Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, sentenza 25 luglio 2023, n. 32318
PRINCIPIO DI DIRITTO
Ai fini del riconoscimento della recidiva reiterata è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
1. Va premesso, con riguardo al ricorso proposto da che la sopravvenuta rinuncia allo stesso comporta l’inammissibilità dell’impugnazione ai sensi dell’art. 591, primo comma, lett. d) cod. proc. pen. Alla declaratoria di tale esito segue la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in considerazione della sopravvenienza della causa di inammissibilità rispetto alla proposizione del ricorso, deve essere determinata in euro cinquecento.
2. La questione rimessa alle Sezioni Unite attiene al secondo motivo dedotto con il ricorso proposto da sull’applicazione, nei confronti dello stesso, della recidiva reiterata, ed è formulata nei seguenti termini: “Se, ai fini dell’applicazione della recidiva reiterata, sia necessaria una precedente dichiarazione di recidiva semplice contenuta in una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero sia sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più condanne definitive per reati che manifestino una sua maggiore pericolosità sociale”.
3. L’istituto della recidiva è stato interessato da recenti e ripetuti interventi della giurisprudenza di legittimità, precipuamente nella sua massima espressione delle Sezioni Unite. E’ pertanto opportuno, prima di affrontare la questione rimessa, verificare come la recidiva sia attualmente configurata nel diritto vivente all’esito di tali interventi.
Questi ultimi hanno in particolare toccato tre passaggi dell’applicazione della fattispecie: la contestazione della stessa; la verifica della sussistenza dei suoi presupposti; gli effetti che derivano dalle modalità applicative della recidiva. Deve essere immediatamente sottolineato che i principi formulati con riguardo al primo ed al terzo di detti passaggi dipendono in misura determinante dalla indiscussa qualificazione della recidiva come circostanza aggravante inerente alla persona del colpevole, già oggetto di risalenti affermazioni giurisprudenziali (Sez. U, n. 3152 del 31/01/1987, Paolini, Rv. 175354; Sez. U, n. 1 del 27/05/1961, Papò, Rv. 098479), e successivamente ribadita con specifico riferimento alla sua ulteriore definizione quale aggravante ad effetto speciale nelle ipotesi, previste dai commi successivi al primo dell’art. 99 cod. pen., che comportano un aumento di pena superiore al terzo (oltre a Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664, e Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv. 247838, di cui si avrà modo di trattare di seguito per altri aspetti, si vedano anche Sez. U, n. 30046 del 23/06/2022, Cirelli, Rv. 283328, e Sez. U, n. 3585 del 24/09/2020, dep. 2021, Li Trenta, Rv. 280262).
3.1. Venendo in primo luogo al momento processuale della contestazione, dall’operatività della recidiva quale circostanza aggravante è stata tratta, segnatamente nella sentenza Calibé, la conseguenza della possibilità di ritenere la stessa in sede giudiziale solamente in quanto specificamente contestata all’imputato, a garanzia della formazione del contraddittorio sul punto.
Il principio della obbligatoria contestazione della recidiva è stato successivamente riaffermato dalla giurisprudenza di legittimità nelle sue 5 (omissis) (omissis)(omissis) implicazioni relative alle modalità necessarie e sufficienti di tale contestazione in talune particolari situazioni. In presenza di una pluralità di imputazioni, in primo luogo, si è individuata una di tali implicazioni nella necessità che la circostanza sia oggetto di contestazione con puntuale riferimento a ciascuno dei reati (Sez. 3, n. 51070 del 07/06/2017, Ndiaye, Rv. 271880; Sez. 6, n. 5075 del 09/012/2014, Crucitti, Rv. 258046).
D’altra parte, la testuale contestazione in calce alla serie delle imputazioni è stata considerata sufficiente per intendere la recidiva come riferita a ciascuna di esse, ove non si tratti di reati di diversa indole ovvero commessi in date diverse (Sez. 2, n. 22966 del 09/03/2021, Virgilio, Rv. 281456; Sez. 2, n. 56688 del 13/12/2017, Belcastro, Rv. 272146). In ordine invece al rapporto fra le modalità della contestazione e le diverse ipotesi di recidiva previste dall’art. 99 cod. pen., si è ritenuta necessaria la specificazione nell’imputazione di quale di dette ipotesi sia addebitata (Sez. 5, n. 50510 del 20/09/2018, La Cava, Rv. 274446), rilevandosi consequenzialmente che la mera qualificazione della recidiva contestata come «ex art. 99 cod. pen.», proprio in quanto priva di ulteriori precisazioni, non possa intendersi che riferita alla recidiva semplice (Sez. 3, n. 43795 del 01/12/2016, dep. 2017, Kirov, Rv. 270843; Sez. 2, n. 5663 del 20/11/2012, dep. 2013, Alexa, Rv. 254692).
Di contro, nella stessa sentenza La Cava è stata considerata sufficiente l’indicazione della fattispecie normativa corrispondente all’ipotesi di recidiva contestata, escludendosi che tale indicazione debba essere corredata dalla descrizione degli elementi sui quali l’ipotesi è in concreto fondata.
3.2. La qualificazione della recidiva come circostanza aggravante è anche alla base di alcuni principi affermati dalle Sezioni Unite sugli effetti delle modalità applicative della recidiva. L’identificazione della natura circostanziale della recidiva ha condotto infatti ad estendere ad essa il principio generale per il quale una circostanza aggravante deve ritenersi riconosciuta ed applicata non solo quando essa si traduce nei tipici effetti di aggravamento della pena, ma anche allorché la stessa venga fatta confluire nel giudizio di comparazione con circostanze attenuanti ai sensi dell’art. 69 cod. pen., con il diverso risultato, ove detto giudizio abbia esito nel senso dell’equivalenza fra le circostanze, di neutralizzare l’incidenza di queste ultime sulla determinazione della pena (Sez. U, n. 17 del 18/06/1991, Grassi, Rv. 187856).
Gli effetti anche indiretti, che l’ordinamento ricollega al riconoscimento della recidiva, sono stati conseguentemente ritenuti operanti anche nel caso in cui la stessa sia valutata come equivalente ad una o più circostanze attenuanti, inibendone la funzione di mitigazione della pena (Sez. U, 6 n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664; Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibé, Rv. 247838).
Di contro, e coerentemente, la produzione degli effetti della recidiva, siano essi diretti o indiretti, è stata esclusa nel caso in cui la circostanza sia invece ritenuta subvalente nel bilanciamento con le attenuanti, al di fuori dei casi nei quali sia espressamente prevista dalla legge la rilevanza della recidiva a prescindere dal risultato del giudizio di bilanciamento; e ciò proprio in quanto in tal caso la funzione delle concorrenti circostanze attenuanti nella determinazione della pena ha modo di esplicarsi nella sua pienezza (Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, Schettino, Rv. 275319).
Con la stessa sentenza Schettino, il principio ha trovato concreta applicazione nel riconoscimento degli effetti della recidiva sulla quantificazione del termine di prescrizione del reato anche ove la stessa sia ritenuta equivalente alle attenuanti, escludendosi correlativamente che tali effetti si realizzino ove la recidiva non sia stata valorizzata nella determinazione della pena e neppure quale componente del giudizio di comparazione, anche nel caso in cui i precedenti penali dell’imputato siano stati valutati ai fini del diniego delle attenuanti generiche.
Altra implicazione dello stesso criterio era stata in precedenza ravvisata ritenendo operativa la previsione del limite minimo di un terzo nell’aumento per la continuazione, di cui all’art. 81, quarto comma, cod. pen., ove ricorra l’ipotesi di recidiva prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen., anche nel caso ín cui detta ipotesi circostanziale sia considerata equivalente alle attenuanti (Sez. U, n. 31669 del 23/06/2016, Filosofi, Rv. 267044).
Un’ulteriore riproposizione del principio si ritrova nella pronuncia (Sez. U, n. 3585 del 24/09/2020, dep. 2021, Li Trenta, Rv. 280262) che ha posto peraltro in evidenza una particolare implicazione della qualificazione come circostanze aggravanti ad effetto speciale delle ipotesi di recidiva, previste dai commi secondo, terzo e quarto dell’art. 99 cod. pen., sul piano degli effetti dell’applicazione della fattispecie.
La previsione dell’art. 649-bis cod. pen. sulla procedibilità d’ufficio dei reati di cui ai precedenti artt. 640, terzo comma, 640- ter, quarto comma, e 646 cod. pen. — nelle ipotesi aggravate previste dal secondo comma di detto articolo e dall’art. 61, primo comma, n. 11 cod. pen. — ove ricorrano circostanze ad effetto speciale, è stata infatti ritenuta in quella sede tale da comprendere anche il caso in cui il reato sia aggravato per l’appunto dalla recidiva qualificata.
4. L’intervento giurisprudenziale sull’ulteriore passaggio applicativo della recidiva, costituito dalla verifica dei suoi presupposti, si è invece sviluppato dalla previsione legislativa di facoltatività delle conseguenze direttamente sanzionatorie della fattispecie, arricchendo di elementi aggiuntivi l’ambito dei requisiti di configurabilità della fattispecie, rispetto a quelli che risultano già evidenti dal testo normativo.
4.1. L’art. 99 cod. pen., in effetti, delinea espressamente i presupposti per la ravvisabilità della recidiva in una serie di condizioni progressivamente riferite, nelle varie ipotesi, ai precedenti penali dell’imputato.
Per l’ipotesi della recidiva semplice, in particolare, il primo comma dell’articolo richiede unicamente una precedente condanna per un delitto non colposo, come quello per la cui commissione è attualmente giudicato; per quella della recidiva aggravata, il secondo comma prevede che il nuovo delitto sia della stessa indole di quello precedente, ovvero che sia commesso entro i cinque anni dalla condanna precedente oppure durante o dopo l’esecuzione della pena, ovvero ancora nel tempo in cui il condannato si è sottratto volontariamente all’esecuzione della pena; l’ipotesi della recidiva pluriaggravata è ravvisabile, in base al terzo comma, nel concorso di più circostanze fra quelle descritte al secondo comma; per l’ipotesi della recidiva reiterata è richiesta la commissione di un ulteriore delitto da parte del soggetto già recidivo, secondo quanto previsto dai commi precedenti.
Le conseguenze di tali diverse ipotesi sulla determinazione della pena da infliggere per il nuovo delitto, nella testuale previsione normativa come riformulata dall’art. 4 legge 5 dicembre 2005, n. 251, sono indicate disponendo che il recidivo semplice «può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena»; per recidivo aggravato «la pena può essere aumentata fino alla metà»; per il recidivo pluriaggravato «l’aumento di pena è della metà»; e per il recidivo reiterato «l’aumento è della metà e, nei casi previsti dal secondo comma, è di due terzi».
Un ulteriore livello di aggravamento sanzionatorio era previsto dal quinto comma dell’articolo in commento con la previsione di obbligatorietà dell’aumento di pena per la recidiva, in presenza di uno dei delitti indicati dall’art. 407, secondo comma, lett. a) cod. proc. pen. (nel senso, come chiarito in sede giurisprudenziale, che il nuovo delitto commesso appartenga a tale categoria, essendo irrilevante che abbia o meno questa natura il delitto precedente, v. Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, cit.; Sez. 2, n. 8076 del 21/11/2012, dep. 2013, Consolo, Rv. 254534), e con la fissazione del limite minimo di tale aumento, in caso di recidiva aggravata, nella misura di un terzo.
La sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale del quinto comma citato, nella parte in cui prevedeva l’obbligatorietà dell’aumento di pena nella situazione indicata (Corte cost., sent. n. 185 del 2015), rende tuttora vigente solo la descritta predeterminazione della misura minima dell’aumento.
Quanto appena rammentato, con particolare riguardo alle modulazioni della risposta sanzionatoria in relazione alle varie ipotesi di recidiva, rende evidente che l’aumento di pena è facoltativo nei casi di recidiva semplice e di recidiva aggravata, alla luce della presenza, nelle corrispondenti fattispecie normative, delle espressioni «può essere sottoposto ad un aumento» o «può essere aumentata».
Neppure può porsi in dubbio, però, che analoga facoltatività contraddistingua le ulteriori ipotesi, per il solo fatto che, a proposito delle stesse, la norma si esprima nei termini tassativi «l’aumento è». Le proposte questioni di illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. proc. pen., nella parte in cui stabilisce fra l’altro il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sull’aggravante della recidiva reiterata, sono state infatti dichiarate inammissibili (Corte cost., sent. n. 192 del 2007) in quanto ritenute implicitamente fondate sul presupposto della obbligatorietà dell’applicazione della recidiva reiterata, in presenza dei soli requisiti attinenti ai precedenti penali, trascurando il diverso orientamento della giurisprudenza di legittimità, già espresso in alcune pronunce all’epoca della decisione della Corte costituzionale.
Secondo tale indirizzo (fra le altre Sez. 6, n. 37169 del 17/09/2008, Orlando, Rv. 241192; Sez. 5, n. 40446 del 25/09/2007, Mura, Rv. 237273; Sez. 2, n. 32876 del 04/07/2007, Doro, Rv. 237144; Sez. 4, n. 39134 del 28/06/2007, Mazzitta, Rv. 237271; Sez. 4, n. 26412 del 19/04/2007, Meradi, Rv. 236835), la formulazione letteralmente tassativa sull’aumento di pena nella disposizione relativa alla recidiva reiterata — con argomentazione da intendersi evidentemente valida anche per l’ipotesi della recidiva pluriaggravata — deve invero essere intesa nel suo diretto ed esclusivo riferimento alla determinazione di tale aumento, e non estesa anche all’applicazione o meno dello stesso, che rimane affidata alla decisione facoltativa del giudice; significato rimarcato in tal senso dalla ben diversa formulazione del quinto comma dell’art. 99 cod. pen., all’epoca vigente prima della menzionata declaratoria di illegittimità costituzionale del 2015, esplicitamente enunciata in termini di obbligatorietà dell’aumento in quella particolare ipotesi.
4.2. La citata sentenza della Corte costituzionale del 2007, tuttavia, non ha limitato il suo contenuto motivazionale ad una decisione sostanzialmente adesiva all’orientamento della giurisprudenza di legittimità sulla facoltatività dell’aumento di pena nelle fattispecie di recidiva aggravata e reiterata.
La stessa Corte ha, infatti, indicato il criterio valutativo per l’esercizio di tale facoltatività, precisandone i contorni nella significatività del nuovo fatto delittuoso, commesso dopo una o più precedenti condanne, sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo. Si tratta, in realtà, di una indicazione anch’essa già presente nella giurisprudenza di legittimità coeva alla decisione del giudice delle leggi (Sez. 4, 9 n. 16750 del 11/04/2007, Serra, Rv. 236412), e successivamente ribadita in altre pronunce affermative del carattere facoltativo dell’applicazione della recidiva (Sez. 5, n. 22871 del 15/05/2009, Held, Rv. 244209; Sez. 3, n. 45065 del 25/09/2008, Pellegrino, Rv. 241779; Sez. 2, n. 19557 del 19/03/2008, Rv. 240404, Buccheri).
Il riferimento metodologico alla valutazione del nuovo delitto in termini di maggiore colpevolezza e pericolosità si è tuttavia consolidato nelle successive decisioni delle Sezioni Unite che hanno recepito tale principio nella risoluzione delle questioni rispettivamente rimesse (Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, Schettino, in tema di necessità, perché la recidiva possa ritenersi riconosciuta, dell’effettivo aumento della pena in relazione alla stessa o della sua confluenza nel giudizio di comparazione fra circostanze concorrenti eterogenee; Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, in tema di qualificazione della recidiva aggravata e reiterata come circostanza ad effetto speciale e delle relative conseguenze in caso di concorso della stessa con altre aggravanti dello stesso tipo; Sez. U, 35738 del 27/05/2010, Calibè, in tema di obbligatorietà della contestazione della recidiva).
Nella sentenza Indelicato, in particolare, sono stati posti in evidenza gli aspetti sistematici della specificazione dei requisiti di maggiore colpevolezza e pericolosità, quali fondamenti per le valutazioni giudiziali sull’esercizio della facoltà di aumento di pena per effetto della recidiva, sia sotto il profilo strutturale che per quello funzionale.
Tale specificazione attribuisce in primo luogo ai requisiti indicati la natura di veri e propri presupposti per l’applicazione di tale aumento. Nella struttura della recidiva, in altre parole, al presupposto formale costituito dalla precedente condanna si aggiunge un presupposto sostanziale individuato per l’appunto nella maggiore colpevolezza e pericolosità, in quanto implicitamente previsto, accanto a quelli espressamente descritti dall’art. 99 cod. pen., nella disposizione di facoltativo aggravamento della pena a seguito dell’accertamento di tali condizioni.
Sempre sul piano strutturale e descrittivo, inoltre, e in conseguenza diretta di questo ampliata visuale sui presupposti della recidiva, la stessa non può essere considerata unicamente come espressione di uno status soggettivo del reo, delineato dai suoi precedenti penali. La necessità del presupposto sostanziale di maggiore colpevolezza e pericolosità, del quale il nuovo delitto sia sintomatico, collega invece la recidiva anche ad un dato fattuale, ossia tale nuovo delitto nelle sue oggettive caratteristiche.
Sotto il profilo funzionale, infine, coerentemente con la sua natura circostanziale, la recidiva opera in questa prospettiva come adeguamento della risposta sanzionatoria alla effettiva gravità del nuovo delitto. La peculiarità di questa funzione è nella necessità che tale gravità sia valutata nella sua relazione con i precedenti reati commessi, qualificata alla luce dell’incidenza nell’incremento della colpevolezza e della pericolosità del soggetto.
5. Il presupposto sostanziale della recidiva, come appena ricostruito, pone alcune questioni definitorie e, di conseguenza, anche operative.
5.1. Un primo ordine di questioni attiene ai rapporti fra le valutazioni di profili diversi quali, da un lato, la colpevolezza e la pericolosità, e, dall’altro, la personalità del reo, emergente dalle condanne precedenti, e la gravità del nuovo delitto. L’aspetto segnatamente definitorio concerne, in questa prospettiva, le stesse nozioni di colpevolezza e di pericolosità da considerarsi nel giudizio sulla recidiva.
Una prima indicazione in questo senso, con particolare riguardo alla colpevolezza, si ritrova già in una delle decisioni di legittimità che collegavano l’esercizio della facoltatività, nell’aumento di pena per la recidiva, al dato della maggiore colpevolezza e pericolosità, nei tempi immediatamente successivi alla pronuncia della citata sentenza della Corte costituzionale del 2007 (Sez. 4, n. 21523 del 23/04/2009, Pinna, Rv. 244010).
Si è infatti osservato in quella occasione che la valutazione di significatività del nuovo delitto, nell’ambito della reiterazione dei reati, si risolve nello stabilire se e quanto tale delitto esprima una maggiore rimproverabilità, in quanto dimostrativo di un atteggiamento di indifferenza verso la legge, dell’assenza di un ripensamento critico a seguito delle precedenti condanne e, in conclusione, di una risoluzione criminosa più consapevole e determinata.
La maggiore dimensione di colpevolezza, ravvisabile nel nuovo delitto, viene rappresentata in sostanza nella sua espressività, ove rapportata ai delitti oggetto delle precedenti condanne, della resistenza del reo all’effetto dissuasivo derivante dalla revisione del proprio vissuto criminale in conseguenza di tali condanne, e del conseguente rafforzamento della propria determinazione delittuosa.
Questa visione è stata delineata con maggiore chiarezza e completezza dalle Sezioni Unite con la più volte menzionata sentenza Indelicato. Qui l’elemento centrale, nella valutazione sull’applicazione dell’aumento di pena per la recidiva, è stato individuato nella maggiore attitudine a delinquere del reo, in quanto aspetto comune sia alla colpevolezza che alla capacità di realizzazione di nuovi reati.
La colpevolezza, in questa prospettiva, rileva ai fini della recidiva nella sua accezione di consolidamento della determinazione delittuosa pur a fronte del monito delle precedenti condanne, corrispondente a quella proposta con la suddetta sentenza Pinna. Tale nozione, tuttavia, viene sviluppata in una sua inevitabile risultante, ossia la maggiore attitudine a delinquere, che sotto questo 11 / profilo costituisce una componente della colpevolezza.
Questa componente, per altro verso, si traduce a sua volta in una incrementata capacità delinquenziale, che in questo senso costituisce la forma espressiva della pericolosità determinante nel giudizio sulla recidiva.
Questa ricostruzione implica che, se alla colpevolezza ed alla pericolosità si attribuiscono in concreto le forme appena rispettivamente descritte, le stesse sono oggetto non di distinte valutazioni ai fini della recidiva, ma di una valutazione unitaria e consequenziale, nel senso che dall’accertamento di una maggiore colpevolezza, in quanto costituita dal rafforzamento della determinazione criminosa, deriva quello di una pericolosità costituita dalla potenzialità di commissione di altri reati. In tal modo si chiariscono non solo i rapporti fra le due componenti del fondamento sostanziale della recidiva, nel segno di una valutazione che le investe entrambe unitariamente, ma anche quelli che intercorrono in questo contesto fra i precedenti del reo e il nuovo delitto.
La valutazione dell’attitudine a delinquere, invero, da un lato consente alla recidiva di svolgere, quale circostanza aggravante, la propria funzione di adeguamento dell’entità della risposta punitiva al nuovo delitto. Dall’altro collega quest’ultimo reato ai fatti oggetto delle condanne precedenti, in quanto è in relazione a tali fatti ad essere esaminata l’incidenza dell’ultima ricaduta nel crimine nel contrassegnare l’ulteriore incremento dell’attitudine a delinquere, incremento che giustifica la risposta sanzionatoria di cui sopra.
5.2. Se il giudizio sulla sussistenza del presupposto sostanziale della recidiva si incentra nella valutazione sulla maggiore attitudine a delinquere del reo, lo stesso non può evidentemente ridursi alla mera constatazione della commissione di un nuovo delitto da parte del soggetto già condannato. E’ necessario, di contro, un esame del percorso criminale del reo e della significatività del nuovo delitto, nell’ambito di tale percorso, in termini di rafforzamento dell’attitudine a delinquere. Tanto non può prescindere dal riferimento a parametri di commisurazione relativi sia ai precedenti che al nuovo delitto.
Di siffatti parametri aveva già fatto cenno la Corte costituzionale (Corte cost., sent. n. 192 del 2007), indicandoli, oltre che nel generale riferimento agli elementi previsti dall’art. 133 cod. pen., anche e più specificamente nella natura e nel tempo di commissione dei reati precedentemente commessi. Una più articolata definizione dei criteri in discussione è stata tuttavia formulata dalla Sezioni Unite (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv. 247838), sia nella specificazione degli elementi di cui sopra che nell’apertura ad altri parametri.
Quanto al primo aspetto, il riferimento alla natura dei reati è stato precisato in alcuni dati riguardanti i singoli illeciti, come la qualità delle condotte ed il loro grado di offensività, e in altri attinenti alla visione complessiva dei reati, quali il tipo di devianza di cui essi sono il segno ed il loro livello di omogeneità. L’oggetto del richiamo al tempo della commissione dei reati è stato invece focalizzato nella distanza temporale intercorrente fra gli stessi.
Per altro verso, la sentenza Calibè ha posto l’accento, quanto in particolare al nuovo delitto commesso, sull’importanza di valutare l’eventuale occasionalità della ricaduta nel crimine. E’ in primo luogo da questo punto di vista, invero, che deve essere considerata l’incidenza di tale delitto nel rafforzamento dell’attitudine a delinquere. La stessa decisione ha peraltro escluso che la suddetta elencazione abbia carattere tassativo ed esclusivo, rimanendo possibile individuare nella realtà concreta ulteriori elementi significativi.
Quello che occorre sottolineare, e che si rivelerà utile per quanto si dirà in seguito, è quanto in questa pronuncia delle Sezioni Unite emerge sulla necessità di una valutazione che, pur mirata all’incidenza dell’ultimo delitto sull’attitudine a delinquere del reo, prenda in esame in questa prospettiva l’interezza dei reati compresi nella sequenza recidivante. L’obiettivo finale dell’accertamento, in altre parole, è senza dubbio la significatività dell’ultimo episodio della serie per la risposta sanzionatoria prevista dall’art. 99 cod. pen.; ma il metodo di tale accertamento non può che guardare al complesso della serie criminale.
6. Venendo ora all’esame dello specifico quesito proposto alle Sezioni Unite, va premesso che l’ordinanza di rimessione assume una posizione critica rispetto ad un orientamento della giurisprudenza di legittimità che segnala come maggioritario, ma che in realtà è pressoché costante e risalente.
6.1. Secondo tale orientamento, la configurabilità della recidiva reiterata non presuppone la dichiarazione della recidiva semplice in una delle precedenti sentenze di condanna, essendo sufficiente a tal fine che, al momento della commissione dell’ultimo delitto, il reo risulti gravato da più condanne definitive per reati che, valutati unitamente all’ultimo, manifestino la sua maggiore attitudine criminosa (fra le altre, Sez. 2, n. 35159 del 01/07/2022, Lodi, Rv. 283848; Sez. 2, n. 15591 del 24/03/2021, Di Maio, Rv. 281229; Sez. 2, n. 21451 del 05/03/2019, Gasmì, Rv. 275816; Sez. 5, n. 47072 del 13/06/2014, Hoxha, Rv. 261308; Sez. 2, n. 18701 del 07/05/2010, Arullani, Rv. 247089; Sez. 5, n. 41288 del 25/09/2008, Moccia, Rv. 241598; Sez. 3, n. 7864 del 20/12/1974, dep. 1975, Arrighini, Rv. 130566; Sez. 4, n. 2957 del 11/11/1974, dep. 1975, Bongi, Rv. 129565; Sez. 4, n. 4010 del 20/09/1971, Marotta, Rv. 119454; Sez. 13 5, n. 1192 del 12/10/1967, dep. 1968, Di Pierro, Rv. 106912, oltre alle recenti e non massimate Sez. 5, n. 26170 del 22/04/2022, Nikolic; Sez. 6, n. 11522 del 02/02/2022, D’Ignoti; Sez. 6, n. 4448 del 27/01/2022, Ahmed; Sez. 2, n. 21770 del 19/02/2021, Ranalli).
Questa linea interpretativa è motivata essenzialmente in base al dato letterale. L’art. 99, quarto comma, cod. pen., nel prevedere l’ipotesi della recidiva reiterata, non fa alcun riferimento ad una precedente dichiarazione della recidiva semplice. Come poi si sottolinea particolarmente in alcune pronunce (Sez. 1, n. 24023 del 06/05/2003, Andreucci, Rv. 225233; Sez. 3, n. 6424 del 25/06/1993, Mighetto, Rv. 195127), un siffatto richiamo non può essere tratto dalla mera indicazione come «recidivo» dei soggetto che, ove commetta altro delitto, è sottoposto all’aumento di pena proprio della fattispecie recidivante in esame.
Il termine, secondo questa lettura, non sottintende la costituzione di uno stato di recidivanza per effetto di una precedente dichiarazione giudiziale in tal senso. Esso, al contrario, è utilizzato dal legislatore, per comodità espositiva, quale mera espressione di sintesi che consente di non riproporre testualmente e per esteso la disposizione del primo comma dell’articolo sul presupposto formale della recidiva semplice, ossia la precedente condanna per un delitto non colposo.
6.2. Nell’ordinanza di rimessione si richiama, indicandolo come parzialmente divergente da quello appena esposto, un indirizzo giurisprudenziale che tuttavia si discosta da quest’ultimo per un aspetto marginale, e non ne mette in discussione l’essenzialità del principio generale affermato nella possibilità di ritenere la recidiva reiterata anche in mancanza di una previa dichiarazione della recidiva semplice.
Il riferimento è alle decisioni che, in contrasto con talune di quelle citate in precedenza, in particolare le sentenze Lodi e Di Maio, secondo le quali la recidiva reiterata può essere ritenuta anche ove nei procedimenti precedentemente definiti non sussistano le condizioni astratte per la dichiarazione della recidiva semplice, hanno di contro affermato la necessità che, all’epoca della commissione del reato oggetto della seconda condanna precedente, si sia realizzata la condizione del passaggio in giudicato della prima condanna (Sez. 1, n. 49567 del 02/11/2022, Panico, non mass.; Sez. 3, n. 27450 del 29/04/2022, D’Aguì, Rv. 283351; Sez. 3, n. 2519 del 14/12/2021, dep. 2022, Pistocchi, Rv. 282707; Sez. 2, n. 37063 del 26/11/2020, Kassimi, Rv. 280436).
Si tratta, all’evidenza, di decisioni dipendenti dalla particolarità del caso, nel quale in precedenza difettava una condizione formale per la configurabilità della recidiva semplice; decisioni, pertanto, non incidenti significativamente sulla generalità dell’affermazione della giurisprudenza in ordine alla mancanza, fra le condizioni per la ravvisabilità della recidiva reiterata, della pregressa dichiarazione della recidiva semplice.
E’ significativo in tal senso, del resto, che nella sentenza Panico, poc’anzi citata, la constatazione del mancato passaggio in giudicato della prima condanna al momento della commissione del secondo reato sia stata considerata pregiudizialmente quale fatto che rendeva superfluo affrontare la questione, in quella sede proposta, della necessità in tutti i casi di una previa dichiarazione della recidiva semplice.
Tale questione, in realtà, è rimessa alle Sezioni Unite non tanto per l’esistenza di un effettivo contrasto giurisprudenziale sul punto, quanto per la ravvisabilità di un contrasto potenziale dell’attuale orientamento, in tema di irrilevanza della pregressa dichiarazione di recidiva semplice per la rilevabilità della recidiva reiterata, con l’evoluzione giurisprudenziale ricostruita in precedenza in ordine alla sussistenza di un presupposto sostanziale della recidiva, costituito dalla significatività dell’ultimo delitto commesso in termini di accresciuta attitudine a delinquere del reo. Ed è in questa prospettiva che la questione deve essere discussa.
7. Occorre considerare innanzitutto l’argomento di carattere letterale richiamato quale fondamento dell’interpretazione fin qui sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità sulla questione in discussione.
7.1. Tale argomento ha senza dubbio una notevole consistenza. La sua persuasività, peraltro, non è data unicamente dalla pur non trascurabile rilevanza dell’assenza, nella formulazione dell’art. 99, quarto comma, cod. pen., di qualsiasi riferimento ad una precedente affermazione giudiziaria della recidiva semplice.
L’adesione alla tesi opposta, nel senso della necessità di tale precedente pronuncia, presupporrebbe infatti l’attribuzione al termine «recidivo», che introduce il citato quarto comma indicando come tale il soggetto nei confronti del quale può essere ritenuta la fattispecie reiterata della recidiva, di un significato tale da comprendere l’intero contenuto descrittivo del primo comma dell’articolo; non solo, quindi, l’esistenza di una prima condanna per un delitto non colposo, ma anche la concreta applicazione della recidiva con la seconda condanna, mediante il relativo aumento di pena o la confluenza della circostanza aggravante in un giudizio di comparazione con circostanze di segno contrario.
Se si pone tuttavia attenzione alla struttura testuale complessiva della norma, ed in particolare al rapporto fra le fattispecie del primo e del quarto comma, è di immediata constatazione che dette fattispecie sono connotate da un’evidente simmetria. In entrambe, invero, ad una prima parte riferita alla posizione soggettiva di recidivanza del reo, esplicitata nel primo comma con l’indicazione della precedente condanna e della natura del reato oggetto della stessa, segue una seconda parte rappresentativa delle conseguenze giuridiche di questa posizione sul trattamento sanzionatorio.
In questa configurazione, intendere la prima parte del quarto comma, ossia il riferimento all’ipotesi nella quale il «recidivo commette un altro delitto non colposo», quale comprensiva anche della seconda parte del primo comma, relativa al riconoscimento giudiziale della recidiva, appare decisamente dissonante rispetto alla descritta corrispondenza simmetrica fra le due fattispecie; mentre è invece coerente con la stessa una lettura della riportata espressione del quarto comma nel suo significato letterale, unicamente descrittivo della posizione del soggetto che abbia posto in essere l’ulteriore ulteriore delitto trovandosi nella condizione formale di recidivo semplice, prevista dalla prima parte del primo comma, e non comprensivo dell’effettivo riconoscimento giudiziale della recidiva e dei relativi effetti sanzionatori, oggetto della seconda parte del primo comma e, correlativamente, della seconda parte del quarto comma con riguardo alla fattispecie della recidiva reiterata.
Tanto, a maggior ragione, ove si consideri la facoltatività del giudizio da cui dipende la conseguenza sanzionatoria prevista dal primo comma e, come si è visto, anche dal quarto comma, a fronte della invece tassativa qualificazione di recidivanza per effetto del dato formale della pregressa condanna.
L’elemento testuale, in sostanza, depone univocamente nel leggere il termine «recidivo» presente nel quarto comma, conformemente all’interpretazione dell’orientamento giurisprudenziale criticato con l’ordinanza di rimessione, come meramente ripropositivo in forma sintetica dell’espressione estesamente utilizzata nel primo comma per descrivere la condizione di precedente condanna, e non inclusivo dell’eventuale, concreta applicazione della recidiva nei suoi effetti sanzionatori.
7.2. Vi sono, d’altra parte, diversi aspetti sistematici che si pongono in linea con questa conclusione. L’art. 105 cod. pen., in primo luogo, prevede espressamente che sia dichiarato delinquente o contravventore professionale il soggetto che «trovandosi nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità, riporta condanna per altro reato».
Da questa formulazione emerge chiaramente (come del resto riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, Sez. 4, n. 13463 del 05/11/2019, dep. 2020, Guarneri, Rv. 278919) che la dichiarazione di professionalità può essere pronunciata anche ove quella di livello immediatamente inferiore nella progressione prevista dalla legge, ossia quella di abitualità, non sia stata giudizialmente affermata, essendo sufficiente che ne sussistano le condizioni.
Si tratta di un caso indubbiamente diverso oggetto da quello sottoposto a questa Corte con l’ordinanza di rimessione, e tuttavia significativo in quanto costituisce applicazione di un principio, per il quale non è necessaria l’espressa pronuncia di una dichiarazione costitutiva di una condizione relativa ai precedenti penali del reo di grado inferiore a quella valutata nel procedimento, sussistendone comunque i presupposti, in una fattispecie le cui conseguenze giuridiche sono per il soggetto interessato più gravi ed afflittive di quelle della recidiva.
Si evidenzia in tal modo come sia conforme al sistema che il principio operi anche per la fattispecie della recidiva reiterata rispetto a quella della recidiva semplice, nel senso della possibilità di ritenere la prima anche solo in presenza delle condizioni formali della seconda.
Considerazioni analoghe valgono per la previsione di ostatività della recidiva reiterata — oltre che delle condizioni di abitualità e professionalità nelle contravvenzioni — all’ammissione all’oblazione speciale, di cui all’art. 162-bis, terzo comma, cod. pen.
La formulazione della relativa disposizione, nei termini per cui «l’oblazione non è ammessa quando ricorrono i casi previsti dal terzo capoverso dell’art. 99», è infatti costantemente intesa dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che la condizione di recidiva reiterata impedisce l’accesso all’oblazione anche ove la stessa non sia stata giudizialmente dichiarata (Sez. 3, n. 29238 del 17/02/2017, Cavallero, Rv. 270147; Sez. 3, n. 55123 del 04/10/2016, Derbali, Rv. 268776; Sez. 4, n. 20309 del 16/03/2004, Marchetta, Rv. 228922).
Si è in particolare osservato sul punto che l’espressione testualmente riferita alla ricorrenza, fra gli altri, del caso della recidiva reiterata, deve essere letta, per il suo tenore sia letterale che logico, come indicativa della mera sussistenza dei precedenti che per il loro numero e la loro natura integrano il presupposto formale dell’ipotesi recidivante in esame (Sez. 1, n. 17316 del 05/04/2006, Giunta, Rv. 234251).
E’ ancora all’interpretazione giurisprudenziale, infine, che si deve l’assimilazione, ai casi appena considerati, di quello dell’interdizione al cosiddetto «patteggiamento allargato», ossia esteso all’applicazione di una pena detentiva non soggetta al limite massimo di due anni, ma a quello di cinque anni, prevista dall’art. 444, comma 1-bis, cod. proc. pen.
Tale disposizione si esprime testualmente escludendo dalla possibilità di ricorrere a tale forma di applicazione di pena, fra gli altri, «coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, o recidivi ai sensi dell’art. 99, quarto comma, cod. pen.»; formulazione, questa, che può suggerire un’associazione della posizione dei recidivi reiterati a quella dei delinquenti abituali, professionali o per tendenza, nella condizione della necessità di una dichiarazione giudiziale di dette posizioni anteriore al procedimento nel quale è richiesta l’applicazione della pena, ed in tal senso è stata in effetti intesa da talune pronunce (Sez. 1, n. 1007 del 13/11/2008, dep. 2009, Manfredi, Rv. 242509; Sez. 6, n. 39238 del 16/09/2004, Bonfanti, Rv. 230378).
Le Sezioni Unite hanno tuttavia escluso la legittimità di questa interpretazione, osservando che la norma è espressa in una forma tecnicamente imprecisa, in quanto utilizzata essenzialmente per ragioni di 17 uniformità lessicale nell’esposizione di tutte le situazioni soggettive ostative all’ammissibilità del patteggiamento allargato — la maggior parte delle quali caratterizzate dalla previsione di un’apposita dichiarazione, come per l’appunto quella di abitualità, professionalità e tendenza a delinquere — prescindendo dalle differenze sostanziali fra dette situazioni (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv. 247840).
In questo contesto, la peculiarità sostanziale che distingue la recidiva reiterata, e la recidiva in generale, è individuata dalla sentenza Calibè proprio nel fatto che essa non è oggetto di una formale dichiarazione, ma può solo essere ritenuta e applicata per i reati in relazione ai quali è contestata. La stessa nozione di una previa dichiarazione della recidiva reiterata, quale condizione ostativa all’accesso al patteggiamento allargato, è dunque improponibile.
Questa lettura della previsione dell’art. 444, comma 1-bis, cod. proc. pen. non consente pertanto di ravvisare nella stessa un dato sistematico in senso distonico dall’indirizzo giurisprudenziale sulla possibilità di ritenere la recidiva reiterata anche in mancanza di un precedente riconoscimento della recidiva semplice. E’ significativo, al contrario, che le conclusioni della sentenza Calibè sul punto siano state richiamate a sostegno di talune delle decisioni conformi a tale indirizzo (Sez. 2, n. 15591 del 24/03/2021, Di Maio, Rv. 281229; Sez. 2, n. 21451 del 05/03/2019, Gasmi, Rv. 275816).
8. A fronte degli elementi letterali e sistematici di cui sopra, nell’ordinanza di rimessione si richiama l’attenzione sulla necessità di tenere conto delle profonde modificazioni nella struttura dell’istituto della recidiva e nel giudizio sull’applicazione dello stesso, indotte dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità con l’individuazione del requisito sostanziale dell’accentuata attitudine a delinquere del reo, in quanto manifestazione di maggiore colpevolezza e pericolosità, e con la conseguente necessità, perché la recidiva possa considerarsi ritenuta ed applicata, di una valutazione sulla sussistenza nel caso concreto di tale presupposto.
Si osserva in proposito che, per effetto di questa mutata concezione della recidiva, la stessa non si riduce più nei limiti di uno status personale dipendente unicamente dalla presenza di determinati precedenti penali, ma si articola altresì in una più complessa condizione di incidenza del nuovo delitto commesso sull’attitudine a delinquere, da valutarsi nel significato in tal senso di tale delitto in relazione con i precedenti.
Tanto rende necessario, secondo questa interpretazione, che ogni livello di recidiva debba essere specificamente esaminato in corrispondenza con la commissione del nuovo delitto che ne rende formalmente accertabile la ricorrenza; e che pertanto la recidiva 18 reiterata non possa essere valutata in mancanza di un accertamento sull’applicazione del precedente livello della recidiva semplice.
Vi è un aspetto che può essere immediatamente colto in questa proposta ermeneutica, e che incide negativamente, e in misura non marginale, sulla persuasività della relativa argomentazione. Quest’ultima si presenta indubbiamente come improntata alla piena valorizzazione della nuova concezione della recidiva nel superamento di una rigidità applicativa, derivante dalla mera constatazione dell’esistenza delle precedenti condanne, in favore del giudizio in concreto sull’elemento sostanziale della maggiore attitudine a delinquere.
Sul piano dei rapporti fra la recidiva semplice e la recidiva reiterata, tuttavia, tale proposta si risolve contraddittoriamente nell’introduzione di una diversa e non meno evidente connotazione di rigidità, data dal sottoporre l’applicazione della recidiva reiterata alla imprescindibile condizione del previo accertamento della recidiva semplice.
Si tratta di un profilo di rigidità che, considerate le varie ed occasionali ragioni per le quali può accadere che detto accertamento non abbia avuto luogo — dalla mancata contestazione della recidiva nel procedimento precedente ad una diversa valutazione sulla significatività del delitto giudicato in quella sede, oppure alla mera omissione motivazionale sul punto — manifesta ancor più vividamente la sua incoerenza con l’intento di concretezza e sostanzialità del giudizio sulla recidiva, posta alla base della tesi in discussione.
A prescindere da questa difficoltà argomentativa, risulta però decisivo un ulteriore ordine di considerazioni.
Va premesso che, per superare un dato letterale della pregnanza di quello in precedenza esposto, occorrerebbe che la soluzione proposta, nel senso della necessità di un precedente riconoscimento della recidiva semplice perché si possa procedere all’accertamento della recidiva reiterata, costituisca l’unico percorso procedurale che consenta una piena e compiuta verifica sulla sussistenza del presupposto sostanziale della recidiva anche rispetto alla significatività dell’ulteriore delitto, in termini di accresciuta attitudine a delinquere, ai fini della configurabilità dell’ipotesi della fattispecie reiterata.
Orbene, si è in precedenza sottolineato come le Sezioni Unite, nella più volte menzionata sentenza Calibè, abbiano evidenziato che il giudizio sulla recidiva, pur essendo incentrato sulla rilevanza dell’ultimo delitto commesso rispetto alla valutazione dell’accresciuta attitudine a delinquere, deve avere ad oggetto la totalità dei reati compresi nella sequenza recidivante, nel loro apporto all’incremento dell’attitudine suindicata.
Il riferimento a questo principio mostra come sia assolutamente possibile e praticabile una valutazione della maggiore attitudine a delinquere, rispetto alla ravvisabilità dell’ipotesi della recidiva reiterata, anche in assenza di una precedente valutazione in tal senso relativamente alla fattispecie intermedia della recidiva semplice. Se, infatti, l’oggetto del giudizio sulla recidiva reiterata, come sulla recidiva in generale, deve comprendere il contributo specifico di tutti i reati della serie esaminata alla formazione ed al consolidamento della risoluzione e della disposizione criminale del reo, lo stesso assorbe necessariamente quella che sarebbe stata la valutazione sul passaggio della recidiva semplice, in quanto riguardante anche la significatività propria del delitto che avrebbe determinato la configurabilità di tale ipotesi.
Nella situazione in esame, in altre parole, tale valutazione non rimane omessa, ma può e deve essere effettuata, sia pure retrospettivamente, nell’ambito di quella attinente alla fattispecie della recidiva reiterata. In sostanza, la doverosa considerazione della nuova fisionomia dell’istituto della recidiva non conduce inevitabilmente alla necessità che la recidiva reiterata sia valutata e ritenuta solo in presenza di un precedente riconoscimento della recidiva semplice, potendo le relative esigenze essere realizzate nell’ambito del giudizio complessivo ai fini dell’applicazione della recidiva reiterata.
Di conseguenza, non vi è ragione per superare un dato letterale e sistematico chiaramente orientato nell’escludere che il previo accertamento della recidiva semplice sia condizione per valutare l’applicabilità della recidiva reiterata.
9. Le considerazioni appena svolte evidenziano l’infondatezza della prima delle osservazioni proposte dal Procuratore generale nella memoria depositata e nelle conclusioni, formulate nel corso dell’udienza, che la richiamano; vale a dire, quella per cui la recidiva reiterata, ove ritenuta solo in base ai precedenti penali che formalmente la giustificano, non comprenderebbe la recidiva semplice. Le concrete modalità di accertamento della recidiva reiterata, nella complessiva valutazione di cui sono stati esposti i termini, includono infatti non solo il presupposto formale della recidiva semplice, ma anche quello sostanziale.
Quanto agli ulteriori rilievi del Procuratore generale, l’espressa previsione dell’art. 105 cod. pen., in ordine alla possibilità della dichiarazione di professionalità nel reato anche in assenza di una precedente dichiarazione di abitualità, non è conducente in ordine all’attribuzione di significato contrario alla mancanza di una similare previsione per il riconoscimento della recidiva reiterata in assenza di un precedente accertamento della recidiva semplice; si è visto in precedenza, di contro, come la possibilità di un accertamento successivo dei presupposti dell’ipotesi di livello inferiore, in quanto prevista per fattispecie dagli effetti più gravi rispetto a quelle della recidiva, sia significativa della conformità al sistema di una soluzione analoga per le ipotesi di cui all’art. 99 cod. pen.
Non sono poi rilevanti i riferimenti alla esplicita disposizione dell’art. 679 cod. proc. 20 pen. sulla facoltà, per il giudice di sorveglianza, di accertare la pericolosità del condannato ai fini della dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato, ed alla preclusione dell’applicazione della recidiva in sede di esecuzione ove la stessa non sia stata ritenuta nel giudizio di cognizione, trattandosi di situazioni processuali chiaramente diverse da quella qui esaminata.
Non è infine ravvisabile, quale effetto pregiudizievole della possibilità di accertare direttamente la recidiva reiterata, quello di impedire, a colui che sia stato condannato per la seconda volta, di adeguare la propria condotta di vita al monito della recidiva semplice e di non incorrere nelle conseguenze sanzionatorie della più grave ipotesi recidivante, in contrasto con la funzione rieducativa della pena.
La possibilità di conformare la propria condotta alla previsione delle predette conseguenze sanzionatorie è infatti garantita per il condannato, anche in assenza dell’espressa indicazione della recidiva semplice nelle condanne precedenti, dalla predeterminazione normativa delle condizioni formali per le varie ipotesi di recidiva e delle loro implicazioni in tema di valutabilità delle stesse ai fini dell’applicazione di aumenti di pena anch’essi specificamente previsti dalla legge.
Neppure si pone alcuna problematica con riguardo alla prevedibilità di una condanna che comprende anche l’aggravante della recidiva reiterata, essendo comunque necessario che la stessa sia oggetto di precisa contestazione.
E’ altresì irrilevante il richiamo del difensore del ricorrente, nel corso della discussione, alla previsione dell’art. 81, quarto comma, cod. pen. sul limite minimo dell’aumento per il concorso formale o la continuazione di reati nei confronti dei soggetti «ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, quarto comma», con una dicitura che richiede un compiuto accertamento della fattispecie recidivante.
La norma citata disciplina anche in questo caso un’ipotesi sostanzialmente diversa da quella oggetto della questione rimessa, regolando un effetto penale della recidiva reiterata e non i rapporti fra tale forma di recidiva e quella della recidiva semplice.
10. Deve pertanto concludersi nel senso che la recidiva reiterata può essere accertata, ritenuta ed applicata nei confronti di un soggetto recidivo, da considerarsi tale in quanto già condannato due volte per delitti non colposi, anche se tale condizione di recidivanza non sia stata ritenuta nel precedente giudizio, in conformità con l’indirizzo fin qui seguito dalla giurisprudenza di legittimità.
Detto questo, l’importanza dell’evoluzione che ha portato ad una diversa configurazione della recidiva e dei suoi aspetti applicativi, pur se non tale da creare il potenziale contrasto denunciato con l’ordinanza di rimessione, non deve essere trascurata.
Lo spazio nel quale questa realtà può trovare adeguata considerazione non è, tuttavia, quello di un irrigidimento formalistico nella successione delle affermazioni giurisprudenziali delle varie ipotesi di recidiva, ma, piuttosto, quello della motivazione sull’applicazione della recidiva reiterata, segnatamente nel caso in cui non vi sia stato un precedente accertamento della recidiva semplice.
La rilevanza dell’aspetto motivazionale della recidiva, nella nuova definizione assunta dall’istituto, è stata da tempo segnalata dalle Sezioni Unite, nel rilevare che la facoltatività dell’applicazione della stessa impone al giudice, sia nel caso in cui disponga tale applicazione che nel caso contrario, uno specifico dovere di motivazione in proposito (Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, Marcianò, Rv. 251690).
Tornando sulla questione, le Sezioni Unite hanno ribadito e dettagliato il principio, osservando che il superamento della concezione della recidiva come status soggettivo determinato dai soli precedenti penali non rende più ammissibile una motivazione affidata a formule di stile; è di contro doverosa un’argomentazione che, precisando gli elementi fattuali presi in considerazione e i criteri utilizzati per valutarli, dia conto della maggiore rimproverabilità del reo per non essersi fatto distogliere dalla risoluzione criminosa per effetto delle precedenti condanne (Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, Schettino, non massimata sul punto).
Gli elementi fattuali e i criteri di valutazione, a cui la motivazione deve fare riferimento, sono evidentemente quelli già indicati dalle stesse Sezioni Unite nella sentenza Calibè, e dei quali si è detto in precedenza: la tipologia e l’offensività dei reati, la loro omogeneità e collocazione temporale, la devianza della quale sono complessivamente significativi e l’occasionalità o meno dell’ultimo delitto, oltre ad eventuali, ulteriori, dati emergenti dalla fattispecie concreta.
Con riguardo alla recidiva reiterata, il principio si traduce nella necessità che i fatti oggetto delle pregresse condanne ed il nuovo delitto siano esaminati nelle loro connotazioni sintomatiche di un progressivo rafforzamento della determinazione criminosa e dell’attitudine a delinquere del reo.
Nel caso in cui difetti, per qualsiasi ragione, un precedente riconoscimento giudiziale della recidiva semplice, questa impostazione motivazionale consente di conciliare adeguatamente tale evenienza con il rispetto delle esigenze di verifica del presupposto sostanziale della recidiva in tutti i passaggi del percorso criminale del reo.
La valutazione, fra gli altri, del reato oggetto della seconda condanna precedente, nel suo apporto al consolidamento dell’attitudine a delinquere, è infatti in grado di motivare l’esistenza di una base recidivante che sostiene l’aumento corrispondente alla recidiva reiterata, in presenza di un nuovo delitto stimato come fattore indicativo di ulteriore rafforzamento della predetta attitudine.
11. Deve in conclusione essere affermato il seguente principio di diritto: “Ai fini del riconoscimento della recidiva reiterata è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice.”
12. Dal principio appena enunciato discende evidentemente l’infondatezza del motivo di ricorso proposto dal con riguardo alla recidiva, nella parte in cui lamenta l’illegittimità dell’applicazione della recidiva reiterata in assenza di un precedente riconoscimento della recidiva semplice.
E’ altresì infondata la doglianza relativa all’omessa contestazione della recidiva nei procedimenti relativi alle precedenti condanne, che il difensore del ricorrente ha ritenuto di corroborare con la produzione di due delle relative sentenze, da cui emerge tale circostanza.
Si tratta, infatti, di un aspetto irrilevante rispetto all’operatività del principio indicato, come detto in precedenza, a prescindere dalle ragioni per le quali la recidiva semplice non sia stata in precedenza riconosciuta.
Il motivo, peraltro, si articola anche nel rilievo di carenza motivazionale sull’accertamento della maggiore attitudine a delinquere della quale sarebbe espressivo il delitto oggetto del presente procedimento.
Tale censura, tuttavia, è essa pure infondata.
E’ opportuno premettere che dal certificato penale del risultano una sentenza di applicazione di pena del tribunale di Ancona in data 13/03/2013, irrevocabile dal 24/04/2013, per un reato di furto commesso il 05/01/2012; una sentenza di condanna del tribunale di Ancona in data 15/07/2019, irrevocabile dal 17/11/2019, per un reato di furto commesso il 18/02/2016; e una sentenza di condanna del giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Ancona in data 12/11/2020, irrevocabile dal 02/12/2020, per un reato di tentata estorsione commesso il 08/02/2019.
Occorre altresì sottolineare che il motivo di appello sul punto verteva essenzialmente sulla distanza temporale di quasi cinque anni trascorsa fra la commissione, ne dell’ultimo delitto di furto precedentemente giudicato, e quella del furto oggetto del presente procedimento, avvenuta nel e marginalmente su un accenno al carattere bagatellare di quest’ultimo reato.
Con la sentenza impugnata si rispondeva, quanto al primo aspetto, richiamando l’ulteriore condanna per il reato di tentata estorsione, commesso nel febbraio del 2019. A questo proposito il difensore del ricorrente, (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) all’odierna discussione, ha osservato che della condanna per il fatto estorsivo non può tenersi conto, ai fini della recidiva, in quanto divenuta definitiva successivamente al delitto qui giudicato.
Orbene, a parte il fatto che tale rilievo non era proposto con il ricorso, va considerato che lo stesso, se inteso ad escludere la sussistenza del requisito formale della recidiva — conformemente all’orientamento giurisprudenziale, citato in precedenza, per il quale rilevano a tal fine le precedenti condanne passate in giudicato prima della commissione dell’ultimo delitto — non è in grado di conseguire tale risultato, in quanto il come si è visto poc’anzi, aveva riportato comunque all’epoca due condanne per furto, ed era dunque già recidivo nell’accezione che consente l’applicazione della recidiva reiterata.
Se invece la censura è diretta a contestare la valutabilità del fatto estorsivo per l’aspetto sostanziale della recidiva, va osservato che il fatto in esame era preso in considerazione nella sentenza impugnata al fine specifico di evidenziare come non ricorresse, nel percorso criminale del l’ampia lacuna temporale dedotta con l’atto di appello.
Argomento, questo, che corrisponde puntualmente ad uno degli elementi fattuali indicati dalla giurisprudenza per il giudizio sulla recidiva, ossia la distanza cronologica fra i reati. Il ricorrente, invece, nulla deduce in ordine alla principale argomentazione svolta sul punto nella sentenza di primo grado, relativa in particolare all’accrescimento della determinazione a delinquere dell’imputato, nella successione dei reati di furto, dimostrato dalla sempre maggiore specializzazione nell’esecuzione delle condotte; argomentazione peraltro non aggredita specificamente neppure nell’atto di appello.
Il ricorso è dunque generico per questo aspetto.
D’altra parte, il complesso motivazionale delle sentenze di merito, valorizzando l’elemento in esame, offre una congrua giustificazione sul progressivo incremento dell’attitudine a delinquere dell’imputato, articolata nella considerazione per la quale alle precedenti condanne per reati analoghi, lungi dal corrispondere la dissuasione dell’imputato dalla ricaduta nel crimine, aveva al contrario fatto seguito l’acquisizione della descritta specializzazione, rilevabile nell’implicito quanto evidente richiamo alle modalità del fatto descritte nell’imputazione, quali il coinvolgimento di più persone nella condotta delittuosa, la scelta dell’obiettivo di tale condotta in un locale pubblico chiuso ed appartato e l’impossessamento di titoli di credito oltre che di denaro contante.
In questa prospettiva, la motivazione tocca tutti gli aspetti determinanti nel giudizio sulla sussistenza del presupposto sostanziale della recidiva, vale a dire l’omogenea offensività patrimoniale di tutti i reati oggetto delle precedenti condanne, la loro collocazione in un contesto temporale unitario e continuo, nel quale si colloca anche il delitto estorsivo, e il carattere non occasionale dell’ultima ricaduta nel (omissis) (omissis) crimine; e risulta superato, in quanto logicamente incompatibile con questa ricostruzione, anche l’accenno dell’atto di appello alla asserita natura bagatellare dell’ultimo delitto, peraltro proposto in quella sede in termini meramente assertivi e non reiterato nel ricorso.
13. Il motivo dedotto sul diniego dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. è inammissibile.
Posto che l’affermazione di responsabilità degli imputati era motivata con il ritrovamento degli stessi, insieme a una donna nei confronti della quale si procedeva separatamente, sull’arenile antistante la veranda del ristorante, con il tentativo del di disfarsi degli assegni e del contante, sottratti dal ristorante, e di due torce, e con il ritrovamento di un piede di porco, un tondino, delle tenaglie e un cacciavite nella sabbia smossa sul luogo ove gli imputati erano stati sorpresi, si osservava nella sentenza impugnata che la prossimità di tutti i soggetti agenti al luogo di rinvenimento degli arnesi da scasso, a pochi metri dal luogo del furto, non consentiva di distinguere la qualità degli apporti concorsuali degli stessi.
A tanto il ricorrente oppone rilievi generici, e meramente reiterativi delle argomentazioni proposte con l’appello, sul ruolo asseritamente marginale dell’imputato e sulla riconducibilità ai coimputati del possesso degli strumenti di effrazione, non confrontandosi con le considerazioni della Corte territoriale sulla posizione viceversa indifferenziata degli imputati.
14. Anche il motivo dedotto sul diniego delle attenuanti generiche è inammissibile.
Il ricorrente, limitandosi a denunciare la carenza motivazionale dell’affermazione della sentenza impugnata sulla mancata indicazione di elementi a sostegno della richiesta difensiva, che invece sarebbero stati segnalati con l’atto di appello, ripropone di fatto tali elementi che, in quanto descritti nella modesta gravità della condotta, nel carattere risalente dei precedenti penali dell’imputato e nell’ottimo comportamento processuale, risultavano generici rispetto alle considerazioni della sentenza di primo grado sulle modalità del fatto e sulla personalità degli imputati.
Le censure del ricorso sono pertanto manifestamente infondate rispetto ad una motivazione con la quale la Corte territoriale evidenziava come non fossero stati dedotti elementi ulteriori in grado di superare le considerazioni del Tribunale sul punto.
15. A voler infine considerare la possibilità, affermata nella recente giurisprudenza di legittimità, di rilevare d’ufficio in questa sede l’applicabilità (omissis) della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131- bis cod. pen., come novellato dall’art. 1, comma 1, lett. c), n. 1 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in ragione della natura sostanziale dell’istituto e della immediata rilevabilità della fattispecie nei giudizi pendenti (Sez. 4, n. 9466 del 15/02/2023, Castrignano, Rv. 284133; Sez. 6, n. 7573 del 27/01/2023, Arzaroli, Rv. 284241), va osservato che la stessa giurisprudenza ammette che una decisione negativa in merito possa essere implicitamente desunta dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza (Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, dep. 2023, Lakrafy, Rv. 284096; Sez. 3, n. 43604 del 08/09/2021, Cincolà, Rv. 282097; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, Currò, Rv. 275500).
In tal senso, le considerazioni svolte nella sentenza impugnata sui precedenti penali dell’imputato e sulla natura non occasionale dell’ultimo delitto commesso, ai fini dell’applicazione della recidiva reiterata, integrano senz’altro una motivazione implicita sull’insussistenza dei presupposti per la ricorrenza dell’indicata causa di non punibilità.
16. Il ricorso del è pertanto complessivamente infondato, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.