Massima
Normalmente, ad un debitore (giustapposto ad uno o più creditori) corrisponde una responsabilità patrimoniale coinvolgente tutti i relativi beni presenti e futuri; non mancano tuttavia fattispecie, in aumento negli ultimi decenni, in cui i creditori non possono contare – in termini di garanzia – su tutti i beni intestati ai propri debitori, alcuni di tali beni palesandosi funzionali (“destinati”) ad uno scopo precipuo al cui perseguimento non possono essere sottratti; con quanto può immaginevolmente derivarne in termini di potenziale malizia debitoria e di conseguente necessità di apprestare strumenti che consentano, da un lato, di assicurare chiarezza nei rapporti giuridici e, dall’altro, di soccorrere il creditore in caso di perdita ingiustificata di parte della propria garanzia patrimoniale a cagione del contegno (magari fraudolento) del proprio debitore.
Crono-articolo
Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)
1865
Nella codificazione liberale Codacci Pisanelli, pur non essendo ancora presente al legislatore del codice civile, sul crinale sistematico, il concetto di patrimonio destinato, non mancano esempi di (pur) latente consapevolezza della pertinente figura, come palesano dal un lato – sul versante “positivo” ed in termini di configurabilità – gli articoli 980 e seguenti in materia di eredità giacente; e dall’altro – sul crinale “negativo” in termini di potenziale sottrazione di beni alla garanzia dei creditori – gli articoli 1948, alla cui stregua chiunque sia obbligato personalmente è tenuto ad adempiere le contratte obbligazioni con tutti i suoi beni mobili ed immobili, presenti e futuri (senza poter dunque sottrarre taluni di tali beni alla ridetta destinazione di garanzia), 1949, onde i beni del debitore costituiscono appunto la “garantia” comune dei relativi creditori e questi vi hanno tutti un eguale diritto quando fra essi non vi sono cause legittime di prelazione, e 1950, alla cui stregua le cause legittime di prelazione (per i creditori) sono i privilegi e le ipoteche (essendo il pegno ancora annoverato tra i contratti), senza che possa ammettersi quale causa legittima di prelazione la “separazione” di una parte del patrimonio del debitore per destinarlo alla esclusiva soddisfazione di uno o più creditori, e non anche degli altri.
1939
Il 23 novembre viene varata la legge n.1966 recante disciplina delle società fiduciarie e di revisione, secondo il cui articolo 1, comma 1, sono società fiduciarie e di revisione quelle che, comunque denominate, si propongono, sotto forma di impresa, di assumere l’amministrazione dei beni per conto di terzi, l’organizzazione e la revisione contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni; si tratta di una ipotesi eccezionale di fiducia “germanistica” che viene introdotta nel sistema ordinamentale italiano, in quanto la società fiduciaria non diviene proprietaria dei beni che amministra, ma ne riceve appunto la sola legittimazione ad amministrarli, onde il proprietario sostanziale resta il dominus originario, mentre la società fiduciaria ha i beni intestati e ne è il mero proprietario “formale”, legittimato ad amministrarli nell’interesse del fiduciante.
1942
Il 16 marzo viene varato il R.D. n.267, c.d. legge fallimentare, che disciplina diverse fattispecie di patrimonio separato perché destinato al soddisfacimento dei creditori di un debitore in difficoltà, come nel caso paradigmatico del fallimento e delle figure ad esso affini.
Il codice civile (entrato in vigore il 21 aprile), disciplina diverse figure di patrimoni separati perché destinati al perseguimento di uno specifico scopo, come le fondazioni (articoli 12 e seguenti), il fondo patrimoniale (art.167 e seguenti: se per bisogni estranei a quelli della famiglia nascono obbligazioni, i creditori non possono soddisfarsi sui beni del fondo patrimoniale, sul quale possono invece soddisfarsi i creditori di rapporti obbligatori sorti per soddisfare appunto i bisogni della famiglia), l’eredità giacente (art.528 c.c., onde quando il chiamato non ha accettato l’eredità e non è nel possesso di beni ereditari, il tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, su istanza delle persone interessate o anche d’ufficio, nomina un curatore dell’eredità che per l’appunto viene detta “giacente”), la cessione di beni ai creditori (art.1977 c.c., ovvero il contratto col quale il debitore incarica i propri creditori, o taluni, di essi di liquidare tutte o alcune sue attività e di ripartirne tra loro il ricavato in soddisfacimento dei loro crediti). Interessanti anche gli articoli sulla fondazione fiduciaria (art.32) e sui premi di nuzialità, opere di assistenza e simili (art.699), in cui parte della dottrina intravedrà due figure di c.d. proprietà fiduciaria “germanistica”, in cui la fondazione nel primo caso ed il destinatario della disposizione testamentaria nel secondo si atteggiano a meri “amministratori” intestatari di beni e di somme delle quali sono e restano proprietari i rispettivi soggetti fiducianti, nell’ottica del perseguimento di fini di pubblica utilità o comunque di scopi peculiarmente meritevoli di tutela. Sempre in materia successoria, rilevante l’art.627 c.c., che prevede la c.d. fiducia testamentaria e l’’obbligo – peraltro meramente morale – dell’istituito fiduciario di trasferire i beni ad un terzo; da rammentare anche la c.d. sostituzione fedecommissaria ex art.692 c.c., laddove – con finalità assistenziali di protezione degli incapaci – si prevede la possibilità che il testamento prefiguri una doppia chiamata: primo chiamato istituito erede è l’incapace (minore o interdetto), mentre secondo chiamato (futuro erede) è la persona o l’ente di assistenza che si prende cura in vita dell’incapace, e che entra in gioco (appunto come secondo chiamato del testatore) quando l’incapace muore a propria volta, palesandosi latamente assimilabile dunque al c.d. beneficiary nella figura di diritto anglosassone del trust; peraltro, ai sensi dell’art.695 c.c., i creditori personali dell’istituito (minore o interdetto) possono agire soltanto sui frutti dei beni che formano oggetto della sostituzione, e dunque non anche sui beni medesimi. Di rilievo la figura dell’usufrutto, che richiama ancora una volta quella del trust, laddove il trustee è latamente assimilabile all’usufruttuario mentre il beneficiary è latamente assimilabile ad un nudo proprietario. Importante anche la figura del mandato senza rappresentanza, dacché ex art. 1707 c.c. i creditori del mandatario (senza rappresentanza, appunto) non possono far valere le loro ragioni sui beni che, in esecuzione del mandato, il mandatario ha acquistati in nome proprio (purché, trattandosi di beni mobili o di crediti, il mandato risulti da scrittura avente data certa anteriore al pignoramento, ovvero trattandosi di beni immobili o di beni mobili iscritti in pubblici registri, sia anteriore al pignoramento la trascrizione dell’atto di ritrasferimento o della domanda giudiziale diretta a conseguirlo). Importante anche l’art.2643 in tema di atti (tassativamente) soggetti a trascrizione, ed il successivo art.2645, che invece in modo più “aperto” parla di “altri atti soggetti a trascrizione”.
Il 29 marzo viene varato il Regio Decreto n.239, secondo il cui articolo 1, ultimo comma, le società fiduciarie che abbiano intestato al proprio nome titoli azionari appartenenti a terzi sono tenute a dichiarare le generalità degli effettivi titolari dei titoli stessi: viene confermato dunque che nel caso delle società fiduciarie il proprietario sostanziale dei beni (titoli) è e resta il fiduciante, mentre la società fiduciaria se li vede solo intestati al fine di esercitare (legittimazione) i pertinenti diritti.
1948
La Costituzione prevede all’art.41, comma 1, la libertà della iniziativa economica privata (entro i limiti del successivo comma 2) e, con essa, la garanzia dell’autonomia negoziale, che si sostanzia nella libertà riconosciuta alle parti, nel perseguimento dei rispettivi interessi, di stipulare contratti, massime se tipici; laddove atipici, tale libertà fa i conti in misura maggiore, per l’appunto, con i limiti previsti al comma 2 dell’art.41 e segnatamente con l’utilità sociale e con la sicurezza, la libertà e la dignità umana, costituendo tali limiti il primo e fondamentale parametro di meritevolezza (in termini di tutela giuridica) degli interessi perseguiti dalle parti.
1968
Il 30 gennaio esce la sentenza della Cassazione n.296 che – con particolare riguardo ai negozi fiduciari – abbraccia la tesi della c.d. doppia causa, onde il negozio di trasferimento (tra patrimoni) ha una propria causa idonea, appunto, a trasferire la proprietà dei beni (dal patrimonio X a quello separato Y), con effetti reali (ad esempio, vendita o donazione), mentre il negozio di destinazione – che è previsto dalla legge, che ha natura unilaterale o bilaterale e che è meramente eventuale – ha una propria e peculiare causa (di destinazione appunto dei beni al raggiungimento del divisato scopo), e dunque è un negozio distinto da quello di trasferimento, con effetti obbligatori (il fiduciario si obbliga all’uso convenuto con il fiduciante, ovvero al ritrasferimento al fiduciante stesso), facendosi luogo tra i due ad un collegamento negoziale.
1975
Il 21 novembre esce la sentenza della Cassazione n.3911 che, accanto alla tradizionale fiducia “dinamica” – laddove il fiduciario diviene proprietario dei beni da gestire nell’interesse del fiduciante in forza di cessione della proprietà dei beni in parola da parte del fiduciante medesimo – assume configurabile una fiducia “statica” al cui cospetto il fiduciario è già proprietario dei beni pertinenti e tuttavia, attraverso il pactum fiduciae, a partire da un dato momento inizia a far uso dei beni medesimi nell’interesse non più proprio ma del fiduciante (o di un terzo beneficiario).
1980
*Il 3 aprile esce la sentenza della Cassazione n.2159 che – con particolare riguardo ai negozi fiduciari – abbraccia la tesi della c.d. doppia causa, onde il negozio di trasferimento (tra patrimoni) ha una propria causa idonea, appunto, a trasferire la proprietà dei beni (dal patrimonio X a quello separato Y), con effetti reali (ad esempio, vendita o donazione), mentre il negozio di destinazione – che è previsto dalla legge, che ha natura unilaterale o bilaterale e che è meramente eventuale – ha una propria e peculiare causa (di destinazione appunto dei beni al raggiungimento del divisato scopo), e dunque è un negozio distinto da quello di trasferimento, con effetti obbligatori (il fiduciario si obbliga all’uso convenuto con il fiduciante, ovvero al ritrasferimento al fiduciante stesso), facendosi luogo tra i due ad un collegamento negoziale.
1985
Il 01 luglio viene firmata a l’Aja la Convenzione sul trust, che disciplina il c.d. trust “amorfo”, ovvero il trust nei relativi requisiti minimi, siccome ritratti dall’ordinamento anglosassone di derivazione. Vi si forgia un trust originato dal un negozio unilaterale, che dunque non necessita di accettazione da parte di chi riceve i beni in trust (trustee) da parte del disponente (settlor), che può liberamente scegliere la legge regolatrice del trust che istituisce (art.6). Quando poi (art.13) gli “elementi importanti” di un trust sono strettamente connessi a Stati che non prevedono l’istituto del trust stesso, ovvero la specifica categoria di trust pertinente, tali Stati non sono tenuti a riconoscere il detto trust, salvi soltanto i casi in cui tali elementi importanti si compendino nella scelta della legge da applicare, nel luogo di amministrazione o nella residenza abituale del trustee: secondo parte della dottrina italiana, proprio tale disposizione consentirebbe al nostro ordinamento di non riconoscere il trust c.d. interno, vale a dire il trust il cui unico elemento di internazionalità è la legge (straniera) scelta dal disponente italiano, mentre tutti gli altri “elementi importanti” (ed in particolare gli effetti di segregazione patrimoniale) sono invece interni.
1988
*Il 18 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.5663 che, accanto alla tradizionale fiducia “dinamica” – laddove il fiduciario diviene proprietario dei beni da gestire nell’interesse del fiduciante in forza di cessione della proprietà dei beni in parola da parte del fiduciante medesimo – ribadisce la configurabilità di una fiducia “statica” al cui cospetto il fiduciario è già proprietario dei beni pertinenti e tuttavia, attraverso il pactum fiduciae, a partire da un dato momento inizia a far uso dei beni medesimi nell’interesse non più proprio ma del fiduciante (o di un terzo beneficiario).
1989
Il 16 ottobre viene varata la legge n.364, recante ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, adottata a L’Aja il 1° luglio 1985.
1990
Il 15 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.107 onde – ai fini dell’azione revocatoria – la costituzione del fondo patrimoniale giusta conferimento dei beni va considerato atto a titolo gratuito, tanto che il conferimento provenga da uno solo dei coniugi o da un terzo, quanto che provenga da entrambi i coniugi, e ciò anche nell’ipotesi in cui i coniugi conferiscano beni già di proprietà comune (perché in comunione legale), dacché al vincolo di indisponibilità impresso sui propri beni non corrisponde alcun corrispettivo per i soggetti che costituiscono il fondo patrimoniale medesimo.
1992
*Il 7 agosto esce la sentenza della Cassazione n.4438 che con particolare riguardo ai negozi fiduciari – abbraccia la tesi della c.d. doppia causa, onde il negozio di trasferimento (tra patrimoni) ha una propria causa idonea, appunto, a trasferire la proprietà dei beni (dal patrimonio X a quello separato Y), con effetti reali (ad esempio, vendita o donazione), mentre il negozio di destinazione – che è previsto dalla legge, che ha natura unilaterale o bilaterale e che è meramente eventuale – ha una propria e peculiare causa (di destinazione appunto dei beni al raggiungimento del divisato scopo), e dunque è un negozio distinto da quello di trasferimento, con effetti obbligatori (il fiduciario si obbliga all’uso convenuto con il fiduciante, ovvero al ritrasferimento al fiduciante stesso), facendosi luogo tra i due ad un collegamento negoziale. Per la Corte poi, su altro versante, va ribadita la configurabilità, accanto alla tradizionale fiducia “dinamica” – laddove il fiduciario diviene proprietario dei beni da gestire nell’interesse del fiduciante in forza di cessione della proprietà dei beni in parola da parte del fiduciante medesimo – di una fiducia “statica” al cui cospetto il fiduciario è già proprietario dei beni pertinenti e tuttavia, attraverso il pactum fiduciae, a partire da un dato momento inizia a far uso dei beni medesimi nell’interesse non più proprio ma del fiduciante (o di un terzo beneficiario).
1993
*Il 29 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.6024 che – con particolare riguardo ai negozi fiduciari – abbraccia la tesi della c.d. doppia causa, onde il negozio di trasferimento (tra patrimoni) ha una propria causa idonea, appunto, a trasferire la proprietà dei beni (dal patrimonio X a quello separato Y), con effetti reali (ad esempio, vendita o donazione), mentre il negozio di destinazione – che è previsto dalla legge, che ha natura unilaterale o bilaterale e che è meramente eventuale – ha una propria e peculiare causa (di destinazione appunto dei beni al raggiungimento del divisato scopo), e dunque è un negozio distinto da quello di trasferimento, con effetti obbligatori (il fiduciario si obbliga all’uso convenuto con il fiduciante, ovvero al ritrasferimento al fiduciante stesso), facendosi luogo tra i due ad un collegamento negoziale.
1994
Il 18 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2604 alla cui stregua tanto l’atto costitutivo di un fondo patrimoniale quanto i successivi atti di conferimento di beni (quand’anche si tratti di beni già in comunione tra coniugi) devono assumersi avere natura di atti dispositivi e, pur non spiegando una efficacia traslativa (i beni restano in proprietà dei coniugi che li conferiscono), sono comunque idonei a pregiudicare le ragioni dei creditori, potendo i pertinenti beni essere aggrediti dai creditori solo alle condizioni dettate dall’art.170 c.c.; i beni del fondo patrimoniale, più in specie, non sono aggredibili da parte dei creditori che sono a conoscenza della estraneità dell’obbligazione assunta al soddisfacimento di bisogni della famiglia, con conseguente, sensibile riduzione della garanzia generale della quale beneficiano i creditori sul patrimonio di chi costituisce il fondo (o, in seguito, vi conferisce beni).
1998
Il 24 febbraio viene varato il decreto legislativo n.58, recante testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), che disciplina tra gli altri le società di gestione dei fondi comuni di investimento mobiliare: si tratta di una nuova (eccezionale) forma di fiducia di tipo germanistico, in quanto la “proprietà” del risparmio resta in capo al fiduciante, mentre la società di gestione si limita ad amministrare il ridetto risparmio, essendo dunque legittimata all’esercizio all’uopo di tutti i pertinenti diritti.
1999
Il 22 gennaio esce la sentenza delle SSUU della Cassazione n.591 che ribadisce autorevolmente come tanto l’atto costitutivo di un fondo patrimoniale quanto i successivi atti di conferimento di beni (quand’anche si tratti di beni già in comunione tra coniugi) debbano assumersi avere natura di atti dispositivi e, pur non spiegando una efficacia traslativa (i beni restano in proprietà dei coniugi che li conferiscono), sono comunque idonei a pregiudicare le ragioni dei creditori, potendo i pertinenti beni essere aggrediti dai creditori solo alle condizioni dettate dall’art.170 c.c.; i beni del fondo patrimoniale, più in specie, non sono aggredibili da parte dei creditori che sono a conoscenza della estraneità dell’obbligazione assunta al soddisfacimento di bisogni della famiglia, con conseguente, sensibile riduzione della garanzia generale della quale beneficiano i creditori sul patrimonio di chi costituisce il fondo (o, in seguito, vi conferisce beni). Per le SSUU – ai fini dell’azione revocatoria – la costituzione del fondo patrimoniale giusta conferimento dei beni va considerato atto a titolo gratuito, tanto che il conferimento provenga da uno solo dei coniugi o da un terzo, quanto che provenga da entrambi i coniugi, e ciò anche nell’ipotesi in cui i coniugi conferiscano beni già di proprietà comune (perché in comunione legale), dacché al vincolo di indisponibilità impresso sui propri beni non corrisponde alcun corrispettivo per i soggetti che costituiscono il fondo patrimoniale medesimo. La Corte ribadisce poi che laddove un terzo fideiussore paghi il debito del debitore poi fallito, tale atto può essere fatto oggetto di revocatoria fallimentare solo laddove ciò si sia risolto in una lesione della par condicio creditorum, circostanza predicabile quando il terzo abbia eseguito tale pagamento avvalendosi, direttamente o indirettamente, di denaro del fallito, ovvero quando abbia pagato con denaro proprio ed abbia esercitato, prima del fallimento, l’azione di rivalsa nei confronti del debitore poi fallito. In tutti gli altri casi non si verifica, per la Corte, un depauperamento del patrimonio del debitore poi insolvente, né una modifica dell’ammontare dei crediti concorrenti nella ripartizione dell’attivo fallimentare, se si tiene conto che anche se il terzo fideiussore adempiente proponesse istanza di ammissione al passivo, egli si insinuerebbe al posto dell’originario creditore soddisfatto e per un medesimo importo, venendosi a trovare – rispetto alla massa – nella medesima condizione in cui sarebbe trovato l’accipiens cui ha pagato (in luogo del debitore poi fallito).
2001
Il 3 ottobre viene varata la legge n. 366 che delega il Governo ad emanare norme per riformare la disciplina delle società di capitali e delle società cooperative.
2002
*Il 2 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.11537 onde – ai fini dell’azione revocatoria – la costituzione del fondo patrimoniale giusta conferimento dei beni va considerato atto a titolo gratuito, tanto che il conferimento provenga da uno solo dei coniugi o da un terzo, quanto che provenga da entrambi i coniugi, e ciò anche nell’ipotesi in cui i coniugi conferiscano beni già di proprietà comune (perché in comunione legale), dacché al vincolo di indisponibilità impresso sui propri beni non corrisponde alcun corrispettivo per i soggetti che costituiscono il fondo patrimoniale medesimo.
Il 25 settembre esce il provvedimento del Tribunale di Belluno che dichiara inammissibile in Italia il c.d. trust interno, o trust italiano: per il Tribunale laddove gli elementi significativi del trust, indipendentemente dalla volontà del relativo disponente, siano tutti localizzati in uno Stato che non conosce il trust (c.d. trust interno), come accade appunto in Italia, esso non può essere riconosciuto, e ciò in quanto la Convenzione de l’Aja del 1985, ratificata in Italia dalla legge 364.89, non assume il carattere di convenzione di diritto sostanziale uniforme (quanto piuttosto di diritto internazionale privato), dovendosi tener conto del fatto che il trust (istituto di diritto sostanziale) non è compatibile con i principi del nostro ordinamento interno.
2003
Il 17 gennaio viene varato il decreto legislativo n.6 che, nell’attuare la delega di cui alla legge 366.01, procede alla riforma organica della disciplina delle società di capitali e delle società cooperative. In particolare, vengono inseriti nel codice civile gli articoli 2447.bis e seguenti che disciplinano – attraverso una nuova sezione XI – i patrimoni destinati ad uno specifico affare, quali porzioni patrimoniali con destinazione, per l’appunto, specifica nell’ambito delle società per azioni. Rilevante in particolare l’art.2447.quinquies alla cui stregua, decorso il termine di cui al secondo comma del precedente articolo 2447.quater – e che disciplina la pubblicità della costituzione del patrimonio destinato – ovvero dopo l’iscrizione nel registro delle imprese del provvedimento del tribunale ivi previsto, i creditori della società non possono far valere alcun diritto sul patrimonio destinato allo specifico affare né, salvo che per la parte spettante alla società, sui frutti o proventi da esso derivanti; qualora peraltro nel patrimonio siano compresi immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, tale disposizione non si applica fin quando la destinazione allo specifico affare non sia trascritta nei rispettivi registri. Qualora la deliberazione prevista dall’articolo 2447.ter (quella costitutiva del patrimonio destinato) non disponga diversamente, per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare la società risponde nei limiti del patrimonio ad esso destinato, e non anche dunque con gli altri beni del proprio patrimonio, ma resta salva la responsabilità illimitata della società per le obbligazioni derivanti da fatto illecito. Infine, gli atti compiuti in relazione allo specifico affare debbono recare espressa menzione del vincolo di destinazione; in difetto, ne risponde la società con il relativo patrimonio residuo.
Il 13 ottobre esce il provvedimento del Tribunale di Parma che riconosce ammissibile il trust interno, non potendosi opporre la intrascrivibilità dell’atto pertinente stante l’operatività dell’art.12 della legge 364.89, che consente al trustee di chiedere l’iscrizione nei registri immobiliari con riguardo ai beni coagulati in trust facendo constare della relativa qualità.
2004
Il 01 luglio esce il provvedimento del Tribunale di Napoli che assume ammissibile il trust c.d. “interno” in Italia: a seguito della ratifica della Convenzione dell’Aja in forza della legge 364.89, deve ammettersi ormai configurabile una deroga al principio della generale responsabilità patrimoniale del debitore consacrato nell’art.2740 c.c., e ciò in quanto la legge di ratifica ridetta si applica a tutti i trust, anche interni, il cui unico elemento di internazionalità sia la legge applicabile (e dunque anche ad un trust istituito in Italia e come tale ammissibile, dovendosi solo isolare quale sia la legislazione applicabile tra quelle possibili, ivi compresa la legge italiana)
2005
Il 23 settembre esce il decreto del Tribunale di Trieste che ammette la configurabilità in Italia di un trust c.d. interno, e ciò sulla base della Convenzione dell’Aja del 1985, ratificata in Italia nel 1989: è vero che l’art.13 di tale Convenzione consente agli Stati contraenti di non riconoscere determinati trust, tra i quali appunto quello interno, ma all’uopo occorrerebbe una norma di legge apposita (nel senso della non riconoscibilità), in difetto della quale il trust interno deve appunto assumersi ammissibile.
Il 30 dicembre viene varato il decreto legge n.273 che, con l’art.39 novies, inserisce nel codice civile un nuovo art.2645.ter, rubricato significativamente “trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche”, secondo il cui disposto gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a 90 anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322, secondo comma, c.c. possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione (salvo quanto previsto dall’articolo 2915, primo comma, c.c.: anteriorità della trascrizione del pignoramento da parte dei creditori che agiscono in executivis rispetto alla trascrizione dell’atto di destinazione) solo per debiti contratti per tale scopo. La norma viene inserita nel capo del codice civile che disciplina gli “atti trascrivibili”, ed ha dunque certamente una valenza di tipo pubblicitario, ma palesa anche profili più puramente sostanziali, lasciando affiorare un (non meglio specificato) negozio di destinazione orientato a perseguire interessi meritevoli di tutela in capo a determinati soggetti, corredato da una certa forma e caratterizzato da una specifica durata; si discuterà se si tratta allora di norma su “nuovi” atti di destinazione (dalla medesima autorizzati), ovvero di norma sulla disciplina degli effetti di atti di destinazione già previsti dal sistema.
2005
*Il 7 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.4933 onde – ai fini dell’azione revocatoria – la costituzione del fondo patrimoniale giusta conferimento dei beni va considerato atto a titolo gratuito, tanto che il conferimento provenga da uno solo dei coniugi o da un terzo, quanto che provenga da entrambi i coniugi, e ciò anche nell’ipotesi in cui i coniugi conferiscano beni già di proprietà comune (perché in comunione legale), dacché al vincolo di indisponibilità impresso sui propri beni non corrisponde alcun corrispettivo per i soggetti che costituiscono il fondo patrimoniale medesimo.
Il 26 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.15603 alla cui stregua, poiché sia l’atto costitutivo di un fondo patrimoniale sia ogni successivo atto di conferimento in esso di beni costituiscono atti dispositivi, essi debbono assumersi soggetti all’azione revocatoria.
2006
Il 23 febbraio viene varata la legge n.51, che converte in legge il decreto legge n.273.05 in tema di atti di destinazione e di relativa trascrizione ai sensi del nuovo art.2645.ter c.c.
*Il 15 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.5684 onde – ai fini dell’azione revocatoria – la costituzione del fondo patrimoniale giusta conferimento dei beni va considerato atto a titolo gratuito, tanto che il conferimento provenga da uno solo dei coniugi o da un terzo, quanto che provenga da entrambi i coniugi, e ciò anche nell’ipotesi in cui i coniugi conferiscano beni già di proprietà comune (perché in comunione legale), dacché al vincolo di indisponibilità impresso sui propri beni non corrisponde alcun corrispettivo per i soggetti che costituiscono il fondo patrimoniale medesimo.
2007
*Il 17 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.11830 onde – ai fini dell’azione revocatoria – la costituzione del fondo patrimoniale giusta conferimento dei beni va considerato atto a titolo gratuito, tanto che il conferimento provenga da uno solo dei coniugi o da un terzo, quanto che provenga da entrambi i coniugi, e ciò anche nell’ipotesi in cui i coniugi conferiscano beni già di proprietà comune (perché in comunione legale), dacché al vincolo di indisponibilità impresso sui propri beni non corrisponde alcun corrispettivo per i soggetti che costituiscono il fondo patrimoniale medesimo.
2008
*Il 7 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.24757 alla cui stregua, poiché sia l’atto costitutivo di un fondo patrimoniale sia ogni successivo atto di conferimento in esso di beni costituiscono atti dispositivi, essi debbono assumersi soggetti all’azione revocatoria. Si tratta di disciplina applicabile anche allorché il fondo patrimoniale sia stato costituito in data anteriore alla nascita del credito per il quale si agisce in revocatoria, purché in questo caso sussista tuttavia la dolosa preordinazione dell’atto, da parte del debitore, alla finalità di pregiudicare il futuro credito.
2013
L’11 aprile esce la sentenza del Tribunale di Firenze che dichiara legittimo il trust interno auto-dichiarato, quello cioè nel quale disponente e trustee coincidono, il quale non può assumersi viziato da invalidità per la divergenza della relativa disciplina dalle previsioni dell’art. 2645 ter c.c. sussistendo appunto una notevole divergenza tra la ratio dei due istituti, seppur entrambi producano la segregazione del patrimonio del disponente nell’interesse di un beneficiario o di un determinato programma. In sostanza, trust autodichiarato e patrimonio destinato ex art.2645 ter c.c. sono due fattispecie diverse che convivono nell’ordinamento italiano.
2014
Il 9 maggio esce la sentenza della della I sezione della Cassazione n.10105 onde, al fine di evitare che il trust, in considerazione dei più svariati motivi per cui può essere costituito, possa diventare un facile strumento di elusione di norme imperative, il programma di segregazione deve corrispondere solo allo schema astrattamente previsto dalla Convenzione de L’Aja, laddove il programma concreto non può che risultare sulla base del singolo regolamento d’interessi attuato, rappresentando esso la causa concreta del negozio, secondo la nozione da tempo recepita, nell’ambito del diritto dei contratti, dalla giurisprudenza di legittimità. Invero, quale strumento negoziale astratto, il trust può essere piegato al raggiungimento dei più vari scopi pratici; occorre perciò esaminare, al fine di valutarne la liceità, le circostanze del caso di specie, da cui desumere la causa concreta dell’operazione: indagine questa particolarmente rilevante nei riguardi di uno strumento giuridico estraneo alla nostra tradizione civilistica e che si affianca, in modo particolarmente efficace, ad altri esempi di intestazione fiduciaria volti, con finalità frequentemente frodatorie, all’elusione di norme imperative.
2015
Il 27 giugno viene varato il decreto legge n.83, recante misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria, il cui art.12 aggiunge al codice civile un nuovo art.2929.bis rubricato “espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito”. Secondo tale disposizione, il creditore che sia pregiudicato da un atto del debitore, di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione, che abbia per oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito può procedere, munito di titolo esecutivo, a esecuzione forzata, ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di 1 anno dalla data in cui l’atto e’ stato trascritto. Tale disposizione si applica anche al creditore anteriore che, entro 1 anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole, interviene nell’esecuzione da altri promossa. La norma precisa che quando il pregiudizio deriva da un atto di alienazione, il creditore promuove l’azione esecutiva nelle forme dell’espropriazione contro il terzo proprietario. Il debitore, il terzo assoggettato a espropriazione e ogni altro interessato alla conservazione del vincolo possono proporre le opposizioni all’esecuzione di cui al titolo V del libro III del codice di procedura civile quando contestano la sussistenza dei presupposti di cui al primo comma della norma, nonché la conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore. Si tratta dunque di una forma semplificata di tutela esecutiva, laddove gli atti pregiudizievoli siano stati a titolo gratuito (e non anche a titolo oneroso): non occorre il previo giudizio di cognizione potendo il creditore procedere direttamente all’atto di pignoramento dei beni oggetto di disposizione pregiudizievole, senza dover passare preventivamente per l’azione revocatoria e senza doverne attendere il passaggio in giudicato; non occorre in particolare provare i requisiti tipici dell’azione revocatoria, ed in particolare il dolo del debitore, mentre saranno i soggetti esecutati a poter introdurre un giudizio di cognizione in opposizione al fine di dimostrare il difetto dei requisiti per poter procedere in modo siffattamente semplificato, ovvero comunque la loro buona fede. Il creditore ha bisogno dunque solo di un titolo esecutivo e, senza dover attendere l’esito di un’azione revocatoria ed il passaggio in giudicato della pertinente sentenza, al cospetto di atti gratuiti pregiudizievoli successivi a quando è sorto il proprio credito, può agire direttamente in via esecutiva. Non è possibile agire in tal modo al cospetto di ogni atto gratuito, ma solo laddove si tratti di alienazione gratuita di immobili o mobili registrati, ovvero di costituzione a titolo gratuito di un vincolo di indisponibilità sui ridetti beni. Dal punto di vista cronologico, rispetto alla trascrizione dell’atto pregiudizievole (che riguarda sempre beni immobili o mobili registrati) non deve essere trascorso 1 anno, potendo in tale torno temporale il creditore procedente trascrivere direttamente il pignoramento; partita la procedura esecutiva, possono intervenire altri creditori anteriori, sempre tuttavia entro 1 anno dalla trascrizione dell’atto (anche per loro) pregiudizievole. Quanto alle opposizioni all’esecuzione, vi sono legittimati tanto il debitore (ex art.615 c.p.c.) quanto il terzo proprietario (ex art.619 c.p.c.) quanto, ancora, ogni altro interessato al mantenimento del vincolo sul bene, siccome disposto dal debitore, sulla scorta della mancanza di presupposti per agire ex art.2929.bis, ovvero sulla scorta della propria buona fede in termini di mancata consapevolezza del pregiudizio che l’atto ha arrecato al creditore.
Il 6 agosto viene varata la legge n.132 che converte in legge con modificazioni il decreto legge n.83.
Il 12 agosto esce la sentenza del Tribunale di Prato onde l’atto di destinazione ex art. 2645 ter c.c. posto in essere da una srl ed avente ad oggetto taluni beni immobili di sua proprietà in favore di un’altra srl, allo scopo di agevolare l’omologazione della proposta di concordato preventivo avanzata da quest’ultima (omologazione poi effettivamente ottenuta), persegue interessi meritevoli di tutela ex art. 1322 c.c., essendo appunto pienamente meritevole ai sensi del predetto articolo l’interesse al soddisfacimento dei creditori sociali sotteso al suddetto atto di destinazione e dovendosi l’atto di destinazione ex art. 2645 ter ritenere efficace qualora il patrimonio sia vincolato a garanzia dei creditori di una società in crisi e, in particolare, ove tale società intenda instaurare una procedura di concordato preventivo; trattasi dunque di atto non revocabile ex art. 2901 c.c., atteso peraltro come nel caso di specie l’attore non abbia fornito alcuna prova relativamente ai requisiti oggettivo e soggettivo previsti dalla legge per spiccare appunto azione revocatoria.
Il 23 settembre esce la sentenza della V sezione Penale della Cassazione n. 42605 alla cui stregua in tema di misure di prevenzione patrimoniali, la costituzione su un bene immobile di un vincolo di destinazione, ai sensi dell’art. 2645 ter c.c., non incide sulla disponibilità del bene stesso in capo al proposto (ove accertata ai sensi dell’art. 2 ter l. n. 575 del 1968), né, quindi, sulla relativa confiscabilità, in quanto il predetto vincolo non comprime i diritti del proprietario sul bene, se non nei limiti della destinazione impressa; per la Corte è dunque legittima la confisca di un bene immobile acquistato con denaro proveniente dal proposto, fittiziamente intestato alla convivente e successivamente vincolato nella destinazione all’esigenza abitativa della loro figlia minore, con contestuale attribuzione a quest’ultima dei frutti dello stesso.
Il 27 ottobre esce la sentenza del Tribunale di Novara secondo la quale è da escludere che l’imposizione di un vincolo di destinazione ai sensi dell’art. 2645 ter c.c. si sostanzi in una nuova tipologia negoziale traslativa, caratterizzata da una causa esclusivamente destinatoria, dovendosi piuttosto assumere che la nuova norma introduca nell’ordinamento solo un particolare tipo di effetto negoziale, quello di destinazione, accessorio rispetto agli altri effetti di un negozio tipico o atipico cui si accompagna (e del quale mutua la causa, aggiungendovi appunto una componente causale destinatoria che non può tuttavia sussistere in modo autonomo ed indipendente).
Il 4 novembre esce la sentenza del Tribunale di Bergamo che afferma come l’atto istitutivo di un trust autodichiarato (ex se non ammissibile nel sistema italiano) può valere quale atto di destinazione di cui all’art. 2645 ter c.c., di cui deve essere vagliata la meritevolezza, la quale implica l’altruità dell’interesse perseguito; la ridetta meritevolezza, per il Tribunale, deve escludersi allorché i beneficiari del trust, la cui nomina è rimessa al disponente, non siano ancora stati nominati ad oltre un anno dall’istituzione del trust e le finalità indicate nell’atto istitutivo siano connotate da estrema genericità.
2016
Il 25 agosto esce la sentenza del Tribunale di Milano che dichiara nullo un trust laddove indichi quale beneficiaria una associazione che assiste soggetti disabili se appare evidente che tale indicazione – della quale l’associazione non aveva conoscenza e che ha casualmente scoperto – mirava soltanto a facilitare la trascrizione del vincolo sui beni ex art. 2645 ter c.c., finalità effettiva del trust palesandosi piuttosto quella di escludere o limitare la responsabilità patrimoniale del disponente.
2017
Il 27 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione onde – muovendo dal presupposto che legittimamente il giudice dell’esecuzione verifica, anche d’ufficio, la reale esistenza del soggetto nei cui confronti è intentata la procedura esecutiva – va disposta la chiusura anticipata di una procedura che ha fatto perno sul pignoramento di beni immobili eseguito nei confronti (direttamente) di un trust (in persona del trustee), piuttosto che nei confronti del trustee; il trust non è infatti, per la Corte, un ente dotato di personalità giuridica, né di soggettività, per quanto limitata od ai soli fini della trascrizione, configurando piuttosto un mero compendio di beni e rapporti destinati ad un fine determinato e formalmente intestati al trustee, il quale resta l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi, e non già in veste di legale rappresentante, quanto piuttosto come colui che dispone del pertinente diritto. Neppure osta a tale conclusione, per la Corte, la nota di trascrizione del negozio di dotazione del trust, che non può fondare una valida continuità di trascrizioni con un soggetto inesistente o, detto altrimenti, non può “creare” dal nulla un soggetto inesistente. La Corte inizia dunque con l’affermare che il giudice dell’esecuzione ha il potere di risolvere d’ufficio la questione dell’esistenza giuridica del soggetto esecutato per alfine statuire, laddove ne abbia acclarato l’inesistenza, il precipitato della non proseguibilità del processo esecutivo nei confronti appunto di un soggetto inesistente; rientra dunque nei poteri ufficiosi del giudice dell’esecuzione il riscontro delle imprescindibili condizioni dell’azione esecutiva ed i (conseguenti) presupposti del processo esecutivo, onde l’ufficiosità del rilievo di tali condizioni e presupposti va per la Corte ribadita in generale, in funzione della particolare struttura del processo esecutivo, in cui l’istituzionale carenza di contraddittorio in senso tecnico per l’assenza di controversie in punto di diritto (salvi gli incidenti – o parentesi – cognitivi costituiti soprattutto dalle opposizioni), unita alla altrettanto istituzionale soggezione processuale di uno dei due soggetti necessari – il debitore – all’altro cui è riconosciuto il potere di impulso del processo esecutivo medesimo – il creditore – devono allora essere compensate da una più intensa potestà di verifica anche formale della sussistenza di condizioni e presupposti per la corrispondenza del processo stesso alla sua funzione. Scendendo dal generale al particolare, nel caso di specie per la Corte la vendita in executivis sarebbe ab origine caduca, e dunque tale da riversare sul potenziale incolpevole aggiudicatario un’interminabile serie di problemi particolarmente complessi, per fare fronte ai quali è obiettivamente aleatoria la garanzia per evizione, onde si vanificherebbe l’esigenza di tutela dell’affidamento sulla ritualità del trasferimento, che una vendita comunque proposta e gestita da un ufficio pubblico particolarmente qualificato, quale il giudice delle esecuzioni, normalmente susciterebbe. Fatte queste premesse di ordine processuale (esecutivo), la Corte si occupa poi – sul crinale sostanziale – delle modalità del pignoramento di beni conferiti in trust, richiamando in via confermativa la pertinente giurisprudenza maggioritaria onde il trust è da assumersi non già quale ente dotato di personalità giuridica, quanto piuttosto quale semplice insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato, nell’interesse di uno o più beneficiari; beni e rapporti formalmente intestati al trustee, il quale è dunque l’unico soggetto legittimato nei rapporti con i terzi, in quanto dispone in esclusiva del patrimonio vincolato alla predeterminata destinazione impressagli dal disponente (lessor). La conseguenza che imprescindibilmente deriva da tale premessa è che il trust non può essere titolare di diritti, né tampoco fatto destinatario di un pignoramento che abbia ad oggetto i beni medesimi, i beni conferiti in trust dovendo dunque essere pignorati (soggettivamente) al trustee, perfino a prescindere dall’espressa spendita di tale qualità, essendo dunque il solo trustee (e non già il trust) l’unico soggetto aggredibile. Per la Corte un pignoramento che colpisca beni che si prospettano nella – formale e separata – titolarità di un trust fa luogo ad una fattispecie giuridicamente impossibile secondo il vigente ordinamento interno e, quindi, insanabilmente nulla per impossibilità di identificare un soggetto esecutato giuridicamente possibile, siccome inesistente e quindi insuscettibile tanto di essere titolare di diritti quanto – soprattutto e per quanto rileva ai fini della proseguibilità del relativo processo esecutivo – di subire espropriazioni (cioè coattivi trasferimenti) dei medesimi, con l’ulteriore precipitato onde correttamente nel caso di specie la gravata sentenza di merito ha escluso la validità del pignoramento eseguito nei confronti del trust anzichè del trustee (e dunque da intendersi nullo).
Il 25 luglio esce la sentenza della III sezione penale della Cassazione n.36801 onde, nel caso di specie, la Corte di appello con la gravata sentenza è pervenuta alla conclusione di considerare la natura fraudolenta del trust (c.d. ‘sham trust’, ossia di un trust simulato con un’intestazione fittizia al trustee di beni, dove il trustee sarebbe in realtà una mera ‘testa di legno’ del ‘settlor/disponente’) in presenza di dati oggettivi ritenuti sufficienti per connotare il carattere fraudolento dell’operazione, massime al fine di sottrarre beni al prelievo tributario. In proposito la Corte rammenta come la propria giurisprudenza (vengono richiamate Sez. 3, n. 9229 del 30/06/2015, dep. 2016, Carmine; Sez. 5, n. 46137 del 24/06/2014, Greci) abbia chiarito che il trust si sostanzia nell’affidamento ad un terzo di determinati beni perché questi li amministri e gestisca quale ‘proprietario’ (nel senso di titolare dei diritti ceduti) per poi restituirli, alla fine del periodo di durata del trust, ai soggetti indicati dal disponente. Presupposto coessenziale alla stessa natura dell’istituto – rammenta la Corte – è che il detto disponente perda la disponibilità di quanto abbia conferito in trust, al di là di determinati poteri che possano competergli in base alle norme costitutive. Tale condizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo (sham trust) e non produce l’effetto segregativo che gli è proprio; in tali ipotesi, prosegue la Corte, è ovvio che l’onere probatorio gravante sul PM è quello proprio dei negozi simulati, potendo la prova essere offerta con qualsiasi idoneo mezzo e quindi anche mediante indizi gravi, precisi e concordanti (articolo 192, comma 2, c.p.p.), fermo restando che essa non può rimanere circoscritta ad elementi di rilevanza meramente oggettiva, ma deve necessariamente proiettarsi, soprattutto nei casi, come nella specie, in cui la fattispecie incriminatrice è integrata dalla presenza del dolo specifico, anche su dati idonei a disvelare convincentemente i profili di carattere soggettivo. La Corte rammenta a tal proposito come sia stato precisato che, al fine di evitare che il trust, in considerazione dei più svariati motivi per cui può essere costituito, possa diventare un facile strumento di elusione di norme imperative, il programma di segregazione deve corrispondere solo allo schema astrattamente previsto dalla Convenzione de L’Aja, laddove il programma concreto non può che risultare sulla base del singolo regolamento d’interessi attuato, rappresentando esso la causa concreta del negozio, secondo la nozione da tempo recepita, nell’ambito del diritto dei contratti, dalla giurisprudenza di legittimità. Invero, quale strumento negoziale astratto, il trust può essere piegato al raggiungimento dei più vari scopi pratici; occorre perciò esaminare, al fine di valutarne la liceità, le circostanze del caso di specie, da cui desumere la causa concreta dell’operazione: indagine questa particolarmente rilevante nei riguardi di uno strumento giuridico estraneo alla nostra tradizione civilistica e che si affianca, in modo particolarmente efficace, ad altri esempi di intestazione fiduciaria volti, con finalità frequentemente frodatorie, all’elusione di norme imperative (viene richiamata in termini Cass. civile, Sez. I, n. 10105 del 9 maggio 2014).
Il 4 dicembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione penale n.54521, alla cui stregua laddove difetti uno specifico vincolo di destinazione della res oggetto della condotta penalmente sanzionata, non si configura l’appropriazione indebita. Per la Corte, ove l’agente dia alla cosa della quale ha la disponibilità una destinazione diversa da quella consentita dal titolo per cui la possiede (ovvero a richiesta o alla scadenza non restituisca la cosa o il denaro del quale ha appunto la disponibilità), commette il reato di appropriazione indebita, giacché la res entra ab extrinseco a far parte del relativo patrimonio ma con questo non si confonde proprio perché connotata da un vincolo specifico di destinazione che il soggetto agente sovverte con una condotta che è penalmente sanzionata; laddove tale vincolo specifico di destinazione non si riscontri, per la Corte si fa luogo invece ad un mero inadempimento civilistico, non rilevante penalmente. In sostanza, il vincolo di destinazione della res è qualcosa che contribuisce a delineare la fattispecie penalistica dell’appropriazione indebita, laddove non vi sia appunto – fisiologicamente – confusione patrimoniale e tale vincolo venga tuttavia violato dal possessore che – patologicamente – imprime alla res una destinazione diversa rispetto a quella coerente con tale vincolo.
2018
Il 17 gennaio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 975 che ribadisce il consolidato orientamento secondo cui il trasferimento del bene dal settlor al trustee è assoggettabile a tassazione in misura fissa (e non proporzionale) in quanto avviene a titolo gratuito e non determina effetti traslativi, poiché non ne comporta l’attribuzione definitiva allo stesso, che è tenuto solo ad amministrarlo ed a custodirlo, in regime di segregazione patrimoniale, in vista del suo ritrasferimento ai beneficiari del trust.
Il 6 febbraio esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 2820 che ribadisce la natura di atto a titolo gratuito del fondo patrimoniale che, in quanto tale, è suscettibile di essere dichiarato inefficace ai sensi dell’art. 64 l. fall.. Tuttavia, ricorda la Corte, non è possibile la dichiarazione di tale inefficacia nel caso in cui sia dimostrata l’esistenza di una situazione oggettiva che integri gli estremi del dovere morale e il proposito del solvens di adempiere unicamente a detto dovere mediante l’atto in questione.
Il 14 febbraio esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 3641 che ribadisce la possibilità per il creditore di esperire, ai sensi dell’art. 2901, comma 1, c.c., l’azione revocatoria nei confronti del fondo patrimoniale costituito dal coniuge ed avente ad oggetto un immobile di sua proprietà.
Lo stesso giorno esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 3656 onde l’intestazione fiduciaria di partecipazioni societarie integra gli estremi dell’interposizione reale di persona per effetto della quale l’interposto ne acquista la titolarità, pur essendo obbligato ad attenersi alle indicazioni dell’interponente nonché a ritrasferirle a quest’ultimo, ad una scadenza convenuta o al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario, con la conseguenza che legittimato all’esercizio della prelazione prevista da clausola statutaria è l’interposto e non l’interponente. Il fiduciante, non essendo intestatario reale delle partecipazioni sociali, non può considerarsi socio della società; pertanto, qualora il medesimo fosse direttamente danneggiato dall’atto illecito imputato all’organo amministrativo, sarebbe legittimato ad agire contro quest’ultimo esclusivamente nella sua veste di terzo
L’11 aprile esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 8881 che riconosce aggredibili da parte del Fisco i beni presenti in un fondo patrimoniale qualora l’obbligazione tributaria sia strumentale ai bisogni della famiglia.
Il 19 aprile esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 9637 secondo cui l’interesse alla corretta amministrazione del patrimonio in trust non integra una posizione di diritto soggettivo attuale in favore dei beneficiari ai quali siano attribuite dall’atto istitutivo soltanto facoltà, non connotate da realità, assoggettate a valutazioni discrezionali del trustee. Conseguentemente, rileva la Corte, deve escludersi che i beneficiari non titolari di diritti attuali sui beni siano legittimati passivi e litisconsorti necessari nell’azione revocatoria avente ad oggetto i beni in trust, spettando invece la legittimazione, oltre al debitore, al trustee, in quanto unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi.
Il 25 maggio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 13141 che, in tema di imposta di registro sul trust, ribadisce l’orientamento secondo cui sono tassabili nella misura proporzionale del 3% solo gli atti che comportano l’assunzione di una obbligazione o la modificazione di un rapporto obbligatorio. In caso di atto dispositivo nell’ambito di un trust, il giudice di merito deve accertare se l’atto in questione sia annoverabile o meno tra gli atti onerosi o tra gli atti gratuiti, da doversi tassare, nel primo caso, in misura proporzionale, ovvero, nel secondo, in misura fissa.
Il 29 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 13388 onde nell’azione revocatoria ordinaria avente ad oggetto un bene in trust, lo stato soggettivo del terzo rilevante nel caso di un atto di disposizione patrimoniale a titolo oneroso è quello del beneficiario e non quello del trustee; il beneficiario è litisconsorte necessario esclusivamente nel caso dell’atto di disposizione patrimoniale a titolo oneroso.
Il 13 giugno esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 15460 che ribadisce il costante orientamento secondo cui è da escludere che il conferimento dei beni in trust dia luogo ad un reale trasferimento imponibile, perché contrario al programma negoziale di donazione indiretta per cui è stato predisposto e che prevede la temporanea preservazione del patrimonio a mezzo della sua segregazione fino al trasferimento vero e proprio a favore dei beneficiari. Sotto altro profilo, la Corte osserva che un trust ove non sia previsto alcun corrispettivo a carico del trustee non può definirsi “operazione a carattere patrimoniale” ai fini della tassazione in misura proporzionale in quanto, in simili circostanze, il concetto di patrimonialità non può essere inteso in senso civilistico (quale mera suscettibilità di valutazione economica della prestazione) ma richiede necessariamente la previsione di un corrispettivo in danaro.
Il 29 agosto esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 21366 onde, nel valutare la capacità economica di un soggetto ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento del figlio, il giudice deve tenere conto anche dei beni facenti parte del trust costituito dal medesimo soggetto.
Il 30 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 21385 in tema di effetti della trascrizione della vendita di un bene appartenente a fondo patrimoniale. La Corte ricorda che gli effetti dell’atto dispositivo non sono opponibili al terzo, se per lui pregiudizievoli, fintantoché l’atto non risulti dai pubblici registri immobiliari; tuttavia, il terzo può avvalersi di quegli effetti, se per lui favorevoli.
Il 26 settembre esce la sentenza della III sezione penale della Cassazione n. 41704 che conferma l’orientamento secondo cui il fondo patrimoniale può integrare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Richiamando i propri precedenti la Corte afferma che l’art. 11 d.lgs. 74/2000, nel punire il compimento di atti fraudolenti, fa riferimento a qualsiasi atto che, non diversamente dall’alienazione simulata, sia idoneo a presentare ai terzi una realtà (la riduzione del patrimonio del debitore) non corrispondente al vero, mettendo a repentaglio o comunque rendendo più difficoltosa l’azione di recupero del bene in tal modo sottratto alle ragioni dell’Erario.
Il 28 novembre esce la sentenza della II sezione penale della Cassazione n. 53373 che spiega come il negozio fiduciario si realizzi mediante il collegamento di due negozi: l’uno di carattere esterno, realmente voluto e con efficacia verso i terzi, e l’altro di carattere interno – pure esso effettivamente voluto – ed obbligatorio, diretto a modificare il risultato finale del primo negozio, ed in virtù del quale il fiduciario è tenuto a ritrasferire il bene al fiduciante o ad un terzo. Pertanto, la intestazione fiduciaria di titoli, integra gli estremi della interposizione reale di persona, per effetto della quale l’interposto acquista – a differenza che nel caso di interposizione fittizia o simulata – la titolarità delle azioni o delle quote, pur essendo, in virtù del rapporto interno con l’interponente di natura obbligatoria, tenuto ad osservare un certo comportamento, convenuto in precedenza con il fiduciante, nonché a ritrasferire i titoli a quest’ultimo ad una scadenza convenuta, ovvero al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario. Pertanto, non integra il reato di appropriazione indebita la condotta dell’intestatario fiduciario che non risponda all’obbligo di ritrasferire i beni immateriali intestati al fiduciante alla data di scadenza stabilita, dato che il fiduciario stesso ha la titolarità reale dei beni.
2019
Il 21 gennaio esce la sentenza della III sezione penale della Cassazione n. 2569 onde commette il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte il contribuente che costituisce il trust dopo la notifica di alcune cartelle di pagamento, essendo in tal caso palese l’intento fraudolento del comportamento del privato che, nonostante la conoscenza del debito, cerca di limitare la propria garanzia patrimoniale.
Questioni intriganti
In cosa consistono e quali problemi pongono i c.d. patrimoni “separati” o destinati?
- nella forma uni-soggettiva, si tratta di un patrimonio “destinato” ad un dato scopo, e come tale “separato” rispetto al patrimonio generale del soggetto che ha la disponibilità, e la formale titolarità, di entrambi i compendi patrimoniali, vale a dire tanto di quello generale che di quello separato;
- la sfera giuridica di riferimento è dunque soggettivamente imputabile ad un medesimo soggetto;
- all’interno di tale sfera giuridica “soggettiva” unitaria, piuttosto che isolarsi un solo patrimonio, se ne possono isolare almeno due, ferma appunto la medesima identità del soggetto (giuridico considerato), vale a dire un patrimonio generale ed uno separato (e destinato ad uno scopo);
- si tratta di una fattispecie che viene eccezionalmente autorizzata dalla legge, che ritiene il raggiungimento di determinati fini o scopi particolarmente meritevole di tutela;
- la caratteristica del patrimonio “separato” – rispetto a quello “generale” di un unico soggetto – è allora quella onde i beni che lo compongono sono destinati a realizzare uno specifico scopo, in funzione del quale la legge autorizza per l’appunto la ridetta separazione;
- il patrimonio è “separato” perché le vicende personali del relativo titolare formale non possono incidere su di esso, o possono incidervi limitatamente; ciò dacché si tratta di un patrimonio “separato” in quanto “destinato” al raggiungimento di un dato scopo, e i cui beni costituiscono dunque la garanzia patrimoniale per le sole obbligazioni contratte in vista di tale scopo, e non anche per le obbligazioni che al ridetto scopo siano estranee;
- se dunque viene contratta dal soggetto titolare del patrimonio separato una obbligazione funzionale al raggiungimento dello scopo divisato (giusta appunto destinazione patrimoniale), in caso di inadempimento di tale obbligazione i creditori possono aggredire i beni del ridetto patrimonio separato (e destinato); laddove invece l’obbligazione contratta dal soggetto sia estranea allo scopo divisato giusta separazione patrimoniale, i creditori potranno aggredire la sola massa dei beni del patrimonio “generale” di tale soggetto (debitore), ma non anche quelli facenti appunto parte del patrimonio separato (e destinato allo scopo protetto dalla legge);
- si configurano tuttavia anche ipotesi “pluri-soggettive”, in cui alla separazione dei patrimoni corrisponde anche una duplicità di soggetti, uno dei quali trasferisce i beni destinati allo scopo nel patrimonio dell’altro, che si obbliga a raggiungere con essi lo scopo divisato, come si verifica nel caso del negozio fiduciario (con rapporti tra fiduciante e fiduciario) e nella fondazione (con rapporti tra chi istituisce la fondazione e la dispone di beni e la fondazione stessa);
- in tema di causa si fronteggiano 2 possibili alternative: i.1) la causa – tanto per il trasferimento dei beni quanto per la destinazione degli stessi allo scopo – è unica, onde il trasferimento dei beni (tra patrimoni) ha causa proprio (e solo) nella contestuale destinazione ad uno scopo (tesi dottrinale); i.2) il trasferimento (tra patrimoni) – massime in tema di fiducia – ha una propria causa idonea, appunto, a trasferire la proprietà dei beni (dal patrimonio generale a quello separato), ed è propria di un negozio ad effetti reali, mentre il negozio di destinazione – che è previsto dalla legge, che ha natura unilaterale o bilaterale e che è meramente eventuale – ha una propria e peculiare causa (di destinazione appunto dei beni al raggiungimento del divisato scopo), e dunque è un negozio distinto da quello di trasferimento, atteggiandosi a negozio ad effetti obbligatori che vincola il fiduciario al raggiungimento dello scopo medesimo, ovvero alla restituzione dei beni al fiduciante, facendosi dunque luogo ad un collegamento negoziale non necessario (tesi giurisprudenziale);
Quali sono le fattispecie di patrimonio separato (perché destinato) previste dalla legge o forgiate dalla giurisprudenza?
- la fondazione;
- il negozio fiduciario;
- il fondo patrimoniale;
- l’eredità giacente;
- la cessione di beni ai creditori;
- i patrimoni destinati nelle società per azioni;
- le esecuzioni collettive di tipo concorsuale, come nel caso del fallimento e delle figure similari;
- il trust;
- le norme, contenute in leggi speciali, in materia di cartolarizzazione dei crediti e degli immobili.
Cosa occorre ricordare in particolare della fiducia?
- il concetto di proprietà fiduciaria, onde un soggetto ha diritto – in quanto proprietario “fiduciario” – di godere e disporre di determinati beni, non già tuttavia per la soddisfazione di un interesse proprio, quanto piuttosto per soddisfare l’interesse di un terzo, il “fiduciante” che gli ha trasferito all’uopo tali beni; si distingue da un primo punto di vista: a.1.1) una proprietà fiduciaria dinamica, nella quale il fiduciario diviene proprietario in forza di una cessione dei pertinenti beni da parte del fiduciante, accompagnata dal pactum fiduciae; a.1.2) una fiducia statica, in cui il fiduciario è invece già proprietario dei beni pertinenti e, giusta pactum fiduciae, si obbliga da un certo momento in poi a farne un determinato uso nell’interesse del fiduciante; su un altro crinale va poi distinta: a.2.1) proprietà fiduciaria “romanistica”, comunemente accolta in Italia, in cui il fiduciario diviene proprietario dei beni da gestire nell’interesse del fiduciante (nella duplice veste di semplice fiducia “cum amico”, in cui si trasferisce ad un terzo del quale ci si fida un compendio di beni da gestire nel proprio interesse e quindi restituire a sé o ad un terzo; ovvero di fiducia “cum creditore”, in cui il fiduciante è debitore, il fiduciario è creditore ed il trasferimento dei beni avviene a scopo di garanzia dell’obbligazione che li avvince, di dubbia validità perché in frizione col divieto del patto commissorio); a.2.2.) la proprietà fiduciaria “germanistica”, laddove il proprietario dei beni resta – staticamente – il fiduciante, mentre il fiduciario è solo legittimato ad esercitare – dinamicamente – i diritti connessi alla proprietà dei beni pertinenti, onde si ha un proprietario sostanziale (il fiduciante) ed un proprietario formale (il fiduciario), al quale ultimo i beni sono solo intestati conferendogli appunto la legittimazione ad esercitare i diritti ad essi connessi (classico esempio ne sono le società fiduciarie);
- il concetto di negozio fiduciario, che è il negozio che avvince appunto il fiduciante e il fiduciario e dal quale discende la proprietà fiduciaria: il fiduciario acquisisce la proprietà di determinati beni dal fiduciante per perseguire uno scopo indicatogli dal fiduciante medesimo e che ne soddisfa un interesse; il fiduciario – attraverso il pactum fiduciae intercorso con il fiduciante – si obbliga a perseguire con i beni ricevuti il ridetto scopo, e a trasferire infine i beni medesimi nuovamente al fiduciante medesimo, ovvero ad un terzo; il fiduciario è interposto “reale” tra fiduciante in sede di trasferimento iniziale e (fiduciante medesimo o più spesso) terzo in sede di ritrasferimento finale, onde non si ha interposizione fittizia e si ha piuttosto rappresentanza indiretta che è – laddove i beni vengano ritrasferiti ad un terzo (e non già al medesimo fiduciante) – a carattere strutturalmente trilaterale dal punto di vista dei soggetti, venendo i beni realmente trasferiti, al fine di perseguire il divisato scopo, da A (fiduciante) a B (fiduciario) ed alfine da quest’ultimo a C (terzo beneficiario); con la dizione “negozio fiduciario” può intendersi: b.1) un’operazione complessa che in realtà ricomprende due negozi collegati tra loro, uno ad effetti reali di trasferimento dei beni dal fiduciante al fiduciario (con propria causa ed efficace anche per i terzi), e un altro ad effetti obbligatori (connesso al pactum fiduciae e con effetti solo tra fiduciante e fiduciario); b.2) un solo negozio astratto di trasferimento della proprietà nel cui contesto il pactum fiduciae è la clausola che in qualche modo ab externo, giustifica il trasferimento della proprietà medesima, e che ne esplicita dunque la causa (donazione fiduciaria, adempimento fiduciario, vendita fiduciaria);
- i rapporti con altre figure: c.1) simulazione: le parti vogliono effetti diversi da quelli che appaiono, al contrario di quanto accade nel negozio fiduciario, in cui le parti vogliono invece gli effetti in esso previsti; c.2) negozio indiretto: le parti perseguono effetti ulteriori rispetto a quelli propri del negozio prescelto, giusta eccedenza della forma giuridica prescelta rispetto allo scopo divisato; è quanto accade anche nel negozio fiduciario, dove tuttavia è presente anche il pactum fiduciae in veste di patto separato, mentre nel negozio indiretto tradizionale è sufficiente il solo contratto divisato che persegue appunto, di per sé solo, effetti indiretti ed ulteriori rispetto a quelli che gli sono tipici;
- gli strumenti di tutela delle parti direttamente o indirettamente coinvolte nell’operazione fiduciaria: d.1) nei rapporti tra fiduciante e fiduciario infedele, laddove appunto il fiduciario si renda inadempiente rispetto al pactum fiduciae, è possibile per il fiduciante attivare in via generale l’art.1218 c.c. ed in via speciale l’art.2932 c.c. laddove il fiduciario proprietario si sia obbligato a ritrasferire la proprietà al fiduciante senza poi provvedervi; d.2) nei rapporti tra creditori del fiduciante e fiduciario infedele, i primi – in caso di inerzia del fiduciante – possono agire in via surrogatoria ex art.2900c.; c.3) nei rapporti tra fiduciante (o relativi creditori) e creditori del fiduciario infedele che agiscano sui beni oggetto del trasferimento fiduciario, laddove si tratti di beni mobili e il trasferimento fiduciario risulti da data certa, se questa è anteriore al pignoramento da parte del creditori del fiduciario infedele, prevale il fiduciante (o relativi creditori); laddove invece si tratti di beni immobili o di beni mobili registrati, si ha prevalenza del fiduciante (o relativi creditori) solo laddove la domanda giudiziale di ritrasferimento sia trascritta anteriormente al pignoramento operato dai creditori del fiduciario infedele.
Che cosa è il trust e che problemi pone?
- è un istituto di origine anglosassone che, a seconda della relativa fonte, può essere legale (se vi è una legge che lo prevede e disciplina), giudiziale (se nasce da un provvedimento giudiziario) ovvero convenzionale, se si applica la disciplina “minimal” prevista dalla Convenzione de L’Aja del 1985;
- vi si contempla – in una prima versione – una traslazione patrimoniale, onde uno o più beni passano da un soggetto ad un altro;
- il soggetto trasferente si chiama disponente, o settlor;
- il soggetto destinatario del trasferimento dei beni, che è sostanzialmente un fiduciario del disponente, si chiama trustee;
- il trustee si obbliga a gestire i beni che ha ricevuto dal settlor nell’interesse di un terzo, detto beneficiary (c.d. trust con beneficiari);
- il beneficiary può anche non esserci, onde il trustee si obbliga a gestire i beni trasferitigli dal settlor per uno scopo determinato, e dunque sulla scorta di una causa destinatoria (c.d. trust di scopo);
- anche il trustee può non esserci, in quando la gestione “orientata” dei beni nell’intereresse del beneficiary, o comunque finalizzata al raggiungimento di un determinato scopo, può – in una seconda versione del trust – coinvolgere taluni beni appartenenti ad una porzione patrimoniale (destinata e) separata da tutti gli altri beni appartenenti al settlor stesso;
- tra i soggetti meramente eventuali della operazione negoziale che va sotto il nome di trust va rammentato anche il protector, che si obbliga a controllare che la gestione del trustee sia sempre realmente orientata al perseguimento dei fini per i quali il trust è stato istituito;
- il trust, in Italia, non è un soggetto, ma un compendio patrimoniale e dunque un insieme di beni e rapporti destinati ad uno specifico scopo: la giurisprudenza ne ha ritratto la conclusione che il pignoramento di beni fatto direttamente al trust in persona del trustee, e non già nei confronti del trustee quale soggetto titolare del potere di disporre dei beni raccolti in trust, è nullo per inesistenza del soggetto esecutato;
- caratteristica del trust è la segregazione patrimoniale: i beni del trust sono separati dagli altri beni del trustee (ovvero dagli altri beni del settlor, laddove il trustee non vi sia); si tratta di un compendio autonomo di beni separato e destinato ad uno scopo, nell’interesse (laddove presente) del beneficiary; solo i creditori del trust possono aggredire i beni (“segregati”) che lo compendiano, mentre la relativa garanzia patrimoniale non spiega effetti né nei confronti dei creditori del settlor, né nei confronti dei creditori del trustee per obblighi non avvinti al trust; altra conseguenza importante della “segregazione” riguarda – sul crinale collettivo – l’eventuale fallimento del trustee, fattispecie nella quale nella massa attiva destinata a soddisfare i relativi creditori non rientrano appunto i beni (“segregati” e) raccolti in trust;
- laddove vi sia trustee, egli è obbligato ad amministrare i beni trasferitigli dal settlor (che se ne è spogliato) e a disporne a favore del beneficiary (laddove presente);
- le modalità di gestione dei beni coagulati in trust e di trasferimento (eventuale) al beneficiary sono previste nell’atto costitutivo del trust stesso e nella legge che lo disciplina (laddove varata dallo Stato membro aderente alla Convenzione de L’Aja);
- l’Italia non ha varato una legge specifica sul trust, e si pone dunque il problema della ammissibilità del c.d. trust “interno”, e dunque italiano (perché istituito in Italia); si fronteggiano in proposito due posizioni contrapposte: l.1) per la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza minoritaria, il trust interno non è ammissibile, e dunque non si può istituire un trust in Italia (ma solo eventualmente riconoscere un trust straniero in forza della Convenzione de L’Aja del 1985); in primis, nel nostro sistema la proprietà è perpetua e non sono ammessi diritti reali atipici, mentre il trust configura proprio un (inammissibile) diritto reale atipico (scaturente da un negozio astratto – sine causa – di attribuzione dal settlor al trustee, difficilmente compatibile con il principio causalistico vigente in Italia) e per giunta corrispondente ad una (ancora una volta, inammissibile) forma di proprietà temporanea in capo al trustee, funzionale al soddisfacimento di interessi del beneficiary; in secondo luogo, in forza del principio di responsabilità patrimoniale ex art.2740c. il debitore risponde delle obbligazioni che lo vedono tale con tutto il proprio patrimonio presente e futuro, salvi i casi previsti dalla legge, e poiché nessuna legge prevede in Italia il trust, ammetterlo significherebbe sottrarre ai creditori del trustee taluni beni senza che via appunto una legge che autorizzi tale sottrazione; né potrebbe invocarsi la Convenzione de l’Aja del 1985, poiché essa raccoglie norme di diritto internazionale privato capaci solo di individuare quale ordinamento si applichi in presenza di un trust “straniero”, ma non ha in pari tempo la capacità, sul crinale sostanziale, di far ritenere ammissibile un trust italiano che la legge in Italia non prevede (per giunta, l’art.13 della Convenzione sembra proprio escludere il riconoscimento di trust “interni” negli ordinamenti che non li ammettono); peraltro, il negozio istitutivo del trust (e della segregazione patrimoniale che ne consegue) non rientra tra gli atti che, tassativamente, sono soggetti a trascrizione (né potrebbe assumersi indirettamente ammissibile la trascrizione del negozio istitutivo del trust utilizzando il c.d. “quadro D” della nota di trascrizione, che ha funzioni meramente esplicative con riguardo all’atto trascritto (come tale rientrante tra quelli trascrivibili) e non già autorizzative della trascrizione di atti non previsti espressamente come trascrivibili dalla legge italiana, tenuto anche conto del fatto che normalmente trascrive il “proprietario”, e tuttavia il trustee non è “proprietario” secondo il diritto italiano, stante la atipicità, la temporaneità e la funzionalizzazione del diritto reale che esso compendia); l.2) per la dottrina minoritaria e la giurisprudenza maggioritaria, il trust interno è invece ammissibile, e dunque si può istituire un trust in Italia: fondamentale punto di svolta in senso affermativo va considerata la ratifica della Convenzione dell’Aja del 1985 con legge n.364.89, che da un lato “tipizza” il trust come diritto reale nato “atipico” e, per l’appunto, ormai “tipizzato”; dall’altra consente una deroga alla responsabilità patrimoniale “globale” del debitore di cui all’art.2740 c.c., e dunque si applica a tutti i trust, anche interni, in cui unico elemento di internazionalità sia la legge applicabile, tenendosi anche conto che riconoscere per legge (di ratifica) il trust internazionale e non quello interno significherebbe infliggere un pesante vulnus al principio di eguaglianza; peraltro, si fa osservare come l’art.13 della Convenzione de l’Aja consente agli Stati contraenti di escludere il riconoscimento dei trust interni, ma con norma che espressamente escluda tale riconoscimento, onde fino a che non interviene tale legge italiana esplicita, la Convenzione in parola autorizza automaticamente il trust interno; il problema della trascrizione è risolvibile utilizzando il quadro D della nota di trascrizione, che consente indicazioni integrative (normalmente una condizione o un termine che corredano gli effetti di un contratto, ma per la tesi in parola anche appunto la segregazione patrimoniale tipica del trust) o, alternativamente, l’art.12 della legge 364.89 che consente al trustee di chiedere l’iscrizione nei registri immobiliari dei beni coagulati in trust facendo constare della propria qualità; non manca in dottrina chi (in modo decisamente elastico) assume la tassatività degli atti trascrivibili ex art.2643 c.c. come riferita, più specificamente, agli effetti di tali atti (e non già agli atti stessi in sé considerati), onde essendo possibile in Italia il trasferimento della proprietà con condizioni e termini, deve assumersi trascrivibile anche il trust, che produce effetti analoghi, come evincibile dalla dizione “aperta” di cui all’art.2645 c.c., che parla di “altri atti soggetti a trascrizione”;
- importante segnare le differenze con altri istituti ed altre figure giuridiche: m.1) il negozio fiduciario: mentre il trust è nella maggior parte dei casi trilaterale, coinvolgendo anche il c.d. beneficiary, il negozio fiduciario ha di norma struttura bilaterale, coinvolgendo solo fiduciante e fiduciario; nella c.d. fiducia dinamica (la più frequente) si ha un duplice trasferimento, dapprima dal fiduciante al fiduciario, e dipoi dal fiduciario al fiduciante medesimo (o eventualmente ad un terzo), mentre nel trust il duplice trasferimento può difettare laddove settlor e trustee coincidano, con una porzione separata del patrimonio del primo destinata al beneficiary (fattispecie che può tuttavia essere strutturalmente replicata in ipotesi di fiducia statica, laddove il fiduciario è in realtà già proprietario dei beni oggetto della c.d. causa fiduciaria); a differenza dei beni trasferiti al trustee, quelli trasferiti al fiduciario possono essere aggrediti dai creditori di quest’ultimo, onde non si realizza segregazione patrimoniale; il fiduciante non ha diritto di sequela sui beni attribuiti al fiduciario e che vorrebbe gli fossero ritrasferiti, potendo chiedere la risoluzione del pactum fiduciae per inadempimento del fiduciario, corredata da istanza risarcitoria, ovvero spiccare azione ex art.2932c., ma soltanto nei confronti del fiduciario, e non già dei relativi aventi causa, mentre il beneficiary, che è il proprietario “sostanziale” dei beni “formalmente intestati” al trustee, ha diritto di sequela sui ridetti beni, potendo inseguirli anche presso i terzi aventi causa dal trustee medesimo e, come extrema ratio, potendo soddisfarsi sul ricavato della vendita introitato dal trustee infedele; m.2) la fondazione: nel diritto anglosassone i fini (specie caritatevoli) che negli ordinamenti di common law si perseguono giusta erezione di una fondazione vengono perseguiti proprio attraverso un “charitable trust”; sotto altro profilo, la fondazione fino al 1997 è stata assoggettata a controllo governativo, a differenza del trust, mentre oggi essa non è più soggetta a tale controllo (essendo peraltro da taluni ammessa financo la c.d. fondazione non riconosciuta); anche se le due figure si sono dunque molto avvicinate, resta tuttavia una importante differenza, dacché mente il patrimonio raccolto in trust è “segregato” e come tale non è aggredibile da creditori diversi dai creditori del trust stesso, nel caso della fondazione i relativi beni sono sì destinati al perseguimento di determinati fini, e tuttavia possono essere aggrediti anche da creditori per obbligazioni diverse da quelle specificamente contratte per il perseguimento dei ridetti fini; m.3) la fiducia testamentaria ex art.627 c.c.: nel trust il trustee è obbligato a ritrasferire i beni al beneficiary, mentre nella fiducia testamentaria il fiduciario ha solo un obbligo morale di ritrasferire i beni ricevuti dal testatore ad un terzo, il quale ultimo non ha dunque a disposizione alcuna azione per accertare giudizialmente che i beni oggetto del testamento sono in realtà a lui destinati; m.4) sostituzione fedecommissaria ex art.692 e seguenti c.c.: nel trust si fa luogo ad una vera e propria segregazione patrimoniale, mentre nel caso della sostituzione fedecommissaria essa non si configura in modo assoluto, dal momento che i creditori personali dell’istituito (incapace, primo chiamato)– pur non potendo agire sui relativi beni, possono tuttavia aggredirne i frutti; m.5) l’usufrutto: il trustee è il pieno proprietario dei beni che amministra a vantaggio del beneficiary, mentre l’usufruttuario è titolare di un mero diritto reale di godimento (parziario); per conseguenza, non si verifica nessuno sdoppiamento della piena proprietà in nuda proprietà e diritto reale di godimento (con consolidazione in caso di morte dell’usufruttuario), assistendosi piuttosto ad un fenomeno di successione di piene proprietà dei beni raccolti in trust dapprima dal settlor al trustee e, infine, dal trustee al beneficiary; d’altra parte, mentre il beneficiary non ha oneri, il nudo proprietario è tenuto alle riparazioni straordinarie sulla cosa goduta dall’usufruttuario (ex art.1005 c.c.); m.6) contratto a favore di terzo ex art.1411 c.c.: il settlor non può revocare l’attribuzione dei beni al trustee operata a favore del beneficiary, mentre lo stipulante – fino a che il terzo non dichiara di volerne profittare – può revocare la propria disposizione a relativo favore (che passa attraverso il promittente); d’altra parte, non occorre la volontà del beneficiary, che è del tutto ininfluente, mentre nel contratto a favore di terzo il terzo può esprimere il proprio gradimento dichiarando di voler profittare della prestazione a relativo favore, con specifici effetti giuridici; il trustee amministra beni destinati al beneficiary, mentre il promittente e obbligato ad una prestazione a favore del terzo, senza amministrare beni a favore di lui; m.7) il mandato senza rappresentanza: quando, in particolare, esso è conferito in modo irrevocabile e senza obbligo di rendiconto (verso il mandante) in capo al mandatario, esso somiglia ad un trust, considerata anche l’impossibilità per i creditori del mandatario senza rappresentanza di soddisfarsi sui beni acquistati in esecuzione del mandato ex art.1707 c.c.; il trustee non deve tuttavia seguire istruzioni nell’amministrazione dei beni trasferitigli dal settlor, mentre il mandatario senza rappresentanza (anche irrevocabile e senza obbligo di rendiconto) è comunque tenuto a seguire le istruzioni impartitegli dal mandante, ai sensi e per gli effetti di cui all’art.1711 c.c.; inoltre, mentre il trustee è proprietario pleno iure dei beni trasferitigli dal settlor, il mandatario senza rappresentanza è proprietario solo apparentemente pieno, ma in qualche modo “dimidiato” dal momento che il mandante (a differenza appunto del settlor) può sempre rivendicare – pur non essendone formalmente proprietario – i beni mobili acquistati per proprio conto (ma non in proprio nome) dal mandatario senza rappresentanza, mentre per quanto riguarda i beni immobili che il mandatario (che li ha del pari acquistati) deve ritrasferirgli, il mandante (ancora una volta a differenza del settlor) può sempre agire ex art.2932 c.c.;
Che problemi pone il nuovo art.2645.ter c.c., introdotto a cavallo tra il 2005 e il 2006?
- più in generale, quanto al rapporto tra atti ed effetti: a.1) secondo una prima opzione minoritaria in dottrina, la norma non autorizza nuovi atti di destinazione patrimoniale, ma si occupa piuttosto degli effetti di atti già riconosciuti nel sistema e dunque già “tipizzati” (anche se dalla giurisprudenza, come nel caso classico della fiducia), massime dal punto di vista della relativa pubblicità e dunque della relativa opponibilità ai terzi (con particolare riguardo ai creditori); in sostanza, per atti di destinazione già previsti dal sistema, ad un effetto traslativo e ad un effetto obbligatorio si va ad aggiungere un nuovo effetto “pubblicitario” che, attraverso la trascrizione (prima non prevista), o l’intavolazione laddove operativa, consente l’opponibilità dell’atto (già previsto dal sistema) ai terzi con interessi confliggenti, come si evince sia dal silenzio della norma sulla struttura del presunto nuovo atto di destinazione patrimoniale, onde non si sa se esso è unilaterale o bilaterale, sulla relativa efficacia, onde non si sa se produce effetti reali od effetti obbligatori, sulla relativa natura onerosa o gratuita; sia, a livello di tassonomia codicistica, dal relativo innesto tra le disposizioni in tema di trascrizione e pubblicità (di atti, per l’appunto, già previsti dal sistema); a.2) stando ad una seconda ed opposta tesi, maggioritaria in dottrina, si tratta di una norma sostanziale pura che, come tale, consente di far luogo ad una nuova categoria di negozi atipici di destinazione patrimoniale ad effetti reali, che essa stessa disciplina; in sostanza, il legislatore ha forgiato in via generale un negozio atipico di destinazione patrimoniale ad effetti reali, provvedendo peraltro a darne una specifica disciplina, dovendosi ormai per conseguenza intendersi limitatamente ammesso in Italia il c.d. trust interno;
- più nello specifico, con riguardo all’efficacia degli atti: b.1) per la tesi meno accreditata, si è al cospetto di un negozio “propter rem” con effetti meramente obbligatori, sicché vi è l’obbligo di mantenere una certa destinazione per i beni coinvolti nella destinazione da parte di chiunque giunga ad averne la disponibilità, ma non si verifica alcun trasferimento della proprietà dei medesimi (in capo al beneficiario): laddove il legislatore avesse voluto forgiare un (nuovo) negozio ad effetti reali, avrebbe integrato l’elenco di tali atti previsto all’2643 c.c., mentre ha invece collocato la norma all’art.2645.ter, dopo l’art.2645.bis che – nel prevedere la trascrivibilità del contratto preliminare – prevede appunto la trascrizione di un negozio pacificamente ad efficacia obbligatoria; peraltro, sempre laddove il legislatore avesse inteso fare riferimento ad un nuovo negozio ad effetti reali, esso si sarebbe impegnato a forgiare una norma inutile, in quanto gli atti trascrivibili sono sì tipici e tassativi, ma tali predicati vanno ormai assunti modernamente in senso “elastico”, come riferiti agli effetti più che agli atti ad efficacia reale, e dunque anche un atto ad effetti reali non tipizzato avrebbe potuto ormai assumersi trascrivibile senza esplicita presa di posizione del legislatore che, se si è pronunciato, ha voluto senz’altro fare piuttosto riferimento ad atti ad efficacia obbligatoria (come è appunto accaduto anche per il contratto preliminare); b.2) per la tesi prevalente, si è invece al cospetto di una nuova categoria di atti ad efficacia reale, che dunque producono il trasferimento della proprietà dei beni (in capo al beneficiario) e la contestuale separazione patrimoniale funzionalizzata alla tutela di interessi peculiarmente meritevoli; lo si evince da un lato proprio dalla tassonomia codicistica: avendo il legislatore collocato la norma tra quelle in tema di trascrizione, ed afferendo di regola tali norme ad atti ad efficacia reale, è normale assumere che anche i nuovi atti di destinazione patrimoniale abbiano una efficacia reale (e non già meramente obbligatoria); inoltre è possibile per il beneficiario seguire il bene anche laddove giunga a terzi, configurando un diritto di seguito che ha forti connotazioni di realità (si pensi ai c.d. diritti reali di garanzia), in modo analogo a quanto fa l’art.11 della Convenzione de l’Aja in materia di trust; del pari, evidenti connotati di realità affiorano dalle limitazioni al potere di gestione e di disposizione dei beni destinati e dall’effetto di segregazione che ne consegue, confermando ancora una volta che i relativi atti istitutivi della “destinazione” hanno effetti reali, e non già meramente obbligatori;
- ancora, nello specifico, il problema della meritevolezza di tutela degli interessi per perseguire i quali si procede all’atto di destinazione, e dunque il problema “causale”: si ritiene generalmente che – dovendosi derogare a principi generali del sistema quali quello di responsabilità patrimoniale di cui all’2740 c.c., posto a tutela dei creditori, e quello di libera ed incondizionata disponibilità delle cose proprie di cui all’art.832 c.c., posto a presidio della sicurezza dei traffici giuridici e dunque, in sostanza, di tutti i consociati – l’atto di destinazione patrimoniale (qualunque ne sia in concreto la struttura) debba essere avvolto da una causa, perseguendo interessi (peculiarmente) meritevoli di tutela, come peraltro prescrive esplicitamente lo stesso art. 2645.ter c.c.; in difetto di tale causa, si profila non già la sola inopponibilità dell’atto ai creditori ma anche, più in radice, la invalidità dell’atto di destinazione medesimo;
- la questione degli strumenti di tutela a disposizione del beneficiario dell’atto di destinazione: d.1) per chi ritiene che l’atto di destinazione abbia natura meramente obbligatoria, al beneficiario residua la sola tutela contrattuale demolitoria e la connessa tutela per equivalente, potendo egli chiedere soltanto la risoluzione dell’atto medesimo ed il risarcimento dei danni; d.2) per chi invece ritiene che l’atto (dispositivo) di destinazione abbia efficacia reale, il beneficiario è assistito anche da diritto di sequela (o di seguito), potendo dunque recuperare il compendio patrimoniale oggetto di destinazione “separata” a proprio favore presso l’autore del negozio di destinazione o presso i relativi terzi;
- la questione degli strumenti di tutela a disposizione dei creditori del disponente, e dunque dell’autore dell’atto di destinazione; si ritiene in genere che: in generale e.1) allorché lo scopo della destinazione sia stato ormai raggiunto, ovvero non sia più perseguibile, ovvero ancora nelle ipotesi in cui i beni divisati non siano stati destinati al ridetto scopo, i creditori possano chiedere la cancellazione della trascrizione dell’atto di destinazione; più in specie e.2) allorché l’atto di destinazione sia stato compiuto in relativa frode, i creditori possano spiccare azione revocatoria per veder dichiarare l’atto relativamente inefficace nei rispettivi confronti; e.3) allorché il vincolo di destinazione impresso al compendio dei beni divisati sia meramente fittizio e funzionale al solo scopo di sottrarre beni alla pertinente garanzia, i creditori possano agire in simulazione; e.4) allorché, ancora più in radice, l’atto di destinazione non persegua interessi meritevoli di tutela, e sia piuttosto funzionale – sine causa – alla mera sottrazione dei beni coinvoltivi alla garanzia patrimoniale del soggetto che pone in essere l’atto medesimo, i creditori possano spiccare azione di nullità del negozio in parola.