<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Massima</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em> </em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Normalmente, ad un debitore (giustapposto ad uno o più creditori) corrisponde una responsabilità patrimoniale coinvolgente tutti i relativi beni presenti e futuri; non mancano tuttavia fattispecie, in aumento negli ultimi decenni, in cui i creditori non possono contare – in termini di garanzia – su tutti i beni intestati ai propri debitori, alcuni di tali beni palesandosi funzionali (“</em>destinati<em>”) ad uno scopo precipuo al cui perseguimento non possono essere sottratti; con quanto può immaginevolmente derivarne in termini di potenziale malizia debitoria e di conseguente necessità di apprestare strumenti che consentano, da un lato, di assicurare chiarezza nei rapporti giuridici e, dall’altro, di soccorrere il creditore in caso di perdita ingiustificata di parte della propria garanzia patrimoniale a cagione del contegno (magari fraudolento) del proprio debitore.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Crono-articolo</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;">Diritto romano (vedi articolo dedicato in Cittadinanza consapevole)</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1865</strong></p> <p style="text-align: justify;">Nella codificazione liberale <strong>Codacci Pisanelli</strong>, pur <strong>non essendo ancora presente</strong> al legislatore del codice civile, sul crinale sistematico, il <strong>concetto</strong> di <strong>patrimonio destinato</strong>, non mancano <strong>esempi</strong> di (pur) latente <strong>consapevolezza della pertinente figura</strong>, come palesano dal un lato – sul versante “<strong><em>positivo</em></strong>” ed in termini di <strong>configurabilità</strong> - gli <strong>articoli 980 e seguenti</strong> in materia di <strong>eredità giacente;</strong> e dall’altro – sul crinale “<strong><em>negativo</em></strong>” in termini di <strong>potenziale sottrazione di beni</strong> alla <strong>garanzia dei creditori</strong> - gli articoli <strong>1948</strong>, alla cui stregua chiunque sia <strong>obbligato personalmente</strong> è tenuto ad <strong>adempiere</strong> le contratte obbligazioni con <strong>tutti i suoi beni mobili ed immobili, presenti e futuri</strong> (<strong>senza</strong> <strong>poter</strong> dunque <strong>sottrarre</strong> taluni di tali beni alla ridetta <strong>destinazione di garanzia</strong>), <strong>1949</strong>, onde i <strong>beni del debitore</strong> costituiscono appunto la “<strong><em>garantia</em></strong>” <strong>comune</strong> dei relativi <strong>creditori</strong> e questi <strong>vi hanno tutti un eguale diritto</strong> quando fra essi <strong>non</strong> vi sono <strong>cause legittime di prelazione</strong>, e <strong>1950</strong>, alla cui stregua le <strong>cause legittime di prelazione</strong> (per i creditori) sono i <strong>privilegi</strong> e le <strong>ipoteche </strong>(essendo il pegno ancora annoverato tra i contratti), senza che possa ammettersi quale <strong>causa legittima di prelazione</strong> la “<strong><em>separazione</em></strong>” di <strong>una parte del patrimonio</strong> del debitore per <strong>destinarlo</strong> alla <strong>esclusiva soddisfazione</strong> di <strong>uno o più creditori</strong>, <strong>e non anche</strong> degli altri.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1939</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 novembre viene varata la <strong>legge n.1966</strong> recante disciplina delle <strong>società fiduciarie</strong> e <strong>di revisione</strong>, secondo il cui articolo 1, comma 1, sono società fiduciarie e di revisione quelle che, <strong>comunque denominate</strong>, si propongono, sotto forma di <strong>impresa</strong>, di <strong>assumere l'amministrazione dei beni</strong> <strong>per conto di terzi</strong>, l'<strong>organizzazione</strong> e la <strong>revisione contabile</strong> di aziende e la <strong>rappresentanza</strong> dei <strong>portatori di azioni e di obbligazioni</strong>; si tratta di una <strong>ipotesi eccezionale</strong> di <strong>fiducia “<em>germanistica</em>”</strong> che viene introdotta nel <strong>sistema ordinamentale italiano</strong>, in quanto la società fiduciaria <strong>non diviene proprietaria dei beni</strong> che amministra, ma <strong>ne riceve</strong> appunto la <strong>sola legittimazione ad amministrarli</strong>, onde il <strong>proprietario sostanziale</strong> resta il <strong><em>dominus</em> originario</strong>, mentre la <strong>società fiduciaria</strong> ha i beni <strong>intestati</strong> e ne è il <strong>mero proprietario “<em>formale</em>”</strong>, legittimato ad amministrarli <strong>nell’interesse</strong> del fiduciante.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1942</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 marzo viene varato il <strong>R.D. n.267</strong>, c.d. <strong>legge fallimentare</strong>, che disciplina <strong>diverse fattispecie</strong> di <strong>patrimonio separato perché destinato</strong> al <strong>soddisfacimento dei creditori</strong> di un debitore in difficoltà, come nel caso paradigmatico del <strong>fallimento</strong> e delle <strong>figure ad esso affini</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il codice civile (entrato in vigore il 21 aprile), disciplina <strong>diverse figure</strong> di <strong>patrimoni separati perché destinati</strong> al perseguimento di uno <strong>specifico scopo</strong>, come le <strong>fondazioni</strong> (articoli <strong>12 e seguenti</strong>), il <strong>fondo patrimoniale</strong> (art.<strong>167 e seguenti</strong>: se per <strong>bisogni estranei</strong> a quelli della <strong>famiglia</strong> nascono <strong>obbligazioni</strong>, i <strong>creditori</strong> <strong>non possono soddisfarsi</strong> sui <strong>beni</strong> del fondo patrimoniale, sul quale possono invece soddisfarsi <strong>i creditori di rapporti obbligatori sorti</strong> per <strong>soddisfare</strong> appunto i <strong>bisogni della famiglia</strong>), l’<strong>eredità giacente</strong> (art.528 c.c., onde quando <strong>il <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/842.html">chiamato</a> non ha accettato</strong> l'<a href="http://www.brocardi.it/dizionario/3348.html">eredità</a> e <strong>non è nel <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/3747.html">possesso</a> di beni ereditari</strong>, il <strong>tribunale del <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/863.html">circondario</a></strong> in cui <strong>si è <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/4173.html">aperta la successione</a></strong>, su <strong>istanza</strong> delle <strong>persone interessate</strong> o anche <strong>d'ufficio</strong>, nomina un <strong><a href="http://www.brocardi.it/dizionario/4197.html">curatore</a> dell'eredità</strong> che per l’appunto viene detta “<strong><em>giacente</em></strong>”), la <strong>cessione di beni ai creditori</strong> (art.1977 c.c., ovvero il <strong><a href="http://www.brocardi.it/dizionario/1690.html">contratto</a></strong> col quale <strong>il</strong> <strong>debitore</strong> <strong>incarica i propri creditori</strong>, o taluni, di essi di <strong><a href="http://www.brocardi.it/dizionario/2979.html">liquidare</a> tutte o alcune sue <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/2305.html">attività</a></strong> e di <strong>ripartirne tra loro il ricavato</strong> in soddisfacimento dei loro crediti). Interessanti anche gli articoli sulla <strong>fondazione fiduciaria</strong> (art.<strong>32</strong>) e sui <strong>premi di nuzialità, opere di assistenza e simili</strong> (art.<strong>699</strong>), in cui parte della dottrina intravedrà due figure di <strong>c.d. proprietà fiduciaria “<em>germanistica</em>”</strong>, in cui la <strong>fondazione</strong> nel primo caso ed il <strong>destinatario della disposizione testamentaria</strong> nel secondo si atteggiano a <strong>meri “<em>amministratori</em>”</strong> <strong>intestatari</strong> di <strong>beni</strong> e di <strong>somme</strong> delle quali sono e restano <strong>proprietari</strong> i <strong>rispettivi soggetti fiducianti</strong>, nell’ottica del perseguimento di <strong>fini di pubblica utilità</strong> o comunque di <strong>scopi peculiarmente meritevoli di tutela</strong>. Sempre in materia <strong>successoria</strong>, rilevante <strong>l’art.627</strong> c.c., che prevede la c.d. <strong>fiducia testamentaria</strong> e l’’obbligo – peraltro <strong>meramente morale</strong> – dell’<strong>istituito fiduciario</strong> di <strong>trasferire i beni</strong> ad un terzo; da rammentare anche la c.d. <strong>sostituzione fedecommissaria</strong> ex <strong>art.692</strong> c.c., laddove – con <strong>finalità assistenziali</strong> di <strong>protezione degli incapaci</strong> – si prevede la possibilità che il <strong>testamento</strong> prefiguri una <strong>doppia chiamata</strong>: <strong>primo chiamato</strong> istituito <strong>erede</strong> è l’<strong>incapace </strong>(minore o interdetto), mentre <strong>secondo chiamato</strong> (futuro erede) è la <strong>persona </strong>o l’<strong>ente di assistenza</strong> che <strong>si prende cura in vita</strong> dell’incapace, e che entra in gioco (appunto come <strong>secondo chiamato</strong> del testatore) quando <strong>l’incapace muore a propria volta</strong>, palesandosi latamente assimilabile dunque al c.d. <strong><em>beneficiary</em></strong> nella <strong>figura di diritto anglosassone</strong> del <strong><em>trust</em></strong>; peraltro, ai sensi dell’<strong>art.695 c.c.,</strong> i <strong>creditori personali</strong> dell'<strong>istituito</strong> (minore o interdetto) <strong>possono agire soltanto</strong> sui <strong><a href="http://www.brocardi.it/dizionario/998.html">frutti</a></strong> dei <strong>beni</strong> che formano oggetto della sostituzione, e dunque <strong>non anche sui beni medesimi</strong>. Di rilievo la figura dell’<strong>usufrutto</strong>, che richiama ancora una volta quella del <strong><em>trust</em></strong>, laddove il <strong><em>trustee</em></strong> è <strong>latamente assimilabile</strong> all’<strong>usufruttuario</strong> mentre il <strong><em>beneficiary</em></strong> è <strong>latamente assimilabile</strong> ad un <strong>nudo proprietario</strong>. Importante anche la figura del <strong>mandato senza rappresentanza</strong>, dacché ex <strong>art. 1707</strong> c.c. i <strong>creditori del mandatario</strong> (senza rappresentanza, appunto) <strong>non possono far valere le loro ragioni</strong> sui <strong>beni</strong> che, in <strong>esecuzione</strong> del mandato, il mandatario <strong>ha acquistati in nome proprio</strong> (purché, trattandosi di <strong>beni mobili</strong> o di <strong>crediti</strong>, il <strong>mandato</strong> risulti da <strong>scrittura avente data certa anteriore al <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/3690.html">pignoramento</a></strong>, ovvero trattandosi di <strong><a href="http://www.brocardi.it/dizionario/3575.html">beni immobili</a></strong> o di <strong><a href="http://www.brocardi.it/dizionario/1126.html">beni mobili</a> iscritti in <a href="http://www.brocardi.it/dizionario/1128.html">pubblici registri</a></strong>, sia <strong>anteriore</strong> al pignoramento la <strong><a href="http://www.brocardi.it/dizionario/5801.html">trascrizione</a></strong> dell'<strong>atto di ritrasferimento</strong> o della <strong><a href="http://www.brocardi.it/dizionario/898.html">domanda giudiziale</a></strong> diretta a conseguirlo). Importante anche l’<strong>art.2643</strong> in tema di <strong>atti</strong> (<strong>tassativamente</strong>) soggetti <strong>a trascrizione</strong>, ed il <strong>successivo art.2645</strong>, che invece <strong>in modo più “<em>aperto</em>”</strong> parla di “<strong><em>altri atti soggetti a trascrizione</em></strong>”.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 marzo viene varato il <strong>Regio Decreto n.239</strong>, secondo il cui articolo 1, ultimo comma, le <strong>società fiduciarie</strong> che abbiano <strong>intestato al proprio nome titoli azionari</strong> <strong>appartenenti a terzi</strong> sono tenute a <strong>dichiarare</strong> le <strong>generalità degli effettivi titolari</strong> dei titoli stessi: viene confermato dunque che nel caso delle <strong>società fiduciarie</strong> il <strong>proprietario sostanziale</strong> dei beni (titoli) <strong>è e resta il fiduciante</strong>, mentre la <strong>società fiduciaria</strong> se li vede <strong>solo intestati</strong> al fine di <strong>esercitare</strong> (<strong>legittimazione</strong>) i pertinenti diritti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1948</strong></p> <p style="text-align: justify;">La <strong>Costituzione</strong> prevede all’<strong>art.41, comma 1</strong>, la <strong>libertà della iniziativa economica privata</strong> (entro i <strong>limiti</strong> del successivo <strong>comma 2</strong>) e, con essa, la <strong>garanzia dell’autonomia negoziale</strong>, che si sostanzia nella <strong>libertà</strong> riconosciuta alle parti, nel <strong>perseguimento</strong> dei <strong>rispettivi interessi</strong>, di <strong>stipulare contratti</strong>, massime se <strong>tipici</strong>; laddove <strong>atipici</strong>, tale libertà <strong>fa i conti in misura maggiore</strong>, per l’appunto, con i <strong>limiti</strong> previsti al comma 2 dell’art.41 e segnatamente con <strong>l'<a href="http://www.brocardi.it/dizionario/182.html">utilità sociale</a></strong> e con la <strong>sicurezza</strong>, la <strong>libertà</strong> e la <strong>dignità umana</strong>, costituendo tali limiti il <strong>primo e fondamentale parametro di meritevolezza</strong> (in termini di tutela giuridica) degli <strong>interessi</strong> perseguiti dalle parti.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1968</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 30 gennaio esce la sentenza della Cassazione n.296 che – con particolare riguardo ai <strong>negozi fiduciari</strong> - abbraccia la tesi della <strong>c.d. doppia causa</strong>, onde il <strong>negozio di</strong> <strong>trasferimento (tra patrimoni)</strong> ha una <strong>propria causa idonea</strong>, appunto, a <strong>trasferire la proprietà</strong> dei beni (dal patrimonio X a quello separato Y), con <strong>effetti reali</strong> (ad esempio, vendita o donazione), mentre il <strong>negozio di destinazione</strong> – che è previsto dalla <strong>legge</strong>, che ha <strong>natura unilaterale o bilaterale</strong> e che <strong>è meramente eventuale</strong> - ha una <strong>propria e peculiare causa</strong> (di <strong>destinazione</strong> appunto dei beni al raggiungimento del <strong>divisato scopo</strong>), e dunque è un <strong>negozio distinto</strong> da quello di <strong>trasferimento, </strong>con effetti obbligatori (il fiduciario <strong>si obbliga all’uso convenuto</strong> con il fiduciante, ovvero al <strong>ritrasferimento al fiduciante</strong> stesso), facendosi luogo tra i due ad un <strong>collegamento negoziale.</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1975</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 21 novembre esce la sentenza della Cassazione n.3911 che, accanto alla <strong>tradizionale fiducia “<em>dinamica</em>”</strong> – laddove il fiduciario <strong>diviene proprietario</strong> dei <strong>beni</strong> da gestire <strong>nell’interesse del fiduciante</strong> in forza di <strong>cessione della proprietà dei beni</strong> in parola da parte del <strong>fiduciante</strong> medesimo – assume configurabile una <strong>fiducia “<em>statica</em>”</strong> al cui cospetto il fiduciario <strong>è già proprietario dei beni</strong> <strong>pertinenti</strong> e tuttavia, attraverso il <strong><em>pactum fiduciae</em></strong>, a partire <strong>da un dato momento</strong> inizia a <strong>far uso</strong> dei beni medesimi <strong>nell’interesse</strong> non più proprio ma <strong>del fiduciante </strong>(o di un <strong>terzo beneficiario</strong>).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1980</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 3 aprile esce la sentenza della Cassazione n.2159 che – con particolare riguardo ai <strong>negozi fiduciari</strong> - abbraccia la tesi della <strong>c.d. doppia causa</strong>, onde il <strong>negozio di</strong> <strong>trasferimento (tra patrimoni)</strong> ha una <strong>propria causa idonea</strong>, appunto, a <strong>trasferire la proprietà</strong> dei beni (dal patrimonio X a quello separato Y), con <strong>effetti reali</strong> (ad esempio, vendita o donazione), mentre il <strong>negozio di destinazione</strong> – che è previsto dalla <strong>legge</strong>, che ha <strong>natura unilaterale o bilaterale</strong> e che <strong>è meramente eventuale</strong> - ha una <strong>propria e peculiare causa</strong> (di <strong>destinazione</strong> appunto dei beni al raggiungimento del <strong>divisato scopo</strong>), e dunque è un <strong>negozio distinto</strong> da quello di <strong>trasferimento, </strong>con effetti obbligatori (il fiduciario <strong>si obbliga all’uso convenuto</strong> con il fiduciante, ovvero al <strong>ritrasferimento al fiduciante</strong> stesso), facendosi luogo tra i due ad un <strong>collegamento negoziale.</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1985</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 luglio viene firmata a <strong>l’Aja</strong> la <strong>Convenzione sul <em>trust</em></strong>, che disciplina il c.d. <strong>trust “<em>amorfo</em>”</strong>, ovvero il <em>trust</em> nei relativi <strong>requisiti minimi</strong>, siccome <strong>ritratti</strong> dall’<strong>ordinamento anglosassone</strong> di derivazione. Vi si forgia un <em>trust</em> originato dal un negozio unilaterale, che dunque non necessita di accettazione da parte di chi riceve i beni in <em>trust</em> (<strong><em>trustee</em></strong>) da parte del disponente (<strong><em>settlor</em></strong>), che può liberamente scegliere la legge regolatrice del <em>trust</em> che istituisce (art.6). Quando poi (art.13) gli “<strong><em>elementi importanti</em></strong>” di un <em>trust</em> sono <strong>strettamente connessi</strong> a <strong>Stati che non prevedono l’istituto</strong> del <em>trust</em> stesso, ovvero la <strong>specifica</strong> <strong>categoria di <em>trust</em> pertinente</strong>, tali Stati <strong>non sono tenuti a riconoscere</strong> il detto <em>trust</em>, salvi soltanto i casi in cui tali elementi importanti si compendino nella <strong>scelta della legge da applicare</strong>, nel <strong>luogo di amministrazione</strong> o nella <strong>residenza abituale del <em>trustee</em></strong>: secondo parte della dottrina italiana, proprio tale disposizione consentirebbe al nostro ordinamento di <strong>non riconoscere </strong>il<strong> <em>trust</em> c.d. interno</strong>, vale a dire il <em>trust</em> il cui <strong>unico elemento di internazionalità</strong> è la <strong>legge (straniera) scelta</strong> dal disponente italiano, mentre tutti gli <strong>altri</strong> “<strong><em>elementi importanti</em></strong>” (ed in particolare gli <strong>effetti di segregazione patrimoniale</strong>) sono invece <strong>interni</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1988</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 18 ottobre esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.5663 che, accanto alla <strong>tradizionale fiducia “<em>dinamica</em>”</strong> – laddove il fiduciario <strong>diviene proprietario</strong> dei <strong>beni</strong> da gestire <strong>nell’interesse del fiduciante</strong> in forza di <strong>cessione della proprietà dei beni</strong> in parola da parte del <strong>fiduciante</strong> medesimo – ribadisce la configurabilità di una <strong>fiducia “<em>statica</em>”</strong> al cui cospetto il fiduciario <strong>è già proprietario dei beni</strong> <strong>pertinenti</strong> e tuttavia, attraverso il <strong><em>pactum fiduciae</em></strong>, a partire <strong>da un dato momento</strong> inizia a <strong>far uso</strong> dei beni medesimi <strong>nell’interesse</strong> non più proprio ma <strong>del fiduciante</strong> (o di un <strong>terzo beneficiario</strong>).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1989</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 16 ottobre viene varata la <strong>legge n.364</strong>, recante <strong>ratifica ed esecuzione</strong> della <strong>Convenzione</strong> sulla <strong>legge applicabile ai <em>trusts</em></strong> e sul loro <strong>riconoscimento</strong>, adottata a <strong>L'Aja</strong> il 1° luglio 1985.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1990</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 15 gennaio esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.107 onde – ai fini <strong>dell’azione revocatoria</strong> – la costituzione del <strong>fondo patrimoniale</strong> giusta <strong>conferimento dei beni</strong> va considerato <strong>atto a titolo gratuito</strong>, tanto che il conferimento provenga <strong>da uno solo dei coniugi</strong> o <strong>da un terzo</strong>, quanto che provenga <strong>da entrambi i coniugi</strong>, e ciò anche nell’ipotesi in cui i coniugi <strong>conferiscano beni già di proprietà comune</strong> (perché in comunione legale), dacché al <strong>vincolo di indisponibilità impresso</strong> sui propri beni <strong>non corrisponde alcun corrispettivo</strong> per i soggetti che costituiscono il fondo patrimoniale medesimo.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1992</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 7 agosto esce la sentenza della Cassazione n.4438 che con particolare riguardo ai <strong>negozi fiduciari</strong> - abbraccia la tesi della <strong>c.d. doppia causa</strong>, onde il <strong>negozio di</strong> <strong>trasferimento (tra patrimoni)</strong> ha una <strong>propria causa idonea</strong>, appunto, a <strong>trasferire la proprietà</strong> dei beni (dal patrimonio X a quello separato Y), con <strong>effetti reali</strong> (ad esempio, vendita o donazione), mentre il <strong>negozio di destinazione</strong> – che è previsto dalla <strong>legge</strong>, che ha <strong>natura unilaterale o bilaterale</strong> e che <strong>è meramente eventuale</strong> - ha una <strong>propria e peculiare causa</strong> (di <strong>destinazione</strong> appunto dei beni al raggiungimento del <strong>divisato scopo</strong>), e dunque è un <strong>negozio distinto</strong> da quello di <strong>trasferimento, </strong>con effetti obbligatori (il fiduciario <strong>si obbliga all’uso convenuto</strong> con il fiduciante, ovvero al <strong>ritrasferimento al fiduciante</strong> stesso), facendosi luogo tra i due ad un <strong>collegamento negoziale. </strong>Per la Corte poi, su altro versante, va ribadita la configurabilità, accanto alla <strong>tradizionale fiducia “<em>dinamica</em>”</strong> – laddove il fiduciario <strong>diviene proprietario</strong> dei <strong>beni</strong> da gestire <strong>nell’interesse del fiduciante</strong> in forza di <strong>cessione della proprietà dei beni</strong> in parola da parte del <strong>fiduciante</strong> medesimo – di una <strong>fiducia “<em>statica</em>”</strong> al cui cospetto il fiduciario <strong>è già proprietario dei beni</strong> <strong>pertinenti</strong> e tuttavia, attraverso il <strong><em>pactum fiduciae</em></strong>, a partire <strong>da un dato momento</strong> inizia a <strong>far uso</strong> dei beni medesimi <strong>nell’interesse</strong> non più proprio ma <strong>del fiduciante </strong>(o di un <strong>terzo beneficiario</strong>).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1993</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 29 maggio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.6024 che – con particolare riguardo ai <strong>negozi fiduciari</strong> - abbraccia la tesi della <strong>c.d. doppia causa</strong>, onde il <strong>negozio di</strong> <strong>trasferimento (tra patrimoni)</strong> ha una <strong>propria causa idonea</strong>, appunto, a <strong>trasferire la proprietà</strong> dei beni (dal patrimonio X a quello separato Y), con <strong>effetti reali</strong> (ad esempio, vendita o donazione), mentre il <strong>negozio di destinazione</strong> – che è previsto dalla <strong>legge</strong>, che ha <strong>natura unilaterale o bilaterale</strong> e che <strong>è meramente eventuale</strong> - ha una <strong>propria e peculiare causa</strong> (di <strong>destinazione</strong> appunto dei beni al raggiungimento del <strong>divisato scopo</strong>), e dunque è un <strong>negozio distinto</strong> da quello di <strong>trasferimento, </strong>con effetti obbligatori (il fiduciario <strong>si obbliga all’uso convenuto</strong> con il fiduciante, ovvero al <strong>ritrasferimento al fiduciante</strong> stesso), facendosi luogo tra i due ad un <strong>collegamento negoziale.</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1994</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 18 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.2604 alla cui stregua tanto <strong>l’atto costitutivo di un fondo patrimoniale</strong> quanto i successivi <strong>atti di conferimento di beni</strong> (quand’anche si tratti di <strong>beni già in comunione tra coniugi</strong>) devono assumersi avere <strong>natura di atti dispositivi</strong> e, pur <strong>non</strong> spiegando una <strong>efficacia traslativa</strong> (i beni <strong>restano in proprietà dei coniugi</strong> che li conferiscono), sono <strong>comunque idonei</strong> a <strong>pregiudicare le ragioni dei creditori</strong>, potendo i pertinenti beni essere aggrediti dai creditori <strong>solo alle condizioni dettate dall’art.170</strong> c.c.; i <strong>beni del fondo patrimoniale</strong>, più in specie, <strong>non sono aggredibili</strong> da parte dei <strong>creditori</strong> che sono <strong>a conoscenza della estraneità</strong> dell’obbligazione assunta al <strong>soddisfacimento di bisogni della famiglia</strong>, con conseguente, <strong>sensibile riduzione della garanzia generale</strong> della quale <strong>beneficiano i creditori</strong> sul <strong>patrimonio</strong> di chi costituisce il fondo (o, in seguito, vi conferisce beni).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1998</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 24 febbraio viene varato il <strong>decreto legislativo n.58</strong>, recante <strong>testo unico</strong> delle disposizioni in materia di <strong>intermediazione finanziaria</strong> (ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), che disciplina tra gli altri le <strong>società di gestione dei fondi comuni di investimento mobiliare</strong>: si tratta di una <strong>nuova (eccezionale) forma</strong> di <strong>fiducia di tipo germanistico</strong>, in quanto <strong>la “<em>proprietà</em>”</strong> del risparmio resta in capo <strong>al fiduciante</strong>, mentre la <strong>società di gestione</strong> si limita ad <strong>amministrare</strong> il ridetto risparmio, essendo dunque <strong>legittimata all’esercizio</strong> all’uopo di <strong>tutti i pertinenti diritti</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>1999</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 22 gennaio esce la sentenza delle <strong>SSUU</strong> della Cassazione n.591 che ribadisce autorevolmente come tanto <strong>l’atto costitutivo di un fondo patrimoniale</strong> quanto i successivi <strong>atti di conferimento di beni</strong> (quand’anche si tratti di <strong>beni già in comunione tra coniugi</strong>) debbano assumersi avere <strong>natura di atti dispositivi</strong> e, pur <strong>non</strong> spiegando una <strong>efficacia traslativa</strong> (i beni <strong>restano in proprietà dei coniugi</strong> che li conferiscono), sono <strong>comunque idonei</strong> a <strong>pregiudicare le ragioni dei creditori</strong>, potendo i pertinenti beni essere aggrediti dai creditori <strong>solo alle condizioni dettate dall’art.170</strong> c.c.; i <strong>beni del fondo patrimoniale</strong>, più in specie, <strong>non sono aggredibili</strong> da parte dei <strong>creditori</strong> che sono <strong>a conoscenza della estraneità</strong> dell’obbligazione assunta al <strong>soddisfacimento di bisogni della famiglia</strong>, con conseguente, <strong>sensibile riduzione della garanzia generale</strong> della quale <strong>beneficiano i creditori</strong> sul <strong>patrimonio</strong> di chi costituisce il fondo (o, in seguito, vi conferisce beni). Per le SSUU – ai fini <strong>dell’azione revocatoria</strong> – la costituzione del <strong>fondo patrimoniale</strong> giusta <strong>conferimento dei beni</strong> va considerato <strong>atto a titolo gratuito</strong>, tanto che il conferimento provenga <strong>da uno solo dei coniugi</strong> o <strong>da un terzo</strong>, quanto che provenga <strong>da entrambi i coniugi</strong>, e ciò anche nell’ipotesi in cui i coniugi <strong>conferiscano beni già di proprietà comune</strong> (perché in comunione legale), dacché al <strong>vincolo di indisponibilità impresso</strong> sui propri beni <strong>non corrisponde alcun corrispettivo</strong> per i soggetti che costituiscono il fondo patrimoniale medesimo. La Corte ribadisce poi che laddove <strong>un terzo fideiussore paghi</strong> il <strong>debito del debitore poi fallito</strong>, tale atto può essere <strong>fatto oggetto di revocatoria fallimentare</strong> <strong>solo</strong> laddove ciò si sia risolto in una <strong>lesione della <em>par condicio creditorum</em></strong>, circostanza predicabile quando il terzo abbia eseguito tale pagamento <strong>avvalendosi</strong>, direttamente <strong>o indirettamente</strong>, di <strong>denaro del fallito</strong>, ovvero quando abbia <strong>pagato con denaro proprio</strong> ed abbia <strong>esercitato</strong>, <strong>prima del fallimento</strong>, l’<strong>azione di rivalsa</strong> nei confronti del debitore poi fallito. In tutti gli altri casi <strong>non si verifica</strong>, per la Corte, un <strong>depauperamento</strong> del patrimonio del debitore poi insolvente, né una <strong>modifica dell’ammontare dei crediti concorrenti</strong> nella ripartizione dell’attivo fallimentare, se si tiene conto che <strong>anche se</strong> il terzo fideiussore adempiente <strong>proponesse istanza di ammissione al passivo</strong>, egli si insinuerebbe <strong>al posto dell’originario creditore</strong> soddisfatto e per <strong>un medesimo importo</strong>, venendosi a trovare - rispetto alla massa - nella <strong>medesima condizione </strong>in cui sarebbe trovato<strong> l’<em>accipiens</em></strong> cui ha pagato (in luogo del debitore poi fallito).</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2001</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 3 ottobre viene varata la <strong>legge n. 366</strong> che <strong>delega</strong> il Governo ad emanare norme per <strong>riformare</strong> la disciplina delle <strong>società di capitali</strong> e delle <strong>società cooperative</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2002</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 2 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.11537 onde – ai fini <strong>dell’azione revocatoria</strong> – la costituzione del <strong>fondo patrimoniale</strong> giusta <strong>conferimento dei beni</strong> va considerato <strong>atto a titolo gratuito</strong>, tanto che il conferimento provenga <strong>da uno solo dei coniugi</strong> o <strong>da un terzo</strong>, quanto che provenga <strong>da entrambi i coniugi</strong>, e ciò anche nell’ipotesi in cui i coniugi <strong>conferiscano beni già di proprietà comune</strong> (perché in comunione legale), dacché al <strong>vincolo di indisponibilità impresso</strong> sui propri beni <strong>non corrisponde alcun corrispettivo</strong> per i soggetti che costituiscono il fondo patrimoniale medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 settembre esce il provvedimento del <strong>Tribunale di Belluno</strong> che dichiara <strong>inammissibile in Italia il c.d. <em>trust</em> interno</strong>, o <strong><em>trust</em> italiano</strong>: per il Tribunale laddove gli <strong>elementi significativi</strong> del <em>trust</em>, indipendentemente dalla <strong>volontà</strong> del relativo <strong>disponente</strong>, siano <strong>tutti localizzati in uno Stato</strong> che <strong>non conosce il <em>trust</em></strong> (c.d. <strong><em>trust</em> interno</strong>), come accade appunto in Italia, esso <strong>non può essere riconosciuto</strong>, e ciò in quanto la <strong>Convenzione de l’Aja del 1985</strong>, ratificata in Italia dalla <strong>legge 364.89</strong>, <strong>non</strong> assume il carattere di <strong>convenzione di diritto sostanziale uniforme</strong> (quanto piuttosto di <strong>diritto internazionale privato</strong>), dovendosi tener conto del fatto che il <em>trust</em> (istituto di diritto sostanziale) <strong>non è compatibile</strong> con i <strong>principi</strong> del <strong>nostro ordinamento interno</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2003</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 gennaio viene varato il <strong>decreto legislativo n.6</strong> che, nell’attuare la <strong>delega</strong> di cui alla <strong>legge 366.01</strong>, procede alla <strong>riforma organica</strong> della disciplina delle <strong>società di capitali</strong> e delle <strong>società cooperative</strong>. In particolare, vengono inseriti nel codice civile gli <strong>articoli 2447.bis e seguenti</strong> che disciplinano – attraverso una nuova <strong>sezione XI</strong> – i <strong>patrimoni destinati</strong> ad uno <strong>specifico affare</strong>, quali <strong>porzioni patrimoniali</strong> con <strong>destinazione</strong>, per l’appunto, <strong>specifica</strong> nell’ambito delle <strong>società per azioni</strong>. Rilevante in particolare <strong>l’art.2447.quinquies</strong> alla cui stregua, decorso il <strong>termine</strong> di cui al secondo comma del precedente articolo 2447.quater - e che disciplina la <strong>pubblicità</strong> della <strong>costituzione</strong> del <strong>patrimonio destinato</strong> - ovvero dopo l'iscrizione nel registro delle imprese del provvedimento del tribunale ivi previsto, i <strong>creditori della società</strong> <strong>non possono</strong> far valere <strong>alcun diritto</strong> sul <strong>patrimonio destinato allo specifico affare</strong> né, salvo che per la parte spettante alla società, sui <strong>frutti o proventi</strong> da esso <strong>derivanti</strong>; qualora peraltro nel <strong>patrimonio</strong> siano compresi <strong>immobili</strong> o <strong>beni mobili iscritti in pubblici registri</strong>, tale disposizione non si applica <strong>fin quando la destinazione</strong> allo specifico affare non sia <strong>trascritta nei rispettivi registri</strong>. Qualora la deliberazione prevista dall'articolo <a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-quinto/titolo-v/capo-v/sezione-xi/art2447ter.html">2447.ter</a> (quella costitutiva del patrimonio destinato) non disponga diversamente, per le <strong>obbligazioni contratte</strong> in relazione allo <strong>specifico affare</strong> la società risponde <strong>nei limiti del patrimonio ad esso destinato</strong>, e <strong>non anche</strong> dunque con gli <strong>altri beni del proprio patrimonio</strong>, ma resta salva la <strong>responsabilità illimitata della società</strong> per le <strong>obbligazioni</strong> derivanti da <strong>fatto illecito</strong>. Infine, gli <strong>atti compiuti</strong> in relazione allo <strong>specifico affare</strong> debbono recare <strong>espressa menzione</strong> del <strong>vincolo di destinazione</strong>; in difetto, ne risponde la <strong>società</strong> con il <strong>relativo patrimonio residuo</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 ottobre esce il provvedimento del <strong>Tribunale di Parma</strong> che <strong>riconosce ammissibile</strong> il <strong><em>trust</em> interno</strong>, non potendosi opporre la <strong>intrascrivibilità dell’atto</strong> pertinente stante <strong>l’operatività dell’art.12</strong> della <strong>legge 364.89</strong>, che consente al <strong><em>trustee</em></strong> di <strong>chiedere l’iscrizione nei registri immobiliari</strong> con riguardo ai beni coagulati in <em>trust</em> <strong>facendo constare</strong> della relativa <strong>qualità</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2004</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 01 luglio esce il provvedimento del <strong>Tribunale di Napoli</strong> che assume <strong>ammissibile</strong> il <strong>trust c.d. “<em>interno</em>”</strong> in Italia: a seguito della <strong>ratifica</strong> della <strong>Convenzione dell’Aja</strong> in forza della <strong>legge 364.89</strong>, deve ammettersi ormai configurabile una <strong>deroga</strong> al <strong>principio della generale responsabilità patrimoniale</strong> <strong>del debitore</strong> consacrato nell’<strong>art.2740</strong> c.c., e ciò in quanto la legge di ratifica ridetta si applica <strong>a tutti i <em>trust</em></strong>, anche <strong>interni</strong>, il cui <strong>unico elemento di internazionalità</strong> sia la <strong>legge applicabile</strong> (e dunque anche ad un <strong><em>trust</em> istituito in Italia</strong> e come tale <strong>ammissibile</strong>, dovendosi solo isolare <strong>quale sia la legislazione applicabile</strong> tra quelle <strong>possibili</strong>, ivi compresa la <strong>legge italiana</strong>)</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 settembre esce il decreto del <strong>Tribunale di Trieste</strong> che <strong>ammette</strong> la configurabilità in Italia di un <strong><em>trust</em> c.d. interno</strong>, e ciò sulla base della <strong>Convenzione dell’Aja</strong> del 1985, ratificata in Italia <strong>nel 1989</strong>: è vero che <strong>l’art.13</strong> di tale Convenzione consente agli Stati contraenti di <strong>non riconoscere determinati <em>trust</em></strong>, tra i quali appunto <strong>quello interno</strong>, ma all’uopo occorrerebbe <strong>una norma di legge apposita </strong>(nel senso della <strong>non riconoscibilità</strong>), in <strong>difetto</strong> della quale il trust interno deve appunto assumersi <strong>ammissibile</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 dicembre viene varato il <strong>decreto legge n.273</strong> che, con l’art.<strong>39 <em>novies</em></strong>, inserisce nel codice civile un nuovo art.<strong>2645.ter</strong>, rubricato significativamente “<strong><em>trascrizione</em></strong><em> di <strong>atti di destinazione</strong> per la realizzazione di <strong>interessi meritevoli di tutela</strong> riferibili a <strong>persone con disabilità</strong>, a <strong>pubbliche amministrazioni</strong>, o ad <strong>altri enti o persone fisiche</strong></em>”, secondo il cui disposto gli <strong>atti in forma pubblica</strong> con cui <strong>beni immobili</strong> o <strong>beni mobili iscritti in pubblici registri</strong> sono <strong>destinati</strong>, per un <strong>periodo non superiore a 90 anni</strong> o per <strong>la durata della vita della persona fisica beneficiaria</strong>, alla <strong>realizzazione</strong> di <strong>interessi meritevoli di tutela</strong> riferibili a <strong>persone con disabilità</strong>, a <strong>pubbliche amministrazioni</strong>, o ad <strong>altri enti o persone fisiche</strong> ai sensi dell'<strong>articolo <a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-quarto/titolo-ii/capo-i/art1322.html">1322</a></strong>, secondo comma, c.c. <strong>possono essere trascritti</strong> al fine di <strong>rendere opponibile ai terzi</strong> il <strong>vincolo di destinazione</strong>; per la <strong>realizzazione</strong> di tali interessi <strong>può agire</strong>, oltre al <strong>conferente</strong>, <strong>qualsiasi interessato</strong> anche <strong>durante la vita</strong> del conferente stesso. I <strong>beni conferiti</strong> e i <strong>loro frutti</strong> possono essere <strong>impiegati solo</strong> per la <strong>realizzazione del fine di destinazione</strong> e possono costituire <strong>oggetto di esecuzione</strong> (salvo quanto previsto dall'<strong>articolo <a href="http://www.brocardi.it/codice-civile/libro-sesto/titolo-iv/capo-ii/sezione-i/art2915.html">2915</a>, primo comma</strong>, c.c.: <strong>anteriorità</strong> della <strong>trascrizione del pignoramento</strong> da parte dei <strong>creditori</strong> che agiscono <em>in executivis</em> rispetto alla <strong>trascrizione dell’atto di destinazione</strong>) <strong>solo</strong> per <strong>debiti</strong> <strong>contratti per tale scopo</strong>. La norma viene inserita nel capo del codice civile che disciplina gli “<strong><em>atti trascrivibili</em></strong>”, ed ha dunque certamente una <strong>valenza di tipo pubblicitario</strong>, ma palesa anche <strong>profili più puramente sostanziali</strong>, lasciando affiorare un (non meglio specificato) <strong>negozio di destinazione</strong> orientato a perseguire <strong>interessi meritevoli di tutela</strong> in capo a <strong>determinati soggetti</strong>, corredato da una <strong>certa forma</strong> e caratterizzato da una <strong>specifica durata</strong>; si discuterà se si tratta allora di norma su <strong>“<em>nuovi</em>” atti di destinazione </strong>(dalla medesima <strong>autorizzati</strong>), ovvero di norma sulla <strong>disciplina degli effetti</strong> di <strong>atti di destinazione già previsti</strong> dal sistema.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2005</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 7 marzo esce la sentenza della I sezione della Cassazione n.4933 onde – ai fini <strong>dell’azione revocatoria</strong> – la costituzione del <strong>fondo patrimoniale</strong> giusta <strong>conferimento dei beni</strong> va considerato <strong>atto a titolo gratuito</strong>, tanto che il conferimento provenga <strong>da uno solo dei coniugi</strong> o <strong>da un terzo</strong>, quanto che provenga <strong>da entrambi i coniugi</strong>, e ciò anche nell’ipotesi in cui i coniugi <strong>conferiscano beni già di proprietà comune</strong> (perché in comunione legale), dacché al <strong>vincolo di indisponibilità impresso</strong> sui propri beni <strong>non corrisponde alcun corrispettivo</strong> per i soggetti che costituiscono il fondo patrimoniale medesimo.</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 luglio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.15603 alla cui stregua, poiché sia <strong>l’atto costitutivo di un fondo patrimoniale</strong> sia ogni <strong>successivo atto di conferimento in esso di beni</strong> costituiscono <strong>atti dispositivi</strong>, essi debbono assumersi <strong>soggetti all’azione revocatoria</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2006</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 23 febbraio viene varata la <strong>legge n.51</strong>, che converte in legge il <strong>decreto legge n.273.05</strong> in tema di <strong>atti di destinazione</strong> e di relativa <strong>trascrizione</strong> ai sensi del <strong>nuovo art.2645.ter</strong> c.c.</p> <p style="text-align: justify;">*Il 15 marzo esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.5684 onde – ai fini <strong>dell’azione revocatoria</strong> – la costituzione del <strong>fondo patrimoniale</strong> giusta <strong>conferimento dei beni</strong> va considerato <strong>atto a titolo gratuito</strong>, tanto che il conferimento provenga <strong>da uno solo dei coniugi</strong> o <strong>da un terzo</strong>, quanto che provenga <strong>da entrambi i coniugi</strong>, e ciò anche nell’ipotesi in cui i coniugi <strong>conferiscano beni già di proprietà comune</strong> (perché in comunione legale), dacché al <strong>vincolo di indisponibilità impresso</strong> sui propri beni <strong>non corrisponde alcun corrispettivo</strong> per i soggetti che costituiscono il fondo patrimoniale medesimo.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2007</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 17 gennaio esce la sentenza della II sezione della Cassazione n.11830 onde – ai fini <strong>dell’azione revocatoria</strong> – la costituzione del <strong>fondo patrimoniale</strong> giusta <strong>conferimento dei beni</strong> va considerato <strong>atto a titolo gratuito</strong>, tanto che il conferimento provenga <strong>da uno solo dei coniugi</strong> o <strong>da un terzo</strong>, quanto che provenga <strong>da entrambi i coniugi</strong>, e ciò anche nell’ipotesi in cui i coniugi <strong>conferiscano beni già di proprietà comune</strong> (perché in comunione legale), dacché al <strong>vincolo di indisponibilità impresso</strong> sui propri beni <strong>non corrisponde alcun corrispettivo</strong> per i soggetti che costituiscono il fondo patrimoniale medesimo.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2008</strong></p> <p style="text-align: justify;">*Il 7 ottobre esce la sentenza della III sezione della Cassazione n.24757 alla cui stregua, poiché sia <strong>l’atto costitutivo di un fondo patrimoniale</strong> sia ogni <strong>successivo atto di conferimento in esso di beni</strong> costituiscono <strong>atti dispositivi</strong>, essi debbono assumersi <strong>soggetti all’azione revocatoria</strong>. Si tratta di disciplina applicabile anche allorché il <strong>fondo patrimoniale</strong> sia stato <strong>costituito in data anteriore</strong> alla <strong>nascita del credito</strong> per il quale si agisce in revocatoria, purché in questo caso sussista tuttavia la <strong>dolosa preordinazione</strong> dell’atto, da parte del debitore, alla <strong>finalità di pregiudicare il futuro credito</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2013</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’11 aprile esce la sentenza del Tribunale di <strong>Firenze</strong> che dichiara <strong>legittimo</strong> il <strong><em>trust</em> interno</strong> <strong>auto-dichiarato,</strong> quello cioè nel quale <strong>disponente e <em>trustee</em> coincidono</strong>, il quale <strong>non può assumersi viziato da invalidità</strong> per la <strong>divergenza</strong> della relativa <strong>disciplina</strong> dalle previsioni dell’<strong>art. 2645 ter c.c.</strong> sussistendo appunto una <strong>notevole divergenza</strong> tra la <strong><em>ratio</em></strong> dei due istituti, seppur entrambi producano la <strong>segregazione del patrimonio del disponente</strong> nell’interesse di un <strong>beneficiario</strong> o di un <strong>determinato programma</strong>. In sostanza, <strong><em>trust</em></strong> <strong>autodichiarato</strong> e <strong>patrimonio destinato</strong> <strong>ex art.2645 ter</strong> c.c. sono <strong>due fattispecie diverse</strong> che <strong>convivono</strong> nell’ordinamento italiano.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2014</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 9 maggio esce la sentenza della della I sezione della Cassazione n.10105 onde, al fine di <strong>evitare</strong> che il <em>trust</em>, in considerazione dei <strong>più svariati motivi per cui può essere costituito</strong>, possa diventare un <strong>facile strumento di elusione</strong> di <strong>norme imperative</strong>, il <strong>programma di segregazione</strong> deve corrispondere <strong>solo</strong> allo <strong>schema astrattamente previsto dalla Convenzione</strong> de <strong>L’Aja</strong>, laddove il programma concreto non può che risultare sulla base del <strong>singolo regolamento d’interessi attuato</strong>, rappresentando esso la <strong>causa concreta del negozio</strong>, secondo la nozione da tempo recepita, nell’ambito del <strong>diritto dei contratti</strong>, dalla <strong>giurisprudenza di legittimità</strong>. Invero, quale <strong>strumento negoziale astratto</strong>, il <em>trust</em> può essere <strong>piegato al raggiungimento dei più vari scopi pratici</strong>; occorre perciò <strong>esaminare</strong>, al fine di valutarne la <strong>liceità</strong>, le <strong>circostanze del caso di specie</strong>, da cui desumere la <strong>causa concreta dell’operazione</strong>: indagine questa <strong>particolarmente rilevante</strong> nei riguardi di uno <strong>strumento giuridico estraneo</strong> alla <strong>nostra tradizione civilistica</strong> e che <strong>si affianca</strong>, in modo particolarmente <strong>efficace</strong>, ad <strong>altri esempi di intestazione fiduciaria</strong> volti, con <strong>finalità frequentemente frodatorie</strong>, all’<strong>elusione di norme imperative</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2015</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 giugno viene varato <strong>il decreto legge n.83</strong>, recante <strong>misure urgenti</strong> in materia <strong>fallimentare, civile e processuale civile</strong> e di organizzazione e funzionamento dell'<strong>amministrazione giudiziaria</strong>, il cui art.12 aggiunge al <strong>codice civile</strong> un nuovo <strong>art.2929.bis</strong> rubricato “<em>espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito</em>”. Secondo tale disposizione, il <strong>creditore</strong> che sia <strong>pregiudicato da un atto del debitore</strong>, di <strong>costituzione di vincolo di indisponibilità</strong> o di <strong>alienazione</strong>, che abbia per oggetto <strong>beni immobili</strong> o <strong>mobili iscritti in pubblici registri</strong>, compiuto <strong>a titolo gratuito</strong> <strong>successivamente</strong> al <strong>sorgere del credito</strong> può <strong>procedere</strong>, munito di <strong>titolo esecutivo</strong>, a <strong>esecuzione forzata</strong>, ancorché <strong>non abbia preventivamente ottenuto</strong> <strong>sentenza dichiarativa di inefficacia</strong>, se <strong>trascrive il pignoramento</strong> nel termine di <strong>1 anno</strong> dalla data in cui <strong>l'atto e' stato trascritto</strong>. Tale disposizione si applica <strong>anche al creditore anteriore</strong> che, entro <strong>1 anno dalla trascrizione</strong> dell'atto pregiudizievole, <strong>interviene</strong> nell'<strong>esecuzione da altri promossa</strong>. La norma precisa che quando <strong>il pregiudizio</strong> deriva da <strong>un atto di alienazione</strong>, il creditore <strong>promuove l'azione esecutiva</strong> nelle forme dell'<strong>espropriazione contro il terzo proprietario</strong>. Il <strong>debitore</strong>, il <strong>terzo assoggettato a espropriazione</strong> e <strong>ogni altro interessato</strong> alla conservazione del vincolo possono <strong>proporre le opposizioni all'esecuzione</strong> di cui al titolo V del libro III del codice di procedura civile quando <strong>contestano la sussistenza dei presupposti</strong> di cui al primo comma della norma, nonché la <strong>conoscenza</strong> da parte del <strong>debitore</strong> del <strong>pregiudizio</strong> che l'atto arrecava alle ragioni del creditore. Si tratta dunque di una <strong>forma semplificata di tutela esecutiva</strong>, laddove gli <strong>atti pregiudizievoli</strong> siano stati <strong>a titolo gratuito</strong> (e non anche a <strong>titolo oneroso</strong>): <strong>non occorre il previo giudizio di cognizione</strong> potendo il creditore procedere <strong>direttamente all’atto di pignoramento</strong> dei beni oggetto di disposizione pregiudizievole, <strong>senza</strong> dover <strong>passare preventivamente</strong> per <strong>l’azione revocatoria</strong> e senza doverne attendere il <strong>passaggio in giudicato</strong>; non occorre in particolare provare <strong>i requisiti tipici dell’azione revocatoria</strong>, ed in particolare il <strong>dolo del debitore</strong>, mentre saranno i <strong>soggetti esecutati</strong> a poter introdurre un <strong>giudizio di cognizione in opposizione</strong> al fine di dimostrare il <strong>difetto dei requisiti</strong> per poter procedere in modo siffattamente semplificato, ovvero comunque la <strong>loro buona fede</strong>. Il creditore ha bisogno dunque <strong>solo di un titolo esecutivo</strong> e, senza <strong>dover attendere l’esito di un’azione revocatoria</strong> ed il passaggio <strong>in giudicato</strong> della pertinente sentenza, al cospetto di <strong>atti gratuiti pregiudizievoli successivi</strong> a quando è sorto il proprio credito, può <strong>agire direttamente in via esecutiva</strong>. Non è possibile agire in tal modo al cospetto <strong>di ogni atto gratuito</strong>, ma solo laddove si tratti di <strong>alienazione gratuita di immobili o mobili registrati</strong>, ovvero di <strong>costituzione a titolo gratuito di un vincolo di indisponibilità sui ridetti beni</strong>. Dal punto di vista <strong>cronologico</strong>, rispetto alla <strong>trascrizione dell’atto pregiudizievole</strong> (che riguarda sempre beni immobili o mobili registrati) <strong>non deve essere trascorso 1 anno</strong>, potendo in tale torno temporale il creditore procedente <strong>trascrivere direttamente il pignoramento</strong>; partita la procedura esecutiva, possono <strong>intervenire altri creditori anteriori</strong>, sempre tuttavia <strong>entro 1 anno dalla trascrizione dell’atto</strong> (anche per loro) pregiudizievole. Quanto alle <strong>opposizioni all’esecuzione</strong>, vi sono legittimati <strong>tanto il debitore</strong> (ex art.615 c.p.c.) quanto il <strong>terzo proprietario</strong> (ex art.619 c.p.c.) quanto, ancora, <strong>ogni altro interessato al mantenimento del vincolo sul bene</strong>, siccome <strong>disposto dal debitore</strong>, sulla scorta della <strong>mancanza di presupposti</strong> per agire ex art.2929.bis, ovvero sulla scorta della <strong>propria buona fede</strong> in termini di <strong>mancata consapevolezza</strong> del <strong>pregiudizio</strong> che l’atto ha arrecato al creditore.</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 agosto viene varata <strong>la legge n.132</strong> che converte in legge con modificazioni il <strong>decreto legge n.83</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 12 agosto esce la sentenza del Tribunale di <strong>Prato</strong> onde <strong>l’atto di destinazione ex art. 2645 ter</strong> c.c. posto in essere da <strong>una srl</strong> ed avente ad oggetto <strong>taluni beni immobili di sua proprietà</strong> in favore di <strong>un’altra srl</strong>, allo scopo di <strong>agevolare l’omologazione</strong> della proposta di <strong>concordato preventivo</strong> avanzata da quest’ultima (omologazione <strong>poi effettivamente ottenuta</strong>), persegue <strong>interessi meritevoli di tutela ex art. 1322</strong> c.c., essendo appunto <strong>pienamente meritevole</strong> ai sensi del predetto articolo <strong>l’interesse al soddisfacimento dei creditori sociali</strong> sotteso al suddetto <strong>atto di destinazione</strong> e dovendosi <strong>l’atto di destinazione ex art. 2645 ter</strong> ritenere <strong>efficace</strong> qualora il patrimonio sia <strong>vincolato a garanzia dei creditori di una società in crisi</strong> e, in particolare, ove tale società <strong>intenda instaurare una procedura di concordato preventivo</strong>; trattasi dunque di <strong>atto non revocabile ex art. 2901</strong> c.c., atteso peraltro come nel caso di specie l’attore <strong>non abbia fornito alcuna prova</strong> relativamente ai <strong>requisiti oggettivo e soggettivo</strong> previsti dalla legge per spiccare appunto <strong>azione revocatoria</strong>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 23 settembre esce la sentenza della V sezione <strong>Penale</strong> della Cassazione n. 42605 alla cui stregua in tema di <strong>misure di prevenzione patrimoniali</strong>, la <strong>costituzione</strong> su un <strong>bene immobile</strong> di un <strong>vincolo di destinazione</strong>, ai sensi dell’<strong>art. 2645 ter</strong> c.c., <strong>non incide</strong> sulla <strong>disponibilità del bene stesso</strong> in capo al <strong>proposto</strong> (ove <strong>accertata</strong> ai sensi dell’art. 2 ter l. n. 575 del 1968), né, quindi, sulla <strong>relativa confiscabilità</strong>, in quanto il predetto vincolo <strong>non comprime i diritti del proprietario sul bene</strong>, se non nei limiti della <strong>destinazione impressa</strong>; per la Corte è dunque <strong>legittima</strong> la <strong>confisca di un bene immobile</strong> <strong>acquistato</strong> con <strong>denaro proveniente dal proposto</strong>, <strong>fittiziamente intestato</strong> alla <strong>convivente</strong> e successivamente <strong>vincolato</strong> nella destinazione all’<strong>esigenza abitativa della loro figlia minore</strong>, con contestuale <strong>attribuzione</strong> a quest’ultima dei <strong>frutti</strong> dello stesso.</p> <p style="text-align: justify;">Il 27 ottobre esce la sentenza del Tribunale di <strong>Novara</strong> secondo la quale è da escludere che l’imposizione di un <strong>vincolo di destinazione ai sensi dell’art. 2645 ter</strong> c.c. si sostanzi in una <strong>nuova tipologia negoziale traslativa</strong>, caratterizzata da una <strong>causa esclusivamente destinatoria,</strong> dovendosi piuttosto assumere che la <strong>nuova norma</strong> introduca nell’ordinamento solo un <strong>particolare tipo di effetto negoziale</strong>, quello di <strong>destinazione</strong>, <strong>accessorio</strong> rispetto agli <strong>altri effetti di un negozio tipico o atipico</strong> cui <strong>si accompagna</strong> (e del quale <strong>mutua la causa</strong>, <strong>aggiungendovi</strong> appunto una <strong>componente causale destinatoria</strong> che <strong>non può</strong> tuttavia <strong>sussistere in modo autonomo ed indipendente</strong>).</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 novembre esce la sentenza del Tribunale di <strong>Bergamo</strong> che afferma come <strong>l’atto istitutivo di un trust autodichiarato</strong> (<strong><em>ex se</em> non ammissibile</strong> nel sistema italiano) può valere quale <strong>atto di destinazione di cui all’art. 2645 ter</strong> c.c., di cui <strong>deve essere vagliata la meritevolezza</strong>, la quale implica <strong>l’altruità dell’interesse perseguito</strong>; la ridetta meritevolezza, per il Tribunale, deve <strong>escludersi</strong> allorché i <strong>beneficiari del <em>trust</em></strong>, la cui <strong>nomina</strong> è rimessa al <strong>disponente</strong>, <strong>non</strong> siano <strong>ancora stati nominati</strong> ad <strong>oltre un anno dall’istituzione del <em>trust</em></strong> e le <strong>finalità indicate</strong> nell’atto istitutivo siano connotate da <strong>estrema genericità</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2016</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 25 agosto esce la sentenza del Tribunale di <strong>Milano</strong> che dichiara <strong>nullo</strong> un <strong><em>trust</em></strong> laddove <strong>indichi quale beneficiaria</strong> una <strong>associazione che assiste soggetti disabili</strong> se appare <strong>evidente</strong> che tale indicazione - della quale l’associazione <strong>non aveva conoscenza</strong> e che ha <strong>casualmente scoperto</strong> - mirava soltanto a <strong>facilitare la trascrizione del vincolo</strong> sui beni ex <strong>art. 2645 ter</strong> c.c., <strong>finalità effettiva</strong> del <em>trust</em> palesandosi piuttosto quella di <strong>escludere o limitare la responsabilità patrimoniale</strong> del disponente.</p> <p style="text-align: justify;"><strong> </strong></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2017</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 27 gennaio esce la sentenza della III sezione della Cassazione onde – muovendo dal presupposto che <strong>legittimamente</strong> il <strong>giudice dell'esecuzione</strong> <strong>verifica</strong>, anche <strong>d’ufficio</strong>, la <strong>reale esistenza del soggetto</strong> nei cui confronti è <strong>intentata la procedura esecutiva</strong> - va disposta la <strong>chiusura anticipata</strong> di una procedura che ha <strong>fatto perno</strong> sul <strong>pignoramento di beni immobili</strong> eseguito nei confronti <strong>(direttamente) di un <em><a href="http://www.altalex.com/documents/altalexpedia/2016/05/10/trust">trust</a></em></strong> (<strong>in persona del</strong> <strong><em>trustee</em></strong>), piuttosto che <strong>nei confronti del <em>trustee</em></strong>; il <em><a href="http://www.altalex.com/documents/altalexpedia/2016/05/10/trust">trust</a></em> <strong>non è</strong> infatti, per la Corte, un <strong>ente dotato di personalità giuridica</strong>, né di <strong>soggettività</strong>, per quanto <strong>limitata</strong> od <strong>ai soli fini della trascrizione</strong>, configurando piuttosto un <strong>mero compendio di beni e rapporti</strong> <strong>destinati ad un fine determinato</strong> e <strong>formalmente intestati al <em>trustee</em></strong>, il quale resta <strong>l'unico soggetto di riferimento</strong> nei rapporti con <strong>i terzi</strong>, e <strong>non</strong> già in veste di <strong>legale rappresentante</strong>, quanto piuttosto come <strong>colui che dispone del pertinente diritto</strong>. Neppure osta a tale conclusione, per la Corte, la <strong>nota di trascrizione</strong> del <strong>negozio di dotazione del <em><a href="http://www.altalex.com/documents/altalexpedia/2016/05/10/trust">trust</a></em></strong>, che <strong>non può fondare</strong> una <strong>valida continuità di trascrizioni</strong> con un <strong>soggetto inesistente</strong> o, detto altrimenti, non può <strong>“<em>creare</em>” dal nulla</strong> un <strong>soggetto inesistente</strong>. La Corte inizia dunque con l’affermare che il giudice dell'esecuzione ha il <strong>potere di risolvere d’ufficio</strong> la questione dell'<strong>esistenza giuridica del soggetto esecutato</strong> per alfine statuire, laddove ne abbia acclarato <strong>l’inesistenza</strong>, il precipitato della <strong>non proseguibilità del processo esecutivo</strong> nei confronti appunto di un <strong>soggetto inesistente</strong>; rientra dunque nei <strong>poteri ufficiosi</strong> del giudice dell'esecuzione il riscontro delle <strong>imprescindibili condizioni dell'azione esecutiva</strong> ed i (conseguenti) <strong>presupposti</strong> del <strong>processo esecutivo</strong>, onde l'ufficiosità del rilievo di tali condizioni e presupposti va per la Corte <strong>ribadita in generale</strong>, in funzione della <strong>particolare struttura del processo esecutivo</strong>, in cui <strong>l'istituzionale carenza di contraddittorio</strong> <strong>in senso tecnico</strong> per l'<strong>assenza di controversie</strong> in punto di diritto (salvi gli <strong>incidenti</strong> - o parentesi - cognitivi costituiti soprattutto dalle opposizioni), unita alla altrettanto istituzionale <strong>soggezione processuale</strong> di <strong>uno dei due soggetti</strong> <strong>necessari</strong> – il debitore - all'altro cui è riconosciuto il <strong>potere di impulso</strong> del processo esecutivo medesimo – il creditore - devono allora essere <strong>compensate</strong> da una <strong>più intensa potestà di verifica</strong> anche formale della <strong>sussistenza di condizioni e presupposti</strong> per la corrispondenza del processo stesso alla sua <strong>funzione</strong>. Scendendo dal generale al particolare, nel caso di specie per la Corte la <strong>vendita <em>in executivis</em></strong> sarebbe <strong><em>ab origine</em> caduca</strong>, e dunque tale da <strong>riversare</strong> sul <strong>potenziale incolpevole aggiudicatario</strong> un'<strong>interminabile serie di problemi particolarmente complessi</strong>, per fare fronte ai quali è obiettivamente <strong>aleatoria la garanzia per evizione</strong>, onde si vanificherebbe <strong>l'esigenza di tutela dell'affidamento</strong> sulla <strong>ritualità del trasferimento</strong>, che una vendita comunque <strong>proposta e gestita</strong> da un <strong>ufficio pubblico particolarmente qualificato</strong>, quale il giudice delle esecuzioni, <strong>normalmente susciterebbe</strong>. Fatte queste <strong>premesse di ordine processuale</strong> (esecutivo), la Corte si occupa poi – sul crinale <strong>sostanziale</strong> - delle <strong>modalità del pignoramento</strong> di <strong>beni conferiti in <em><a href="http://www.altalex.com/documents/altalexpedia/2016/05/10/trust">trust</a></em></strong>, richiamando in via confermativa la <strong>pertinente giurisprudenza maggioritaria</strong> onde il <strong><em><a href="http://www.altalex.com/documents/altalexpedia/2016/05/10/trust">trust</a></em></strong> è da assumersi <strong>non già</strong> quale <strong>ente dotato di personalità giuridica</strong>, quanto piuttosto quale <strong>semplice insieme di beni e rapporti destinati</strong> ad un <strong>fine determinato</strong>, nell'<strong>interesse di uno o più beneficiari;</strong> beni e rapporti <strong>formalmente intestati al <em>trustee</em></strong>, il quale è dunque <strong>l'unico soggetto legittimato</strong> nei rapporti con i <strong>terzi</strong>, in quanto <strong>dispone</strong> <strong>in esclusiva</strong> del <strong>patrimonio vincolato</strong> alla <strong>predeterminata destinazione impressagli dal disponente</strong> (<em>lessor</em>). La conseguenza che imprescindibilmente deriva da tale premessa è che il <strong><em><a href="http://www.altalex.com/documents/altalexpedia/2016/05/10/trust">trust</a></em></strong> <strong>non può essere titolare di diritti</strong>, né tampoco <strong>fatto destinatario</strong> di un <strong>pignoramento</strong> che abbia ad oggetto i <strong>beni medesimi</strong>, i beni conferiti in trust dovendo dunque essere <strong>pignorati (soggettivamente) al <em>trustee</em></strong>, perfino <strong>a prescindere dall'espressa spendita</strong> di tale qualità, essendo dunque <strong>il solo <em>trustee</em></strong> (e <strong>non già il <em>trust</em></strong>) l’<strong>unico soggetto aggredibile</strong>. Per la Corte un <strong>pignoramento</strong> che colpisca <strong>beni</strong> che si prospettano nella - <strong>formale e separata</strong> - <strong>titolarità</strong> di un <strong><em>trust</em></strong> fa luogo ad una <strong>fattispecie giuridicamente impossibile</strong> secondo il <strong>vigente ordinamento interno</strong> e, quindi, <strong>insanabilmente nulla</strong> per <strong>impossibilità di identificare un soggetto esecutato giuridicamente possibile</strong>, siccome <strong>inesistente</strong> e quindi <strong>insuscettibile</strong> tanto di essere <strong>titolare di diritti</strong> quanto - soprattutto e per quanto rileva ai fini della <strong>proseguibilità del relativo processo esecutivo</strong> - di <strong>subire espropriazioni</strong> (cioè <strong>coattivi trasferimenti</strong>) dei medesimi, con l’ulteriore precipitato onde <strong>correttamente</strong> nel caso di specie la gravata sentenza di merito ha <strong>escluso la validità del pignoramento</strong> eseguito nei confronti del <em>trust</em> anzichè <strong>del <em>trustee</em> </strong>(e dunque da intendersi <strong>nullo</strong>).</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 luglio esce la sentenza della III sezione penale della Cassazione n.36801 onde, nel caso di specie, la Corte di appello con la gravata sentenza è pervenuta alla conclusione di considerare la <strong>natura fraudolenta del <em>trust</em></strong> (c.d. ‘<strong><em>sham trust’</em></strong>, ossia di un <strong><em>trust</em> simulato</strong> con un’<strong>intestazione fittizia</strong> al <em>trustee</em> di beni, dove il <em>trustee</em> sarebbe in realtà <strong>una mera ‘<em>testa di legno</em>’</strong> del ‘<strong><em>settlor/disponente’</em></strong>) in presenza di dati oggettivi ritenuti sufficienti per connotare il carattere <strong>fraudolento</strong> dell’operazione, massime al fine di sottrarre beni al <strong>prelievo tributario</strong>. In proposito la Corte rammenta come la propria giurisprudenza (vengono richiamate Sez. 3, n. 9229 del 30/06/2015, dep. 2016, Carmine; Sez. 5, n. 46137 del 24/06/2014, Greci) abbia chiarito che il <em>trust</em> si sostanzia nell’<strong>affidamento ad un terzo</strong> di <strong>determinati beni</strong> perché questi <strong>li amministri e gestisca</strong> quale ‘<strong><em>proprietario’</em></strong> (nel senso di <strong>titolare dei diritti ceduti</strong>) per poi <strong>restituirli</strong>, alla fine del periodo di durata del <em>trust</em>, ai <strong>soggetti indicati dal disponente</strong>. <strong>Presupposto coessenziale </strong>alla stessa <strong>natura</strong> dell’istituto – rammenta la Corte - è che il detto disponente <strong>perda la disponibilità</strong> di quanto abbia <strong>conferito in <em>trust</em></strong>, al di là di <strong>determinati poteri</strong> che possano competergli in base alle <strong>norme costitutive</strong>. Tale condizione è <strong>ineludibile</strong> al punto che, ove risulti che la <strong>perdita del controllo dei beni</strong> da parte del disponente sia <strong>solo apparente</strong>, il <strong><em>trust</em></strong> è <strong>nullo</strong> (<strong><em>sham trust</em></strong>) e <strong>non produce l’effetto segregativo</strong> che gli è proprio; in tali ipotesi, prosegue la Corte, è ovvio che <strong>l’onere probatorio gravante sul PM</strong> è quello proprio dei <strong>negozi simulati</strong>, potendo la prova essere offerta con <strong>qualsiasi idoneo mezzo</strong> e quindi <strong>anche mediante indizi gravi, precisi e concordanti</strong> (articolo <strong>192, comma 2</strong>, c.p.p.), fermo restando che essa <strong>non può rimanere circoscritta</strong> ad <strong>elementi di rilevanza meramente oggettiva</strong>, ma deve necessariamente <strong>proiettarsi</strong>, soprattutto nei casi, come nella specie, in cui la fattispecie incriminatrice è integrata dalla <strong>presenza del dolo specifico</strong>, anche su <strong>dati idonei a disvelare convincentemente</strong> i <strong>profili di carattere soggettivo</strong>. La Corte rammenta a tal proposito come sia stato <strong>precisato</strong> che, al fine di <strong>evitare</strong> che il <em>trust</em>, in considerazione dei <strong>più svariati motivi per cui può essere costituito</strong>, possa diventare un <strong>facile strumento di elusione</strong> di <strong>norme imperative</strong>, il <strong>programma di segregazione</strong> deve corrispondere <strong>solo</strong> allo <strong>schema astrattamente previsto dalla Convenzione</strong> de <strong>L’Aja</strong>, laddove il programma concreto non può che risultare sulla base del <strong>singolo regolamento d’interessi attuato</strong>, rappresentando esso la <strong>causa concreta del negozio</strong>, secondo la nozione da tempo recepita, nell’ambito del <strong>diritto dei contratti</strong>, dalla <strong>giurisprudenza di legittimità</strong>. Invero, quale <strong>strumento negoziale astratto</strong>, il <em>trust</em> può essere <strong>piegato al raggiungimento dei più vari scopi pratici</strong>; occorre perciò <strong>esaminare</strong>, al fine di valutarne la <strong>liceità</strong>, le <strong>circostanze del caso di specie</strong>, da cui desumere la <strong>causa concreta dell’operazione</strong>: indagine questa <strong>particolarmente rilevante</strong> nei riguardi di uno <strong>strumento giuridico estraneo</strong> alla <strong>nostra tradizione civilistica</strong> e che <strong>si affianca</strong>, in modo particolarmente <strong>efficace</strong>, ad <strong>altri esempi di intestazione fiduciaria</strong> volti, con <strong>finalità frequentemente frodatorie</strong>, all’<strong>elusione di norme imperative</strong> (viene richiamata in termini Cass. civile, Sez. I, n. 10105 del 9 maggio 2014).</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 dicembre esce la sentenza della II sezione della Cassazione penale n.54521, alla cui stregua laddove <strong>difetti</strong> <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=3%3d3XHR7%26E%3dBY%26p%3dUBQ0Y%26z%3dQ3XDU0%26N%3dsJvI_3qUs_D1_ttdp_49_3qUs_C6yP8.4kKtJvHp7kN4JkSt1.kM_3qUs_C6p88I_ttdp_49BU_ttdp_49KZBcKX9cBY_ttdp_49d5_o4y3c_Ez_Ir8n9hBnE_xBy3qEz_4k_7pIvBy12BzDg_7pBn4_35u_GzD_uB_nEp9t7wKl_B_cI1HqI39cStEp8_tDf8m9v4.sJoE_3qUs_D6wMx_IqN33g_KbsR_Vodgj_y5yLw5vMpH_ttdp_4Y6Jo_Fp4kNx_HSva_Sf8x1kE_3qUs1c4l_CVwMx_3cF11k0y_HSva_Sfgpg%26f%3d%26B4%3dRAbEQ">uno <strong>specifico vincolo di destinazione</strong> della <em>res</em> oggetto della condotta penalmente sanzionata, <strong>non si configura</strong> <strong>l'appropriazione indebita</strong></a>. Per la Corte, <a href="http://info.giuffre.it/e/t?q=0%3dBV7YF%26C%3d1f%26y%3dS1XIW%26o%3dXBV3bI%26L%3dhQ5G_rxdq_38_3rSw_C7_rxdq_2C8Nw.AtIiQ5FeDtLsQtQi8.tK_rxdq_2Cy6wP_3rSw_C71b_3rSw_C70gKa0eHa1f_3rSw_C7SB_x2n0l_Co_P16cFq0cL_70n0zCo_At_5eP50n8A0oKp_5eIw2_rB4_EoK_40_cLy7iD6Ia_I_lGpOzGrFlQiLy6_iKo6bF52.hQxC_rxdq_3C6Km_PzLr0p_IQza_Tdkph_nB8JlB5KeO_3rSw_CWuQx_DeAtLm_ObtP_Zo6m8tC_rxdq8l2a_2c6Km_0lDp8t8n_ObtP_Zoeen%26o%3d%260s%3dYJZ4X">ove l’agente dia alla cosa della quale <strong>ha la disponibilità</strong> una <strong>destinazione diversa</strong> da quella <strong>consentita dal titolo</strong> per cui la possiede (ovvero a richiesta o alla scadenza non restituisca la cosa o il denaro del quale ha appunto la disponibilità), commette il reato di <strong>appropriazione indebita</strong>, giacché la res <strong>entra <em>ab extrinseco</em></strong> a <strong>far parte del relativo patrimonio</strong> ma con questo <strong>non si confonde</strong> proprio perché <strong>connotata da un vincolo specifico di destinazione</strong> che il soggetto agente <strong>sovverte</strong> con una <strong>condotta</strong> che è <strong>penalmente sanzionata</strong>; laddove tale vincolo specifico di destinazione <strong>non si riscontri</strong>, per la Corte si fa luogo invece ad un <strong>mero inadempimento civilistico</strong>, non rilevante penalmente.</a> In sostanza, il <strong>vincolo di destinazione della res</strong> è qualcosa che <strong>contribuisce a delineare</strong> la <strong>fattispecie penalistica dell’appropriazione indebita</strong>, laddove <strong>non</strong> vi sia appunto – fisiologicamente - <strong>confusione patrimoniale</strong> e tale vincolo venga tuttavia <strong>violato dal possessore</strong> che – patologicamente - <strong>imprime alla <em>res</em> una destinazione diversa</strong> rispetto a quella coerente con tale <strong>vincolo</strong>.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2018</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 gennaio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 975 che ribadisce il consolidato orientamento secondo cui il trasferimento del bene dal <em>settlor</em> al <em>trustee</em> è assoggettabile a tassazione in misura fissa (e non proporzionale) in quanto avviene a titolo gratuito e non determina effetti traslativi, poiché non ne comporta l’attribuzione definitiva allo stesso, che è tenuto solo ad amministrarlo ed a custodirlo, in regime di segregazione patrimoniale, in vista del suo ritrasferimento ai beneficiari del <em>trust</em>.</p> <p style="text-align: justify;">Il 6 febbraio esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 2820 che ribadisce la natura di atto a titolo gratuito del fondo patrimoniale che, in quanto tale, è suscettibile di essere dichiarato inefficace ai sensi dell’art. 64 l. fall.. Tuttavia, ricorda la Corte, non è possibile la dichiarazione di tale inefficacia nel caso in cui sia dimostrata l’esistenza di una situazione oggettiva che integri gli estremi del dovere morale e il proposito del <em>solvens</em> di adempiere unicamente a detto dovere mediante l’atto in questione.</p> <p style="text-align: justify;">Il 14 febbraio esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 3641 che ribadisce la possibilità per il creditore di esperire, ai sensi dell’art. 2901, comma 1, c.c., l’azione revocatoria nei confronti del fondo patrimoniale costituito dal coniuge ed avente ad oggetto un immobile di sua proprietà.</p> <p style="text-align: justify;">Lo stesso giorno esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 3656 onde l'intestazione fiduciaria di partecipazioni societarie integra gli estremi dell'interposizione reale di persona per effetto della quale l'interposto ne acquista la titolarità, pur essendo obbligato ad attenersi alle indicazioni dell'interponente nonché a ritrasferirle a quest'ultimo, ad una scadenza convenuta o al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario, con la conseguenza che legittimato all'esercizio della prelazione prevista da clausola statutaria è l'interposto e non l'interponente. Il fiduciante, non essendo intestatario reale delle partecipazioni sociali, non può considerarsi socio della società; pertanto, qualora il medesimo fosse direttamente danneggiato dall’atto illecito imputato all’organo amministrativo, sarebbe legittimato ad agire contro quest’ultimo esclusivamente nella sua veste di terzo</p> <p style="text-align: justify;">L’11 aprile esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 8881 che riconosce aggredibili da parte del Fisco i beni presenti in un fondo patrimoniale qualora l’obbligazione tributaria sia strumentale ai bisogni della famiglia.</p> <p style="text-align: justify;">Il 19 aprile esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 9637 secondo cui l’interesse alla corretta amministrazione del patrimonio in <em>trust</em> non integra una posizione di diritto soggettivo attuale in favore dei beneficiari ai quali siano attribuite dall'atto istitutivo soltanto facoltà, non connotate da realità, assoggettate a valutazioni discrezionali del <em>trustee</em>. Conseguentemente, rileva la Corte, deve escludersi che i beneficiari non titolari di diritti attuali sui beni siano legittimati passivi e litisconsorti necessari nell'azione revocatoria avente ad oggetto i beni in <em>trust</em>, spettando invece la legittimazione, oltre al debitore, al <em>trustee</em>, in quanto unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi.</p> <p style="text-align: justify;">Il 25 maggio esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 13141 che, in tema di imposta di registro sul <em>trust</em>, ribadisce l’orientamento secondo cui sono tassabili nella misura proporzionale del 3% solo gli atti che comportano l'assunzione di una obbligazione o la modificazione di un rapporto obbligatorio. In caso di atto dispositivo nell’ambito di un trust, il giudice di merito deve accertare se l'atto in questione sia annoverabile o meno tra gli atti onerosi o tra gli atti gratuiti, da doversi tassare, nel primo caso, in misura proporzionale, ovvero, nel secondo, in misura fissa.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 maggio esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 13388 onde nell’azione revocatoria ordinaria avente ad oggetto un bene in <em>trust</em>, lo stato soggettivo del terzo rilevante nel caso di un atto di disposizione patrimoniale a titolo oneroso è quello del beneficiario e non quello del <em>trustee</em>; il beneficiario è litisconsorte necessario esclusivamente nel caso dell’atto di disposizione patrimoniale a titolo oneroso.</p> <p style="text-align: justify;">Il 13 giugno esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 15460 che ribadisce il costante orientamento secondo cui è da escludere che il conferimento dei beni in <em>trust</em> dia luogo ad un reale trasferimento imponibile, perché contrario al programma negoziale di donazione indiretta per cui è stato predisposto e che prevede la temporanea preservazione del patrimonio a mezzo della sua segregazione fino al trasferimento vero e proprio a favore dei beneficiari. Sotto altro profilo, la Corte osserva che un <em>trust</em> ove non sia previsto alcun corrispettivo a carico del <em>trustee</em> non può definirsi “operazione a carattere patrimoniale” ai fini della tassazione in misura proporzionale in quanto, in simili circostanze, il concetto di patrimonialità non può essere inteso in senso civilistico (quale mera suscettibilità di valutazione economica della prestazione) ma richiede necessariamente la previsione di un corrispettivo in danaro.</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 agosto esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 21366 onde, nel valutare la capacità economica di un soggetto ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento del figlio, il giudice deve tenere conto anche dei beni facenti parte del trust costituito dal medesimo soggetto.</p> <p style="text-align: justify;">Il 30 agosto esce la sentenza della III sezione della Cassazione n. 21385 in tema di effetti della trascrizione della vendita di un bene appartenente a fondo patrimoniale. La Corte ricorda che gli effetti dell’atto dispositivo non sono opponibili al terzo, se per lui pregiudizievoli, fintantoché l’atto non risulti dai pubblici registri immobiliari; tuttavia, il terzo può avvalersi di quegli effetti, se per lui favorevoli.</p> <p style="text-align: justify;">Il 26 settembre esce la sentenza della III sezione penale della Cassazione n. 41704 che conferma l’orientamento secondo cui il fondo patrimoniale può integrare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Richiamando i propri precedenti la Corte afferma che l’art. 11 d.lgs. 74/2000, nel punire il compimento di atti fraudolenti, fa riferimento a qualsiasi atto che, non diversamente dall’alienazione simulata, sia idoneo a presentare ai terzi una realtà (la riduzione del patrimonio del debitore) non corrispondente al vero, mettendo a repentaglio o comunque rendendo più difficoltosa l’azione di recupero del bene in tal modo sottratto alle ragioni dell’Erario.</p> <p style="text-align: justify;">Il 28 novembre esce la sentenza della II sezione penale della Cassazione n. 53373 che spiega come il negozio fiduciario si realizzi mediante il collegamento di due negozi: l'uno di carattere esterno, realmente voluto e con efficacia verso i terzi, e l'altro di carattere interno - pure esso effettivamente voluto - ed obbligatorio, diretto a modificare il risultato finale del primo negozio, ed in virtù del quale il fiduciario è tenuto a ritrasferire il bene al fiduciante o ad un terzo. Pertanto, la intestazione fiduciaria di titoli, integra gli estremi della interposizione reale di persona, per effetto della quale l'interposto acquista - a differenza che nel caso di interposizione fittizia o simulata - la titolarità delle azioni o delle quote, pur essendo, in virtù del rapporto interno con l'interponente di natura obbligatoria, tenuto ad osservare un certo comportamento, convenuto in precedenza con il fiduciante, nonché a ritrasferire i titoli a quest'ultimo ad una scadenza convenuta, ovvero al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario. Pertanto, non integra il reato di appropriazione indebita la condotta dell’intestatario fiduciario che non risponda all’obbligo di ritrasferire i beni immateriali intestati al fiduciante alla data di scadenza stabilita, dato che il fiduciario stesso ha la titolarità reale dei beni.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>2019</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il 17 gennaio esce l’ordinanza della V sezione della Cassazione n. 1131 che, con riferimento alla tassazione dei vincoli di destinazione e segnatamente dei trust, la reintrodotta disciplina della imposta sulle successioni e donazioni pone una serie di problemi interpretativi poiché, a differenza di quanto originariamente previsto dal citato decreto, il quale si riferiva unicamente alle successioni e donazioni, la novella legislativa ha esteso il presupposto impositivo, sottoponendoli a tassazione, ai trasferimenti a titolo gratuito, nonché alla costituzione dei vincoli di destinazione.</p> <p style="text-align: justify;">L'imposizione si riferisce quindi agli atti "a titolo gratuito", e non più solo alle "liberalità" di cui all'art. 1, d.lgs. n. 346 del 1990, cosa che consente di argomentare che il presupposto del tributo vada ravvisato, più che nell'animus donandi, nell'accrescimento patrimoniale (effettivo) del beneficiario, ottenuto senza alcuna contropartita.</p> <p style="text-align: justify;">Dunque, accanto ai trasferimenti a causa di morte o per donazione (già presenti nell'art. 1 del d.lgs. n. 346 del 1990 e della cui idoneità a procurare un incremento del patrimonio dell'erede o del donatario non si è mai dubitato), l'imposta comprende il trasferimento di beni e diritti a titolo gratuito, nonché la costituzione di vincoli di destinazione, fattispecie queste ultime senz'altro distinte, la prima delle quali individua comunque attribuzioni patrimoniali, che si risolvono cioè in un incremento della sfera economica del soggetto che acquista il bene o diritto, ancorché non accompagnate da un intento liberale, mentre la seconda, che qui interessa più da presso, ad avviso dell'Agenzia delle Entrate, integrerebbe immediatamente il presupposto impositivo, in quanto l'effetto segregativo, tipico degli atti costitutivi di vincoli di destinazione e funzionale al (successivo) trasferimento dei beni vincolati a favore di soggetti diversi dal disponente, sarebbe di per sé espressione di capacità contributiva, "ancorché non determini (o non determini ancora) alcun vantaggio economico diretto per qualcuno", ed a maggior ragione alcun trasferimento.</p> <p style="text-align: justify;">Invero, nell'ambito concettuale dei "vincoli di destinazione" devono essere ricondotti non solo gli "atti di destinazione" di cui all'art. 2645-ter c.c., ma qualunque fattispecie prevista dall'ordinamento tesa alla costituzione di patrimoni vincolati ad uno scopo, ed in tal senso si è espressa anche l'Amministrazione finanziaria, secondo la quale per vincoli di destinazione si intendono "i negozi giuridici mediante i quali determinati beni sono destinati alla realizzazione di un interesse meritevole di tutela da parte dell'ordinamento, con effetti segregativi e limitativi della disponibilità dei beni medesimi".</p> <p style="text-align: justify;">Ritiene quindi il collegio che il conferimento di beni e diritti in trust non integra di per sé un trasferimento imponibile e, quindi, rappresenta un atto generalmente neutro, che non dà luogo ad un trapasso di ricchezza suscettibile di imposizione indiretta, per cui si deve fare riferimento non già alla - indeterminata nozione di utilità economica, della quale il costituente, destinando, dispone, ma a quella di effettivo incremento patrimoniale del beneficiario.</p> <p style="text-align: justify;">Infatti, la novellata struttura del tributo de quo mantiene intatta una disciplina unitaria delle pur distinte ipotesi impositive, le quali ruotano tutte intorno all'unico indice di capacità contributiva dato dall'attualità ed effettività dell'incremento patrimoniale, da valutarsi sempre nella prospettiva causale unitaria dell'istituto civilistico del trust, mediante la individuazione puntuale del momento e del soggetto che manifesta la capacità contributiva, perché l'arricchimento non può dirsi attuale sino a quando il programma del trust non abbia avuto esecuzione.</p> <p style="text-align: justify;">Del resto, la possibilità di costituzione di vincoli di destinazione con, e senza, effetto traslativo, è generalmente ammessa sia in dottrina, che in giurisprudenza, ed anche nella situazione presa in considerazione dall'art. 2, comma 47, d.l. n. 262 del 2006, come presupposto dell'imposta, se pur in senso oggettivo, rivela necessariamente la capacità contributiva del soggetto passivo, cioè la sua possibilità economica di contribuire alla spesa pubblica, perché se è vero che l'art. 53 Cost. non contiene un elenco degli indici di capacità contributiva, esso comunque richiede l'esistenza di un collegamento del presupposto d'imposta con fatti e situazioni espressivi di potenzialità economica.</p> <p style="text-align: justify;">Alla luce delle considerazioni che precedono, un'indiscriminata imponibilità degli atti costitutivi di vincoli di destinazione non appare espressione di una ragionevole discrezionalità, non arbitrio, del legislatore, per cui la interpretazione normativa sollecitata dalla odierna ricorrente risulta non percorribile, perché se per ritenere integrato il presupposto d'imposta occorre riferirsi soltanto al perfezionamento del negozio costitutivo del vincolo, non è comprensibile la collocazione sistematica della "nuova" imposta accanto alle imposte sui trasferimenti di beni e diritti mortis causa o con animus donandi ed ora anche a titolo gratuito, e perché, se è vero che il diritto tributario è qualificante, in quanto adegua alle proprie esigenze le fattispecie normative appartenenti ad altro ramo dell'ordinamento giuridico, tuttavia, il principio dell'unità del diritto impone comunque la non alterazione della struttura sostanziale delle fattispecie normative considerate.</p> <p style="text-align: justify;">In conclusione, la consapevolezza del legislatore delle problematicità insite nel sottoporre a tassazione uno strumento negoziale tipologicamente assai variegato, quale appunto è il trust, segna inevitabilmente i limiti dell'intervento novellatore, che non si confronta con la complessità del fenomeno governato, per cui non si può trarre dallo scarno disposto dell'art. 2, comma 47, d.l. n. 262 del 2006, il fondamento normativo di un'autonoma imposta, intesa a colpire ex se la costituzione dei vincoli di destinazione, indipendentemente da qualsivoglia evento traslativo - in senso proprio - di beni e diritti, pena il già segnalato deficit di costituzionalità della novella così letta.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 gennaio esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 1260 onde qualora il vincolo di destinazione è stato costituito a favore di tutti i creditori del concordato non è possibile ipotizzare la lesione della <em>par condicio</em> nei confronti di alcuno dei creditori. I creditori del concordato sono tutti i creditori della società, compresi quelli prededucibili e non è dato ipotizzare, ai sensi dell'art. 167 I. fall.,che, una volta proposto il concordato di una società, possano sorgere nuovi crediti verso l'ente assoggettato alla procedura che non siano "creditori del concordato preventivo".</p> <p style="text-align: justify;">Peraltro, deve ritenersi certamente meritevole di tutela il fine perseguito dall'impresa che, anteriormente al deposito del ricorso per concordato preventivo, costituisca sul patrimonio un vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. al fine di consentire la soddisfazione proporzionale dei creditori non muniti di cause di prelazione. Detta iniziativa consente, infatti, la conoscibilità dello stato di crisi e preserva il patrimonio da eventuali atti di distrazione o da iniziative destinate ad avvantaggiare solo alcuni creditori in pregiudizio degli altri.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 21 gennaio esce la sentenza della III sezione penale della Cassazione n. 2569 onde commette il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte il contribuente che costituisce il <em>trust</em> dopo la notifica di alcune cartelle di pagamento, essendo in tal caso palese l’intento fraudolento del comportamento del privato che, nonostante la conoscenza del debito, cerca di limitare la propria garanzia patrimoniale.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 18 marzo esce l’ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 7621 che, preliminarmente, riepiloga gli elementi costitutivi del trust: il quale (tra le ultime, in tali espressi termini, Cass. 29/05/2018, n. 13388, ove più ampi riferimenti), istituto di diritto straniero che può dirsi recepito nell’ordinamento italiano in forza e nei limiti della L. 16 ottobre 1989, n. 364 ("Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, adottata a L’Aja il 10 luglio 1985"), resta regolato dalla legge scelta dal costituente (art. 6, o da quella che con esso ha più stretti legami - art. 7), secondo i requisiti contemplati dalla stessa legge di ratifica, imperniandosi sul rapporto costituito dal disponente (o settlor), in base al quale i beni vengono posti sotto il controllo - attraverso la formale titolarità dei medesimi - di un trustee nell’interesse del beneficiario o per un fine specifico; con la peculiarità che i beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee, pur essendo a lui intestati, mentre il trustee deve amministrarli e disporne secondo il programma del trust (art. 2).</p> <p style="text-align: justify;">Dal punto di vista processuale, il trust - di cui è costantemente esclusa qualsiasi entificazione, risolvendosi in un insieme di rapporti giuridici facenti capo al trustee (o, più compiutamente, un insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato e formalmente intestati al trustee, che è l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi non quale legale rappresentante, ma come colui che dispone del diritto: Cass. 09/05/2014, n. 10105) - è stato preso in considerazione - tra l’altro - ai fini dell’individuazione delle parti necessarie nelle azioni revocatorie che quello hanno ad oggetto. Al riguardo, da un lato la definizione recepita - e sopra sommariamente ricordata - dell’istituto ha consentito di escludere sempre e comunque il beneficiario dal novero dei litisconsorti necessari, identificando quale unico convenuto necessario il trustee (Cass. 03/08/2017, n. 19376, secondo la quale l’interesse alla corretta amministrazione del patrimonio in trust non integra una posizione di diritto soggettivo attuale in favore dei beneficiari ai quali siano attribuite dall’atto istitutivo soltanto facoltà, non connotate da realità, assoggettate a valutazioni discrezionali del trustee, restando quest’ultimo l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi); dall’altro lato, però, si è esteso il litisconsorzio al beneficiario, talvolta - sia pure con più sobria affermazione - sic et simpliciter, talaltra, con più estesa analisi dei presupposti, almeno ove si tratti di trust a titolo oneroso o gratuito ed a seconda dell’interesse del beneficiario e del disponente, in base alla corretta premessa che l’estensione del litisconsorzio necessario è proiezione degli elementi costitutivi della fattispecie e con articolata disamina dell’istituto.</p> <p style="text-align: justify;">Non risulta esaminata, almeno ex professo o con particolare approfondimento, la questione della legittimazione, oltretutto se necessaria o meno, del beneficiario nei casi di azione di nullità del trust: la quale va allora affrontata in questa sede, ma al limitato fine di valutare i presupposti per applicare alla fattispecie la deroga prevista dall’art. 6, n. 1, della Convenzione di Lugano del 2007 alla regola generale di devoluzione della giurisdizione al giudice del domicilio del convenuto, essendo pacifico che il trustee convenuto ha domicilio nella Confederazione elvetica; in particolare, a tal fine va premesso che, nell’interpretazione ed applicazione di tutte le disposizioni della Convenzione, i giudici dei Paesi aderenti (e quindi anche quelli italiani e la Corte) devono, ai sensi dell’art. 1 del Protocollo 2 allegato a detta Convenzione, tenere "debitamente conto dei principi definiti dalle pertinenti decisioni dei giudici degli Stati vincolati dalla Convenzione e della Corte di giustizia delle Comunità Europee in relazione a dette disposizioni o a disposizioni analoghe della convenzione di Lugano del 1988 o degli atti normativi di cui all’art. 64, paragrafo 1, della presente convenzione" (cioè il Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, e successive modifiche, la Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, firmata a Bruxelles il 27 settembre 1968, il Protocollo relativo all’interpretazione di detta Convenzione da parte della Corte di giustizia delle Comunità Europee, firmato a Lussemburgo il 3 giugno 1971, modificati dalle Convenzioni di adesione a detta Convenzione e a detto Protocollo da parte degli Stati aderenti alle Comunità Europee, nonché l’accordo tra la Comunità Europea e il Regno di Danimarca concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, firmato a Bruxelles il 19 ottobre 2005). Ne consegue che i principi di elaborazione Eurounitaria sulla corretta interpretazione ed applicazione dell’art. 6 della Convenzione di Lugano sono gli stessi elaborati quanto all’art. 6 del Regolamento 44/2001.</p> <p style="text-align: justify;"> La regola generale posta dalla Convenzione di Lugano (del 1988 come del 2007), sul punto di tenore identico a quella corrispondente del Regolamento Bruxelles I (cioè il 44/01) ed a quella del successivo Regolamento Bruxelles I-bis (cioè il 1215/12), è la determinazione della giurisdizione in base al luogo del domicilio del convenuto: sicché costituisce un’eccezione o deroga, da interpretare in modo rigoroso, la successiva previsione dell’art. 6. In particolare, affinché due decisioni possano essere considerate incompatibili, ai sensi dell’art. 6, punto 1, del regolamento n. 44/2001, non è sufficiente che sussista una divergenza nella soluzione della controversia, essendo inoltre necessario che tale divergenza si collochi nel contesto di una stessa fattispecie di fatto e di diritto; sicché solo nell’ipotesi di due ricorsi proposti contro una pluralità di convenuti, aventi oggetto e titolo diversi e tra i quali non intercorra una relazione di subordinazione o d’incompatibilità, non è sufficiente che l’eventuale accoglimento di uno di essi sia potenzialmente idoneo a riflettersi sull’entità dell’interesse a tutela del quale l’altra domanda è stata proposta affinché vi sia un rischio di decisioni incompatibili ai sensi di tale disposizione. Infatti, la regola dell’art. 6, paragrafo 1, n. 1, del Regolamento (e quindi, per quanto ricordato al precedente punto 32, della Convenzione di Lugano) dev’essere interpretata "nel senso che la circostanza che domande proposte nei confronti di una pluralità di convenuti abbiano fondamenti normativi diversi non osta all’applicazione di tale disposizione" e comunque "si applica qualora le domande promosse nei confronti di più convenuti siano connesse al momento del loro esperimento, vale a dire qualora sussista un interesse ad un’istruttoria e ad una pronuncia uniche per evitare il rischio di soluzioni eventualmente incompatibili se le cause fossero decise separatamente, senza che sia inoltre necessario verificare ulteriormente che dette domande non siano state presentate esclusivamente allo scopo di sottrarre uno di tali convenuti ai giudici dello Stato membro in cui egli ha il suo domicilio". Ma neppure (p. 66 delle conclusioni dell’Avvocato Generale nel medesimo caso Freeport cit.) la prova dell’intento fraudolento o abusivo dell’attore potrebbe però trarsi dal semplice fatto che l’azione diretta nei confronti del convenuto domiciliato nello Stato membro del giudice adito appaia infondata, dovendo invece quest’ultima apparire, al momento della relativa introduzione, manifestamente priva di ogni fondamento al punto da risultare artificiosa ovvero sprovvista di ogni interesse reale per l’attore: la giurisprudenza della Corte di Giustizia è stata applicata dalla Cassazione italiana con rigore, essendo stata esclusa la deroga di cui all’art. 6, comma 1, n. 1 del Regolamento quando la prospettazione stessa della domanda fosse artificiosamente finalizzata a sottrarre la controversia al giudice precostituito per legge. In definitiva, tema di giurisdizione, l’art. 6, n. 1, del regolamento comunitario n. 44/2001 (oggi sostituito dall’art. 8, n. 1, di quello n. 1215/2012) va interpretato restrittivamente, integrando una regola speciale in deroga a quella generale di cui al suo precedente art. 2, per cui non può essere esteso oltre le ipotesi previste: sicché una persona domiciliata in uno Stato membro non può essere evocata in giudizio in altro Stato membro, ove è domiciliato uno degli altri convenuti, qualora le domande abbiano oggetto e titolo diversi, siano tra loro compatibili, e non una subordinata all’altra, e non sussista il rischio di decisioni incompatibili, ma solo la possibilità di una divergenza nella loro soluzione o la potenziale idoneità dell’accoglimento di una di esse a riflettersi indirettamente sull’entità dell’interesse sotteso all’altra.</p> <p style="text-align: justify;">Inoltre, il coinvolgimento di un convenuto ulteriore vale senz’altro a radicare la giurisdizione del giudice italiano quando sia unitaria l’azione intrapresa (come nell’evenienza della revocatoria ordinaria di cui agli artt. 2901 c.c. e ss.: Cass. Sez. U. ord. 03/11/2017, n. 26145), ma non anche quando sia chiaro il suo carattere pretestuoso, cioè la sua esclusiva finalizzazione allo spostamento della competenza giurisdizionale per ragioni di connessione.</p> <p style="text-align: justify;">Lo stato della giurisprudenza nazionale non consente di qualificare come pacifica l’esclusione della legittimazione passiva del beneficiario nelle azioni di nullità del trust, visto che quella è sì negata, ma soltanto secondo un’impostazione interpretativa maggioritaria e comunque sostanzialmente nei rapporti coi terzi, impostazione che, nella relativa assolutezza, altre pronunce iniziano a mettere in dubbio per la configurabilità di una posizione lato sensu creditoria in capo al beneficiario o per la necessità almeno di approfondire e verificare la natura del trust ed in particolar modo se esso sia stato istituito a titolo oneroso. Al contrario, nella presente fattispecie si tratta, con tutta evidenza, di domande rivolte contro più soggetti comunque tutti - e solo - parti dell’unitario complesso rapporto di trust, le cui posizioni giuridiche soggettive (nonostante la qualificazione di quello come trust discrezionale, oltre che irrevocabile, per l’ampiezza sostanzialmente priva di qualunque vincolo dei poteri loro riconosciuti ai punti 1, 8, 9 e 11 dell’atto costitutivo ed all’art. 1 del relativo allegato 1) sono quindi indissolubilmente avvinte e condizionate dalla contestazione della validità genetica della stessa costituzione del rapporto, anziché di quella della sua opponibilità ai terzi; il titolo è, pertanto, unitario e sussiste un’evidente vincolo di interdipendenza tra la declaratoria di nullità e quella di restituzione dei beni ai quali, se non altro in base al complesso meccanismo di operatività del trust da verificare nel suo concreto atteggiarsi nella fattispecie ad opera del giudice munito di giurisdizione, la beneficiaria potrebbe avere un’aspettativa giuridicamente tutelabile; infatti, nel caso fosse accolta la domanda che mira a travolgere in radice il trust verrebbe meno qualunque posizione giuridica soggettiva, di qualsivoglia specie, anche in capo a quella. Ed atterrà allora al merito - senza potere influenzare la giurisdizione, visto che si tratta di indagine a compiersi e di possibilità non escludibile a priori - tanto la verifica o l’accertamento della sussistenza o meno di un diritto della beneficiaria, quanto la valutazione della dichiarazione od ammissione di questa di insussistenza di pretese comunque in base al trust di cui si mette qui in discussione la stessa validità: come pure al merito atterrà la valutazione della legge in concreto applicabile in forza, nel caso di specie, dell’art. 10.1 dell’atto istitutivo del trust, nonché degli effetti delle relative previsioni.</p> <p style="text-align: justify;">Nel caso di specie, va dichiarata la giurisdizione del giudice italiano, in applicazione dei seguenti principi di diritto: in caso di trust (nella specie, discrezionale ed irrevocabile), costituito in Stato estero (quale le Isole Cayman) ove non trovano applicazione nè la Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, nè i Regolamenti (CE) 44/01 o (UE) 1215/12, nè le Convenzioni di Lugano del 16 settembre 1988 o del 30 ottobre 2007, da una cittadina italiana con individuazione del trustee in una società con domicilio in quello Stato e dei beneficiari in persone fisiche o giuridiche con domicilio in Italia, la clausola negoziale di proroga della giurisdizione in favore dei giudici dello Stato medesimo per le controversie in materia di administration del trust non si estende a quella in tema di validità del rapporto nel suo complesso considerato; ai sensi dell’art. 6, n. 1, della Convenzione di Lugano del 2007, di tenore identico all’art. 6, n. 1, del Regolamento (CE) n. 44/01 (ora trasfuso nell’art. 8, n. 1, del Regolamento UE 1215/12 e che, in caso di pluralità di convenuti, fonda la giurisdizione del giudice del luogo di domicilio di uno di questi, alla condizione che tra le domande esista un nesso così stretto da rendere opportuna una trattazione unica e una decisione unica onde evitare il rischio di giungere a decisioni incompatibili in caso di trattazione separata), sussiste la giurisdizione del giudice italiano sulla domanda proposta dalla disponente o settlor nei confronti del trustee successivo di un trust costituito all’estero, persona giuridica avente domicilio nella Confederazione elvetica, e della beneficiaria avente domicilio in Italia, non potendo definirsi artificiosa, nè volta in modo pretestuoso al solo fine di provocare lo spostamento della giurisdizione, l’instaurazione di un unitario giudizio per fare valere l’invalidità della costituzione del rapporto tra le parti del trust, questo integrando un titolo unitario e sussistendo un’evidente vincolo di interdipendenza tra la declaratoria di nullità e la domanda di restituzione dei beni ai quali la beneficiaria potrebbe avere un’aspettativa giuridicamente tutelabile.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 7 giugno esce la sentenza della V sezione della Cassazione n. 15459 secondo cui l'art.170 c.c., nel disciplinare le condizioni di ammissibilità dell'esecuzione sui beni costituiti nel fondo patrimoniale, detta una regola applicabile anche all'iscrizione di ipoteca non volontaria di cui all'art.77 d.P.R. n.602 del 1973, sicché tale iscrizione ipotecaria sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale è legittima solo se l’obbligazione tributaria sia strumentale ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l'estraneità a tali bisogni, gravando in capo al debitore opponente l'onere della prova non solo della regolare costituzione del fondo patrimoniale, e della sua opponibilità al creditore procedente, ma anche della circostanza che il debito sia stato contratto per scopi estranei alle necessità familiari, avuto riguardo al fatto generatore dell'obbligazione e a prescindere dalla natura della stessa.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 4 settembre esce l’ordinanza sentenza della I sezione della Cassazione n. 22069 onde la costituzione del fondo patrimoniale (art. 167 cod. civ.) è funzionale a far fronte ai bisogni della famiglia, intesi come esigenze di vita dei suoi componenti considerate anche con una certa ampiezza, ricomprendendo in esso, oltre alle esigenze primarie attinenti alla vita della famiglia (mantenimento, abitazione, educazione della prole e dei componenti il nucleo, cure mediche, ecc.), in conformità con il potere di indirizzo della vita familiare in capo ai coniugi, anche i bisogni relativi allo sviluppo stesso della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa.</p> <p style="text-align: justify;">La norma non si riferisce alla così detta famiglia parentale bensì alla famiglia nucleare; in essa sono compresi i figli legittimi, naturali ed adottivi dei coniugi, minori e maggiorenni non autonomi patrimonialmente, nonché, secondo la dottrina, gli affiliati ed i minori in affidamento temporaneo; in quest'ultimo caso in considerazione del fatto che i coniugi sono tenuti al mantenimento di tali soggetti.</p> <p style="text-align: justify;">Al riguardo occorre quindi considerare che la disciplina del fondo patrimoniale, istituto introdotto dalla legge di Riforma del diritto di famiglia in sostituzione del preesistente patrimonio familiare, non risulta esaustiva, avendo il legislatore ad essa dedicato soltanto cinque articoli, all'interno dei quali non sono puntualmente delineate e distinte le diverse fasi della costituzione, della gestione, della modificazione e dell'estinzione del fondo.</p> <p style="text-align: justify;">Non solo, ma nella disciplina adottata sono ravvisabili profili di dubbia coerenza fra i quali, per la parte di interesse, va evidenziato quello individuabile nella disposta attenuazione dei vincoli di inalienabilità ed inespropriabilità dei beni, rispetto alla precedente disciplina dettata in tema di patrimonio familiare (art. 167 c.c., comma 2 nella pre vigente formulazione).</p> <p style="text-align: justify;">Tale attenuazione non risulta infatti in totale e assoluta sintonia con la funzione che il fondo è destinato a svolgere, incontestabilmente consistente nella istituzione di un patrimonio a sè (prescindendo in questa sede da ogni considerazione in ordine alla sua qualificazione come autonomo o separato), con vincolo di destinazione dei beni a far fronte ai bisogni della famiglia e ad adempiere alle eventuali obbligazioni sorte per il soddisfacimento della detta esigenza. Più precisamente i vincoli in questione sono individuabili rispettivamente nelle limitazioni nell'amministrazione e nell'alienazione dei beni del fondo indicate dall'art. 169 c. c. (in deroga alla regola generale dettata dall'art. 1379 c.c..), nonché in quella consistente nella previsione di inespropriabilita per alcuni crediti contemplata dall'art. 170 c. c. (in deroga all'art. 2740 c.c.) e costituiscono lo strumento attraverso il quale l'istituto realizza nel concreto la funzione economico – sociale che il legislatore ha inteso attribuirgli.</p> <p style="text-align: justify;">Invero, la ragione ispiratrice dell'istituto è individuabile nell'obiettivo di assicurare un sostegno patrimoniale alla famiglia e di realizzare una situazione di vantaggio per tutti i suoi diversi componenti: quanto alla posizione dei figli, due sono le disposizioni che, nel pur scarno apparato normativo dedicato all'istituto, vi fanno esplicito riferimento: l'art.169, primo comma, cod. civ., in tema di atti</p> <p style="text-align: justify;">di straordinaria amministrazione, secondo il quale, se non è stato espressamente consentito nell'atto di costituzione, non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare beni del fondo patrimoniale se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con l'autorizzazione concessa dal giudice, con provvedimento emesso in camera di consiglio, nei soli casi di necessità od utilità evidente». e l'art. 171 cod. civ., in tema di cessazione ex lege del fondo, secondo il quale la destinazione del fondo termina a seguito dell'annullamento o dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio. Se vi sono figli minori il fondo dura fino al compimento della maggiore età dell'ultimo figlio. In tale caso il giudice può dettare, su istanza di chi vi abbia interesse, norme per l'amministrazione del fondo. Considerate le condizioni economiche dei genitori e dei figli ed ogni altra circostanza, il giudice può altresì attribuire ai figli, in godimento o in proprietà, una quota dei beni del fondo.</p> <p style="text-align: justify;">Alla luce di tali disposizioni, se è vero che la costituzione del fondo non determina per ciò solo la perdita della proprietà dei singoli beni da parte dei coniugi che ne sono titolari e che gli stessi possono riservarsi nell'atto di costituzione la facoltà di alienazione, è pur vero che la detta istituzione (peraltro concretizzata per effetto di una libera scelta dalle parti) determina un vincolo di destinazione per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia (e quindi di tutti i suoi componenti, in essi compresi i figli), che il legislatore ha inteso assicurare proprio con la previsione di una serie di misure di sostegno in favore dei componenti più deboli, fra le quali particolarmente significativa risulta quella sopra citata per la quale, ricorrendone le prescritte condizioni, il giudice può attribuire in proprietà ai figli una quota dei beni (art. 171, terzo comma, cod. civ.), così legittimando, sostanzialmente, una espropriazione per tale causa.</p> <p style="text-align: justify;">Orbene la previsione di dette misure di protezione, anche ove ne sia prevista la derogabilità (art.169, primo comma, cod. civ.) è sintomatica del riconoscimento da parte del legislatore di un interesse qualificato in capo ai figli che risulta inconciliabile, perché intimamente in conflitto con la ratio normativa, con l'esclusione della legittimazione ad agire per far valere in giudizio il proprio interesse nella qualità di beneficiario del fondo nelle forme ordinarie e ad interloquire sulle opzioni operative eccedenti l'ordinaria amministrazione effettuate dai titolari del diritto di proprietà dei beni facenti parte del fondo, atteso che per i componenti del nucleo familiare non è certamente irrilevante la consistenza del patrimonio istituzionalmente destinato all'esclusivo soddisfacimento dei relativi bisogni.</p> <p style="text-align: justify;">Si deve quindi affermare che le disposizioni codicistiche a tutela del figlio, quali beneficiario del fondo, sono strumenti di protezione che non escludono, e quindi consentono, che il figlio sia anche legittimato ad agire in giudizio per far valere un proprio interesse in relazione agli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione.</p> <p style="text-align: justify;">Ciò vale anche per il figlio maggiorenne, ovvero divenuto maggiorenne nel corso del giudizio, come nel presente caso, non potendosi ritenere solo perciò che non abbia più interesse ad agire, in assenza di elementi da cui desumere che il figlio è uscito dalla famiglia ove il fondo patrimoniale non sia cessato ed egli ne continui a beneficiare.</p> <p style="text-align: justify;">Inoltre, la norma che autorizza la costituzione del fondo patrimoniale non pone alcuna limitazione in relazione all'età dei figli (art.167 cod. civ.): ciò si evince dal dato letterale e trova riscontro in una lettura sistematica delle norme che regolano la responsabilità genitoriale ed i diritti e doveri del figlio (art. 315 e ss., cod. civ.), la disciplina degli alimenti (art.433 cod. civ.).</p> <p style="text-align: justify;">Nell'ambito delle disposizioni che genitoriale il legislatore utilizza, di regola, il termine "figlio", salvo a precisare - laddove necessario - che la disposizione si riferisce al "figlio minore", ovvero ad indicare gli effetti del raggiungimento della maggiore età. In proposito va osservato che il diritto al mantenimento è previsto a favore del "figlio", senza alcuna limitazione, (art.315 bis cod. civ., 316 bis cod. civ.), anche se alla luce della elaborazione giurisprudenziale maturata soprattutto in caso di separazione e divorzio, il diritto del maggiorenne è circoscritto al caso in cui non abbia raggiunto l'autonomia economica: invero l'obbligo di mantenere il figlio non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma si protrae, qualora questi, senza sua colpa, divenuto maggiorenne, sia tuttavia ancora dipendente dai genitori; per altro verso è previsto, per il figlio minore, il divieto di abbandonare la casa di genitori (art.318 cod. civ.), anche se - significativamente - non si riscontra alcuna disposizione che limiti la convivenza del figlio maggiorenne presso la casa dei genitori.</p> <p style="text-align: justify;">Anche la disciplina del diritto agli alimenti, che riguarda i componenti della famiglia nucleare (ma non solo, ex art.433 cc), attribuisce la facoltà di richiedere gli alimenti, non in ragione dell'età, ma della ricorrenza dello stato di bisogno e della incapacità del richiedente a provvedere al proprio mantenimento (art.438 cc).</p> <p style="text-align: justify;">La previsione dello strumento di protezione per il minore, riconosciuto dell'artt. 169, primo comma, cod. civ., alla luce di questo quadro normativo, non osta a che un figlio che abbia raggiunto la maggiore età possa continuare ad essere beneficiato dal fondo patrimoniale ancora in essere, a maggior ragione se non sia emerso alcun elemento da cui desumere che lo stesso sia "economicamente autosufficiente" ed autonomo rispetto alla famiglia di origine, e che possa far valere il proprio interesse in via giudiziaria.</p> <p style="text-align: justify;">Anche la previsione dell'art.171 cod. civ. non può condurre a diversa conclusione. Il riconoscimento dell'efficacia ultrattiva del fondo, qualora vi siano figli minori, fino al raggiungimento della maggiore età di questi, nel caso in cui la destinazione sarebbe dovuta terminare ex lege/ a seguito dell'annullamento o dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio, costituisce un'altra fattispecie di tutela rafforzata a favore del soggetto debole che, per la sua specificità, non consente affatto di dedurre, al contrario che il raggiungimento della maggiore età del figlio determini, nel diverso ed ordinario caso in cui il fondo patrimoniale sia in essere, la sua sostanziale estromissione, di guisa che permane inalterato l'interesse a che i beni restino vincolati ai bisogni della famiglia.</p> <p style="text-align: justify;">Arriva pertanto la Corte ad affermare il seguente principio di diritto: i figli, quali beneficiari del fondo patrimoniale, sono legittimati ad agire in giudizio in relazione agli atti dispositivi eccedenti l'ordinaria amministrazione che incidano sulla destinazione dei beni del fondo.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 17 settembre esce l’ordinanza della I sezione della Cassazione n. 23093 onde il negozio fiduciario rientra nella categoria più generale dei negozi indiretti, caratterizzati dal fatto di realizzare un determinato effetto giuridico non in via diretta, bensì indiretta.</p> <p style="text-align: justify;">Il negozio, che è realmente voluto dalle parti, viene infatti posto in essere in vista di un fine pratico diverso da quello suo tipico, e corrispondente in sostanza alla funzione di un negozio diverso; che, pertanto, l'intestazione fiduciaria di un bene comporta un vero e proprio trasferimento in favore del fiduciario, limitato però dagli obblighi stabiliti inter partes, compreso quello del trasferimento al fiduciante, in cui si ravvisa il contenuto del <em>pactum fiduciae</em>.</p> <p style="text-align: justify;">Ne consegue come necessario corollario che se il <em>pactum fiduciae</em> riguarda beni immobili, occorre che esso risulti da un atto in forma scritta <em>ad substantiam</em>, atteso che esso è sostanzialmente equiparabile al contratto preliminare per il quale l'art. 1351 cod. civ. impone la stessa forma del contratto definitivo e per tale motivo l'esistenza del patto scritto non può semplicemente desumersi da altri documenti scritti che, sia pure implicitamente, ne lasciano solo presumere l'esistenza.</p> <p style="text-align: justify;">Invero il <em>pactum fiduciae</em> con il quale il fiduciario si obbliga a modificare la situazione giuridica a lui facente capo a favore del fiduciante o di altro soggetto da costui designato, richiede, qualora riguardi beni immobili, la forma scritta <em>ad substantiam</em> e la prova per testimoni di tale patto è sottratta alle preclusioni stabilite dagli artt. 2721 e segg. cod. civ. - sempre che non comporti, il trasferimento, sia pure indiretto, di beni immobili - soltanto nel caso in cui detto patto sia volto a creare obblighi connessi e collaterali rispetto al regolamento contrattuale, al fine di realizzare uno scopo ulteriore rispetto a quello naturalmente inerente al tipo di accordo, senza direttamente contraddire il contenuto espresso di tale regolamento.</p> <p style="text-align: justify;">Qualora, invece, il patto si ponga in antitesi con quanto risulta altrimenti dal contratto, la mera qualificazione dello stesso come fiduciario non è sufficiente ad impedire l'applicabilità delle disposizioni che vietano la prova testimoniale dei patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 10 ottobre esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 25423 che ribadisce il consolidato orientamento secondo cui l'atto di costituzione del fondo patrimoniale, anche se compiuto da entrambi i coniugi, è un atto a titolo gratuito e come tale soggetto ad azione revocatoria ordinaria ai sensi dell'articolo 2901 c.c., a condizione che sussista la mera conoscenza del pregiudizio arrecato ai creditori.</p> <p style="text-align: justify;">In particolare, la costituzione del fondo patrimoniale per fronteggiare i bisogni della famiglia, anche qualora effettuata da entrambi i coniugi, non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un'attribuzione in favore dei disponenti. Esso, pertanto, è suscettibile di revocatoria, a norma dell'art. 64 I.fall., salvo che si dimostri l'esistenza, in concreto, di una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale ed il proposito del <em>solvens </em>di adempiere unicamente a quel dovere mediante l'atto in questione.</p> <p style="text-align: justify;">Negli stessi termini è stato precisato che l'istituzione di trust familiare (nella specie, per fare fronte alle esigenze di vita e di studio della prole) non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura - ai fini della revocatoria ordinaria - un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un'attribuzione in favore dei disponenti.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 15 ottobre esce l’ordinanza della III sezione della Cassazione n. 25926 onde oggetto dell'azione revocatoria non può essere l'atto istitutivo del trust, che di per sé stesso non ha effetti dispositivi, ma il conseguente atto di disposizione con cui i beni sono trasferiti al fiduciario (trustee) o posto sotto il controllo dello stesso, oppure segregati nel patrimonio del disponente, nell'interesse di un beneficiario o per un fine specifico, come precisa l'art. 2, comma 2, Convenzione de L'Aja.</p> <p style="text-align: justify;">L'atto istitutivo di trust è l'atto con il quale il disponente esprime la volontà di costituire un trust; l'atto dispositivo, invece, è l'atto con il quale il disponente trasferisce, a titolo gratuito, i beni in trust al trustee.</p> <p style="text-align: justify;">Appare condivisibile l'impostazione di fondo della sentenza che supera la tesi che ricava la soluzione della non revocabilità dell'atto istitutivo del trust in via diretta - ovvero automatica - dalla affermazione che trattasi di atto sprovvisto di carattere traslativo, rilevando che, invece, tale funzione è svolta, nel contesto della complessiva operazione di trust, da atto successivo e conseguente.</p> <p style="text-align: justify;">In effetti, la constatazione che, nel trust, dispositivo è l'atto col quale viene intestato al trustee il bene conferito in trust non comporta che la relativa domanda revocatoria debba essere necessariamente indirizzata negli immediati confronti di quest'atto; e non possa, per ciò stesso, essere utilmente proposta pure nei confronti dell'atto istitutivo del trust. In realtà, nel caso in cui all'istituzione del trust abbia fatto poi seguito l'effettiva intestazione del bene conferito al trustee, la domanda di revocatoria, che assume ad oggetto l'atto istitutivo, appare comunque idonea a produrre l'esito di inefficacia (dell'atto dispositivo) a cui propriamente tende la predetta azione (ove la dichiarazione di inefficacia potesse essere emessa anche in assenza dell'effettiva esistenza di un atto dispositivo, per contro, si fuoriuscirebbe senz'altro dalla funzione di conservazione patrimoniale che risulta specificamente connotare, nel sistema del codice civile, come ripreso anche nella sede della normativa fallimentare, lo strumento dell'azione revocatoria).</p> <p style="text-align: justify;">Per constatare l'indicata idoneità, è sufficiente considerare che l'atto di trasferimento e intestazione del bene conferito al trustee non risulta essere atto isolato e autoreferente. Nella complessa dinamica di un'operazione di trust, lo stesso si pone, per contro, non solo come atto conseguente, ma prima ancora come atto dipendente dall'atto istitutivo. E' in quest'ultimo atto, cioè, che l'atto dispositivo recupera la sua ragion d'essere e causa (in ipotesi) giustificatrice.</p> <p style="text-align: justify;">È del resto corrente osservazione in letteratura che il trustee risulta titolare di un «ufficio», o di una «funzione»; e che, quindi, è proprietario non già nell'interesse proprio, bensì nell'interesse altrui: secondo i termini e i modi volta a volta appunto consegnatigli dell'atto istitutivo. La peculiare proprietà del trustee non potrebbe perciò «sopravvivere» all'inesistenza, o al caducarsi, dell'atto che viene nel concreto a conformare tale diritto. L'inefficacia dell'atto istitutivo, come prodotta dall'esito vittorioso di un'azione revocatoria, reca con sé, dunque, pure l'inefficacia dell'atto dispositivo. La domanda di revoca dell'atto istitutivo viene, in altri termini, a colpire il fenomeno del trust sin dalla sua radice.</p> <p style="text-align: justify;">* * *</p> <p style="text-align: justify;">Il 29 novembre esce l’ordinanza della VI sezione della Cassazione n. 31227 che ribadisce il principio di diritto secondo cui ella fideiussione per obbligazione futura l'onere del creditore, previsto dall'art. 1956 cod. civ., di richiedere l'autorizzazione del fideiussore prima di far credito al terzo, le cui condizioni patrimoniali siano peggiorate dopo la stipulazione del contratto di garanzia, assolve alla finalità di consentire al fideiussore di sottrarsi, negando l'autorizzazione, all'adempimento di un'obbligazione divenuta, senza sua colpa, più gravosa.</p> <p style="text-align: justify;">I presupposti di applicabilità dell'art. 1956 cod. civ. non ricorrono allorché nella stessa persona coesistano le qualità di fideiussore e di legale rappresentante della società debitrice principale, giacché in tale ipotesi la richiesta di credito da parte della persona obbligatasi a garantirlo comporta di per sé la preventiva autorizzazione del fideiussore alla concessione del credito.</p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Questioni intriganti</strong></p> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>In cosa consistono e quali problemi pongono i c.d. patrimoni “<em>separati</em>” o destinati?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>nella forma <strong>uni-soggettiva</strong>, si tratta di un <strong>patrimonio “<em>destinato</em>” </strong>ad un<strong> dato scopo</strong>, e come tale “<strong><em>separato</em></strong>” rispetto al <strong>patrimonio generale</strong> del soggetto che ha la <strong>disponibilità</strong>, e la <strong>formale titolarità</strong>, di <strong>entrambi</strong> i compendi patrimoniali, vale a dire tanto di quello <strong>generale</strong> che di quello <strong>separato</strong>;</li> <li>la <strong>sfera giuridica</strong> di riferimento è dunque <strong>soggettivamente imputabile</strong> ad <strong>un medesimo soggetto</strong>;</li> <li>all’interno di tale <strong>sfera giuridica “<em>soggettiva</em>” unitaria</strong>, piuttosto che isolarsi <strong>un solo patrimonio</strong>, se ne possono isolare <strong>almeno due</strong>, ferma appunto la <strong>medesima identità del soggetto</strong> (giuridico considerato), vale a dire un <strong>patrimonio generale</strong> ed uno <strong>separato</strong> (e <strong>destinato ad uno scopo</strong>);</li> <li>si tratta di una fattispecie che viene <strong>eccezionalmente autorizzata</strong> dalla <strong>legge</strong>, che ritiene il <strong>raggiungimento di determinati fini o scopi</strong> <strong>particolarmente meritevole di tutela</strong>;</li> <li>la caratteristica del <strong>patrimonio “<em>separato</em>”</strong> - rispetto a quello “<strong><em>generale</em></strong>” di un <strong>unico</strong> soggetto – è allora quella onde i beni che lo compongono sono <strong>destinati a realizzare uno specifico scopo</strong>, in funzione del quale <strong>la legge</strong> autorizza per l’appunto la ridetta <strong>separazione</strong>;</li> <li>il patrimonio <strong>è “<em>separato</em>”</strong> perché le <strong>vicende personali</strong> del relativo titolare formale <strong>non possono incidere</strong> su di esso, o possono incidervi <strong>limitatamente</strong>; ciò dacché si tratta di un <strong>patrimonio “<em>separato</em>”</strong> in quanto “<strong><em>destinato</em></strong>” al raggiungimento di un <strong>dato scopo</strong>, e <strong>i cui beni</strong> costituiscono dunque la <strong>garanzia patrimoniale</strong> per le <strong>sole obbligazioni contratte in vista di tale scopo</strong>, e non anche per le obbligazioni che al ridetto scopo <strong>siano estranee</strong>;</li> <li>se dunque viene <strong>contratta</strong> dal soggetto titolare del <strong>patrimonio separato</strong> una <strong>obbligazione</strong> <strong>funzionale</strong> al raggiungimento dello <strong>scopo divisato (giusta </strong>appunto<strong> destinazione patrimoniale</strong>), in caso di <strong>inadempimento</strong> di tale obbligazione i <strong>creditori</strong> possono <strong>aggredire</strong> i beni del ridetto <strong>patrimonio separato</strong> (e destinato); laddove invece l’obbligazione contratta dal soggetto sia <strong>estranea</strong> allo <strong>scopo divisato giusta separazione patrimoniale</strong>, i creditori potranno aggredire la <strong>sola massa dei beni</strong> del <strong>patrimonio “<em>generale</em>”</strong> di tale soggetto (debitore), ma <strong>non anche quelli</strong> facenti appunto parte del <strong>patrimonio separato</strong> (e <strong>destinato</strong> allo scopo protetto dalla <strong>legge</strong>);</li> <li>si configurano tuttavia anche ipotesi “<strong><em>pluri-soggettive</em></strong>”, in cui alla <strong>separazione dei patrimoni</strong> corrisponde anche una <strong>duplicità di soggetti</strong>, uno dei quali <strong>trasferisce i beni</strong> <strong>destinati allo scopo</strong> nel <strong>patrimonio dell’altro</strong>, che <strong>si obbliga a raggiungere</strong> con essi lo <strong>scopo divisato</strong>, come si verifica nel caso del <strong>negozio fiduciario</strong> (con rapporti <strong>tra fiduciante e fiduciario</strong>) e nella <strong>fondazione</strong> (con rapporti tra <strong>chi istituisce la fondazione e la dispone di beni</strong> e la <strong>fondazione</strong> stessa);</li> <li>in tema di <strong>causa</strong> si fronteggiano <strong>2 possibili alternative</strong>: i.1) la causa - tanto per il <strong>trasferimento dei beni</strong> quanto per la <strong>destinazione</strong> degli stessi <strong>allo scopo</strong> - è <strong>unica</strong>, onde il <strong>trasferimento</strong> dei beni (tra patrimoni) <strong>ha causa proprio (e solo)</strong> nella <strong>contestuale</strong> <strong>destinazione ad uno scopo</strong> (tesi dottrinale); i.2) il <strong>trasferimento (tra patrimoni)</strong> – massime in tema di <strong>fiducia</strong> - ha una <strong>propria causa idonea</strong>, appunto, a <strong>trasferire la proprietà</strong> dei beni (dal patrimonio generale a quello separato), ed è propria di un <strong>negozio ad effetti reali</strong>, mentre il <strong>negozio di destinazione</strong> – che è previsto dalla <strong>legge</strong>, che ha <strong>natura unilaterale o bilaterale</strong> e che <strong>è meramente eventuale</strong> - ha una <strong>propria e peculiare causa</strong> (di <strong>destinazione</strong> appunto dei beni al raggiungimento del <strong>divisato scopo</strong>), e dunque è un <strong>negozio distinto</strong> da quello di <strong>trasferimento</strong>, atteggiandosi a <strong>negozio ad effetti obbligatori</strong> che vincola il <strong>fiduciario</strong> al <strong>raggiungimento dello scopo</strong> medesimo, ovvero alla <strong>restituzione</strong> dei beni al fiduciante, facendosi dunque luogo ad un <strong>collegamento negoziale</strong> <strong>non necessario</strong> (tesi giurisprudenziale);</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Quali sono le fattispecie di patrimonio separato (perché destinato) previste dalla legge o forgiate dalla giurisprudenza?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>la <strong>fondazione</strong>;</li> <li>il <strong>negozio fiduciario</strong>;</li> <li>il <strong>fondo patrimoniale</strong>;</li> <li>l’<strong>eredità giacente</strong>;</li> <li>la <strong>cessione di beni ai creditori</strong>;</li> <li>i <strong>patrimoni destinati</strong> nelle <strong>società per azioni</strong>;</li> <li>le <strong>esecuzioni collettive di tipo concorsuale</strong>, come nel caso del <strong>fallimento</strong> e delle <strong>figure similari</strong>;</li> <li>il <strong><em>trust</em></strong>;</li> <li>le norme, contenute in <strong>leggi speciali</strong>, in materia di <strong>cartolarizzazione dei crediti</strong> e <strong>degli immobili</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Cosa occorre ricordare in particolare della fiducia?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>il concetto di <strong>proprietà fiduciaria</strong>, onde un soggetto <strong>ha diritto</strong> – in quanto <strong>proprietario “<em>fiduciario</em>”</strong> - di <strong>godere e disporre</strong> di <strong>determinati beni</strong>, <strong>non già</strong> tuttavia per la soddisfazione di un <strong>interesse proprio</strong>, quanto piuttosto per soddisfare <strong>l’interesse di un terzo, </strong>il<strong> “<em>fiduciante</em>”</strong> che gli ha <strong>trasferito</strong> all’uopo tali beni; si distingue da un primo punto di vista: a.1.1) una proprietà fiduciaria <strong>dinamica</strong>, nella quale il fiduciario <strong>diviene proprietario</strong> in forza di una <strong>cessione</strong> dei <strong>pertinenti beni</strong> da parte del <strong>fiduciante</strong>, accompagnata dal <strong><em>pactum fiduciae</em></strong>; a.1.2) una <strong>fiducia statica</strong>, in cui il fiduciario <strong>è invece già proprietario</strong> dei <strong>beni pertinenti</strong> e, giusta <strong><em>pactum fiduciae</em></strong>, si <strong>obbliga</strong> da un <strong>certo momento in poi</strong> a farne un <strong>determinato uso</strong> nell’interesse del fiduciante; su un altro crinale va poi distinta: a.2.1) <strong>proprietà fiduciaria “<em>romanistica</em>”</strong>, <strong>comunemente accolta</strong> in Italia, in cui il <strong>fiduciario</strong> diviene <strong>proprietario dei beni</strong> da gestire <strong>nell’interesse del fiduciante</strong> (nella duplice veste di <strong>semplice fiducia “<em>cum amico</em>”</strong>, in cui si <strong>trasferisce</strong> ad un terzo del quale ci si fida un <strong>compendio di beni</strong> da <strong>gestire</strong> nel proprio interesse <strong>e quindi restituire</strong> a <strong>sé</strong> o ad <strong>un terzo</strong>; ovvero di <strong>fiducia “<em>cum creditore</em>”</strong>, in cui <strong>il fiduciante è debitore</strong>, <strong>il fiduciario è creditore</strong> ed il trasferimento dei beni avviene <strong>a scopo di garanzia</strong> dell’<strong>obbligazione</strong> che li avvince, di <strong>dubbia validità</strong> perché in frizione col <strong>divieto del patto commissorio</strong>); a.2.2.) la <strong>proprietà fiduciaria “<em>germanistica</em>”</strong>, laddove il proprietario dei beni resta – <strong>staticamente</strong> - il <strong>fiduciante</strong>, mentre il fiduciario <strong>è solo legittimato ad esercitare</strong> – <strong>dinamicamente</strong> - i <strong>diritti</strong> connessi alla proprietà dei beni pertinenti, onde si ha un <strong>proprietario sostanziale</strong> (il fiduciante) ed un <strong>proprietario formale</strong> (il fiduciario), al quale ultimo i beni <strong>sono solo intestati</strong> conferendogli appunto la <strong>legittimazione</strong> ad <strong>esercitare i diritti</strong> ad essi connessi (classico esempio ne sono le <strong>società fiduciarie</strong>);</li> <li>il concetto di <strong>negozio fiduciario</strong>, che è il negozio che <strong>avvince</strong> appunto il <strong>fiduciante</strong> e il <strong>fiduciario</strong> e dal quale discende la <strong>proprietà fiduciaria</strong>: il fiduciario <strong>acquisisce</strong> la proprietà di <strong>determinati beni</strong> dal fiduciante per <strong>perseguire uno scopo</strong> indicatogli dal fiduciante medesimo e che <strong>ne soddisfa</strong> un <strong>interesse</strong>; il fiduciario – attraverso il <strong><em>pactum fiduciae</em></strong> intercorso con il fiduciante - <strong>si obbliga</strong> a <strong>perseguire</strong> con i beni ricevuti il ridetto <strong>scopo</strong>, e a <strong>trasferire infine</strong> i beni medesimi <strong>nuovamente al fiduciante</strong> medesimo, ovvero <strong>ad un terzo</strong>; il fiduciario è <strong>interposto “<em>reale</em>”</strong> tra fiduciante in sede di <strong>trasferimento iniziale</strong> e (fiduciante medesimo o più spesso) <strong>terzo</strong> in sede di <strong>ritrasferimento finale</strong>, onde non si ha <strong>interposizione fittizia</strong> e si ha piuttosto <strong>rappresentanza indiretta</strong> che è – laddove i beni vengano <strong>ritrasferiti ad un terzo</strong> (e non già al medesimo fiduciante) - a carattere <strong>strutturalmente trilaterale</strong> dal punto di vista dei <strong>soggetti</strong>, venendo i beni <strong>realmente trasferiti</strong>, al fine di perseguire il <strong>divisato scopo</strong>, da <strong>A</strong> (fiduciante) a <strong>B</strong> (fiduciario) ed alfine da quest’ultimo a <strong>C</strong> (terzo beneficiario); con la dizione “<strong><em>negozio fiduciario</em></strong>” può intendersi: b.1) un’<strong>operazione complessa</strong> che in realtà ricomprende <strong>due negozi collegati tra loro</strong>, uno ad <strong>effetti reali</strong> di trasferimento dei beni dal <strong>fiduciante</strong> al <strong>fiduciario</strong> (con <strong>propria causa</strong> ed <strong>efficace anche per i terzi</strong>), e un altro <strong>ad effetti obbligatori</strong> (connesso al <strong><em>pactum fiduciae</em></strong> e con <strong>effetti solo tra fiduciante e fiduciario</strong>); b.2) <strong>un solo negozio astratto</strong> di trasferimento della proprietà nel cui contesto il <strong><em>pactum fiduciae</em></strong> è la <strong>clausola</strong> che in qualche modo <strong><em>ab externo,</em></strong> <strong>giustifica</strong> il trasferimento della proprietà medesima, e che ne <strong>esplicita</strong> dunque la <strong>causa</strong> (<strong>donazione</strong> fiduciaria, <strong>adempimento</strong> fiduciario, <strong>vendita</strong> fiduciaria);</li> <li>i rapporti con <strong>altre figure</strong>: c.1) <strong>simulazione</strong>: le parti vogliono <strong>effetti diversi</strong> da quelli che <strong>appaiono</strong>, al contrario di quanto accade nel <strong>negozio fiduciario</strong>, in cui le parti <strong>vogliono invece</strong> gli <strong>effetti in esso previsti</strong>; c.2) <strong>negozio indiretto</strong>: le parti perseguono <strong>effetti ulteriori</strong> rispetto a <strong>quelli propri del negozio prescelto</strong>, giusta <strong>eccedenza della forma giuridica</strong> prescelta rispetto allo <strong>scopo divisato</strong>; è quanto accade anche nel <strong>negozio fiduciario</strong>, dove tuttavia <strong>è presente anche</strong> il <strong><em>pactum fiduciae</em></strong> in veste di <strong>patto separato</strong>, mentre nel <strong>negozio indiretto tradizionale</strong> è <strong>sufficiente il solo contratto</strong> divisato che persegue appunto, <strong>di per sé solo</strong>, <strong>effetti indiretti</strong> <strong>ed ulteriori</strong> rispetto a quelli che gli sono <strong>tipici;</strong></li> <li>gli <strong>strumenti di tutela</strong> delle <strong>parti direttamente o indirettamente coinvolte</strong> nell’<strong>operazione fiduciaria</strong>: d.1) nei <strong>rapporti tra fiduciante e fiduciario infedele</strong>, laddove appunto il fiduciario si renda <strong>inadempiente</strong> rispetto al <strong><em>pactum fiduciae</em></strong>, è possibile per il fiduciante <strong>attivare in via generale l’art.1218 c.c.</strong> ed <strong>in via speciale l’art.2932 c.c.</strong> laddove il fiduciario proprietario <strong>si sia obbligato a ritrasferire la proprietà</strong> al fiduciante senza poi provvedervi; d.2) nei rapporti tra <strong>creditori del fiduciante</strong> e <strong>fiduciario infedele</strong>, i primi – in caso di <strong>inerzia</strong> del fiduciante – possono <strong>agire in via surrogatoria ex art.2900</strong>c.; c.3) nei rapporti tra <strong>fiduciante (o relativi creditori)</strong> e <strong>creditori del fiduciario infedele</strong> che agiscano sui beni oggetto del trasferimento fiduciario, laddove si tratti di <strong>beni mobili</strong> e il <strong>trasferimento fiduciario</strong> risulti da <strong>data certa</strong>, se questa è <strong>anteriore</strong> al <strong>pignoramento</strong> da parte del creditori del fiduciario infedele, prevale il <strong>fiduciante</strong> (o relativi creditori); laddove invece si tratti di <strong>beni immobili</strong> o di <strong>beni mobili registrati</strong>, si ha <strong>prevalenza del fiduciante</strong> (o relativi creditori) solo laddove la <strong>domanda giudiziale di ritrasferimento</strong> sia <strong>trascritta anteriormente</strong> al <strong>pignoramento</strong> operato dai <strong>creditori del fiduciario infedele</strong>.</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Che cosa è il <em>trust</em> e che problemi pone?</strong></p> <ol style="text-align: justify;"> <li>è un istituto <strong>di origine anglosassone </strong>che, a seconda della relativa <strong>fonte</strong>, può essere <strong>legale</strong> (se vi è <strong>una legge</strong> che lo prevede e disciplina), <strong>giudiziale</strong> (se nasce da un <strong>provvedimento giudiziario</strong>) ovvero <strong>convenzionale</strong>, se si applica la <strong>disciplina “<em>minimal</em>”</strong> prevista dalla <strong>Convenzione de L’Aja del 1985</strong>;</li> <li>vi si contempla – in una <strong>prima versione</strong> – una <strong>traslazione patrimoniale</strong>, onde <strong>uno o più beni</strong> passano <strong>da un soggetto ad un altro</strong>;</li> <li>il soggetto <strong>trasferente</strong> si chiama <strong>disponente</strong>, o <strong><em>settlor</em></strong>;</li> <li>il soggetto <strong>destinatario del trasferimento</strong> dei beni, che è sostanzialmente un <strong>fiduciario</strong> del disponente, si chiama <strong><em>trustee</em></strong>;</li> <li>il <em>trustee</em> <strong>si obbliga a gestire</strong> i beni che <strong>ha ricevuto</strong> dal <em>settlor</em> <strong>nell’interesse di un terzo</strong>, detto <strong><em>beneficiary</em> </strong>(c.d. <strong><em>trust</em> con beneficiari</strong>);</li> <li>il <em>beneficiary</em> <strong>può anche non esserci</strong>, onde il <em>trustee</em> <strong>si obbliga</strong> a gestire i beni trasferitigli dal <em>settlor</em> per <strong>uno scopo determinato</strong>, e dunque sulla scorta di una <strong>causa destinatoria </strong>(c.d. <strong><em>trust</em> di scopo</strong>);</li> <li>anche il <em>trustee</em> <strong>può non esserci</strong>, in quando <strong>la gestione “<em>orientata</em>” dei beni</strong> nell’intereresse del <em>beneficiary</em>, o comunque finalizzata al raggiungimento di un <strong>determinato scopo</strong>, può – in una <strong>seconda versione</strong> del <strong><em>trust</em></strong> - <strong>coinvolgere taluni beni</strong> appartenenti ad una <strong>porzione patrimoniale</strong> (<strong>destinata</strong> e) <strong>separata</strong> da tutti gli altri beni appartenenti <strong>al <em>settlor</em> stesso</strong>;</li> <li>tra i <strong>soggetti meramente eventuali</strong> della <strong>operazione negoziale</strong> che va sotto il nome di <em>trust</em> va rammentato anche <strong>il <em>protector</em></strong>, che <strong>si obbliga a controllare</strong> che la <strong>gestione del <em>trustee</em></strong> sia sempre <strong>realmente orientata</strong> al perseguimento dei <strong>fini</strong> per i quali il <em>trust</em> è stato istituito;</li> <li>il <em>trust</em>, in Italia, <strong>non è un soggetto</strong>, ma un <strong>compendio patrimoniale</strong> e dunque un <strong>insieme di beni e rapporti</strong> <strong>destinati ad uno specifico scopo</strong>: la giurisprudenza ne ha ritratto la conclusione che il <strong>pignoramento di beni</strong> fatto <strong>direttamente</strong> <strong>al <em>trust</em></strong> <strong>in persona del <em>trustee</em></strong>, e non già nei confronti <strong>del <em>trustee</em></strong> quale <strong>soggetto titolare</strong> del <strong>potere di disporre</strong> dei beni raccolti in <em>trust</em>, <strong>è nullo</strong> per <strong>inesistenza del soggetto esecutato</strong>;</li> <li><strong>caratteristica</strong> del <em>trust</em> è la <strong>segregazione patrimoniale</strong>: i <strong>beni</strong> del <em>trust</em> sono <strong>separati</strong> dagli <strong>altri beni del <em>trustee</em></strong> (ovvero <strong>dagli altri beni del <em>settlor</em></strong>, laddove il <em>trustee</em> non vi sia); si tratta di un <strong>compendio autonomo</strong> di beni <strong>separato e destinato</strong> ad uno scopo, nell’interesse (laddove presente) del <strong><em>beneficiary</em></strong>; <strong>solo</strong> i <strong>creditori del <em>trust</em></strong> possono <strong>aggredire i beni</strong> (“<strong><em>segregati</em></strong>”) che lo compendiano, mentre la relativa <strong>garanzia patrimoniale</strong> non spiega effetti <strong>né</strong> nei confronti dei <strong>creditori del <em>settlor</em></strong>, né nei confronti dei <strong>creditori del <em>trustee</em></strong> per <strong>obblighi non avvinti al <em>trust</em></strong>; altra conseguenza importante della “<strong><em>segregazione</em></strong>” riguarda – sul crinale <strong>collettivo</strong> - l’eventuale <strong>fallimento del <em>trustee</em></strong>, fattispecie nella quale nella <strong>massa attiva</strong> destinata a soddisfare i relativi creditori <strong>non rientrano</strong> appunto i <strong>beni </strong>(<strong>“<em>segregati</em>” </strong>e)<strong> raccolti in trust</strong>;</li> <li>laddove <strong>vi sia <em>trustee</em></strong>, egli è <strong>obbligato ad amministrare</strong> i beni trasferitigli dal <em>settlor</em> (che se ne è <strong>spogliato</strong>) e a <strong>disporne</strong> a favore del <strong><em>beneficiary</em></strong> (laddove presente);</li> <li>le <strong>modalità di gestione</strong> dei <strong>beni coagulati in <em>trust</em></strong> e di <strong>trasferimento</strong> (eventuale) al <em>beneficiary</em> sono previste <strong>nell’atto costitutivo</strong> del <em>trust</em> stesso e nella <strong>legge che lo disciplina</strong> (laddove <strong>varata</strong> dallo Stato membro aderente alla Convenzione de L’Aja);</li> <li>l’Italia <strong>non ha varato</strong> una <strong>legge specifica sul <em>trust</em></strong>, e si pone dunque il problema della <strong>ammissibilità del c.d. trust “<em>interno</em>”</strong>, e dunque <strong>italiano</strong> (perché <strong>istituito in Italia</strong>); si fronteggiano in proposito <strong>due posizioni contrapposte</strong>: l.1) per la <strong>dottrina maggioritaria</strong> e la <strong>giurisprudenza minoritaria</strong>, il <strong><em>trust</em> interno</strong> <strong>non è ammissibile</strong>, e dunque <strong>non si può istituire</strong> un <em>trust</em> in Italia (ma solo eventualmente <strong>riconoscere un <em>trust</em> straniero</strong> in forza della <strong>Convenzione de L’Aja del 1985</strong>); <em>in primis</em>, nel nostro sistema <strong>la proprietà è perpetua</strong> e <strong>non</strong> sono ammessi <strong>diritti reali atipici</strong>, mentre il trust configura proprio un <strong>(inammissibile) diritto reale atipico</strong> (scaturente da un <strong>negozio astratto</strong> – <strong><em>sine causa</em></strong> – di <strong>attribuzione</strong> dal <em>settlor</em> al <em>trustee</em>, difficilmente compatibile con il <strong>principio causalistico</strong> vigente in Italia) e per giunta corrispondente ad una (ancora una volta, <strong>inammissibile</strong>) forma di <strong>proprietà temporanea</strong> in capo al <strong><em>trustee</em></strong>, <strong>funzionale</strong> al soddisfacimento di <strong>interessi del <em>beneficiary</em></strong>; in secondo luogo, in forza del <strong>principio di responsabilità patrimoniale ex art.2740</strong>c. il debitore <strong>risponde delle obbligazioni</strong> che lo vedono tale <strong>con tutto il proprio patrimonio</strong> presente e futuro, salvi i casi previsti dalla <strong>legge</strong>, e poiché <strong>nessuna legge</strong> prevede <strong>in Italia</strong> il <em>trust</em>, ammetterlo significherebbe <strong>sottrarre</strong> ai <strong>creditori del <em>trustee</em></strong> taluni <strong>beni</strong> senza che via appunto <strong>una legge che autorizzi</strong> tale sottrazione; né potrebbe invocarsi la <strong>Convenzione de l’Aja</strong> del 1985, poiché essa <strong>raccoglie norme di diritto internazionale privato</strong> capaci solo di individuare <strong>quale ordinamento</strong> si applichi in presenza di un <strong>trust “<em>straniero</em>”</strong>, ma <strong>non</strong> ha in pari tempo la capacità, sul crinale <strong>sostanziale</strong>, di far ritenere <strong>ammissibile un <em>trust</em> italiano</strong> che la legge in Italia non prevede (per giunta, <strong>l’art.13</strong> della Convenzione sembra proprio <strong>escludere il riconoscimento di trust “<em>interni</em>”</strong> negli ordinamenti che non li ammettono); peraltro, il <strong>negozio istitutivo del <em>trust</em></strong> (e della <strong>segregazione patrimoniale</strong> che ne consegue) <strong>non rientra</strong> tra gli atti che, <strong>tassativamente</strong>, sono <strong>soggetti a trascrizione</strong> (né potrebbe assumersi <strong>indirettamente ammissibile</strong> la <strong>trascrizione del negozio istitutivo del <em>trust</em></strong> utilizzando il c.d. “<strong><em>quadro D</em></strong>” della <strong>nota di trascrizione</strong>, che ha <strong>funzioni meramente esplicative</strong> con riguardo all’<strong>atto trascritto</strong> (come tale rientrante tra quelli trascrivibili) e <strong>non già autorizzative</strong> della trascrizione di <strong>atti non previsti espressamente</strong> come <strong>trascrivibili</strong> dalla legge italiana, tenuto anche conto del fatto che <strong>normalmente trascrive il “<em>proprietario</em>”</strong>, e tuttavia il <em>trustee</em> <strong>non è “<em>proprietario</em>”</strong> secondo il diritto italiano, stante la <strong>atipicità</strong>, la <strong>temporaneità</strong> e la <strong>funzionalizzazione</strong> del <strong>diritto reale</strong> che esso compendia); l.2) per la <strong>dottrina minoritaria</strong> e la <strong>giurisprudenza maggioritaria</strong>, il <em>trust</em> interno è invece <strong>ammissibile</strong>, e dunque <strong>si può istituire un <em>trust</em> in Italia</strong>: fondamentale punto di svolta in senso affermativo va considerata la <strong>ratifica</strong> della <strong>Convenzione dell’Aja</strong> del 1985 con <strong>legge n.364.89</strong>, che da un lato <strong>“<em>tipizza</em>” il trust</strong> come <strong>diritto reale nato “<em>atipico</em>”</strong> e, per l’appunto, <strong>ormai “<em>tipizzato</em>”</strong>; dall’altra consente una <strong>deroga</strong> alla <strong>responsabilità patrimoniale “<em>globale</em>”</strong> del debitore di cui all’<strong>art.2740</strong> c.c., e dunque si applica <strong>a tutti i <em>trust</em></strong>, anche <strong>interni</strong>, in cui <strong>unico elemento di internazionalità</strong> sia la <strong>legge applicabile</strong>, tenendosi anche conto che <strong>riconoscere per legge</strong> (di ratifica) il <strong>trust internazionale</strong> e <strong>non quello interno</strong> significherebbe infliggere un <strong>pesante <em>vulnus</em></strong> al <strong>principio di eguaglianza</strong>; peraltro, si fa osservare come <strong>l’art.13</strong> della Convenzione de l’Aja consente agli Stati contraenti di <strong>escludere il riconoscimento</strong> dei <strong><em>trust</em> interni</strong>, ma <strong>con norma che espressamente escluda</strong> tale riconoscimento, onde fino a che non interviene tale <strong>legge italiana esplicita</strong>, la Convenzione in parola <strong>autorizza automaticamente</strong> il <em>trust</em> interno; il problema della <strong>trascrizione</strong> è risolvibile utilizzando il <strong>quadro D</strong> della <strong>nota di trascrizione</strong>, che consente <strong>indicazioni integrative</strong> (normalmente una <strong>condizione</strong> o un <strong>termine</strong> che corredano gli <strong>effetti</strong> di un contratto, ma per la tesi in parola <strong>anche</strong> appunto la <strong>segregazione patrimoniale</strong> tipica del <em>trust</em>) o, alternativamente, <strong>l’art.12 della legge 364.89</strong> che consente al <em>trustee</em> di chiedere <strong>l’iscrizione nei registri immobiliari</strong> dei <strong>beni coagulati in <em>trust</em></strong> facendo <strong>constare</strong> della <strong>propria qualità</strong>; <strong>non manca</strong> in dottrina chi (in modo decisamente <strong>elastico</strong>) assume la <strong>tassatività degli atti trascrivibili</strong> ex <strong>art.2643</strong> c.c. come riferita, più specificamente, <strong>agli effetti di tali atti</strong> (e <strong>non</strong> già agli <strong>atti stessi</strong> in sé considerati), onde essendo possibile in Italia il <strong>trasferimento della proprietà</strong> con <strong>condizioni</strong> e <strong>termini</strong>, deve assumersi <strong>trascrivibile anche il <em>trust</em></strong>, che produce <strong>effetti analoghi</strong>, come evincibile dalla <strong>dizione “<em>aperta</em>”</strong> di cui all’<strong>art.2645</strong> c.c., che parla di “<strong><em>altri atti soggetti a trascrizione</em></strong>”;</li> <li>importante segnare le differenze con altri istituti ed altre figure giuridiche: m.1) il <strong>negozio fiduciario</strong>: mentre il <strong><em>trust</em></strong> è nella maggior parte dei casi <strong>trilaterale</strong>, coinvolgendo anche il c.d. <strong><em>beneficiary</em></strong>, il <strong>negozio fiduciario </strong>ha di norma struttura <strong>bilaterale</strong>, coinvolgendo solo <strong>fiduciante e fiduciario</strong>; nella c.d. <strong>fiducia dinamica</strong> (la più frequente) si ha un <strong>duplice trasferimento</strong>, dapprima dal <strong>fiduciante</strong> al <strong>fiduciario</strong>, e dipoi dal <strong>fiduciario</strong> al <strong>fiduciante</strong> medesimo (o eventualmente <strong>ad un terzo</strong>), mentre nel <em>trust</em> il duplice trasferimento <strong>può difettare</strong> laddove <strong><em>settlor</em></strong> e <strong><em>trustee</em></strong> <strong>coincidano</strong>, con una <strong>porzione separata</strong> del patrimonio del primo <strong>destinata al <em>beneficiary</em></strong> (fattispecie che può tuttavia essere <strong>strutturalmente replicata</strong> in ipotesi di <strong>fiducia statica</strong>, laddove il fiduciario è in realtà <strong>già proprietario</strong> dei <strong>beni</strong> oggetto della c.d. <strong>causa fiduciaria</strong>); a differenza dei <strong>beni trasferiti al <em>trustee</em></strong>, quelli <strong>trasferiti al fiduciario</strong> possono essere <strong>aggrediti dai creditori di quest’ultimo</strong>, onde <strong>non</strong> si realizza <strong>segregazione patrimoniale</strong>; il fiduciante <strong>non ha diritto di sequela</strong> sui <strong>beni attribuiti al fiduciario</strong> e che vorrebbe gli fossero <strong>ritrasferiti</strong>, potendo chiedere la <strong>risoluzione del <em>pactum fiduciae</em></strong> per <strong>inadempimento</strong> del fiduciario, corredata da <strong>istanza risarcitoria</strong>, ovvero <strong>spiccare azione ex art.2932</strong>c., ma <strong>soltanto</strong> nei confronti <strong>del fiduciario</strong>, e non già dei <strong>relativi aventi causa</strong>, mentre il <strong><em>beneficiary</em></strong>, che è il <strong>proprietario “<em>sostanziale</em>”</strong> dei <strong>beni “<em>formalmente intestati</em>”</strong> al <em>trustee,</em> ha <strong>diritto di sequela</strong> sui ridetti beni, potendo <strong>inseguirli anche presso i terzi aventi causa</strong> dal <em>trustee</em> medesimo e, come <em>extrema ratio</em>, potendo <strong>soddisfarsi sul ricavato della vendita</strong> introitato dal <strong><em>trustee</em> infedele</strong>; m.2) la <strong>fondazione</strong>: nel <strong>diritto anglosassone</strong> i <strong>fini</strong> (specie <strong>caritatevoli</strong>) che negli <strong>ordinamenti di <em>common law</em></strong> si perseguono <strong>giusta erezione di una fondazione</strong> vengono perseguiti <strong>proprio</strong> attraverso un “<strong><em>charitable trust</em></strong>”; sotto altro profilo, la fondazione <strong>fino al 1997</strong> è stata <strong>assoggettata a controllo governativo</strong>, a <strong>differenza</strong> del <strong><em>trust</em></strong>, mentre oggi <strong>essa non è più soggetta a tale controllo</strong> (essendo peraltro da taluni <strong>ammessa</strong> financo la c.d. <strong>fondazione non riconosciuta</strong>); anche se le due figure si sono dunque <strong>molto avvicinate</strong>, resta tuttavia una <strong>importante differenza</strong>, dacché mente il <strong>patrimonio raccolto in <em>trust</em></strong> è “<strong><em>segregato</em></strong>” e come tale <strong>non è aggredibile da creditori diversi</strong> dai <strong>creditori del <em>trust</em></strong> stesso, nel caso della <strong>fondazione</strong> i relativi <strong>beni</strong> sono sì <strong>destinati</strong> al perseguimento di <strong>determinati fini</strong>, e tuttavia possono <strong>essere aggrediti anche</strong> da <strong>creditori per obbligazioni diverse</strong> da quelle <strong>specificamente contratte</strong> per il perseguimento dei ridetti fini; m.3) la <strong>fiducia testamentaria</strong> ex <strong>art.627</strong> c.c.: nel <em>trust</em> il <strong><em>trustee</em></strong> <strong>è obbligato</strong> a <strong>ritrasferire</strong> i beni <strong>al <em>beneficiary</em></strong>, mentre nella <strong>fiducia testamentaria</strong> il fiduciario ha <strong>solo un obbligo morale</strong> di <strong>ritrasferire</strong> i <strong>beni ricevuti dal testatore</strong> ad <strong>un terzo</strong>, il quale ultimo <strong>non ha</strong> dunque a disposizione <strong>alcuna azione</strong> per <strong>accertare giudizialmente</strong> che i beni oggetto del testamento sono in realtà <strong>a lui destinati</strong>; m.4) <strong>sostituzione fedecommissaria</strong> ex <strong>art.692 e seguenti</strong> c.c.: nel <em>trust</em> si fa luogo ad una <strong>vera e propria segregazione patrimoniale</strong>, mentre nel caso della <strong>sostituzione fedecommissaria</strong> essa <strong>non si configura in modo assoluto</strong>, dal momento che <strong>i creditori personali dell’istituito</strong> (incapace, primo chiamato)– pur <strong>non potendo agire</strong> sui <strong>relativi beni</strong>, possono tuttavia <strong>aggredirne i frutti</strong>; m.5) l’<strong>usufrutto</strong>: il <strong><em>trustee</em></strong> è il <strong>pieno proprietario</strong> dei <strong>beni che amministra</strong> a vantaggio del <strong><em>beneficiary</em></strong>, mentre l’<strong>usufruttuario</strong> è titolare di un <strong>mero diritto reale di godimento</strong> (parziario); per conseguenza, <strong>non si verifica</strong> nessuno <strong>sdoppiamento della piena proprietà</strong> in <strong>nuda proprietà</strong> e <strong>diritto reale di godimento</strong> (con <strong>consolidazione</strong> in caso di morte dell’usufruttuario), assistendosi piuttosto ad un fenomeno di <strong>successione di piene proprietà</strong> dei <strong>beni raccolti in trust</strong> dapprima <strong>dal <em>settlor</em> al <em>trustee</em></strong> e, infine, <strong>dal <em>trustee</em> al <em>beneficiary</em></strong>; d’altra parte, mentre <strong>il <em>beneficiary</em> non ha oneri</strong>, il <strong>nudo proprietario</strong> è <strong>tenuto alle riparazioni straordinarie</strong> sulla <strong>cosa</strong> goduta dall’usufruttuario (ex <strong>art.1005</strong> c.c.); m.6) <strong>contratto a favore di terzo</strong> ex <strong>art.1411</strong> c.c.: il <strong><em>settlor</em></strong> non può <strong>revocare l’attribuzione</strong> dei beni al <strong><em>trustee</em></strong> operata <strong>a favore del <em>beneficiary</em></strong>, mentre lo <strong>stipulante</strong> – fino a che il terzo non <strong>dichiara di volerne profittare</strong> – può <strong>revocare</strong> la propria <strong>disposizione</strong> a relativo favore (che passa attraverso il promittente); d’altra parte, <strong>non occorre la volontà del <em>beneficiary</em></strong>, che è del tutto ininfluente, mentre nel contratto a favore di terzo <strong>il terzo può esprimere</strong> il <strong>proprio gradimento</strong> dichiarando di <strong>voler profittare</strong> della prestazione a relativo favore, con specifici <strong>effetti giuridici</strong>; il <strong><em>trustee</em></strong> <strong>amministra</strong> beni destinati al <em>beneficiary</em>, mentre il <strong>promittente</strong> e <strong>obbligato ad una prestazione</strong> a favore del terzo, senza amministrare beni a favore di lui; m.7) il <strong>mandato senza rappresentanza</strong>: quando, in particolare, esso è conferito <strong>in modo irrevocabile</strong> e <strong>senza obbligo di rendiconto</strong> (verso il mandante) in capo al mandatario, esso <strong>somiglia ad un <em>trust</em></strong>, considerata anche <strong>l’impossibilità</strong> per i <strong>creditori del mandatario senza rappresentanza</strong> di <strong>soddisfarsi sui beni acquistati in esecuzione del mandato</strong> ex <strong>art.1707</strong> c.c.; il <strong><em>trustee</em></strong> <strong>non deve</strong> tuttavia <strong>seguire istruzioni</strong> nell’amministrazione dei beni trasferitigli dal <em>settlor</em>, mentre il <strong>mandatario senza rappresentanza</strong> (anche <strong>irrevocabile</strong> e <strong>senza obbligo di rendiconto</strong>) è <strong>comunque tenuto a seguire le istruzioni</strong> impartitegli dal <strong>mandante</strong>, ai sensi e per gli effetti di cui all’<strong>art.1711</strong> c.c.; inoltre, mentre <strong>il <em>trustee</em></strong> è <strong>proprietario <em>pleno iure</em></strong> dei <strong>beni trasferitigli dal <em>settlor</em></strong>, il mandatario senza rappresentanza è <strong>proprietario solo apparentemente pieno</strong>, ma in qualche modo “<strong><em>dimidiato</em></strong>” dal momento che il <strong>mandante</strong> (a differenza appunto del <em>settlor</em>) può <strong>sempre rivendicare</strong> – pur non essendone <strong>formalmente</strong> proprietario – i <strong>beni mobili acquistati</strong> per <strong>proprio conto</strong> (ma non in proprio nome) dal mandatario senza rappresentanza, mentre per quanto riguarda i <strong>beni immobili</strong> che il mandatario (che li ha del pari acquistati) <strong>deve ritrasferirgli</strong>, il mandante (ancora una volta <strong>a differenza del <em>settlor</em></strong>) può sempre <strong>agire ex art.2932</strong> c.c.;</li> </ol> <p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Che problemi pone il nuovo art.2645.ter c.c., introdotto a cavallo tra il 2005 e il 2006?</strong></p> <ol> <li style="text-align: justify;">più in generale, quanto al rapporto tra <strong>atti</strong> ed <strong>effetti</strong>: a.1) secondo una <strong>prima opzione</strong> <strong>minoritaria</strong> in dottrina, la norma <strong>non autorizza nuovi atti di destinazione patrimoniale</strong>, ma si occupa piuttosto degli <strong>effetti</strong> di <strong>atti già riconosciuti nel sistema</strong> e dunque <strong>già “<em>tipizzati</em>” </strong>(anche se dalla <strong>giurisprudenza</strong>, come nel caso classico della <strong>fiducia</strong>), massime dal punto di vista della <strong>relativa pubblicità</strong> e dunque della <strong>relativa opponibilità ai terzi</strong> (con particolare riguardo ai <strong>creditori</strong>); in sostanza, per <strong>atti di destinazione già previsti</strong> dal sistema, ad un <strong>effetto traslativo</strong> e ad <strong>un effetto obbligatorio</strong> si va ad aggiungere un <strong>nuovo effetto “<em>pubblicitario</em>”</strong> che, attraverso la <strong>trascrizione</strong> (prima non prevista), o <strong>l’intavolazione</strong> laddove operativa, consente <strong>l’opponibilità dell’atto</strong> (<strong>già previsto</strong> dal sistema) ai <strong>terzi con interessi confliggenti</strong>, come si evince sia dal <strong>silenzio della norma</strong> sulla <strong>struttura</strong> del presunto nuovo atto di destinazione patrimoniale, onde non si sa se esso <strong>è unilaterale o bilaterale</strong>, sulla relativa <strong>efficacia</strong>, onde non si sa se <strong>produce effetti reali od effetti obbligatori</strong>, sulla relativa <strong>natura</strong> <strong>onerosa</strong> o <strong>gratuita</strong>; sia, a livello di <strong>tassonomia codicistica</strong>, dal relativo innesto tra le <strong>disposizioni</strong> in tema di <strong>trascrizione e pubblicità</strong> (di atti, per l’appunto, <strong>già previsti</strong> dal sistema); a.2) stando ad una <strong>seconda ed opposta tesi</strong>, <strong>maggioritaria</strong> in dottrina, si tratta di una <strong>norma sostanziale pura</strong> che, come tale, consente di far luogo ad una <strong>nuova categoria </strong>di<strong> negozi atipici di destinazione</strong> <strong>patrimoniale</strong> ad <strong>effetti reali</strong>, che essa stessa <strong>disciplina</strong>; in sostanza, il legislatore ha forgiato <strong>in via generale</strong> un <strong>negozio atipico di destinazione patrimoniale</strong> ad <strong>effetti reali</strong>, provvedendo peraltro a darne una <strong>specifica disciplina</strong>, dovendosi ormai per conseguenza <strong>intendersi limitatamente ammesso</strong> in Italia il c.d. <strong><em>trust</em> interno</strong>;</li> <li style="text-align: justify;">più nello specifico, con riguardo all’<strong>efficacia degli atti</strong>: b.1) per la <strong>tesi meno accreditata</strong>, si è al cospetto di un <strong>negozio “<em>propter rem</em>”</strong> con <strong>effetti meramente obbligatori</strong>, sicché vi è l’obbligo di <strong>mantenere una certa destinazione</strong> per i <strong>beni coinvolti nella destinazione</strong> da parte di <strong>chiunque giunga ad averne la disponibilità</strong>, ma <strong>non</strong> si verifica <strong>alcun trasferimento</strong> della <strong>proprietà</strong> dei medesimi (in capo al <strong>beneficiario</strong>): laddove il legislatore <strong>avesse voluto forgiare</strong> un (nuovo) negozio <strong>ad effetti reali</strong>, avrebbe <strong>integrato l’elenco di tali atti</strong> previsto all’<strong>2643</strong> c.c., mentre ha invece <strong>collocato</strong> la norma all’<strong>art.2645.ter</strong>, <strong>dopo</strong> l’<strong>art.2645.bis</strong> che – nel prevedere la <strong>trascrivibilità</strong> del <strong>contratto preliminare</strong> – prevede appunto la <strong>trascrizione di un negozio pacificamente ad efficacia obbligatoria</strong>; peraltro, sempre laddove il legislatore avesse inteso fare riferimento ad un <strong>nuovo negozio ad effetti reali</strong>, esso si sarebbe impegnato a forgiare <strong>una norma inutile</strong>, in quanto gli <strong>atti trascrivibili</strong> sono sì <strong>tipici e tassativi</strong>, ma tali predicati vanno ormai assunti <strong>modernamente</strong> <strong>in senso “<em>elastico</em>”</strong>, come riferiti agli <strong>effetti</strong> più che agli <strong>atti</strong> ad efficacia reale, e dunque anche <strong>un atto ad effetti reali non tipizzato</strong> avrebbe potuto <strong>ormai</strong> <strong>assumersi trascrivibile</strong> senza <strong>esplicita</strong> presa di posizione del legislatore che, <strong>se si è pronunciato</strong>, ha voluto senz’altro fare piuttosto riferimento ad <strong>atti ad efficacia obbligatoria</strong> (come è appunto accaduto anche per il <strong>contratto preliminare</strong>); b.2) per la <strong>tesi prevalente</strong>, si è invece al cospetto di una <strong>nuova categoria</strong> di <strong>atti ad efficacia reale</strong>, che dunque producono il <strong>trasferimento della proprietà dei beni</strong> (in capo al <strong>beneficiario</strong>) e la <strong>contestuale separazione patrimoniale funzionalizzata</strong> alla <strong>tutela</strong> di <strong>interessi peculiarmente meritevoli</strong>; lo si evince da un lato proprio dalla <strong>tassonomia codicistica</strong>: avendo il legislatore collocato la norma <strong>tra quelle in tema di trascrizione</strong>, ed afferendo di regola tali norme <strong>ad atti ad efficacia reale</strong>, è normale assumere che <strong>anche i nuovi atti di destinazione patrimoniale</strong> abbiano una <strong>efficacia reale</strong> (e <strong>non già</strong> meramente <strong>obbligatoria</strong>); inoltre è possibile per il beneficiario <strong>seguire il bene</strong> anche laddove <strong>giunga a terzi</strong>, configurando un <strong>diritto di seguito</strong> che ha <strong>forti connotazioni di realità</strong> (si pensi ai c.d. <strong>diritti reali di garanzia</strong>), in modo analogo a quanto fa <strong>l’art.11 della Convenzione de l’Aja</strong> in materia di <em>trust</em>; del pari, evidenti <strong>connotati di realità</strong> affiorano dalle <strong>limitazioni</strong> al <strong>potere di gestione e di disposizione</strong> dei beni destinati e dall’<strong>effetto di segregazione</strong> che ne consegue, confermando ancora una volta che i <strong>relativi atti istitutivi</strong> della “<strong><em>destinazione</em></strong>” hanno <strong>effetti reali</strong>, e <strong>non</strong> già meramente <strong>obbligatori</strong>;</li> <li style="text-align: justify;">ancora, nello specifico, il problema della <strong>meritevolezza di tutela degli interessi</strong> per perseguire i quali si procede all’<strong>atto di destinazione</strong>, e dunque il <strong>problema “<em>causale</em>”</strong>: si ritiene generalmente che – dovendosi <strong>derogare</strong> a <strong>principi generali</strong> del <strong>sistema</strong> quali quello di <strong>responsabilità patrimoniale</strong> di cui all’<strong>2740</strong> c.c., posto a tutela dei <strong>creditori</strong>, e quello di <strong>libera ed incondizionata disponibilità delle cose proprie</strong> di cui all’<strong>art.832</strong> c.c., posto a presidio della <strong>sicurezza dei traffici giuridici</strong> e dunque, in sostanza, di <strong>tutti i consociati</strong> – l’<strong>atto di destinazione patrimoniale</strong> (qualunque ne sia in concreto la <strong>struttura</strong>) <strong>debba</strong> essere avvolto da una <strong>causa</strong>, perseguendo interessi (peculiarmente) <strong>meritevoli di tutela</strong>, come peraltro prescrive esplicitamente lo stesso art. <strong>2645.ter</strong> c.c.; in difetto di tale <strong>causa</strong>, si profila non già <strong>la sola inopponibilità</strong> dell’atto ai creditori ma anche, più in radice, la <strong>invalidità</strong> dell’atto di destinazione medesimo;</li> <li style="text-align: justify;">la questione degli <strong>strumenti di tutela</strong> a disposizione del <strong>beneficiario</strong> dell’<strong>atto di destinazione</strong>: d.1) per chi ritiene che l’atto di destinazione abbia <strong>natura meramente obbligatoria</strong>, al beneficiario residua la <strong>sola tutela contrattuale demolitoria</strong> e la <strong>connessa tutela per equivalente</strong>, potendo egli chiedere soltanto la <strong>risoluzione dell’atto</strong> medesimo ed il <strong>risarcimento dei danni</strong>; d.2) per chi invece ritiene che <strong>l’atto (dispositivo) di destinazione</strong> abbia <strong>efficacia reale</strong>, il beneficiario è assistito anche da <strong>diritto di sequela</strong> (o <strong>di seguito</strong>), potendo dunque <strong>recuperare</strong> il <strong>compendio patrimoniale</strong> oggetto di <strong>destinazione “<em>separata</em>”</strong> a proprio favore presso <strong>l’autore</strong> del negozio di destinazione o presso <strong>i relativi terzi</strong>;</li> <li style="text-align: justify;">la questione degli <strong>strumenti di tutela</strong> a disposizione dei <strong>creditori del</strong> <strong>disponente</strong>, e dunque <strong>dell’autore dell’atto di destinazione</strong>; si ritiene in genere che: in generale e.1) allorché lo <strong>scopo</strong> della destinazione sia stato <strong>ormai</strong> <strong>raggiunto</strong>, ovvero <strong>non sia più</strong> perseguibile, ovvero ancora nelle ipotesi in cui i beni divisati <strong>non siano stati destinati</strong> al ridetto scopo, i creditori possano chiedere la <strong>cancellazione</strong> della <strong>trascrizione</strong> dell’atto di destinazione; più in specie e.2) allorché l’atto di destinazione sia stato <strong>compiuto in relativa frode</strong>, i creditori possano spiccare <strong>azione revocatoria</strong> per veder dichiarare l’atto relativamente inefficace nei rispettivi confronti; e.3) allorché il <strong>vincolo di destinazione</strong> impresso al compendio dei beni divisati sia <strong>meramente fittizio</strong> e funzionale al <strong>solo scopo di sottrarre beni</strong> alla pertinente <strong>garanzia</strong>, i creditori possano agire <strong>in simulazione</strong>; e.4) allorché, ancora più in radice, l’atto di destinazione <strong>non persegua interessi meritevoli di tutela</strong>, e sia piuttosto <strong>funzionale</strong> – <strong><em>sine causa</em></strong> – alla <strong>mera sottrazione</strong> dei beni coinvoltivi alla <strong>garanzia patrimoniale</strong> del soggetto che pone in essere l’atto medesimo, i creditori possano spiccare <strong>azione di nullità</strong> del negozio in parola.</li> </ol>