Corte Costituzionale, sentenza, 20 maggio 2024, n. 90
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va dichiarata infondata la questione di costituzionalità dell’art. 8, comma 4, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), nella parte in cui non limita l’obbligo restitutorio dell’anticipazione della Nuova assicurazione sociale per l’impiego (NASpI) nella misura corrispondente alla durata del periodo di lavoro subordinato, quando il lavoratore non possa proseguire, per causa sopravvenuta a lui non imputabile, l’attività di impresa per la quale l’anticipazione gli è stata erogata.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– Con ordinanza del 6 dicembre 2022 (r. o. n. 131 del 2023), il Tribunale di Torino, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in rifermento agli artt. 3, 4, primo comma, 36 e 41 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 2015, nella parte in cui prevede, senza alcuna possibilità di valutare il caso concreto, l’obbligo di restituire l’intera anticipazione della NASpI se il beneficiario stipuli un contratto di lavoro subordinato entro il termine di scadenza del periodo per cui l’indennità è riconosciuta.
2.– Il rimettente riferisce di essere investito di un giudizio di opposizione avverso la richiesta dell’INPS di restituzione integrale dell’anticipazione della NASpI, erogata al lavoratore ricorrente, quale incentivo all’autoimprenditorialità per intraprendere l’attività di esercizio commerciale di ristoro (un bar).
Dopo aver chiarito che nel caso in esame l’anticipazione dell’indennità era stata corrisposta in un’unica soluzione in relazione ad importi spettanti fino al 28 maggio 2021, il giudice a quo dà atto che il ricorrente ha dimostrato, allegando documentazione, di non aver conseguito alcun reddito a causa dell’interruzione dell’esercizio dell’attività commerciale, avvenuta in conformità alla decretazione d’urgenza adottata nel corso della pandemia esplosa nel marzo del 2020; per tale ragione il ricorrente aveva accettato, in data 15 febbraio 2021, un lavoro a tempo determinato.
Fondando la propria pretesa sull’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 2015, l’INPS ha domandato la restituzione dell’intero importo erogato a titolo di NASpI, pari a 19.796,90 euro, per avere l’opponente intrapreso il rapporto di lavoro subordinato nel periodo coperto dall’indennità.
Ciò precisato, il rimettente sostiene che la disposizione indicata è affetta da illegittimità costituzionale nella parte in cui prevede l’obbligo della restituzione integrale dell’anticipazione NASpI, nel caso in cui il beneficiario abbia stipulato un contratto di lavoro subordinato entro il termine di scadenza del periodo per cui l’indennità è riconosciuta, senza consentire al giudice di adeguare la decisione sull’obbligo restitutorio al caso concreto nel quale l’attività imprenditoriale sia divenuta impossibile per cause sopravvenute, come accaduto nella specie, per effetto dell’emergenza pandemica.
Ad avviso del rimettente, sussisterebbe il contrasto con l’art. 3 Cost., in riferimento al principio di ragionevolezza e al principio di proporzionalità, in quanto l’integrale restituzione non troverebbe alcuna giustificazione rivelandosi eccessivamente gravosa, là dove l’interruzione dell’attività imprenditoriale, effettivamente avviata, sia dovuta ad impossibilità sopravvenuta.
Sarebbero violati anche gli artt. 4, 36 e 41 Cost., perché la previsione della restituzione dell’intero ammontare della NASpI si porrebbe in contrasto con il precetto costituzionale che riconosce il diritto al lavoro, nella duplice declinazione di lavoro dipendente e di lavoro autonomo.
Il rimettente sottolinea, infatti, che la disposizione censurata, da un lato, impedisce ai percettori dell’indennità anticipata la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato per tutto il periodo in cui sarebbe dovuta la NASpI, a meno di non subire la restituzione integrale dell’indennità, salvo intraprendere la strada del lavoro autonomo; scelta non esigibile a causa della situazione di crisi economica determinata dalla pandemia; dall’altro, finisce con l’incidere negativamente anche sulla libertà di svolgere una attività imprenditoriale, poiché i percettori della liquidazione anticipata della NASpI si troverebbero obbligati a proseguire in ogni caso un’attività imprenditoriale fino al termine del periodo coperto dalla misura.
3.– In primo luogo, quanto al profilo dell’ammissibilità delle questioni, occorre esaminare le eccezioni dell’INPS e del Presidente del Consiglio dei ministri, che muovono, sostanzialmente, da medesime considerazioni.
Sia la difesa statale che quella dell’Istituto assumono che l’ordinanza di rimessione difetti di un petitum specifico e determinato, poiché non indicherebbe il verso della addizione richiesta per la reductio ad legitimitatem, prospettando, altresì, meri inconvenienti di fatto.
Più specificamente, l’Avvocatura dello Stato deduce l’inammissibilità delle questioni perché l’ordinanza mirerebbe ad introdurre un precetto vago, non connotato da precisione e tassatività, che imporrebbe all’INPS una valutazione altamente discrezionale sia ai fini della dimostrazione dell’effettivo inizio e prosecuzione dell’attività economica e dei motivi che abbiano determinato la mancata prosecuzione, sia quanto ai criteri oggettivi per la quantificazione delle perdite e dei guadagni connessi all’attività imprenditoriale e alla non volontarietà della cessazione dell’attività.
Secondo la difesa dell’INPS, poi, non sarebbe chiaro se il rimettente intenda richiedere l’integrale caducazione della norma o un intervento manipolativo, peraltro non consentito, versandosi in un settore cui spetta al legislatore la risoluzione di aspetti problematici di politiche del lavoro.
3.1.– Le eccezioni non sono fondate.
Al riguardo, va sottolineato che questa Corte, nella sentenza n. 194 del 2021, concernente una questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto la medesima disposizione oggi censurata (infra, punti 5 e 5.1.), ha disatteso una analoga eccezione di inammissibilità, affermando che «in generale, l’ordinanza di rimessione delle questioni di legittimità costituzionale non necessariamente deve concludersi con un dispositivo recante altresì un petitum, essendo sufficiente che dal tenore complessivo della motivazione emerga con chiarezza il contenuto ed il verso delle censure (sentenza n. 175 del 2018), spettando a questa Corte, ove ritenuto sussistente il denunciato vizio di illegittimità costituzionale, individuare il dispositivo più idoneo a rimuovere tale vizio».
Nella medesima sentenza si è anche precisato che nei casi in cui il petitum sia di carattere additivo, «la questione è inammissibile solo se l’ordinanza di rimessione omette di indicare in maniera sufficientemente circostanziata il verso della addizione che sarebbe necessaria per la reductio ad legitimitatem (sentenza n. 175 del 2018)».
Spetta infatti a questa Corte, ove ritenga fondate le questioni, «di individuare la pronuncia più idonea alla reductio ad legitimitatem della disposizione censurata, non essendo vincolata alla formulazione del petitum dell’ordinanza di rimessione nel rispetto dei parametri evocati, stante anche che “l’assenza di soluzioni costituzionalmente vincolate” non compromette l’ammissibilità delle questioni stesse (ex plurimis, sentenza n. 59 del 2021) quando sia rinvenibile nell’ordinamento una soluzione adeguata al parametro di riferimento» (sentenza n. 221 del 2023).
Le eccezioni dell’Avvocatura dello Stato e della difesa dell’INPS non sono dunque fondate, atteso che il giudice a quo indica, in modo sufficientemente compiuto, il contenuto della pronuncia additiva auspicata, laddove dubita della legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 2015, nella parte in cui prevede l’obbligo della restituzione integrale dell’anticipazione NASpI senza possibilità di adeguare tale obbligo restitutorio nell’ipotesi in cui la prosecuzione dell’attività sia stata impedita dall’impossibilità sopravvenuta di svolgere l’attività imprenditoriale e il beneficiario abbia stipulato un contratto di lavoro subordinato entro il termine di scadenza del periodo per cui l’indennità è riconosciuta.
4.– Prima di esaminare il merito delle censure, va innanzi tutto richiamata, in sintesi, la ricostruzione dell’evoluzione del quadro legislativo di riferimento, già operata da questa Corte nella sentenza n. 194 del 2021.
In particolare, ed ai fini che qui interessano, è stato evidenziato che la disposizione censurata, per favorire la ricollocazione del lavoratore, involontariamente inoccupato, al di fuori del mercato del lavoro subordinato, consente all’avente diritto al trattamento NASpI di ottenerne la corresponsione anticipata per poter avviare un’attività autonoma, di impresa o in forma cooperativa.
Più specificamente, l’art. 8 del d.lgs. n. 22 del 2015 stabilisce al comma 1 che «[i]l lavoratore avente diritto alla corresponsione della NASpI può richiedere la liquidazione anticipata, in unica soluzione, dell’importo complessivo del trattamento che gli spetta e che non gli è stato ancora erogato, a titolo di incentivo all’avvio di un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale o per la sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico ha ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio».
Qualora, però, il lavoratore instauri un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo per cui è riconosciuta la liquidazione anticipata della NASpI, la disposizione censurata stabilisce che egli è tenuto a restituire «per intero» l’anticipazione ottenuta, eccettuando la sola ipotesi in cui il rapporto di lavoro subordinato sia instaurato con la cooperativa della quale il lavoratore ha sottoscritto una quota di capitale sociale.
Nella citata sentenza n. 194 del 2021, questa Corte ha sottolineato come il presupposto dell’incentivo in esame – al pari di quelli che ne costituiscono i precedenti, ovvero la corresponsione anticipata dell’Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI), di cui all’art. 2, comma 19, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita) e, in un contesto normativo diverso, l’indennità di mobilità erogata in via anticipata ex art. 7, comma 5, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro) – consista nell’agevolare il lavoratore nell’intraprendere un’attività autonoma o avviare un’impresa al fine «di favorire il reimpiego del lavoratore “disoccupato” in un’attività diversa da quella di lavoro subordinato, allo scopo di ridurre la pressione sul relativo mercato».
Più di recente, poi, nella sentenza n. 38 del 2024 – che ha scrutinato, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, e 41, primo comma, Cost., l’art. 7, comma 5, della legge n. 223 del 1991, nella parte in cui «nell’interpretazione datane dal diritto vivente della Corte di cassazione», esclude la compatibilità della indennità di mobilità ricevuta ratealmente e periodicamente con lo svolgimento di un’attività lavorativa autonoma, imponendo al lavoratore autonomo la necessità della richiesta di corresponsione anticipata, pena la perdita del diritto – questa Corte ha evidenziato che anche tale modalità di erogazione costituisce «una sorta di finanziamento destinato a uno scopo, quello dell’investimento in un’attività autonoma o di impresa, per far fronte alle spese iniziali dell’attività che il lavoratore in mobilità svolgerà in proprio, così fuoriuscendo dal mercato del lavoro dipendente».
L’erogazione della NASpI, in via anticipata e in una unica soluzione, costituisce dunque, per la finalità che intende perseguire, una modalità di corresponsione del beneficio del tutto peculiare rispetto alla erogazione “ordinaria” della stessa indennità; se il lavoratore inoccupato non intende avvalersi di tale incentivo all’autoimprenditorialità, la NASpI segue la disciplina prevista, in particolare, dagli artt. 5 e 7 del d.lgs. n. 22 del 2015.
Al di fuori dell’opzione per l’erogazione anticipata, infatti, l’art. 5 del d. lgs. n. 22 del 2015 stabilisce che «[l]a NASpI è corrisposta mensilmente, per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni. Ai fini del calcolo della durata non sono computati i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione delle prestazioni di disoccupazione […]».
Quanto alle condizionalità dell’indennità, l’art. 7 del d.lgs. n. 22 del 2015 prescrive, al comma 1, che «[l’]erogazione della NASpI è condizionata alla regolare partecipazione alle iniziative di attivazione lavorativa nonché ai percorsi di riqualificazione professionale proposti dai Servizi competenti ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera g), del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni», prevedendosi, altresì, al comma 2, «ulteriori misure volte a condizionare la fruizione della NASpI alla ricerca attiva di un’occupazione e al reinserimento nel tessuto produttivo», nonché al comma 3, «le condizioni e le modalità per l’attuazione della presente disposizione nonché le misure conseguenti all’inottemperanza agli obblighi di partecipazione alle azioni di politica attiva di cui al comma 1», da adottare con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali «entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano».
5.– Ciò premesso, la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. sotto il profilo della violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, è fondata.
5.1.– Deve innanzi tutto evidenziarsi che questa Corte, con la sentenza n. 194 del 2021, ha già valutato la disciplina oggetto dell’odierna censura con riferimento alla fattispecie generale: quella dell’insorgenza dell’obbligo di restituzione integrale dell’anticipazione della NASpI quando il lavoratore, pur continuando ad esercitare l’attività per la quale è stato corrisposto l’incentivo all’autoimprenditorialità ai sensi del comma 4 dell’art. 8 del d.lgs. n. 22 del 2015, abbia costituito, seppur per un periodo limitato, un rapporto di lavoro subordinato, percependo la relativa retribuzione. È l’ipotesi di un’attività di lavoro subordinato svolta contemporaneamente a quella imprenditoriale, per la quale sia stata erogata l’anticipazione della NASpI.
Questa Corte ha inoltre rimarcato che l’anticipazione dell’incentivo all’imprenditorialità ha la finalità di «favorire il reimpiego del lavoratore “disoccupato” in un’attività diversa da quella di lavoro subordinato, allo scopo di ridurre la pressione sul relativo mercato» ed ha aggiunto che «[s]i tratta, in sostanza, di forme tipiche di legislazione promozionale, volte ad incentivare l’iniziativa autonoma individuale, quale forma di occupazione “alternativa” rispetto al lavoro dipendente, “convertendo” in lavoratori autonomi o imprenditori i lavoratori in cerca di occupazione, con l’ulteriore possibile effetto indotto, per lo stesso mercato del lavoro, della eventuale insorgenza di nuove occasioni di lavoro nel medio-lungo periodo».
Si giustifica, quindi, la previsione della restituzione integrale dell’importo dell’incentivo avendo questa Corte ricondotto tale obbligo alla «specifica finalità di contrasto del possibile abuso da parte di chi chiede il beneficio senza poi intraprendere, in concreto, un’attività di lavoro autonomo o di impresa», in quanto «[l’]eventuale instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, proprio nel periodo in cui spetterebbe altrimenti la prestazione periodica, è un indice rivelatore della mancanza di effettività e di autenticità dell’attività di lavoro autonomo o di impresa, che giustifica la liquidazione anticipata della prestazione, altrimenti spettante con cadenza periodica».
Nel riconoscere che il contrasto dell’elusione è al fondo di tale disciplina, sempre la sentenza n. 194 del 2021 ha chiarito che «l’obbligo restitutorio è coerente con l’indicata finalità antielusiva della disposizione censurata, che è quella di evitare che il trattamento corrisposto in via anticipata non sia realmente utilizzato per intraprendere e poi proseguire un’attività di lavoro autonomo, di impresa o in forma cooperativa» e, ancora, che «la ratio dell’obbligo restitutorio, previsto dalla disposizione censurata, è costituita da una più specifica finalità di contrasto del possibile abuso da parte di chi chiede il beneficio senza poi intraprendere, in concreto, un’attività di lavoro autonomo o di impresa».
Posto, poi, che la restituzione integrale dell’anticipazione non ha natura “sanzionatoria”, questa Corte ha evidenziato che il rapporto di lavoro subordinato instaurato nel periodo di spettanza della NASpI assurge a «elemento fattuale indicativo della mancanza o insufficienza del presupposto stesso del beneficio – ossia dell’inizio, e poi prosecuzione, di un’impresa individuale (o in cooperativa) ovvero di un’attività di lavoro autonomo».
Pur riconducendo tale disciplina, di particolare rigore, alla discrezionalità del legislatore, esercitata in modo non manifestamente irragionevole, questa Corte, con la medesima sentenza, ha comunque evidenziato la possibilità di «ipotizzare criteri alternativi, connotati da una qualche flessibilità, non dissimili, ad esempio, da quello che prevede la compatibilità della prestazione di lavoro subordinato di modesta entità con la spettanza dell’erogazione periodica – non già anticipata – della NASpI (art. 9 del d.lgs. n. 22 del 2015)».
5.2.– I principi enunciati dalla sentenza n. 194 del 2021, successivamente confermati dalla sentenza n. 38 del 2024, vanno ulteriormente ribaditi anche con riferimento all’ipotesi di promozione di un’attività imprenditoriale che in concreto non consegua i risultati sperati dal lavoratore, percettore dell’anticipazione della NASpI. Quest’ultimo infatti – beneficiando dell’erogazione integrale, senza essere tenuto a rispettare le condizionalità di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 22 del 2015, quali la regolare partecipazione alle iniziative di attivazione lavorativa, nonché ai percorsi di riqualificazione professionale proposti dai servizi competenti, e l’onere di ricerca attiva di un’occupazione per il reinserimento nel tessuto produttivo – accetta di sperimentare il percorso alternativo di promuovere un’attività imprenditoriale, assumendo anche il relativo rischio d’impresa che ne costituisce una componente intrinseca.
Il rischio di impresa è insito nella finalità stessa dell’incentivo all’autoimprenditorialità, stante che al lavoratore è lasciata la scelta di beneficiare dell’indennità della NASpI, in un’unica soluzione e nell’importo complessivo del trattamento che gli spetta, in luogo dell’erogazione periodica soggetta alle condizionalità di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 22 del 2015, all’inottemperanza delle quali conseguirebbe l’interruzione della percezione della prestazione.
Se il lavoratore opta per l’incentivo all’autoimprenditorialità, percependo subito e integralmente, senza le condizionalità dell’art. 7 citato, quanto altrimenti conseguirebbe periodicamente e sub condicione, è ben evidente che deve “mettere in conto” il possibile esito negativo dell’attività di impresa, essendo esso compreso in tale calcolo di convenienza.
5.3.– Diversa è, invece, la fattispecie, oggetto del giudizio principale, che concerne l’ipotesi particolare in cui il percettore dell’anticipazione dell’indennità, dopo aver intrapreso e svolto per un significativo periodo di tempo l’attività imprenditoriale, non possa proseguirla per cause sopravvenute e imprevedibili, a lui non imputabili, e costituisca un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo della NASpI. Anche per questa fattispecie particolare la disposizione censurata impone che il percettore dell’anticipazione dell’indennità, se instaura un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo per cui è riconosciuta la liquidazione anticipata della NASpI, sia tenuto a restituire «per intero» l’anticipazione ottenuta, benché l’attività imprenditoriale non sia proseguita a causa di una condizione di impossibilità sopravvenuta o di insuperabile oggettiva difficoltà.
In tale evenienza, però, emerge per un verso che, qualora l’attività imprenditoriale sia stata effettivamente iniziata e proseguita per un apprezzabile periodo di tempo, grazie all’utilizzo dell’incentivo all’autoimprenditorialità, la finalità antielusiva risulta esaurita, in quanto pienamente realizzata, e quindi non si verte in una situazione in cui possa esserci «mancanza di effettività e di autenticità dell’attività di lavoro autonomo o di impresa» (sentenza n. 194 del 2021).
Per altro verso, non può essere priva di rilevanza la circostanza che il percettore dell’anticipazione si sia trovato nella situazione di non poter proseguire l’attività imprenditoriale per causa a lui non imputabile.
A fronte di un accadimento imprevisto può insorgere l’impossibilità o la oggettiva insuperabile difficoltà della prosecuzione dell’attività di impresa, in concreto avviata e fino ad allora esercitata; ciò che fa diventare sproporzionata l’integralità dell’obbligo restitutorio, rendendo lo stesso inesigibile secondo i canoni di correttezza e buona fede, che in generale integrano il rapporto obbligatorio. Ed infatti, la clausola generale di cui all’art. 1175 cod. civ., che impone alle parti del rapporto obbligatorio di comportarsi secondo correttezza, «vincola il creditore a esercitare la sua pretesa in maniera da tenere in debita considerazione, in rapporto alle circostanze concrete, la sfera di interessi che fa riferimento al debitore» (sentenza n. 8 del 2023).
In questa particolare contingenza la previsione della restituzione integrale, per il caso in cui il lavoratore non abbia altra scelta che procurarsi un reddito mediante l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato nel periodo coperto dalla indennità, stante l’impossibilità di proseguire l’attività autonoma, risulta affetta da un rigore eccessivo, che si traduce in intrinseca irragionevolezza e mancanza di proporzionalità, di tal che non si giustifica più l’integralità dell’obbligo restitutorio dell’anticipazione in luogo della sua parametrazione alla durata del rapporto stesso.
Il rigore della regola, che impone la restituzione integrale con riferimento alla fattispecie generale, non può andare disgiunto da una clausola di flessibilità che tenga conto delle ipotesi particolari. Nella specie, laddove per cause indipendenti dalla volontà del percettore l’attività imprenditoriale, per la quale l’anticipata liquidazione della NASpI risulti essere stata effettivamente utilizzata, non possa essere proseguita, la integralità della restituzione difetta di proporzionalità, dovendo la stessa essere invece riparametrata affinché l’obbligo restitutorio risulti commisurato al periodo di mancata prosecuzione dell’attività d’impresa.
Se, dunque, il rischio di impresa – come già rilevato – comporta la non irragionevolezza dell’obbligo della restituzione integrale quando l’attività imprenditoriale risulti improduttiva, in conseguenza di scelte legate alla conduzione dell’attività aziendale, che abbiano portato all’insuccesso della stessa, ciò non può predicarsi ove la prosecuzione dell’attività sia divenuta impossibile o di oggettiva insuperabile difficoltà, per un fatto sopravvenuto non imputabile al lavoratore, il quale infine rinunci a continuarla.
È quanto accade, in particolare, se l’impossibilità di proseguire l’attività d’impresa derivi da condizioni di forza maggiore, come nella specie per il factum principis rappresentato dalle misure di contrasto della pandemia da COVID-19 e dalle relative chiusure o restrizioni per gli esercizi pubblici, solo alleviate da sostegni e provvidenze, o derivi da altre circostanze similari, quali eventi naturali o fenomeni atmosferici estremi o finanche fatti dell’uomo (come in caso di devastazione dolosa ad opera della criminalità), ma tutti non imputabili al percettore dell’incentivo.
6.– In definitiva, senza la necessaria parametrazione dell’obbligo restitutorio nelle indicate evenienze particolari, la disposizione censurata vìola i principi di ragionevolezza e di proporzionalità, di cui all’art. 3 Cost.
7.– La questione di legittimità costituzionale è fondata anche in riferimento alla dedotta violazione dell’art. 4, primo comma, Cost.
La disposizione censurata, nel prevedere l’obbligo restitutorio integrale dell’anticipazione quando la prosecuzione dell’attività di impresa sia divenuta impossibile o di oggettiva insuperabile difficoltà, per causa sopravvenuta non imputabile al lavoratore, finisce con il violare anche il diritto al lavoro, dal momento che ai percettori dell’indennità anticipata, che senza colpa abbiano rinunciato a proseguire l’attività imprenditoriale, è sostanzialmente preclusa la possibilità di costituzione di un rapporto di lavoro subordinato per tutto il successivo periodo in cui sarebbe dovuta la NASpI.
Salvo occasioni di lavoro autonomo, il lavoratore, per non essere obbligato a restituire integralmente l’anticipazione, dovrebbe rimanere inattivo e attendere – senza lavorare, appunto – la scadenza del periodo per il quale è stata concessa l’anticipazione; ciò che potrebbe finanche privarlo dei mezzi di sussistenza.
È configurabile, pertanto, la violazione altresì dell’art. 4 Cost., il quale è declinato finanche come «dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».
8.– Resta assorbito ogni ulteriore profilo di censura.
9.– Così accertata la violazione dei parametri costituzionali evocati dal rimettente, si tratta ora di stabilire un rimedio appropriato a tale violazione.
Il giudice a quo aspira a una pronuncia che sostituisca l’attuale obbligo restitutorio integrale con la previsione di criteri di flessibilità che permettano di adeguare la decisione al caso concreto, laddove il lavoratore, percettore dell’anticipazione della NASpI, non abbia potuto continuare l’attività imprenditoriale a cagione di una situazione di forza maggiore o di una sopravvenuta causa a lui non imputabile.
Ritiene questa Corte che i vizi denunciati possano essere rimediati proporzionando l’obbligo restitutorio alla durata del rapporto di lavoro subordinato instaurato nel periodo coperto dall’indennità della NASpI. Con riferimento a tale periodo la NASpI risulta, in parte qua, priva di causa e quindi indebita; alla estensione di tale periodo, pertanto, va commisurato l’obbligo restitutorio come soluzione adeguata ad assicurare il rispetto dei sopra richiamati parametri di legittimità costituzionale.
10.– Va, quindi, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 2015, nella parte in cui non limita l’obbligo restitutorio dell’anticipazione della NASpI nella misura corrispondente alla durata del periodo di lavoro subordinato, quando il lavoratore non possa proseguire, per causa sopravvenuta a lui non imputabile, l’attività di impresa per la quale l’anticipazione gli è stata erogata.