.d. cessione compensativa consente di ristorare il proprietario privato giusta attribuzione di ‘<em>crediti compensativi’</em> od aree in permuta in luogo dell’usuale indennizzo pecuniario; in sostanza, come è stato osservato in dottrina, nella compensazione il vincolo è sempre presente, il momento autoritativo resta indefettibile presupposto del fenomeno che è volto a risolvere gli effetti negativi delle previsioni urbanistiche sfavorevoli, e nondimeno, prestandovi il necessario consenso, i privati incisi dal vincolo possono ottenere un vantaggio superiore a quello ritraibile dal mero indennizzo pecuniario, essendo loro destinato un corrispettivo in volumetria (diritto edificatorio) o in aree in permuta (anziché in denaro, come avverrebbe tanto nel caso in cui l’area fosse acquisita bonariamente quanto nel caso in cui venisse espropriata). Chiarito in cosa consiste la cessione compensativa, il Tar si sofferma poi sul differente modello della c.d. cessione perequativa, iniziando col far rilevare che essa è invece alternativa all’espropriazione, non prevedendo l’apposizione di alcun vincolo preespropriativo sulle aree destinate a servizi pubblici, ma prevedendo piuttosto che tutti i proprietari, sia quelli che possono edificare sulle loro aree sia quelli i cui immobili dovranno realizzare la “<em>città pubblica</em>”, partecipino alla realizzazione delle infrastrutture pubbliche attraverso l’equa ed uniforme distribuzione di diritti edificatori indipendentemente dalla localizzazione delle aree per attrezzature pubbliche e dei relativi obblighi nei confronti del Comune; onde, nel modello perequativo tutti i terreni sviluppano una propria volumetria, che tuttavia potrà essere sfruttata soltanto su specifiche aree, potendosi in simile fattispecie plasticamente parlare di “<em>aree di decollo dei diritti edificatori</em>” e “<em>aree di atterraggio</em>” dei diritti stessi, onde la cessione perequativa si caratterizza per il fatto che il terreno che sarà oggetto di trasferimento in favore della PA sviluppa volumetria propria (espressa, appunto dall’indice di edificabilità territoriale che gli viene attribuito) che, però, può essere realizzata solo sulle aree su cui deve concentrarsi l’edificabilità, ovvero su aree alle quali è attribuito dal Piano un indice urbanistico adeguato a ricevere anche la cubatura proveniente dai terreni oggetto di cessione alla mano pubblica.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2010</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 4 febbraio esce la sentenza della sezione II.bis del Tar Lazio n.1524 che si occupa del PRG di Roma dichiarandone illegittime talune previsioni riconducibili al c.d. modello perequativo urbanistico. Le previsioni di piano censurate prevedono che, in futuro, il privato proprietario di aree potrà – se lo vorrà (e dunque a livello facoltativo, potendo sempre rassegnarsi in via alternativa a subire l’apposizione di vincoli espropriativi ed il successivo procedimento di esproprio, corredato da classico indennizzo) – cedere al Comune quote di edificabilità appartenenti alla relativa proprietà, onde consentire al Comune di utilizzarle per finalità di pubblico interesse (riqualificazione urbana, edilizia sociale, servizi urbani, tutela ambientale, realizzazione di opere pubbliche), ottenendo in cambio diritti edificatori aggiuntivi, ed altri ulteriormente aggiuntivi (art.20 delle Norme Tecniche di Attuazione) ma connessi al pagamento di un contributo finanziario straordinario destinato a finanziare opere o servizi pubblici in ambiti urbani degradati, con finalità dunque di riqualificazione urbana di aree degradate. Il nuovo PRG conferma peraltro gli indici di fabbricabilità previsti dal vecchio PRG, limitandosi a prevedere che per alcune aree destinate a soddisfare interessi pubblici potrà valere il meccanismo perequativo della cessione di quote di edificabilità verso diritti edificatori aggiuntivi, con potenziale ottenimento da parte del privato di ulteriore edificabilità pagando un contributo straordinario: in sostanza – a differenza di quanto avvenuto con il PRG del Comune di Bassano del Grappa, in cui venivano <em>ex novo</em> sottratte quote di edificabilità al settore privato per attribuirle <em>de plano</em> a quello pubblico, con surrettizia ablazione – vengono confermati gli indici edificatori preesistenti, garantendosi solo, <em>de futuro</em>, la operatività (facoltativa) dello strumento perequativo. Il nuovo PRG del Comune di Roma disciplina dunque dapprima, in via “<em>statica</em>”, il territorio comunale assegnando a ciascuna zona una destinazione urbanistica e confermandone gli indici di edificabilità; poi, in via “<em>dinamica</em>”, consente facoltativamente e <em>de futuro</em> il meccanismo perequativo ridetto. Si tratta di un modello perequativo che tuttavia, per il Tar, è in frizione con il principio di legalità, sia perché – per quanto riguarda la cessione delle aree – non vi è nessuna copertura di legge, prevista invece dall’art.42 della Costituzione per l’esproprio tradizionale; sia anche perché – per quanto riguarda il contributo straordinario – forgia una prestazione patrimoniale imposta che, pur non essendo un tributo, dovrebbe in ogni caso trovare una specifica base di legge ai sensi dell’art.23 della Costituzione.</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 marzo esce la sentenza della Corte costituzionale n.121 che, sollecitata a pronunciarsi da talune Regioni sul piano nazionale dell’edilizia abitativa di cui alla legge 133.08, afferma testualmente che le previsioni normative afferenti al trasferimento ed alla cessione dei diritti edificatori incidono sulla materia “<em>ordinamento civile</em>”, e dunque sono appannaggio della legislazione esclusiva dello Stato. E’ ben vero che, come da costante giurisprudenza della Corte medesima, per ragioni di necessaria uniformità di disciplina alle Regioni è precluso legiferare in materia di diritto privato per quanto in specie riguarda i rapporti intersoggettivi tra privati, e non anche i rapporti tra privato e pubblico, con particolare riguardo al potere di conformare il contenuto della proprietà privata al fine di assicurarne la funzione sociale ex art.42 Cost, la riserva di legge contenuta in quest’ultima norma dovendosi assumere riferita, oltre che alla legge statale, anche alla legge regionale. Tuttavia nei c.d. modelli perequativi (previsti da talune leggi regionali), non si tratta tanto di governare il territorio pianificando e così conformando la proprietà privata, quanto piuttosto di prevedere il trasferimento dei diritti edificatori, la relativa negoziabilità giusta “<em>atterraggio</em>” in altre aree del Piano in cui è possibile sfruttarne le potenzialità volumetriche, e dunque in sostanza di disciplinare lo scambio (spesso coinvolgente solo soggetti privati) di beni mobili (i diritti edificatori, appunto), con conseguente sconfinamento nell’ambito della materia “<em>ordinamento civile</em>”, appannaggio della legislazione esclusiva dello Stato (come dimostra la necessità di disciplinare la pubblicità e l’opponibilità a terzi degli atti di cessione di tali diritti edificatori). Si tratta di una sentenza che richiede dunque al legislatore statale di intervenire, prefigurando l’ormai prossima disciplina statale dei contratti di trasferimento dei diritti edificatori.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 luglio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.4545 che, ribaltando la sentenza del Tar Lazio del febbraio di quel medesimo anno, assume pienamente legittimo il PRG del Comune di Roma ed il modello perequativo da esso abbracciato. La PA comunale, per il Consiglio di Stato, è attributaria di un potere conformativo della proprietà privata che le consente di ricorrere, per l’appunto, all’archetipo perequativo in alternativa a quello espropriativo puro; ciò anche in considerazione della circostanza onde sono presenti nel sistema moduli consensuali di spendita del potere pubblico previsti dalla legge ed alternativi rispetto a quelli autoritativi ed unilaterali, come dimostra in particolare l’art.1, comma 1.bis, e l’art.11 della legge 241.90. In sostanza, per il Consiglio il nuovo PRG del Comune di Roma non fa altro che governare il territorio di pertinenza, conformandolo senza prevedere limitazioni e condizionamenti al godimento della proprietà di singoli, ma con riferimento ad intere categorie di fondi ed in via generale ed astratta, come consentito appunto dalla legislazione urbanistica; quando si imprime ai suoli di una certa zona una specifica destinazione, considerandoli in via generale ed astratta, perché ricadenti appunto in una data zona, si utilizza il potere conformativo (zonizzazione) e non quello espropriativo (localizzazione individua), come ha chiarito anche – lo ricorda il Consiglio di Stato – la Corte costituzionale con la nota sentenza 179.99: un potere conformativo che è autorizzato dalla legislazione urbanistica primaria, ed in particolare dalla legge 1150.42. Su questo assetto pianificatorio (statico) di tipo conformativo e di natura unilaterale, si innesta un meccanismo (dinamico), futuro ed eventuale, di tipo consensuale, capace di innescare la perequazione urbanistica e finanziaria attraverso la cessione delle volumetrie e, in qualche caso di cessione più consistente, il pagamento di un contributo straordinario al Comune; operazioni che tuttavia poggiano sul consenso delle parti pubblica e privata e che dunque si imperniano sul nuovo volto (potenzialmente) consensuale (e non più solo autoritativo) della spendita di potere pubblico. E’ vero peraltro – precisa il Consiglio di Stato – che il privato non può, ai sensi dell’art.13 della legge 241.90, attivare gli istituti partecipativi – con particolare riguardo alla stipula di accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento – quando si tratti di emanare atti di natura pianificatoria o programmatoria; ma è del pari vero che, alla stregua del nuovo PRG del Comune di Roma, il momento in cui possono intervenire accordi pubblicistici tra PA comunale e privati proprietari si colloca a valle della pianificazione urbanistica - che resta (a monte) unilaterale - ed in sede (facoltativa) di attuazione di tale assetto unilaterale impresso al territorio in senso conformativo. Detto altrimenti, per il Consiglio è il Comune di Roma in via unilaterale ad emanare il PRG con il quale esercita il proprio potere conformativo della proprietà privata, in ciò autorizzato dalla legislazione urbanistica; a valle, ed in sede di attuazione delle misure pianificatorie unilateralmente emanate dal Comune, può (facoltativamente) essere innescato il meccanismo perequativo urbanistico e finanziario, che assume dunque una veste consensuale successiva ed eventuale rispetto al momento pianificatorio a monte, che resta autoritativo ed unilaterale, e che si compendia nelle previsioni del PRG impugnato. Se in generale – e rimanendo sulla fase dinamica a valle rispetto a quella statica (ed unilaterale) a monte - il pubblico interesse può ormai essere perseguito dalla PA anche attraverso moduli consensuali, ai sensi degli articoli 1, comma 1.bis, e 11 della legge 241.90, ciò in materia espropriativa trova un preciso addentellato normativo nell’art.45 del D.p.R. 327.01, che prevede gli accordi sostitutivi dell’espropriazione, nel cui <em>genus</em> rientra anche la <em>species</em> del modulo perequativo prefigurato dal nuovo PRG del Comune di Roma. Il Consiglio di Stato precisa peraltro come i moduli consensuali siano ormai fungibili rispetto a quelli unilaterali nel perseguimento dell’interesse pubblico, senza che si pongano problemi di atipicità degli accordi pubblicistici, potendo questi ultimi compendiare il surrogato consensuale solo di atti amministrativi tipici, come tali prefigurati dalla legge, godendo dunque di una tipicità indiretta che è lo specchio della tipicità diretta, per l’appunto, degli atti unilaterali ed autoritativi dei quali prendono il posto. Ecco allora che la frizione con il principio di legalità della perequazione urbanistica viene scongiurata attraverso il richiamo “fondante” alla legge urbanistica 1150.42, al TU in materia di espropri (con particolare riguardo al relativo art.45), e più in generale alla legge 241.90, articoli 1, comma 1.bis, e 11, mentre sul crinale delle prestazioni patrimoniali imposte, nessuna violazione dell’art.23 Cost. appare configurabile laddove il meccanismo perequativo sia facoltativo (come nel caso di specie) e non, dunque, “<em>imposto</em>”. Infine, sul crinale costituzionale, il nuovo PRG – sulla scorta di quanto rappresentato – viene assunto dal Consiglio di Stato perfettamente in linea tanto con l’art.117, comma 2, lettera m), che affida alla legislazione esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; quanto con l’art.117, comma 3, che affida alla legislazione concorrente Stato-Regioni la materia del governo del territorio; quanto infine con l’art.117, comma 8, laddove affida ai Comuni, alle Province e alle Città metropolitane potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Per quanto in particolare concerne la materia concorrente “<em>governo del territorio</em>”, il Consiglio di Stato, oltre ad affermare che un principio fondamentale di rango legislativo statale potrebbe comunque rinvenirsi nell’art.23 della legge urbanistica 1150.42 in tema di comparti perequativi, dovendosi assumere la perequazione urbanistica rientrare nel potere conformativo della proprietà o potere di governo del territorio, ha poi buon gioco nel richiamare la sentenza della Corte costituzionale n.359.03 onde - laddove manchi una espressa disciplina di legge statale che detti i principi fondamentali - per la Corte non può assumersi impedito alle Regioni di esercitare i propri poteri legislativi, potendo in ogni caso i ridetti principi fondamentali essere desunti dalla preesistente legislazione statale (e dunque in particolare, nel caso di specie, dal richiamato art.23).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2011</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 13 maggio viene varato il decreto legge n.70, c.d. decreto Sviluppo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 luglio viene varata la legge n.106, che converte in legge il decreto legge n.70, c.d. decreto Sviluppo e, nel modificarne l’art.5, comma 3, inserisce nell’art.2643 c.c. in materia di trascrizione un comma 2.bis alla cui stregua sono appunto soggetti a trascrizione i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale. Viene modificato anche l’art.5, comma 9, del decreto legge, con l’introduzione di una misura c.d. incentivante o di premialità edilizia, onde al fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonché di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili, le Regioni approvano entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto specifiche leggi per incentivare tali azioni anche con interventi di demolizione e ricostruzione che prevedano: a) il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a quella preesistente come misura premiale; b) la delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse; c) l'ammissibilità delle modifiche di destinazione d'uso, purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari; d) le modifiche della sagoma necessarie per l'armonizzazione architettonica con gli organismi edilizi esistenti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2012</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 7 giugno esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato, n.3365, che ribadisce come l’atto di reiterazione del vincolo di natura espropriativa vada corredato da una motivazione adeguata dalla quale affiori da un lato il perdurante interesse pubblico alla conservazione del vincolo medesimo, e dall’altro il difetto di intenti vessatori o comunque ingiusti nei confronti del privato proprietario che ne risulti destinatario. Muovendo dallo specifico contenuto del provvedimento di reiterazione, il GA eventualmente adito avverso il medesimo deve vagliarne la consistenza motivazionale alla luce dell’art.3 della legge 241.90.</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 giugno esce la sentenza della Corte costituzionale n.164 che – giudicando ancora una volta su ricorsi promossi in via principale da talune Regioni – afferma che l’attività amministrativa in materia edilizia, intesa come “<em>prestazione</em>”, va ricondotta al parametro di cui all’art.117, comma 2, lettera m) della Costituzione, con conseguente legislazione esclusiva dello Stato.</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 dicembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.6700 che si occupa di distinguere i vincoli espropriativi da quelli conformativi; mentre i primi (espropriativi) sono soggetti a scadenza dopo 5 anni e concernono beni determinati, collegati come sono alla puntuale localizzazione di una erigenda opera pubblica sul bene che attualmente è ancora in proprietà del privato, ma che verrà all’uopo espropriato, onde è impossibile che coesista la proprietà del privato con la realizzazione dell’opera pubblica, derivandone un incisivo svuotamento della proprietà privata “<em>vincolata</em>” ed il conseguente obbligo di indennizzo; i secondi (conformativi) non hanno natura ablatoria, ma regolano la proprietà privata funzionalizzandola ad obiettivi di interesse generale, come nel caso del vincolo di inedificabilità connesso alla presenza di una strada limitrofa, (c.d. zona di rispetto), ovvero di vincolo a zona agricola di pregio, a verde o simili.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 10 febbraio esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.616 che – muovendo dalla sentenza della Corte costituzionale n.121.10, laddove afferma che le previsioni normative afferenti al trasferimento ed alla cessione dei diritti edificatori incidono sulla materia “<em>ordinamento civile</em>”, e dunque sono appannaggio della legislazione esclusiva dello Stato – solleva dubbi di legittimità costituzionale sulle singole previsioni legislative regionali in tema di perequazione urbanistica, in difetto di una legislazione organica a livello statale. Lo stesso Consiglio di Stato fa leva poi sulla recente ed ulteriore pronuncia della Corte costituzionale n.164.12 - alla cui stregua l’attività amministrativa in materia edilizia, intesa come “<em>prestazione</em>”, va ricondotta al parametro di cui all’art.117, comma 2, lettera m) della Costituzione, con conseguente legislazione esclusiva dello Stato – onde si impone di scongiurare che la flessibilità operativa della c.d. perequazione urbanistica, siccome prevista dalle singole Regioni, si traduca in una lesione delle ineliminabili esigenze di salvaguardia di livelli qualitativi omogenei di convivenza civile.</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 aprile viene varata la legge n.56, il cui articolo 1, comma 44, lettera b) assegna nuove competenze di tipo pianificatorio alle Città metropolitane, cui viene affidata la pianificazione territoriale generale, ivi comprese le strutture di comunicazione, le reti di servizi e delle infrastrutture appartenenti alla competenza della comunità metropolitana. Le Città metropolitane vengono peraltro autorizzate a fissare vincoli ed obiettivi all’attività ed all’esercizio delle funzioni del Comuni compresi nel territorio metropolitano, venendo dunque forgiato uno specifico livello di pianificazione a livello di Città metropolitana.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 settembre viene varato il decreto legge n. 133, recante misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attivita' produttive, meglio noto come Sblocca Italia, il cui art.17, comma 1, lettera b) – inserendo nel D.p.R. 380.01 un art.3.bis - consente al Comune di favorire, in alternativa all’espropriazione tradizionale, la riqualificazione delle aree attraverso forme di compensazione nei confronti dei privati rispondenti all’interesse pubblico e comunque rispettose del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa: si tratta di un nuovo istituto di c.d. premialità edilizia.</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 ottobre esce la sentenza della sezione II.quater del Tar Lazio n.10021 che – vagliando il PRG del Comune di Monterotondo - si occupa del c.d. comparto edificatorio, disciplinato dall’art.23 della legge urbanistica fondamentale 1150.42. Si tratta per il Tar di uno strumento che fa affidamento sulla concreta iniziativa dei proprietari dei terreni racchiusi nel comparto, al fine di realizzare degli interventi di trasformazione urbana che esso prevede in via astratta, facendo ricorso alla c.d. edilizia convenzionale. Il comparto annovera sia aree non edificate, sia costruzioni da edificare, in ottica appunto di trasformazione urbana: una volta formato il comparto edificatorio, il Sindaco del Comune pertinente invita i proprietari delle aree raccolte nel comparto medesimo a consorziarsi per fare luogo alla trasformazione urbana in esso prevista. Il Tar, sulla base di questi presupposti, conferma la piena legittimità e conformità a Costituzione di un PRG le cui previsioni riservino al settore pubblico una percentuale dell’indice di fabbricabilità fondiaria prevedendo la possibilità per i privati di cedere gratuitamente al Comune le proprie aree, valorizzando la figura del comparto edificatorio ed i moduli convenzionali in sostituzione di quelli tradizionalmente autoritativi imperniantesi sull’ablazione verso indennizzo.</p> <p style="text-align: justify;">L’11 novembre viene varata la legge n.164 che converte in legge con modificazioni il decreto legge 133.14 Sblocca Italia.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 29 gennaio esce la sentenza della II sezione del Tar Piemonte n.91 che si occupa di distinguere la c.d. “<em>premialità edilizia</em>” di cui all’art.5, comma 9, del decreto legge 70.11 con il diverso istituto del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici di cui all’art.14 del D.p.R. 380.01.</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 febbraio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2184 che si occupa dei vincoli c.d. conformativi, ed in particolare della relativa distinzione dai vincoli espropriativi, che è importante perché per i secondi – e non per i primi – va previsto un indennizzo per il soggetto privato che li subisce. Per la Corte, al fine di verificare se un vincolo è conformativo o espropriativo, non occorre tanto guardare alla fonte che lo appone (il Piano, la legge), dovendo piuttosto operarsi un’indagine di tipo sostanziale sul tipo di vincolo apposto nel singolo caso di specie, e dunque sulla natura e la struttura di tale vincolo, sulla eventuale incidenza su una categoria o generalità di beni (piuttosto che su un bene determinato), sulla natura plurale e indifferenziata dei soggetti privati che ne vengono interessati, sulla funzione in concreto assolta dalla zona in cui si collocano i beni vincolati. Per la Corte un vincolo è conformativo talvolta per le caratteristiche intrinseche dei beni che ne sono coinvolti, talaltra per la relativa collocazione spaziale (sempre intesi come categoria di beni), come nell’ipotesi della vicinanza ad opere pubbliche. Quando il vincolo è conformativo, si ha riguardo dunque alla qualità del bene, che è conformato proprio perché avente quella qualità (assieme ad altri beni), risultandone conformato anche il diritto dominicale di chi ne è proprietario.</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 aprile esce la sentenza della Corte costituzionale n.67 che dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.17, comma 1, lett.b) del decreto legge 133.14 (che ha introdotto nel T.U. edilizia 380.01 il nuovo art.3.bis ed il nuovo istituto di premialità edilizia in esso previsto). La Corte mette in evidenza la natura e le finalità composite della norma censurata di incostituzionalità, le cui misure vanno ricondotte alla c.d. perequazione urbanistica; quest’ultima è operativa in contesti procedimentali di c.d. urbanistica “<em>contrattata</em>” (e non dunque unilaterale), laddove da una parte si assiste a mancati oneri in capo all’Amministrazione – che dovrebbe procedere tradizionalmente a procedure ablatorie, con connesso dispendio monetario a titolo di indennizzi espropriativi – e dall’altro alla sostanziale incentivazione dei privati al recupero (anche da un punto di vista migliorativo) del patrimonio immobiliare ubicato nel Comune. La legge si pone peraltro il fine, osserva la Corte, di rilanciare l’edilizia senza contestualmente aumentare il consumo di suolo, del quale viene anzi favorita la riduzione.</p> <p style="text-align: justify;">Il 5 settembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.3806 alla cui stregua le scelte operate dalla PA sul crinale della pianificazione urbanistica generale costituiscono apprezzamento di merito che deve intendersi sottratto al sindacato di legittimità del GA, fatti salvi i soli profili di manifesta illogicità ed irragionevolezza.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 febbraio esce la sentenza della IV Sezione del Consiglio di Stato n.821 che, in tema di finalità sottese all’esercizio del potere di pianificazione urbanistica del territorio, rappresenta come tale potere non sia limitato alla individuazione delle destinazioni delle varie zone in cui è suddiviso il territorio comunale, con particolare riguardo alle possibilità edificatorie di tali zone ed ai pertinenti limiti; si tratta piuttosto di un potere che va rettamente inteso in relazione ad un concetto di urbanistica non limitato alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli (e, al massimo, ai vari tipi di edilizia, distinti per finalità precipue ed in tal modo definiti) ma che, per mezzo della disciplina dell’utilizzo delle aree, realizzi anche finalità economico sociali della comunità locale (non già in contrasto, ma anzi in armonico rapporto con analoghi interessi di altre comunità territoriali, regionali e dello Stato)</p> <p style="text-align: justify;">*Il 31 marzo esce la sentenza della I sezione del Tar Toscana n.499 che – sulla scia della Cassazione - si occupa dei vincoli c.d. conformativi, ed in particolare della relativa distinzione dai vincoli espropriativi, che è importante perché per i secondi – e non per i primi – va previsto un indennizzo per il soggetto privato che li subisce. Per la Corte, al fine di verificare se un vincolo è conformativo o espropriativo, non occorre tanto guardare alla fonte che lo appone (il Piano, la legge), dovendo piuttosto operarsi un’indagine di tipo sostanziale sul tipo di vincolo apposto nel singolo caso di specie, e dunque sulla natura e la struttura di tale vincolo, sulla eventuale incidenza su una categoria o generalità di beni (piuttosto che su un bene determinato), sulla natura plurale e indifferenziata dei soggetti privati che ne vengono interessati, sulla funzione in concreto assolta dalla zona in cui si collocano i beni vincolati. Per la Corte un vincolo è conformativo talvolta per le caratteristiche intrinseche dei beni che ne sono coinvolti, talaltra per la relativa collocazione spaziale (sempre intesi come categoria di beni), come nell’ipotesi della vicinanza ad opere pubbliche. Quando il vincolo è conformativo, si ha riguardo dunque alla qualità del bene, che è conformato proprio perché avente quella qualità (assieme ad altri beni), risultandone conformato anche il diritto dominicale di chi ne è proprietario.</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 ottobre viene varata la legge n. 158, recante misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni.</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 dicembre esce la sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n.5909 alla cui stregua - premesso che la qualificazione giuridica dell’assetto urbanistico di un‘area va desunta dalle caratteristiche proprie della medesima, non potendo dunque il GA assumersi vincolato dalle affermazioni in proposito dell’Amministrazione - la destinazione ad attrezzature scolastiche ha natura conformativa e non espropriativa, producendo dunque l’effetto di configurare un tipico vincolo conformativo, come destinazione ad un servizio che trascende le necessità di zone circoscritte ed è piuttosto concepibile solo nella complessiva sistemazione del territorio, nel quadro di una ripartizione zonale basata su criteri generali ed astratti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 marzo esce la sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana n.121 che assume non convincente la tesi abbracciata dal Tar nel caso di specie e secondo cui il vincolo a parcheggio, in quanto attuabile – secondo le previsioni contenute nel P.R.G., fonte del suddetto vincolo -anche ad iniziativa della parte privata, non integrerebbe un vincolo espropriativo soggetto a decadenza quinquennale ai sensi del già citato art. 9 d.P.R. n. 327 del 2001; ciò per il Collegio atteso che, per converso, la natura conformativa ovvero espropriativa di un vincolo preordinato alla realizzazione di un’opera non dipende dalla natura (pubblica o privata) del soggetto attuatore della destinazione impressa col vincolo quanto piuttosto dalla fruizione (pubblica o privata) cui è destinata l’opera da realizzare. Nella specie, prosegue il Collegio, il parcheggio pubblico è certamente strumentale al soddisfacimento di un’esigenza che mette capo all’intera collettività cittadina (o quantomeno di una parte significativa di essa), trattandosi dunque di opera integrante un intervento di urbanizzazione primaria, di guisa che non è dubitabile la natura espropriativa del vincolo preordinato alla relativa, concreta realizzazione, quale che ne sia il soggetto attuatore o che se ne faccia promotore; pertanto – chiosa ancora il Collegio - la decadenza del vincolo espropriativo anche sulle aree destinate a parcheggio in proprietà della parte appellante, alla scadenza del quinquennio di durata del vincolo espropriativo impresso dal PRG del 2010, impongono al Comune, espressamente sollecitato in tal senso dalla parte privata, di provvedere alla riqualificazione anche di detta area e, a tal fine, di prendere preliminarmente posizione sulla articolata proposta della società privata, che ha evidenziato di poter essa stessa realizzare il parcheggio pubblico, nonché la sistemazione a verde delle aree e le altre opere di arredo urbano, il tutto da trasferire al Comune nell’ambito di una convenzione urbanistica a farsi e salvo il mantenimento della destinazione commerciale dell’edificio a ciò destinato da lungo tempo (e salvo ogni altra pattuizione <em>inter partes</em> sulle eventuali ed ulteriori compensazioni in denaro). Quali che possano essere gli esiti procedimentali di tale preliminare valutazione della proposta della società privata, per il Collegio l’Amministrazione comunale è in ogni caso onerata di dare una nuova qualificazione urbanistica alle aree di proprietà ricorrente oggetto di causa, ed in relazione alle quali il vincolo espropriativo è ormai decaduto.</p> <p style="text-align: justify;">Il 9 marzo esce l’ordinanza delle SSUU della Cassazione n.5790 che premette come in materia urbanistica ed edilizia la giurisdizione esclusiva del GA si fondi su un comportamento della P.A. (o del relativo concessionario) che non sia semplicemente occasionato dall’esercizio del potere, ma si traduca, in base alla norma attributiva, in una manifestazione del potere medesimo e, cioè, risulti quale comportamento necessario, considerate le relative caratteristiche, al raggiungimento del risultato (di interesse pubblico) da perseguire; non è sufficiente dunque la sussunzione della vicenda nell’ambito generale della materia suindicata, ma occorre piuttosto che si faccia in concreto questione delle modalità di esercizio del potere pubblico spettante all’amministrazione che lo esercita. Per il Collegio rientra allora nella giurisdizione del G.O. una azione con la quale i privati proprietari di un terreno hanno diffidato il Comune di Roma Capitale a portare a termine il procedimento amministrativo finalizzato all’adozione di una variante di P.R.G., invitando in alternativa l’Amministrazione a stipulare un atto di retrocessione del proprio terreno e chiedendo dunque che sia dichiarata - alternativamente - l’inefficacia dell’atto di cessione dell’area a titolo gratuito a suo tempo perfezionato in vista della ridetta variante al P.R.G.: in tal caso infatti, l’azione proposta dal Collegio è volta all’accertamento del diritto di proprietà sul bene oggetto di cessione gratuita da parte dei privati in favore del Comune, cessione che gli attori assumono inefficace in base ad un comportamento negativo o omissivo del Comune, vertendosi dunque, in definitiva, in ipotesi mero accertamento della mancata verificazione di una condizione sospensiva (adozione e approvazione della variante) al cui verificarsi le parti avevano rimesso il perfezionamento dell’effetto negoziale (la cessione del terreno a titolo gratuito); i privati chiedono infatti, per la Corte, di accertare soltanto l’esistenza di un comportamento (omissivo) del Comune senza prospettare una violazione degli obblighi della P.A. né la lesione di un interesse pubblico connesso all’acquisto del bene ceduto.</p> <p style="text-align: justify;">Il 2 ottobre esce la sentenza della I sezione del Tar Puglia, Lecce, n. 1401, che assume legittima, in quanto correttamente motivata, una delibera con la quale il Consiglio comunale ha opposto un formale diniego in merito ad una istanza avanzata dal proprietario di alcuni terreni - interessati da vincoli di destinazione urbanistica in Zona C/3 comprendente aree destinate allo localizzazione di insediamenti di edilizia economica e popolare e Zona E2 comprendente aree per servizi e attrezzature per dotazione minima degli standard di cui al d.m. n. 1444/68 - tendente ad ottenere la declaratoria di avvenuta decadenza dei suddetti vincoli; in tal caso infatti si tratta per il Collegio di vincoli che, in ragione della relativa natura conformativa, non possono che avere durata tendenzialmente indeterminata.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 14 marzo esce la sentenza della II sezione del TAR Puglia – sede di Lecce n. 435 che ribadisce il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici, tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità. Il diritto di edificare, pertanto, è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.</p> <p style="text-align: justify;">Di qui il principio, fermo in giurisprudenza, secondo cui un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione, a nulla rilevando che questa possa insistere su una parte del lotto catastalmente divisa.</p> <p style="text-align: justify;">Il collegio ricorda ancora che qualora la normativa urbanistica imponga limiti di volumetria, il relativo vincolo sull'area discende <em>ope legis</em>, senza necessità di strumenti negoziali privatistici (atto d'obbligo, trascrizione, ecc.), che devono invece sussistere quando il proprietario di un terreno intenda asservirlo a favore di un altro proprietario limitrofo, per ottenere una volumetria maggiore di quella che il suo solo terreno gli consentirebbe, oppure quando siffatto asservimento sia, per così dire, reciproco, nel senso che i proprietari di più terreni li asservano unitariamente alla realizzazione di un unico progetto.</p> <p style="text-align: justify;">Infine, viene richiamato quanto affermato dall’Adunanza Plenaria n. 3 del 2009 secondo cui dal provvedimento edilizio abilitativo, il cui rilascio definisce le potenzialità edificatorie di un fondo, determinandone anche la cubatura assentibile in relazione ai limiti imposti dalla normativa urbanistica, sorge un vincolo di asservimento per cui, una volta esaurite le predette potenzialità, le restanti parti del fondo sono sottoposte ad un regime di inedificabilità che discende "<em>ope legis</em>" dall'utilizzazione del fondo medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">In conclusione, la volumetria complessiva prevista per la zona interessata va determinata in base agli indici vigenti al momento del rilascio delle concessioni edilizie delle nuove costruzioni. Con la conseguenza che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dal nuovo indice.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quale rapporto avvince la pianificazione urbanistica alle procedure espropriative?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la <strong>pianificazione urbanistica</strong> trova la propria disciplina in <strong>determinati “<em>Piani</em>”</strong>, il più importante dei quali è certamente il <strong>PRG</strong>, o <strong>Piano Regolatore Generale</strong>, di livello <strong>comunale</strong>; l’obiettivo è <strong>disciplinare tutte le attività di trasformazione del territorio</strong> (senza lasciarle al caso), <strong>coordinando</strong> tale scelte – che talvolta prevedono la realizzazione di <strong>opere pubbliche</strong> e/o l’erogazione di <strong>servizi ai cittadini privati</strong> – con <strong>l’attività privata di natura edificatoria residenziale</strong> e di <strong>natura produttiva</strong>;</li> <li>la pianificazione urbanistica trova, quale <strong>ordinario strumento di realizzazione</strong>, proprio il <strong>procedimento espropriativo</strong>, in quanto le relative <strong>scelte pianificatorie</strong> impongono che la proprietà privata degli immobili compresi nel piano <strong>sia conformata a tali scelte</strong>, se del caso dovendo essa all’uopo essere <strong>sottratta al privato proprietario</strong> (ad esempio, al fine di realizzare su un fondo un’opera pubblica);</li> <li>in sostanza, i <strong>Piani</strong> operano delle <strong>scelte che impongono delle limitazioni sui beni dei privati</strong> (non limitati prima della ridetta pianificazione). dovendo garantirsi la <strong>realizzazione</strong> su detti beni di <strong>determinate opere pubbliche</strong>, o comunque la <strong>coerenza dell’attività edilizia privata</strong> con le <strong>scelte pubblicistiche</strong> operate <strong>a monte</strong> ed in sede di piano; da questo punto di vista, non manca in dottrina chi ormai definisce <strong>l’espropriazione</strong> come una <strong>fase della pianificazione</strong>, essendo la prima <strong>strumentale all’attuazione delle previsioni della seconda</strong>;</li> <li>l’espropriazione non è più allora <strong>lo strumento che era in origine</strong>, utilizzata <strong>solo nel caso</strong> in cui fosse <strong>indifferibile ed urgente realizzare una determinata opera pubblica</strong>, essendo essa divenuta <strong>lo strumento</strong> attraverso il quale <strong>passa la realizzazione di qualunque intervento pubblico</strong> <strong>divisato preventivamente</strong> attraverso l’attività di pianificazione a monte (e dunque non necessariamente indifferibile ed urgente);</li> <li>più nel dettaglio, è <strong>attraverso la pianificazione</strong> che vengono <strong>individuati i beni privati necessari</strong> per realizzare un’opera pubblica, viene dichiarata la <strong>pubblica utilità dell’opera</strong> che vi verrà realizzata sopra e viene alfine <strong>fondata la concreta espropriazione</strong> dei ridetti beni privati.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quale è più specificamente la funzione precipua dei piani urbanistici e della pianificazione in generale?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li><strong>programmare</strong> in modo <strong>coerente ed organico</strong> le <strong>opere</strong> da realizzare nell’interesse pubblico;</li> <li>garantire che tali opere siano realizzate <strong>in modo tempestivo e coerente con il programma</strong>;</li> <li>all’uopo, <strong>conformare le singole zone di insediamento</strong> delle opere pubbliche e private, con contestuale imposizione di <strong>limiti</strong> e <strong>vincoli</strong> alla proprietà privata laddove si sceglie di realizzare l’opera pubblica programmata;</li> <li>garantire la <strong>piena coerenza</strong>, in sede <strong>programmatoria</strong>, tra quella che sarà <strong>l’attività edilizia privata</strong>, il <strong>governo generale del territorio</strong> ed in specie la <strong>realizzazione di opere ed infrastrutture di pubblica utilità</strong> (scuole, strade, ospedali etc.).</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Come si articola il multilivello pianificatorio “<em>a cascata</em>”?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>In cima si pongono i <strong>piani di livello regionale</strong>, ed in particolare il <strong>Piano Territoriale di Coordinamento</strong> (PTC);</li> <li>subito dopo si colloca il <strong>piano di livello comunale fondamentale</strong>, ovvero il <strong>Piano Regolatore Generale</strong> (<strong>PRG</strong>), che tuttavia <strong>non è solo un atto comunale</strong>: il Comune adotta il Piano <strong>in contraddittorio con i privati residenti</strong>, ma detto Piano, una volta adottato, deve essere <strong>approvato dalla Regione</strong>, facendo dunque luogo ad un <strong>atto complesso</strong>; il PRG disciplina <strong>l’assetto dell’intero territorio comunale</strong>, pur <strong>dividendolo in zone</strong>;</li> <li>sempre a livello <strong>comunale</strong>, intervengono quindi <strong>i piani c.d. attuativi</strong>, che dunque hanno un <strong>contenuto più specifico</strong>, ma che devono <strong>rispettare le indicazioni generali del PRG</strong>, fissando <strong>le caratteristiche e l’estensione</strong> delle <strong>singole opere da realizzare</strong> e garantendo la <strong>corretta urbanizzazione del territorio di riferimento</strong>, che normalmente si compendia in una <strong>porzione specifica del territorio comunale di pertinenza</strong> (una zona tra quelle ricomprese nel PRG). Sono piani attuativi i <strong>piani c.d. particolareggiati</strong>, emanati dal <strong>Comune</strong>, e le <strong>convenzioni di lottizzazione</strong>, che presuppongono un <strong>piano comunale</strong> (il piano di lottizzazione) e che tuttavia <strong>si compendiano in accordi di natura pubblicistica</strong> (riconducibili all’<strong>11</strong> della legge 241.90) conclusi <strong>su iniziativa di soggetti privati lottizzanti</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa distingue la localizzazione dalla zonizzazione?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>con la <strong>localizzazione</strong> – di <strong>natura ablatoria o para-ablatoria</strong> e <strong>più specifica</strong> - l’Amministrazione <strong>individua</strong> in sede di Piano <strong>le aree private che saranno fatte oggetto di espropriazione</strong> al fine di <strong>realizzare un’opera pubblica</strong> o di interesse pubblico, ovvero di <strong>garantire l’erogazione di servizi pubblici</strong> ai cittadini; è attraverso la <strong>localizzazione</strong> che viene <strong>apposto su un determinato bene privato il c.d. vincolo preordinato all’esproprio</strong> (o vincolo espropriativo), onde il bene <strong>conserva la propria attuale destinazione</strong>, ma si colloca in una <strong>posizione di attesa</strong> stante la possibilità che tale destinazione <strong>muti</strong> in conseguenza della <strong>divisata espropriazione</strong> (la <strong>dichiarazione di pubblica utilità</strong> delle opere viene infatti normalmente a collocarsi nei <strong>successivi piani attuativi o particolareggiati</strong>); tale ablazione è normalmente funzionale alla realizzazione di <strong>impianti ed opere per interventi di natura c.d. sovracomunale</strong> (come strade, porti, ferrovie) ovvero di <strong>natura infracomunale</strong> (massime le opere di urbanizzazione primaria e secondaria); a seguito di localizzazione, il vincolo sostanzialmente espropriativo è soggetto a <strong>termine di decadenza</strong> e deve essere <strong>indennizzato</strong>, anche laddove <strong>(motivatamente) reiterato</strong>;</li> <li>con la <strong>zonizzazione</strong>, più <strong>generica</strong>, il vincolo imposto al bene del privato in sede di Piano è invece <strong>di tipo conformativo</strong>: il bene <strong>non è generalmente destinato ad essere espropriato</strong> ed a passare alla mano pubblica, ma poiché è <strong>collocato in una determinata zona</strong>, il privato proprietario (che rimane tale) subisce <strong>vincoli e prescrizioni</strong> in ordine al relativo <strong>godimento</strong>; più in specie, per l’immobile del privato può essere prescritta, laddove <strong>ricadente nella zona di pertinenza</strong>, una <strong>destinazione di tipo funzionale o architettonico</strong> tale per cui <strong>la relativa utilità viene compressa</strong>, con conseguente <strong>diminuzione del valore dell’immobile stesso</strong>, tanto che è stata coniata per queste ipotesi più pervasive la dicitura “<strong><em>espropriazione di valore</em></strong>”; a seguito di <strong>zonizzazione</strong>, il vincolo conformativo <strong>non è soggetto a termine di decadenza</strong> e <strong>non deve essere indennizzato</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa contraddistingue in particolare il vincolo c.d. conformativo e che problemi pone?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di un vincolo che <strong>non concerne beni determinati</strong>, ma <strong>intere categorie di beni</strong>;</li> <li>lo si ritrova nello <strong>strumento urbanistico</strong>, e dunque nel Piano, in <strong>altre categorie di atti amministrativi</strong> o talvolta <strong>direttamente nella legge</strong>;</li> <li>quando è <strong>la legge</strong> ad apporre il vincolo <strong>in via immediata e diretta</strong>, essa “<strong><em>vincola</em></strong>” in modo <strong>generale ed astratto</strong> <strong>intere categorie di beni</strong>, riconoscendone – dunque con effetto di <strong>accertamento</strong> - una <strong>determinata qualità</strong> ed assecondandola attraverso <strong>precipue limitazioni</strong> alle <strong>facoltà generalmente ricomprese nel diritto dominicale</strong> (e così impedendo al proprietario, ad esempio, la possibilità di <strong>costruire</strong> o di <strong>costruire oltre certi limiti</strong>): è l’ipotesi delle c.d. <strong>fasce di rispetto</strong> riguardo a strade o ferrovie, o dell’apposizione del <strong>vincolo cimiteriale</strong> o del <strong>vincolo paesistico</strong> (come tale riconnesso al valore paesaggio);</li> <li>quando è invece il <strong>Piano</strong> o un <strong>diverso atto amministrativo</strong> a <strong>conformare la proprietà privata</strong>, ciò avviene comunque <strong>in base ad una legge</strong> che fissa <strong>criteri</strong> e <strong>modalità</strong> per la ridetta conformazione (l’esempio tipico è quello del vincolo di cui alla legge 1497.39, in relazione alle <strong>d. bellezze naturali</strong>);</li> <li>in queste fattispecie, l’atto amministrativo – a seconda delle <strong>diverse opzioni dottrinali</strong> – può avere natura: e.1) di <strong>accertamento</strong> (come nel caso della legge); e.2) <strong>costitutivo</strong>; e.3) di <strong>accertamento costitutivo</strong> (come tale, ricognitivo e tuttavia non retroattivo);</li> <li>ne derivano <strong>limiti all’uso del bene vincolato</strong> gravanti sul proprietario (che <strong>rimane tale</strong> e dunque non ne perde la proprietà), facendo luogo ad un <strong>regime differenziato</strong> che concerne tutti i beni di quella determinata categoria vincolata;</li> <li>il vincolo corrisponde alle <strong>caratteristiche intrinseche di un determinato bene</strong>, che viene vincolato <strong>proprio perché ha quelle caratteristiche</strong> ed <strong>appartiene a quella categoria</strong> con quelle caratteristiche;</li> <li>il vincolo discende dunque dalla <strong>precipua qualità del bene vincolato</strong>, in quanto appartenente ad <strong>una determinata categoria con specifiche caratteristiche</strong> (e non già come bene singolo e determinato); la <strong>proprietà del bene conformato</strong> appare allora <strong>giuridicamente configurata</strong> e rivestita di uno <strong>statuto peculiare</strong> dal quale discendono – connaturalmente alla <strong>struttura</strong> del bene <em>de quo</em> ovvero alla <strong>relativa ubicazione</strong> – <strong>limiti alle facoltà</strong> che normalmente sono ricomprese nel diritto di <strong>proprietà</strong>, prima fra tutte la <strong>impossibilità di sfruttarne la vocazione edificatoria</strong>;</li> <li>in caso di vincolo conformativo, la <strong>destinazione urbanistica</strong> del bene è tale che sul bene stesso possono in linea di massima realizzarsi, almeno in parte, le <strong>previsioni contenute nel PRG</strong>, con <strong>qualche limitazione</strong> discendente dalla qualità del bene medesimo;</li> <li>talvolta la presenza di un vincolo conformativo discende – per il bene e la categoria di beni interessati – dalla <strong>specifica destinazione data ad altri beni finitimi</strong>, sui quali sia stata ad esempio <strong>collocata un’opera pubblica</strong> (una ferrovia, una strada, un aeroporto); in queste fattispecie, un <strong>vincolo espropriativo</strong> è stato apposto su un bene determinato e, a seguito di <strong>pertinente procedura espropriativa</strong>, la PA ha costruito su tale bene ablato un’opera pubblica volta a soddisfare un interesse pubblico, per la <strong>soddisfazione e tutela strumentale del quale</strong> si registra una <strong>proiezione vincolistica</strong> sui <strong>beni finitimi</strong> che gli sono attorno, con <strong>effetti limitativi della relativa proprietà</strong> attraverso l’imposizione di una <strong>fascia di rispetto</strong>, onde il proprietario non viene espropriato ma può godere <strong>in modo assai più limitato</strong> del proprio <strong>bene “<em>conformato</em>”</strong>;</li> <li>in qualche caso dal <strong>vincolo conformativo</strong> discendono <strong>pervasivi limiti alla proprietà privata</strong>, e dunque una <strong>consistente compressione delle facoltà di godimento del proprietario</strong>: la legge direttamente, ovvero il Piano e la zonizzazione in esso prevista, additano per i beni una <strong>destinazione funzionale</strong> o una <strong>destinazione architettonica</strong> tale da <strong>comprimere le facoltà dei rispettivi proprietari</strong>, così facendo luogo a quella che è stata definita “<strong><em>espropriazione di valore</em></strong>”: al privato proprietario (che resta tale) <strong>non viene tolto il bene</strong>, ma <strong>una parte del valore da esso espresso</strong>, giusta <strong>compulsione delle pertinenti facoltà dominicali</strong> a soddisfazione di un interesse pubblico; ancora una volta l’esempio tipico è quello dei <strong>beni privati spazialmente collocati</strong> in <strong>fasce di rispetto</strong> di beni demaniali o patrimoniali indisponibili, laddove per il proprietario vige il <strong>divieto assoluto di utilizzare il bene in modo difforme</strong> rispetto a quanto indicato dal vincolo pertinente, come si rinviene nella <strong>legislazione speciale</strong> e nei relativi <strong>vincoli cimiteriali</strong>, di <strong>rispetto del demanio stradale o marittimo</strong>, <strong>paesistici</strong> e così via;</li> <li>nel caso dei <strong>più pervasivi vincoli conformativi</strong>, e delle connesse <strong>espropriazioni “<em>di valore</em>”</strong>, in dottrina si discute della <strong>relativa indennizzabilità o meno</strong>, palesandosi essi <strong>latamente assimilabili ai vincoli espropriativi “<em>puri</em>”;</strong> ferma la natura di <strong>interesse legittimo</strong> riconosciuta generalmente alla posizione del soggetto privato proprietario, si distingue: l.1) chi <strong>esclude la erogabilità di un indennizzo</strong> al privato proprietario, per essere il relativo bene interessato da una <strong>disciplina generale e preventiva</strong> che <strong>accomuna tanti beni</strong> (e tanti proprietari) appartenenti alla <strong>medesima categoria</strong>, senza che possa dirsi subire un <strong>sacrificio individuo e particolare</strong>: in sostanza, si registra una <strong>eccezione</strong> all’<strong>obbligo di indennizzo</strong> in presenza di vincoli che, pur <strong>latamente “<em>espropriativi</em>”,</strong> sono tuttavia <strong>connaturati alla natura ed alla funzione</strong> dei beni che ne risultano interessati, a fini di <strong>soddisfazione dell’interesse pubblico</strong> (dottrina <strong>maggioritaria</strong>); l.2) chi invece ammette la <strong>indennizzabilità anche di questo genere di vincoli</strong>, che sono <strong><em>species</em></strong> rispetto al <strong><em>genus</em> espropriativo</strong>, con connessa <strong>incostituzionalità</strong> di una interpretazione delle relative norme difforme da questo <strong>riconoscimento indennitario</strong> (dottrina minoritaria);</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa si intende per “<em>perequazione urbanistica</em>”, quali problemi risolve e quali pone?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>le Amministrazioni, nell’elaborare e redigere i <strong>piani urbanistici</strong>, fanno sempre più ricorso alla <strong>tecnica</strong> (ed alla connessa <strong>logica</strong>) della <strong>perequazione urbanistica</strong>, ispirandosi al <strong>d. principio perequativo</strong>;</li> <li>l’esigenza della perequazione è nata dalla c.d. “<strong><em>intrinseca discriminatorietà</em></strong>” dei <strong>piani urbanistici</strong> a far tempo dalla <strong>seconda metà degli anni 60</strong>, ovvero dal momento in cui, a seguito della <strong>d. legge ponte 765.67 e del DM 1444.68 sulla zonizzazione</strong> (<strong><em>zoning</em></strong>) e sugli <strong>standard urbanistici ed edilizi</strong> legati alle singole zone; ed invero le scelte pianificatorie <strong>da un lato avvantaggiano</strong> tutti i proprietari dei fondi che appartengono <strong>ad una certa zona</strong>, che divengono fondi <strong>edificabili</strong>, e ad un tempo <strong>svantaggiano</strong> chi ha terreni in <strong>aree destinate a verde pubblico, aree agricole</strong> o comunque aree che la PA, in sede di pianficazione, <strong>identifica come non a vocazione edificatoria</strong>, dovendosi assumere una disposizione che <strong>abbatte o riduce le <em>chance</em> edificatorie</strong>, o che ha comunque <strong>foggia vincolistica</strong> con riferimento ad una data zona, quale <strong>disposizione pianificatoria che impoverisce</strong> rispetto a quella (arricchente) che tali vincoli <strong>non prevede</strong> o <strong>prevede in misura meno stringente</strong> e con riguardo a <strong>zone diverse del territorio pianificato</strong>; da un lato la PA che pianifica – si parla in proposito, in modo emblematico, del c.d. “<strong><em>pennarello del pianificatore</em></strong>” (tecnica della “<strong><em>bright line</em></strong>”) - <strong>colloca le aree in cui si può costruire</strong>, e dall’altra le <strong>aree destinate ai servizi alla collettività</strong> che, quando non prevedono addirittura <strong>l’espropriazione</strong> dei terreni privati finalizzata alla realizzazione di opere pubbliche, ne implicano in ogni caso <strong>la inedificabilità</strong> (tipico l’esempio della destinazione a verde pubblico), ovvero comunque una serie di <strong>vincoli “<em>impoverenti</em>”.</strong> “<strong><em>Perequare</em></strong>” consente allora al singolo Comune, attraverso <strong>misure compensative</strong> all’uopo, di realizzare per quanto possibile una “<strong><em>indifferenza pianificatoria</em></strong>” dei proprietari coinvolti, anche laddove <strong>si superi la rigidità del principio</strong> che prevede la <strong>divisione del territorio comunale</strong> in <strong>zone c.d. “<em>monofunzionali</em>”:</strong> anche laddove all’interno di una singola e specifica zona del territorio si intenda realizzare <strong>una più flessibile diversificazione di destinazione</strong>, specie sul crinale edificatorio, per i terreni di cui alla ridetta zona, resta sempre al fondo la <strong>necessità di compensare chi è svantaggiato</strong> rispetto a <strong>chi si avvantaggia</strong> della concreta scelta pianificatoria pubblica, talvolta <strong>risparmiando alla PA</strong> (proprio attraverso il ricorso alla perequazione) <strong>defatiganti battaglie</strong> anche giudiziarie con i privati in relazione alla apposizione di <strong>vincoli espropriativi</strong> ed alla conseguente <strong>evasione di procedure espropriative</strong>, che si scongiurano a monte garantendo in modo <strong>maggiormente indolore</strong> la messa a disposizione di aree funzionali alla erogazione di servizi alla collettività;</li> <li>per scongiurare la c.d. “<strong><em>intrinseca discriminazione</em></strong>” connessa a <strong>standard e <em>zoning</em></strong>, occorre che – scaturendo dalla trasformazione urbanistica divisata “<strong><em>onori e oneri</em></strong>” – tali pesi e tali vantaggi siano <strong>distribuiti uniformemente tra i proprietari coinvolti</strong> dalla pianificazione, che devono <strong>parteciparvi in misura uguale</strong>; ciò consente peraltro al Comune pianificatore di <strong>disporre in modo gratuito di aree per servizi pubblici</strong>; si utilizza all’uopo il c.d. “<strong><em>meccanismo perequativo</em></strong>”, onde il <strong>proprietario di un’area edificabile</strong> (che potrebbe in linea di massima edificare sul proprio terreno) <strong>non può concretamente procedere ad edificare</strong> perché la propria area, pur edificabile, <strong>è al di sotto dell’indice di edificabilità</strong> previsto dal piano: in sostanza, per edificare occorrerebbe <strong>volumetria 100</strong> (indice minimo fissato dal piano), ma la zona in cui è ricompreso il terreno edificabile <strong>non raggiunge</strong> tale indice (ad esempio, fermandosi a 75), dovendo allora il proprietario che intende costruire <strong>procurarsi la differenza volumetrica</strong> <strong>necessaria</strong> (nell’esempio fatto, 25) da un altro proprietario. Il “<strong><em>meccanismo perequativo</em></strong>” è lo strumento della c.d. “<strong><em>tecnica urbanistica perequativa</em></strong>”, alla cui stregua – dato uno o più <strong>ambiti o porzioni del territorio comunale</strong> – tutte le proprietà ricomprese in tale ambito o tali ambiti <strong>hanno attribuito un valore edificatorio uniforme</strong> (nell’esempio fatto, 75), in modo del tutto <strong>sganciato da una ubicazione effettiva</strong> della <strong>capacità edificatoria</strong> su singoli terreni, e senza che siano previsti su singoli terreni <strong>vincoli di inedificabilità</strong> (che normalmente consentono alla PA di acquisire la disponibilità delle aree occorrenti per opere e servizi pubblici); in sostanza, la PA lascia (o può lasciare) che sia <strong>l’accordo “<em>perequativo</em>”</strong> tra i singoli proprietari delle aree interessate dalla pianificazione a consentire la <strong>concreta individuazione di dove si costruisce</strong> (edilizia privata) e <strong>dove si realizzano opere pubbliche</strong> o <strong>si destinano aree a servizi pubblici</strong>;</li> <li>la <strong>tecnica perequativa</strong>, dal punto di vista <strong>giuridico</strong>, pone tuttavia (almeno astrattamente) un problema di <strong>possibile frizione con il principio di legalità</strong>, dovendo rintracciarsi la <strong>base legislativa</strong> che consente alla PA di procedere in tal guisa, tenuto anche conto del fatto che si tratta di uno <strong>strumento</strong> che sembra <strong>entrare in rotta di collisione</strong> con la c.d. <strong>zonizzazione</strong>, e con gli <strong>standard</strong> ad essa riconducibili, questa si esplicitamente prevista dall’<strong>7 della legge 1150.42</strong> e poi, massime, dal <strong>DM 1444.68</strong>; secondo taluni, peraltro, la norma di riferimento è <strong>l’art.23</strong> della ridetta legge fondamentale urbanistica n.1150.42 in tema di “<strong><em>comparti</em></strong>”, anche se <strong>l’edilizia convenzionale</strong> su <strong>base compartimentale</strong> in esso prevista <strong>non appare del tutto sovrapponibile</strong> ai più recenti e moderni modelli di perequazione urbanistica; peraltro il problema appare acuito dalla <strong>disomogeneità precettiva regionale</strong>, avendo <strong>alcune Regioni soltanto</strong>, e <strong>non tutte</strong>, previsto con propria legge (regionale) la possibilità di fare ricorso appunto al meccanismo perequativo nel proprio ambito territoriale, a fronte peraltro di una <strong>presa di posizione della Corte costituzionale</strong> (121.10) che assume il trasferimento e la cessione dei diritti edificatori una <strong>vicenda rientrante nell’ordinamento civile</strong>, e come tale <strong>di competenza legislativa esclusiva dello Stato</strong>. Sotto altro profilo, il fatto che vengano via via forgiati <strong>modelli perequativi in parte diversi tra loro</strong> (a livello di leggi regionali) pone problemi di <strong>compatibilità</strong> con <strong>l’art.42, comma 3</strong>, della Costituzione, che sembra prevedere <strong>solo il modello espropriativo tradizionale</strong>, regolato da una <strong>legge nazionale</strong> e nel cui contesto c’è spazio solo per il <strong>del pari tradizionale indennizzo</strong>, e non già per <strong>diritti edificatori</strong> di <strong>natura giuridica</strong> per giunta <strong>dubbia</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quanti modelli perequativi si configurano?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la perequazione c.d. “<strong><em>ristretta intercompartimentale</em></strong>”, o “<strong><em>a posteriori</em></strong>” rispetto al <strong>PRG</strong>: essa <strong>non riguarda</strong> – <strong>a monte</strong> - il PRG e dunque <strong>non coinvolge l’intero territorio comunale</strong>, ma è prevista - <strong>a valle</strong> – in sede di <strong>piano attuativo</strong>, e coinvolge pertanto <strong>solo alcune porzioni di detto territorio comunale</strong>, racchiuse in un <strong>comparto</strong> (inteso quale <strong>unità di intervento perequativo</strong>): tutti i terreni ricadenti nel comparto hanno assegnata <strong>una identica capacità volumetrica</strong> in modo <strong>proporzionale</strong> a <strong>quanto è estesa l’area</strong> del comparto di appartenenza, ma <strong>nessun terreno raggiunge il limite minimo fondiario</strong> di <strong>edificabilità</strong>, onde a rigore <strong>nessun proprietario ha il diritto di edificare</strong> nella situazione di partenza. Se si muove dal fatto che i terreni destinati alla edificazione <strong>debbono avere un certo indice fondiario</strong> – per esempio 100 – tutte le aree all’interno del comparto vantano <strong>un indice fondiario di tipo “<em>perequativo</em>” inferiore a 100</strong>, e ciò vale dunque sia per le aree che il Piano indica <strong>a vocazione edificatoria privata</strong> (i proprietari delle quali non possono tuttavia costruire per <strong>difetto di sufficienti diritti edificatori</strong>), sia per le aree che il Piano indica come destinate alla <strong>realizzazione di opere pubbliche</strong> o alla <strong>erogazione di servizi pubblici</strong> (in particolare, ambiente e verde pubblico); i proprietari dei terreni a vocazione edificatoria privata <strong>possono costruire solo dopo che abbiano acquistato</strong> dai proprietari dei terreni a vocazione “<strong><em>pubblicistica</em></strong>” i <strong>diritti edificatori mancanti</strong>, con <strong>perequazione globale finale di comparto</strong> dacché i proprietari dei terreni a vocazione “<strong><em>pubblicistica</em></strong>”, pur <strong>non subendo vincoli ed espropri</strong>, possono <strong>avvantaggiarsi</strong> del <strong>piano di comparto</strong> <strong>attualizzando i propri diritti edificatori</strong> giusta <strong>cessione a titolo oneroso</strong> (e con funzione di ristoro) ai proprietari dei terreni a vocazione edificatoria privata, e contestualmente <strong>cedendo gratuitamente l’area al Comune</strong> affinché la <strong>asserva alla finalizzazione pubblicistica</strong> (laddove non lo facciano, non possono infatti <strong>attualizzare i diritti edificatori</strong> connessi alla propria area in forza del piano attuativo perequativo);</li> <li>la perequazione c.d. “<strong><em>ristretta extracompartimentale</em></strong>”, che funziona come quella “<strong><em>intercompartimentale</em></strong>” con la sola differenza che coinvolge <strong>anche aree esterne</strong> – e <strong>non necessariamente contigue</strong> – al comparto stesso, seppure ovviamente <strong>allocate sempre nell’ambito del territorio comunale</strong> di riferimento;</li> <li>la <strong>perequazione c.d. estesa o allargata</strong>, contenuta <strong>già nel PRG</strong>: in questo caso il Piano divide il territorio comunale in <strong>due macro-aree</strong>, <strong>l’area di trasformazione</strong> e <strong>l’area di conservazione</strong>. I terreni che ricadono nella <strong>macro-area di conservazione</strong> hanno dei <strong>diritti edificatori</strong> che tuttavia <strong>non possono essere utilizzati</strong> proprio perché i fondi ricadono in <strong>macro-area di conservazione</strong> (e non di trasformazione): essi sono detti “<strong><em>fondi sorgente</em></strong>” perché <strong>ne sgorgano diritti edificatori</strong> da fare <strong>atterrare</strong> su <strong>fondi accipienti</strong> collocati, all’opposto, nella <strong>macro-area di trasformazione</strong>. Il PRG <strong>non predetermina ex ante la destinazione</strong> dei singoli <strong>diritti edificatori</strong>, prevedendo tuttavia che i <strong>terreni accipienti</strong>, collocati nella <strong>macro-area di trasformazione</strong>, non abbiano una <strong>dotazione intrinseca di edificabilità tale</strong> da consentirne <strong>l’edificazione senza un “<em>atterraggio</em>”</strong> della <strong>dotazione edificatoria mancante</strong>, <strong>in arrivo da fondi sorgente</strong> collocati nella macro-area di conservazione. Come in una specie di <strong>grande <em>puzzle</em></strong>, in queste fattispecie sono <strong>i singoli proprietari</strong> che, in modo <strong>frammentario</strong>, individuano le <strong>d. “<em>singole soluzioni di atterraggio</em>”</strong> delle <strong>dotazioni edificatorie</strong>, con riguardo ad “<strong><em>aree di atterraggio</em></strong>” che sono tuttavia – queste sì – <strong>preventivamente individuate dal PRG</strong> giusta <strong>selezione della c.d. macro-area di trasformazione</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In cosa si compendiano i c.d. “<em>diritti edificatori</em>”?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>si tratta di <strong>diritti collegati alla potenzialità edificatoria</strong> di un dato terreno;</li> <li>essi possono essere generati <strong>in capo al proprietario</strong> del terreno stesso <strong>a valle di tre fenomeni collaterali</strong>, ma <strong>distinti</strong> tra loro, ovvero la <strong>perequazione</strong>, la <strong>compensazione</strong> e <strong>l’incentivazione</strong> (o <strong>premialità</strong>);</li> <li>sono <strong>possibile oggetto di contratti</strong> che vanno <strong>trascritti</strong> ai sensi del <strong>novellato art.2643, comma 2.bis, c.c.;</strong></li> <li>in sostanza, viene <strong>sganciata</strong> dal <strong>terreno cui pertiene</strong> la c.d. <strong>capacità edificatoria</strong> del terreno medesimo, quale <strong>bene mobile a sé stante</strong> che come tale <strong>può essere cedibile</strong> e fatto più in generale oggetto di <strong>negozi giuridici</strong>;</li> <li>se riguardano <strong>aree cedute alla PA</strong> (Comune) al fine di <strong>realizzare opere pubbliche o di erogare servizi pubblici</strong> ai cittadini, essi <strong>restano in capo al privato che ha ceduto l’area</strong>, che può <strong>successivamente liquidarli</strong> o <strong>monetizzarli</strong> attraverso <strong>cessione a terzi</strong>, ovvero <strong>sfruttarli direttamente</strong> laddove <strong>acquisti un diverso terreno edificabile</strong> nell’ambito del Comune di riferimento; si tratta di una sorta di <strong>credito di volumetria</strong> <strong>spendibile</strong> nel momento in cui il diritto edificatorio può tornare a <strong>ricongiungersi</strong> alla <strong>disponibilità di un terreno da edificare</strong> da parte del relativo titolare;</li> <li>se ne discute la <strong>natura giudica</strong>: f.1) sono <strong>veri e propri diritti reali</strong>; f.2) sono <strong>diritti di credito</strong> vantati nei confronti <strong>del Comune</strong>; f.3) sono <strong>interessi legittimi di natura pretensiva</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa più precisamente accomuna e cosa distingue la perequazione, la compensazione e l’incentivazione, quali fonti di “<em>diritti edificatori</em>”?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li><strong>perequazione</strong> (con funzione <strong>redistributiva</strong>): il <strong>diritto edificatorio</strong> è sempre <strong>geneticamente collegato al terreno di proprietà del titolare</strong>, il quale proprio in quanto tale (proprietario di un terreno) è <strong>titolare di un correlato diritto edificatorio</strong> da “<strong><em>spendersi</em></strong>” in conseguenza della <strong>perdita di tale terreno</strong> a vantaggio della PA nell’interesse pubblico; in sostanza, il Comune ha l’obiettivo di <strong>realizzare opere pubbliche</strong> o di <strong>destinare delle aree alla erogazione alla cittadinanza di servizi pubblici</strong> (la c.d. “<strong><em>città pubblica</em></strong>”): indipendentemente dalla <strong>localizzazione delle aree</strong> che saranno destinate a <strong>soddisfare l’interesse pubblico</strong>, rispetto a quelle che rimarranno di proprietà privata, <strong>tutta la cittadinanza del Comune partecipa</strong> in modo <strong>uniforme</strong> al perseguimento del pubblico interesse ridetto giusta <strong>uniforme ed equa distribuzione dei c.d. diritti edificatori</strong>, onde non viene apposto <strong>nessun vincolo preordinato all’esproprio</strong> e non si fa luogo a <strong>nessuna espropriazione</strong>, ottenendo il Comune le aree che gli occorrono attraverso una “<strong><em>cessione perequativa</em></strong>” da parte dei proprietari con i <strong>terreni necessari alla realizzazione delle opere pubbliche o all’erogazione dei servizi pubblici</strong>, verso <strong>acquisto di diritti edificatori spendibili</strong> in futuro e su <strong>altri eventuali terreni</strong>, ovvero <strong>cedibili a terzi</strong>; qui il terreno oggetto della cessione ha <strong><em>ab origine</em></strong> ed <strong>astrattamente</strong> una <strong>propria volumetria da sviluppare</strong>, connessa all’<strong>indice di edificabilità</strong> che gli viene attribuito, ma il relativo proprietario <strong>non può in concreto sviluppare</strong> tale <strong>volumetria originaria</strong> sul terreno in parola (perché destinato ad essere ceduto per soddisfare un interesse pubblico), potendola tuttavia <strong>sviluppare su aree “<em>altre</em>”</strong> sulle quali <strong>si concentra</strong>, per previsione di piano, <strong>l’edificabilità stessa</strong> secondo un <strong>indice di volumetria più elevato</strong> e <strong>capace di ricevere la cubatura</strong> (originaria) propria dei terreni che vengono invece <strong>destinati alla c.d. città pubblica</strong>; chi cede il terreno in via perequativa <strong>può poi cedere separatamente i diritti edificatori</strong> <strong>propri</strong> di tale terreno, oppure può <strong>sfruttarli acquistando un’area</strong> nel medesimo Comune <strong>in cui essi possono essere sfruttati “<em>in aggiunta</em>”</strong> a quelli propri del terreno acquistato, per essere quest’ultimo collocato per disposizioni di Piano in una <strong>zona ad alto indice di volumetria</strong>; nella perequazione con <strong>funzione redistributiva</strong>, viene formato il Piano sulla cui base <strong>vengono assegnati direttamente ai privati</strong> il cui terreno sarà fatto oggetto di cessione alla PA (nell’interesse pubblico) <strong>diritti urbanistici “<em>perequativi</em>”</strong> connessi ad <strong>una volumetria</strong> che <strong>è subito propria del fondo cedendo</strong> (in forza del Piano), ma che <strong>potrà essere liquidata</strong> – una volta <strong>ceduto</strong> il fondo alla PA – solo sulle <strong>d. aree di concentrazione o “<em>di atterraggio</em>”,</strong> giusta <strong>acquisto di un terreno collocato</strong> in tali aree da parte del privato medesimo, ovvero <strong>giusta cessione dei diritti urbanistici ad altri privati proprietari di aree</strong>, per l’appunto, <strong>di concentrazione urbanistica</strong>; essendo diritti urbanistici attribuiti dal Piano, i “<strong><em>perequativi</em></strong>” sono a rigore <strong>soggetti a modifica</strong> nel caso in cui <strong>il Piano che li prevede dovesse subire modifiche</strong> (giusta <strong>variante</strong> al Piano medesimo);</li> <li><strong>compensazione</strong> (con funzione <strong>indennitaria</strong>): il diritto edificatorio <strong>può non essere geneticamente collegato</strong> ad un terreno di proprietà del relativo titolare, il quale può ottenere – a fini <strong>compensativi</strong> – <strong>diritti edificatori</strong> proprio perché <strong>ha ceduto il proprio terreno alla PA</strong>, terreno al quale detti diritti edificatori <strong>non erano in origine riconnessi</strong>: in questa fattispecie, <strong>permane l’unilateralità operativa pubblica</strong> onde il Comune <strong>appone il vincolo preordinato all’esproprio</strong> e procede poi – nei termini – <strong>all’espropriazione</strong>, ma <strong>compensa il privato espropriato</strong> (cessione compensativa) con l’attribuzione di <strong>crediti di tipo compensativo</strong> (compresi <strong>eventuali diritti edificatori</strong>), ovvero con l’attribuzione di <strong>altri terreni</strong> dei quali <strong>ha la disponibilità in permuta</strong>; in sostanza, si ha cessione compensativa quando il privato <strong>cede il proprio terreno alla PA</strong> (che lo destinerà a soddisfare un interesse pubblico) e riceve <strong>in cambio</strong> <strong>non il classico indennizzo espropriativo monetario</strong>, ma <strong>un terreno in permuta</strong> ovvero <strong>dei “<em>diritti edificatori</em>”</strong> (tuttavia non originari del terreno ceduto) da <strong>spendersi</strong> giusta <strong>cessione a terzi</strong> o attraverso <strong>l’acquisto di un terreno</strong> sul quale se ne può poi sviluppare in concreto la <strong>volumetria potenziale</strong>; nella <strong>compensazione</strong> con funzione <strong>indennitaria</strong>, i <strong>diritti urbanistici “<em>compensativi</em>”</strong> vengono attribuiti dalla PA espropriante al proprietario del <strong>fondo sorgente espropriato</strong> nel <strong>momento dell’espropriazione</strong> e <strong>non soffrono limiti di tipo spaziale</strong>, potendo essere esercitati (“<strong><em>atterrare</em></strong>”) <strong>ovunque</strong>, e <strong>non già solo su specifiche aree di concentrazione edilizia</strong>; non essendo già previsti dal Piano, si tratta di <strong>diritti urbanistici non suscettibili di essere modificati</strong> giusta <strong>modifica</strong> del Piano (variante);</li> <li><strong>incentivazione</strong> (con funzione di <strong>premialità</strong>): il diritto edificatorio <strong>può non essere geneticamente collegato</strong> ad un <strong>terreno di proprietà del relativo titolare</strong>, nel senso che può <strong>non costituirne una qualità intrinseca</strong>, potendo egli <strong>ottenere dalla PA</strong> – a <strong>fini incentivanti</strong> – <strong>diritti edificatori</strong>, a livello <strong>premiale</strong>, per aver operato <strong>un intervento di riqualificazione</strong>, se del caso anche <strong>sul proprio terreno</strong> (che tuttavia <em>ab ovo</em> non ha riconnessi tali diritti edificatori); qui la PA comunale attribuisce al privato proprietario <strong>diritti edificatori che si aggiungono</strong> a quelli <strong>già previsti in via ordinaria dal Piano urbanistico</strong>, a fronte <strong>dell’azione meritevole di tale privato</strong> che ha <strong>favorito il perseguimento dell’interesse pubblico</strong> facendo <strong>interventi di riqualificazione urbana</strong>, onde realizzare <strong>attrezzature e servizi pubblici in aggiunta</strong> a quanto previsto dagli standard, ovvero comunque <strong>migliorando la complessiva qualità dell’ambiente</strong>, e così meritando <strong>un premio</strong> che si compendia per l’appunto in <strong>diritti edificatori “<em>aggiuntivi</em>”</strong> rispetto a quelli che <strong>gli spetterebbero “<em>di base</em>”</strong> ed in forza del <strong>Piano urbanistico</strong> per il tipo di terreno del quale ha la disponibilità; nella <strong>incentivazione con funzione premiale</strong>, i <strong>diritti urbanistici “<em>incentivanti</em>” </strong>vengono attribuiti al proprietario del fondo (che non lo cede) <strong>in funzione di uno o più specifici interventi di riqualificazione urbanistica o di tipo ambientale</strong>; non essendo <strong>già previsti</strong> dal Piano, si tratta di <strong>diritti urbanistici non suscettibili di essere modificati</strong> giusta modifica del Piano (variante);</li> <li>in tutti e tre i casi si tratta di <strong>strumenti innovativi</strong> che consentono ai Comuni di <strong>acquisire aree</strong> sulle quali <strong>realizzare opere pubbliche</strong> o attraverso le quali <strong>dispensare ai cittadini servizi pubblici</strong> <strong>senza l’onere di pagare un indennizzo espropriativo</strong>, e dunque con <strong>notevole risparmio finanziario</strong>; ovvero consentono di raggiungere <strong>obiettivi di riqualificazione urbana</strong> attivando all’uopo <strong>soggetti privati</strong>. Questi ultimi ricevono <strong>in cambio diritti urbanistici edificatori</strong> il cui valore è anche e soprattutto un <strong>valore connesso alla relativa, potenziale cessione a terzi</strong>, sulla cui <strong>natura giuridica</strong> si discute: d.1) è <strong>cessione di credito</strong>; d.2) è <strong>cessione di cubatura</strong>; d.3) è <strong>vendita di cosa futura</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p>