Corte di Cassazione, Sez. Unite Penali, sentenza 26 marzo 2025, n.11969
PRINCIPIO DI DIRITTO
- a) Integra il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche previsto dall’art. 316-ter cod. pen. l’indebito conseguimento del diritto alle agevolazioni previdenziali e alla riduzione dei contributi dovuti ai lavoratori collocati in mobilità per effetto della omessa comunicazione dell’esistenza della condizione ostativa prevista dall’art. 8, comma 4-bis, legge 23 luglio 1991, n. 223 (abrogato, a decorrere dal 1 gennaio 2017, dall‘art. 2, comma 71, lett. b), legge 28 giugno 2012 n. 92), senza che assumano rilievo, a tal fine, le modalità di ottenimento del vantaggio economico derivante dall’inadempimento dell’obbligazione contributiva
- b) In tema di indebita percezione di erogazioni pubbliche, nell’ipotesi in cui il diritto alla riduzione dei contributi previdenziali e alle agevolazioni previste per il collocamento dei lavoratori in mobilita dall‘art. 8, legge 23 luglio 1991, n. 223 (abrogato, a decorrere dal 1 gennaio 2017, dall’art. 2, comma 71, lett. b), legge 28 giugno 2012 n. 92) sia stato indebitamente conseguito per effetto di una originaria condotta mendace od omissiva, il reato è unitario a consumazione prolungata quando i relativi benefici economici siano concessi o erogati in ratei periodici e in tempi diversi, con la conseguenza che la sua consumazione cessa con la percezione dell’ultimo contributo
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Le questioni di diritto per le quali i ricorsi sono stati rimessi alle Sezioni Unite sono le seguenti:
- a) “Se nell’ambito applicativo del reato di cui all’art. 316-ter cod. pen. rientri l’indebito conseguimento della riduzione dei contributi previdenziali dovuti ai lavoratori in mobilità assunti dall’impresa, per effetto della mancata comunicazione, da parte di quest’ultima, dell’esistenza di una condizione ostativa prevista dalla legge (art. 8, legge 23 luglio 1991, n. 223 e successive modifiche)”;
- b) “Se, in caso di reiterate percezioni periodiche di contributi erogati dallo Stato, il reato di cui all’art. 316-ter cod. pen. debba considerarsi unitario, con la conseguenza che la relativa consumazione cessa con la percezione dell’ultimo contributo, ovvero se, in tali casi, sussistano plurimi reati corrispondenti a ciascuna percezione”.
- L’esame della prima questione, il cui contenuto è stato riformulato da questa Corte nei termini sopra indicati, è pregiudiziale rispetto alla seconda, la cui soluzione presuppone logicamente la sussumibilità della condotta contestata nello schema descrittivo della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 316-ter cit. Al riguardo, l’ordinanza di rimessione propone il superamento del principio di diritto affermato da Sez. U Pizzuto, là dove si è ritenuto che, ai fini dell’integrazione del reato previsto dall’art. 316-ter cit., si ha erogazione, pur in assenza di una materiale elargizione di denaro, quando il richiedente ottiene un vantaggio economico posto a carico della comunità.
Si assume, sotto tale profilo, che sarebbero estranei al perimetro applicativo della fattispecie i casi in cui non si verifica alcuna percezione di denaro pubblico, ma si ottiene un mero risparmio di spesa in conseguenza del versamento, allo Stato o all’ente pubblico, di una somma inferiore a quella dovuta. L’opzione esegetica ivi prospettata pone in evidenza il rischio di una eccessiva dilatazione della condotta sul presupposto che le espressioni utilizzate dal legislatore all’interno dei primi due commi della fattispecie incriminatrice sembrano richiedere l’effettiva riscossione, da parte del soggetto attivo, di somme di denaro erogate dagli enti pubblici a seguito delle condotte decettive od omissive indicate nella norma.
- L’ambito di applicazione della fattispecie di reato prevista dall’art. 316-ter cit. è stato progressivamente delineato dalla Corte costituzionale e dalle Sezioni Unite di questa Corte. Con l’ordinanza n. 95 del 8 marzo 2004 la Corte costituzionale ha affermato carattere sussidiario e residuale del reato rispetto all’affine fattispecie di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche prevista dall’art. 640-bis cit., ponendo in rilievo che, alla luce della finalità generale del provvedimento legislativo che ha introdotto la nuova fattispecie e del dato normativo «assolutamente inequivoco» rappresentato dalla clausola di salvezza dell’art. 640- bis cit., la norma introdotta nell’art. 316-ter cit. assicura una tutela aggiuntiva e “complementare” rispetto a quella offerta agli stessi interessi tutelati dall’altra disposizione, “coprendo” in particolare gli eventuali “margini di scostamento” – per difetto – del paradigma punitivo della truffa rispetto alla fattispecie della frode.
Con la richiamata decisione, inoltre, è stato rimesso al compito interpretativo del giudice ordinario l’accertamento, in concreto, se una determinata condotta, formalmente rispondente alla fattispecie dell’art. 316-ter cit., integri anche la figura descritta dall’art. 640-bis cit., dovendosi, in tal caso, fare applicazione solo di quest’ultima.
- Una prospettiva interpretativa, questa, che ha trovato continuità nelle sentenze delle Sezioni Unite Carchivi e Pizzuto che proprio dalle indicazioni offerte dalla Corte precetto costituzionale hanno preso le mosse per chiarire il contenuto del precetto normativo e la portata applicativa della fattispecie in esame, delimitandone il rapporto con altre figure di reato.
Con la prima della fattispecie in esame, prima delle richiamate decisioni (Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, cit.) è stato risolto il contrasto giurisprudenziale venutosi a creare sulla qualificazione giuridica della condotta di indebita fruizione dell’esenzione dal pagamento del c.d. ticket sanitario, conseguita mediante una falsa dichiarazione circa le condizioni di reddito indicate dalla legge.
Muovendo dal rilievo che il discrimen tra la fattispecie prevista dall’art. 316- ter cit. e quella di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche non può essere tracciato in ragione della natura delle erogazioni, poiché entrambi i reati sono destinati a reprimere la percezione indebita dei contributi e risultano applicabili, in quanto tali, anche ad erogazioni non condizionate da particolari destinazioni funzionali come i contributi assistenziali, le Sezioni Unite hanno affermato il principio secondo cui integra il reato previsto dall’art. 316-ter cit. e non quello di cui all’art. 640-bis cit. «l’indebito conseguimento, nella misura superiore al limite minimo in esso indicato, del cosiddetto reddito minimo di inserimento previsto dal d.lgs. 18 giugno 1998 n. 237».
Sotto tale profilo, in particolare, le Sezioni Unite hanno valorizzato il rapporto di sussidiarietà già evidenziato dalla Corte costituzionale nella richiamata ordinanza n. 95 del 2004, facendo rientrare nella sfera dell’art. 316-ter cit. «…solo o comunque soprattutto quelle condotte cui non consegua un’induzione in errore o un danno per l’ente erogatore».
Fermi, dunque, i limiti tradizionali della fattispecie di truffa, «l’ambito di applicabilità dell’art. 316-ter c.p. si riduce […] a situazioni del tutto marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale».
Ne consegue che il residuale e meno grave delitto di cui all’art. 316-ter cit. è configurabile solo quando ritenere difettino nella condotta gli estremi della truffa, dovendosi pertanto ritenere assorbiti «…i delitti di falso ideologico previsto dall’art. 483 cod. pen. e di uso di atto falso previsto dall’art. 489 cod. pen., in quanto l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi costituisce elemento essenziale per la configurazione del fatto tipico dell’indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato».
Con la successiva decisione le Sezioni Unite hanno risolto l’ulteriore contrasto giurisprudenziale venutosi a creare in ordine alla qualificazione giuridica della condotta di indebita fruizione dell’esenzione dal pagamento del c.d. ticket sanitario, conseguita mediante una falsa dichiarazione circa le condizioni di reddito indicate dalla legge (Sez. U, n. 7537 del 16/12/2010, dep. 2011, Pizzuto, cit.).
Sotto tale profilo la Corte ha precisato la nozione di erogazione, stabilendo il principio secondo cui integra il reato «la falsa attestazione circa le condizioni reddituali per l’esenzione dal pagamento del ticket per prestazioni sanitarie e ospedaliere che non induca in errore ma determini al provvedimento di esenzione sulla base della corretta rappresentazione dell’esistenza dell’attestazione stessa».
Nel ribadire quanto affermato dalla sentenza Carchivi sulla necessita di tener conto delle effettive modalità di svolgimento del procedimento che viene di volta in volta in rilievo ai fini della specifica erogazione, le Sezioni Unite hanno posto in rilievo che la truffa “va ravvisata solo ove l’ente erogante sia stato in concreto ‘circuito’ nella valutazione di elementi attestativi o certificativi artificiosamente decettivi” e che elementi significativi in tal senso possono trarsi sia dalla collocazione topografica della fattispecie di indebita percezione che dagli elementi descrittivi che compaiono tanto nella rubrica quanto nel testo della norma, «chiaramente evidenzianti la volontà del legislatore di perseguire sostanzialmente la percezione sine titulo delle erogazioni in via privilegiata rispetto alle modalità attraverso le quali l’indebita percezione si è realizzata».
L’ambito di applicazione dei principi affermati dalla sentenza Carchivi è stato ulteriormente arricchito dalla sentenza Pizzuto in relazione alla sfera di rilevanza dell’indebita percezione di erogazioni pubbliche di natura assistenziale, precisando che «nel concetto di conseguimento indebito di una erogazione da parte di enti pubblici rientrano tutte le attività di contribuzione ascrivibili a tali enti, non soltanto attraverso l’elargizione precipua di una somma di danaro ma pure attraverso la concessione dell’esenzione dal pagamento di una somma agli stessi dovuta, perché anche in questo secondo caso il richiedente ottiene un vantaggio e beneficio economico che viene posto a carico della comunità».
Con la richiamata decisione, inoltre, questa Corte ha ribadito la necessita di interpretare la locuzione «contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo» in senso non strettamente tecnico ed ancorato alla legislazione di settore, bensì attribuendole un‘ampia estensione semantica, ritenuta congeniale al perseguimento delle finalità che avevano portato il legislatore ad introdurre nel sistema la fattispecie di reato in esame.
Al riguardo, in particolare, la nozione di “contributo” è stata intesa «quale conferimento di un apporto per il raggiungimento di una finalità pubblicamente rilevante», precisando che «tale apporto, in una prospettiva di interpretazione coerente con la ratio della norma, non può essere limitato alle sole elargizioni di danaro».
- 1 principi delineati dalle Sezioni Unite hanno ricevuto una stabile ed uniforme applicazione nella successiva elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, che ha ritenuto sussumibili nella fattispecie incriminatrice prevista dall’art. 316-ter cit. varie ipotesi di falsa rappresentazione, da parte del datore di lavoro, della corresponsione di somme ai propri dipendenti in ragione delle loro condizioni soggettive, ovvero in forza di una situazione economica di crisi, in modo da ottenere il conguaglio degli importi fittiziamente indicati con quelli da lui dovuti a titolo di contributi previdenziali e assistenziali.
La linea interpretativa tracciata dalle Sezioni Unite è stata, infatti, costantemente ribadita in relazione: a) alla condotta del datore di lavoro che, esponendo falsamente di aver corrisposto al lavoratore somme a titolo di indennità per malattia ottenga dall’INPS il conguaglio di tali somme, fittiziamente riportate nei modelli “Uniemens” mensili, con quelle da lui dovute a titolo contributi previdenziali e assistenziali, cosi percependo indebitamente le corrispondenti erogazioni in forma di risparmio di spesa (Sez. 6, n. 29674 del 21/06/2022, Sindoni, Rv. 283612; b) alla falsa esposizione di aver corrisposto somme a titolo di indennità per maternità, in modo da ottenere dall’I.N.P.S. il conguaglio di tali somme con quelle dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così percependo indebitamente dallo stesso istituto, nella forma del risparmio di spesa, le corrispondenti erogazioni (Sez. 6, n. 7963 del 26/11/2019, Romano, Rv. 278455); c) alla falsa esposizione di aver corrisposto in favore del lavoratore somme a titolo di indennità per malattia, assegni familiari e cassa integrazione guadagni, così da ottenere dall’I.N.P.S. il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, percependo indebitamente le corrispondenti erogazioni (Sez. 6, n. 20531 del 14/04/2022, Silletti, non mass.; Sez. 6, n. 31223 del 24/06/2021, Ciccarini, non mass.; Sez. 6, n. 21353 del 24/06/2020, Magnani, non mass.; Sez. 6, n. 41263 del 11/09/2019, Massaccesi, non mass.; Sez. 6, n. 31903 del 07/05/2019, Montanino, non mass.; Sez. 2, n. 15989 del 16/03/2016, Fiesta, Rv. 266520; Sez. 2, n. 48663 del 17/10/2014, Talone, Rv. 261140; Sez. 2, n. 2905 del 22/11/2011, Genovese, non mass.).
5.1. La disamina di tale consolidato assetto interpretativo consente di individuare un comune filo conduttore nella ricorrente affermazione secondo cui le erogazioni pubbliche possono consistere anche nell’esenzione dal pagamento di una somma altrimenti dovuta, non essendo necessario il materiale ottenimento di una somma di denaro per la configurabilità del reato de quo.
Alla medesima prospettiva hanno aderito, inoltre, numerose decisioni assunte dalle Sezioni semplici in relazione ad una serie di provvidenze economiche erogate o concesse dagli enti pubblici nell’ambito di fattispecie aventi ad oggetto l’indebita percezione: a) dell’assegno sociale ai sensi dell‘art. 3 legge 8 agosto 1995, n. 335, ottenuto mediante la presentazione all’I.N.P.S. di apposita domanda, con allegata falsa attestazione di residenza nel territorio dello Stato (Sez. 6, n. 35639 del 01/07/2022, Pilloni, non mass.); b) dei ratei di pensione di invalidità civile goduta dall’imputato sul presupposto della residenza in Italia, attraverso l’omessa comunicazione all’I.N.P.S. del suo stabile trasferimento all’estero (Sez. 6, n. 45917 del 23/09/2021, Prigitano, Rv. 282293-01); c) di assegni familiari ottenuti mediante la predisposizione di una falsa dichiarazione con la quale l’imputato attestava di avere il coniuge a carico in quanto privo di reddito (Sez. 2, n. 47883 del 25/10/2016, Corradini, non mass.); d) della pensione di invalidità civile ottenuta mediante un antidoveroso silenzio informativo (Sez. 2, n. 26761 del 09/03/2015, Lariccia, Rv. 264221): e) del cd. reddito minimo di inserimento, ottenuto tramite omessa comunicazione al Comune del fatto che era entrato a far parte del nucleo familiare un soggetto percettore di reddito, la cui presenza faceva venir meno il diritto all’indennità mensile (Sez. 6, n. 11145 del 02/03/2010, Maione, Rv. 246693); f) dei benefici derivanti dalle tariffe incentivanti previste dal d.m. 19 febbraio 2007, mediante la presentazione di false attestazioni (Sez. 6, n. 15120 del 15/04/2023, Nitti, non mass.; Sez. 6, n. 9060 del 30/11/2022, dep. 2023, GSE s.p.a., Rv. 284336); g) di un voucher attribuito da un ente pubblico per la frequentazione di un corso di formazione (Sez. 6, n. 21317 del 05/04/2018, Pani, Rv. 272950).
5.2. Nell’alveo semantico della nozione di altre erogazioni pubbliche dello stesso tipo, «comunque denominate», che figura sia nella fattispecie in esame che in quelle previste dagli artt. 316-bis e 640-bis cod. pen., questa Corte ha in seguito ricompreso anche l’ipotesi della concessione, per effetto di un’autodichiarazione mendace, di un finanziamento bancario assistito dalla garanzia del Fondo centrale per le piccole e medie imprese (Fondo P.M..) ai sensi dell’art. 13, lett. m), d.I. 8 aprile 2020, n. 23 (cd. “decreto liquidita”), convertito dalla legge 5 giugno 2020 n. 40. La garanzia a carico del soggetto pubblico, gratuita per il beneficiario, costituisce infatti il presupposto determinante ai fini della erogazione del finanziamento da parte del privato, nell’ambito di un rapporto triangolare che lega il Fondo garante, la banca concedente il finanziamento e l’imprenditore finanziato (Sez. 6, n. 11246 del 13/01/2022, Pressiani, Rv. 283106; Sez. 6, n. 2125 del 24/11/2021, Bonfanti, Rv. 282675).
Al riguardo, in particolare, la Corte ha valorizzato il fatto che il fondo ha natura pubblica e che tutti i suoi interventi sono assistiti dalla garanzia dello Stato, atteggiandosi quale forma di aiuto pubblico realizzato non attraverso l’erogazione diretta del finanziamento, ma attraverso una agevolazione dell’accesso al credito, quindi con l’erogazione del finanziamento da parte degli istituti bancari in favore le delle imprese e, più in generale, dei soggetti ammessi al relativo beneficio.
Muovendo dal rilievo secondo cui la prestazione della garanzia genera un vincolo obbligatorio a carico del Fondo P.M.I., con l’assunzione di una posizione di rischio economico omologa a quella derivante dalla consegna diretta del denaro, le richiamate decisioni hanno rimarcato il fatto che la formulazione lessicale impiegata nella norma incriminatrice deve essere declinata, per il suo carattere aperto, in modo tale da farvi rientrare ogni tipo di aiuto di Stato comunque denominato.
Secondo tale impostazione ermeneutica, dunque, la formulazione letterale del testo normativo autorizza un‘interpretazione ampia del significato da attribuire al contenuto dell’erogazione pubblica, sovvenzioni, in modo da ricomprendervi contributi, sovvenzioni attribuzioni pecuniarie a fondo perduto e tutte quelle forme di finanziamento che si caratterizzano per la fruizione di un vantaggio a spese dello Stato ovvero per la previsione di una attenuata onerosità rispetto a quella derivante dall’applicazione delle regole ordinarie del mercato.
Sotto tale profilo è stato escluso il rischio di avvalorare una interpretazione analogica o estensiva che porti ad ampliare arbitrariamente la sfera di rilevanza penale della norma incriminatrice, trattandosi, piuttosto, di delimitarne l’ambito di operatività «in rapporto, da un lato, al discrimine con la più generica e tendenzialmente omnicomprensiva fattispecie della truffa punita dall’art. 640 cod. pen., e dall’altro lato, in coerenza alla chiara finalità del legislatore di non lasciare impunite condotte latamente fraudolente ogniqualvolta difetti l’elemento decettivo proprio della truffa» (Sez. 6, n. 2125 del 24/11/2021, Bonfanti, cit.).
- Ciò posto, deve rilevarsi come l’analisi della struttura e della formulazione lessicale della fattispecie di indebita percezione di erogazioni pubbliche mostri la persistente validità dell’impostazione ermeneutica sinora accolta dalla dominante giurisprudenza di legittimità sulla base dei principi affermati dalle richiamate decisioni delle Sezioni Unite.
6.1. La figura di reato in esame è stata introdotta nel codice penale dall’art. 4, comma 1, legge 29 settembre 2000, n. 300, al fine di adeguare l’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalla Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, sottoscritta a Bruxelles il 26 luglio 1995, il cui art. 2 impone agli Stati membri di punire le frodi lesive dei predetti interessi con sanzioni penali «effettive, proporzionate e dissuasive».
Nella prevista descrizione degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice dall’art. 316-ter, comma 1, cit. il legislatore ancora la tipicità della condotta al conseguimento indebito, per sé o per altri, di contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute.
Le modifiche normative succedutesi nel tempo non hanno investito i tratti identificativi della condotta, la cui tipicità è rimasta sostanzialmente inalterata.
Con l’art. 1, comma 1, lett. L), legge 9 gennaio 2019, n.3, infatti, è stata introdotta nel testo della disposizione normativa una circostanza aggravante per il fatto commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio con abuso della qualità o dei suoi poteri.
In attuazione della Direttiva UE 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione europea, è stata prevista, inoltre, una specifica aggravante dall’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 14 luglio 2020, n. 75, nell’ipotesi in cui il fatto offenda gli interessi finanziari dell’Unione e il danno o il profitto siano superiori al limite di euro centomila.
Nella rubrica dell’art. 316-ter cit. la parola «pubbliche» è stata sostituita alle parole «a danno dello Stato» dall’art. 28-bis, comma 1, n. 1, d.I. 27 gennaio 2022, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2022, n. 25, in modo da orientare più chiaramente l’area della tutela penale sulla protezione delle risorse derivanti dal bilancio statale o europeo. La stessa modifica era stata in precedenza disposta dall’art. 2, comma 1, n. 1, d.l. 25 febbraio 2022, n. 13, in seguito abrogato dall’art. 1, comma 2, legge 28 marzo 2022, cit., che ha tuttavia stabilito che «restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge n. 13 del 2022».
La parola «sovvenzioni», infine, è stata inserita nel testo della disposizione dell’art. 28-bis, comma 1, n. 2, d.l. 27 gennaio 2022, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2022, n. 25, affiancandosi alle altre espressioni di analogo significato già previste nel primo comma della disposizione. Anche in tal caso, identica modifica era stata in precedenza disposta dall’art. 2, comma 1, 1, d.l. 25 marzo febbraio 2022, n. 13, in seguito abrogato dall’art. 1, comma 2, legge 28 marzo 2022, cit., con la previsione della stessa disciplina di diritto intertemporale prima richiamata.
L’interesse tutelato viene comunemente individuato nell’esigenza di garantire sia la libera formazione della volontà della pubblica amministrazione, interna o eurounitaria, nella gestione delle procedure di concessione o erogazione delle risorse economiche pubbliche, sia, al contempo, la loro corretta allocazione, in modo da prevenirne la illegittima attribuzione e l’indebito conseguimento, sanzionando l’obbligo di verità delle informazioni e delle notizie offerte dal soggetto che richiede il contributo (Sez. 6, n. 9060 del 30/11/2022, dep. 2023, G.S.E. s.p.a., cit.; Sez. 5, n. 6641 del 16/02/2009, Zollo, Rv. 243339; Sez. 6, n. 31737 del 25/06/2008, Sposato, Rv. 240978).
Dalla formula legislativa, infatti, risulta che la condotta incriminata consiste, in entrambe le sue forme di realizzazione, attiva od omissiva, nell’indebito “conseguimento” di un beneficio economico oggetto di un procedimento amministrativo di concessione o erogazione, ponendosi, dunque, nella fase iniziale del complessivo assetto del rapporto instaurato fra il privato e la pubblica amministrazione, laddove la contigua figura di reato prevista dall’art. 316-bis cit. attiene alla fase esecutiva dell’attribuzione di risorse pubbliche.
6.2. L’ampia formula lessicale utilizzata dal legislatore per descrivere l’oggetto materiale della condotta è idonea, come si è visto, a ricomprendervi la percezione di ausili economici di qualsiasi tipo, a fondo perduto o con obbligo di restituzione, con la sola connotazione della vantaggiosità, ossia dell’agevolazione rispetto alle condizioni ordinarie praticate sul mercato, laddove il ricorso all’espressione «mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o l’omissione di informazioni dovute» sta ad indicare le possibili modalità attraverso cui si realizzano le forme comportamentali alternativamente previste dalla fattispecie incriminatrice nel contesto della procedura amministrativa di volta in volta attivata.
A fronte del carattere «deliberatamente generico» del modello definitorio utilizzato dal legislatore nella costruzione della fattispecie in esame (Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, cit.), il significato delle diverse espressioni ivi elencate in sequenza («contributi», «sovvenzioni», «finanziamenti», «mutui agevolati», «altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate») ben può riferirsi, alla luce dell’uso corrente e dell’etimologia dei termini impiegati, all’attribuzione di qualsivoglia vantaggio economico in favore di soggetti privati.
E’ agevole rilevare, infatti, come nella stessa formulazione letterale dell’art. 316-ter cit. sia espressamente valorizzato, attraverso l’impiego del termine «mutuo agevolato», il contenuto di una operazione negoziale conclusa a condizioni più favorevoli di quelle di regola praticate nel mercato finanziario, connotando la percezione del “beneficio”, sulla cui concessione o erogazione si innesta la costruzione della antigiuridicita del fatto, come un sostanziale “risparmio di spesa” rispetto a quanto il contraente avrebbe dovuto sopportare per stipulare un mutuo a condizioni “non agevolate”.
Nell’enunciato normativo, inoltre, la condotta viene posta in relazione ad un oggetto materiale non delimitato in via esclusiva, ma definito con il ricorso ad una clausola aperta, avendo il legislatore utilizzato un’espressione di sintesi a titolo esemplificativo («altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate»), che consente di ritenere inclusa nel precetto anche la percezione dei benefici economici legati alla riduzione di un onere previdenziale o assistenziale per colui che indebitamente li abbia conseguiti secondo le diverse possibili modalità di realizzazione della condotta previste dalla richiamata disposizione. È nell’indebito conseguimento di un‘agevolazione economica, in qualsiasi modo attribuita dallo Stato, da un ente pubblico o dall’Unione europea, che deve ricercarsi, dunque, il nucleo identificativo della tipicità della fattispecie di reato in esame.
6.3. Entro tale prospettiva, questa Corte ha affermato che la norma incriminatrice adotta una formula linguistica non necessariamente circoscritta alla materiale dazione di somme di denaro, ma strutturata in maniera tale da poter riguardare anche la formale attribuzione del diritto ad ottenere una prestazione pecuniaria a carico dello Stato o di altro ente pubblico (Sez. 6, n. 21317 del 05/04/2018, Pani, cit.).
Il legislatore, infatti, da un lato ricorre, per indicare i benefici rilevanti, ad una pluralità di espressioni polisemiche, manifestando chiaramente l’intenzione di ampliare l’area di applicabilità della sanzione penale, dall’altro lato precisa che i benefici oggetto di indebito conseguimento possono essere «concessi o erogati».
Una diade concettuale, questa, sintomatica della possibilità di dare impulso ad un modulo procedimentale alternativo, cui si ricollega la percezione di uno qualsiasi dei possibili aiuti economici che costituiscono l’oggetto materiale della condotta, senza che la diversità del procedimento amministrativo di volta in volta attivato produca, tuttavia, alcuna diversità di effetti ai fini dell’acquisizione del vantaggio in tal modo ottenuto.
L’analisi testuale della disposizione, là dove si stabilisce, con il ricorso alla particella disgiuntiva «o», che i benefici possono essere «concessi o erogati», dimostra che il legislatore ha inteso conferire alle due parole un significato autonomo, non necessariamente coincidente con quello costituito dalla materiale dazione di somme di denaro.
Sotto tale profilo si è infatti precisato che, secondo la comune accezione linguistica rinvenibile nei più diffusi vocabolari, il termine «concedere» significa anche, e primariamente, «accordare dando il proprio formale assenso», dunque “permettere, “acconsentire”, non solo materialmente consegnare (Sez. 6, n. 21317 del 05/04/2018, Pani, cit.).
Il termine «erogare», a sua volta, discende dall’omologo latino e sta a significare l’effettuazione di una spesa pubblica in favore del richiedente, concretandosi quindi nell’attivazione di una procedura volta ad elargire, destinare, impiegare una somma per uno scopo determinato, ma anche a dare, fornire, distribuire, devolvere, mettere a disposizione degli utenti un servizio o un bene determinato.
Nella struttura della fattispecie, dunque, la “richiesta” che dà luogo alla “erogazione” può ben riguardare il conferimento di qualsivoglia agevolazione economica da riconoscere in presenza delle condizioni stabilite dalla legge, senza che a tale ampio significato si leghi necessariamente la materialità di una dazione iniziale ovvero una immediata percezione del beneficio da parte del privato (in tal senso possono richiamarsi, a titolo esemplificativo, le svariate ipotesi della garanzia pubblica di un finanziamento bancario erogato in favore di determinate imprese, della previdenziali, presa della in carico previsione da di parte crediti dello Stato agevolati di alle oneri retributivi esportazioni o e di assicurazioni speciali di tali crediti, della stipula di contratti per all’amministrazione pubblica a prezzi più alti di quelli di mercato, ecc.).
- Non oltrepassa il confine semantico del testo normativo l’affermazione secondo cui «contributi», «sovvenzioni», «finanziamenti» sono anche quelli indirettamente conseguiti, quando lo Stato o l’ente pubblico non riesca ad ottenere dal privato, in ragione della sua condotta delittuosa, il complessivo importo di quanto da lui effettivamente dovuto a seguito del beneficio economico riconosciutogli dalla legge.
Il legislatore non ha inserito nel corpo della disposizione normativa specificazioni qualitative in senso restrittivo dell’area semantica delle diverse unita lessicali ivi elencate.
Con l’espressione «altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate» si è inteso ricorrere, dunque, ad una generale formula di chiusura, in modo da ricomprendere nell’ambito di applicazione della fattispecie incriminatrice ogni possibile forma di attribuzione comunque agevolata per il beneficiario di risorse pubbliche o eurounitarie, includendovi anche quelle indirettamente conseguite, che prescindono da un esborso iniziale di denaro.
Il meccanismo dell’erogazione diretta di una somma di denaro, inoltre, sortisce gli stessi effetti della sua non acquisizione da parte della pubblica amministrazione, sia pure a cronologia invertita, rinunciando lo Stato o l’ente pubblico alla percezione del quantum effettivamente dovuto a beneficio del privato.
Nel primo caso lo Stato eroga denaro indebitamente, determinandosi una situazione di svantaggio a beneficio del reo, sicché il depauperamento del primo precede cronologicamente l’arricchimento del secondo; nell‘altra ipotesi, invece, il richiedente risparmia il pagamento di quanto dovuto, evitando la conseguenza di un depauperamento immediato, che è pari al suo vantaggio e allo svantaggio procurato alla pubblica amministrazione, sia pure non in termini di un’erogazione ma di un mancato arricchimento, ossia di una “mancata entrata di ricchezza” per effetto della correlata condotta illecita del richiedente.
La forma, diretta o indiretta, attraverso cui si verifica l’indebito conseguimento di una qualsiasi delle agevolazioni economiche previste dalla fattispecie incriminatrice può manifestarsi, indifferentemente, nella fuoriuscita di una spesa in favore del privato ovvero in una minore entrata nel bilancio dello Stato o di un ente pubblico a beneficio del privato, dando luogo solo ad una delle possibili modalità di realizzazione della condotta, senza incidere sul disvalore di evento legato al verificarsi di una differenza, in concreto variabile, rispetto a quanto lo Stato o l’ente pubblico avrebbe dovuto legittimamente ricevere dal privato sulla base delle condizioni e dei requisiti previsti dalla disposizione autorizzativa della spesa pubblica.
La condotta penalmente rilevante si realizza, pertanto, non attraverso l’indebita locupletatio di un rimborso di spesa, ma, ancora prima, con l’indebito conseguimento del diritto ad un beneficio contributivo la cui fruizione non è consentita dalla legge.
- in Deve infine rilevarsi, parzialmente anticipando quel che più avanti si dirà relazione alla vicenda storico-fattuale oggetto delle questioni rimesse a questa Suprema Corte (v., infra, il par.12.4), che nessuna diversità di effetti si verifica, anche sotto tale specifico profilo, in conseguenza della concessione o della erogazione dei benefici contributivi previsti dalla legge in favore dell’impresa che assume a tempo pieno e indeterminato i lavoratori iscritti nella lista di mobilità.
Sotto tale il profilo è agevole rilevare come, nell’ambito delle disposizioni previste, all’epoca dei fatti, dall’art. 8, commi 2, 4, 4-bis, legge 23 luglio 1991, n. 223, legislatore abbia impiegato i due termini (concessione ed erogazione) in maniera sostanzialmente sovrapponibile, attribuendo ad essi lo stesso significato ai fini dell’individuazione sia delle tipologie di benefici contributivi che possono costituire l’oggetto materiale della condotta (agevolazioni rappresentate, rispettivamente, dal versamento di un contributo mensile al datore di lavoro ovvero da una riduzione della quota di contribuzione a suo carico in presenza delle condizioni e dei presupposti espressamente indicati dalla legge) sia dell’indebito conseguimento del diritto alla loro fruizione.
Ne di consegue che alla condotta posta in essere da parte della società datrice lavoro, a causalmente prescindere dalle modalità attive o omissive di realizzazione, è ricollegabile l’attribuzione del diritto alla fruizione del relativo beneficio, nella forma di un‘agevolazione contributiva o di una riduzione dell’onere del economico del pagamento della contribuzione a carico della società, senza che assumano rilievo a tal fine i modelli procedimentali (concessione o erogazione) alla base suo legato al materiale conseguimento e il quantum del vantaggio economico risparmio della quota complessiva di parziale esenzione dall’onere economico oggetto del reiterato inadempimento dell’obbligazione contributiva, che può eventualmente venire in rilievo, a seconda dei casi, sotto i diversi profili dell’ulteriore approfondimento dell’offesa criminale, ovvero dell’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 316-ter, secondo comma, cit. quando l’importo della somma indebitamente percepita sia pari o inferiore alla soglia ivi prevista.
Sotto altro, ma connesso profilo, deve rilevarsi come la disposizione di cui all’art. 8, comma 8, legge cit. faccia riferimento ad entrambi i su indicati benefici economici, includendoli nella sfera di applicazione della richiamata disposizione di cui all’art. 37 legge 9 marzo 1989, n. 88 (concernente la ristrutturazione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), che ha istituito presso I’I.N.P.S. la gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali, ponendone a carico dello Stato il finanziamento in relazione agli oneri derivanti dalle quali rientrava, all’epoca della agevolazioni contributive disposte in favore di particolari categorie, tra le consumazione dei fatti oggetto del presente procedimento, anche quella dei lavoratori collocati nella lista di mobilità.
Nell’ipotesi di indebito conseguimento delle agevolazioni previste dall‘art. 8, commi 2 e 4, legge cit., ‘obbligo di garantire la posizione contributiva dei lavoratori, in caso di inadempimento della relativa obbligazione, non si dissolve, ma si trasferisce dal datore di lavoro ad altro soggetto (I’I.N.P.S.) che eroga la prestazione in suo luogo, cosi riverberandosi gli effetti del mancato versamento sul bilancio della relativa gestione previdenziale, e indirettamente su quello dello Stato, avuto riguardo alla previsione di un‘apposita copertura finanziaria degli oneri, secondo quanto stabilito dall’art. 37, comma 5, legge cit.
Non può dirsi, pertanto, che all’erogazione o alla concessione delle agevolazioni contributive corrisponda necessariamente un‘effettiva riscossione, poiché, in caso di illegittimo accesso ai relativi benefici, l’istituto dello sgravio contributivo non si risolve nella formazione di un risparmio di spesa in favore dell’impresa beneficiaria, ma impone il versamento del dovuto a carico di altro ente pubblico che prende in carico la spesa e vi provvede in favore del prestatore di attività lavorativa.
- Nella medesima prospettiva ermeneutica delineata da questa Corte si pongono, inoltre, i risultati della elaborazione giurisprudenziale progressivamente sviluppata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato ai sensi dell’art. 107 T.F.U.E.
La Corte di Lussemburgo, infatti, ha costantemente affermato che lo strumento dello sgravio o della riduzione dei contributi previdenziali – di frequente utilizzato dal legislatore italiano – rappresenta una delle forme tipiche di vantaggio economicamente valutabile, di fonte pubblica, idoneo a concretare un’ipotesi di aiuto di Stato.
Non osta a tale ricostruzione la circostanza per cui, nel caso degli sgravi contributivi, le autorità pubbliche non eroghino direttamente denaro alle imprese, né il fatto che il vantaggio venga riconosciuto da un ente previdenziale e non da un’autorità ministeriale in senso tradizionale (Corte giustizia, 29/07/2019, INPS c. ANM s.p.a., in tema di sgravi contributivi a seguito della stipula di contratti di formazione e lavoro; Corte giustizia, 27/06/2017, Congregaciòn de Escuelas Pias Provincia Betania c. Ayuntamiento de Getafe, in materia di esenzioni fiscali previste per una congregazione religiosa).
Rilevano, al riguardo, tutti gli interventi che, sotto qualsiasi forma, sono volti a favorire direttamente o indirettamente determinate imprese, o che devono essere considerati come un vantaggio economico che l’impresa beneficiaria non avrebbe potuto ottenere in condizioni di mercato normali (Corte giustizia, 09/10/2014, Ministerio de Defensa e Navantia, par. 21).
Analogamente per vantaggio economico in favore di un’impresa deve intendersi qualunque riduzione degli oneri che normalmente gravano sul suo bilancio.
Fatta salva la valutazione di compatibilità dell’aiuto di Stato con il mercato interno ai sensi dell’art. 107, parr. 2 e 3, T.F.U.E., il trasferimento di risorse pubbliche in favore di imprese o privati può concretamente assumere, pertanto, titolo numerose forme di manifestazione, che vengono per lo più individuate, a mero seguito esemplificativo, in quelle di menzionate: a) sovvenzioni non rimborsabili e sovvenzioni dirette a ripianare le perdite di bilancio ovvero a copertura dei costi di nuovi investimenti; b) prestiti a tassi agevolati; c) garanzie di tali crediti; e) dilazioni dei dello Stato sui debiti; d) crediti agevolati alle esportazioni o assicurazioni speciali pagamenti; f) stipula di contratti per forniture all’amministrazione pubblica a prezzi più alti di quelli di mercato; g) presa in carico da parte dello Stato di oneri retributivi e previdenziali; h) cessione di proprietà immobiliari pubbliche a prezzi inferiori al loro valore; i) agevolazioni o esenzioni fiscali; i) dilazioni eccezionali nel versamento di tributi ed altre forme ancora.
Ne consegue che, nella prospettiva del diritto eurounitario, il requisito del “trasferimento di risorse statali” è ritenuto sussistente ogni qual volta l’aiuto abbia un ciò impatto sul bilancio dello Stato, vale a dire in ogni ipotesi in cui lo Stato che direttamente conceda proprie risorse oppure, indirettamente, rinunci a riscuotere Corte gli è dovuto (Corte giustizia, 11/07/1996, SFEI; giustizia, 14/03/1994, Banco Exterior de Espafia; Corte giustizia, 02/02/1988, Van der Kooy; Corte giustizia, 22/03/1977, Steinike & Einling).
Non è necessario, pertanto, che avvenga un trasferimento positivo di fondi, ma è sufficiente anche una rinuncia alle entrate statali (come si verifica, ad es., nell’ipotesi della riduzione di entrate fiscali e contributive o dalla previsione di esenzioni da ammende o da altre sanzioni pecuniarie, entrambe ritenute rispondenti al paradigma delle risorse statali).
Sotto tale profilo, in particolare, la Corte di giustizia ha precisato che la nozione di “aiuto” comprende non solo le prestazioni positive, come le sovvenzioni, ma anche le misure che, sotto varie forme, alleviano gli oneri che normalmente gravano sul bilancio di un’impresa e che, pertanto, senza essere sovvenzioni in senso stretto, presentano natura analoga e producono il medesimo effetto (Corte giustizia, 14/09/2023, giustizia, 14/01/2015, Eventech).
- A sostegno della fondatezza della linea interpretativa tracciata dalle Sezioni Unite militano ulteriori argomenti desumibili sia dall’esito dei lavori parlamentari, sia dal contenuto della normativa convenzionale di derivazione comunitaria oggetto di attuazione nell’ordinamento interno, oltre che dalle implicazioni logicamente sottese ai principî generali stabiliti dal legislatore in tema di disposizioni autorizzative delle erogazioni economiche di fonte pubblica.
10.1. La fattispecie prevista dall’art. 316-ter cit. non era stata inizialmente inserita nell’originario disegno di legge governativo di ratifica della richiamata Convenzione di Bruxelles del 26 luglio 1995, nella convinzione — esplicitata nella relazione illustrativa — che l’art. 640-bis cit. fosse già sufficiente a soddisfare gli obblighi comunitari concernenti le frodi “in materia di spese” delineate dall‘art. 1, lett. a), primo e secondo trattino, dello strumento convenzionale.
Nel corso dei lavori parlamentari, tuttavia, emerse la preoccupazione che talune delle fattispecie di frode identificate dalla Convenzione – le quali comprendevano condotte non solo di falso in senso lato (“utilizzo o… presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi, inesatti o incompleti”), ma anche di mero silenzio antidoveroso («mancata comunicazione di un‘informazione in violazione di un obbligo specifico»), senza che fosse previsto, al contempo, il requisito dell’induzione in errore del soggetto passivo, caratterizzante il paradigma della truffa — potessero in realtà non rientrare nella sfera di operatività dell’art. 640.bis cit.
Al fine di evitare, sotto tale profilo, una eventuale inadempienza agli obblighi comunitari, abbandonata l’idea iniziale di aggiungere all’art. 640-bis un ulteriore comma che riconducesse espressamente alla fattispecie della truffa aggravata le condotte descritte nella predetta Convenzione, il legislatore, come osservato dalla Corte costituzionale con la richiamata ordinanza n. 95 del 2004, optò per la soluzione di introdurre ex novo una disposizione sanzionatoria — quella, appunto, dell’art. 316-ter — modellata (anche per quanto attiene alla preliminare clausola di salvezza dell’art. 640-bis) sulla falsariga dell’art. 2 legge 23 dicembre 1986, n. 898, in materia di aiuti comunitari al settore agricolo, che riproduce quasi alla lettera la formula prevista per la condotta sanzionata dall’art. 1 della Convenzione: disposizione che, nel comminare sanzioni più miti rispetto a quelle previste dall‘art. 640-bis, è stata ritenuta «..eloquentemente indicativa dell’intento legislativo di reprimere, con essa, fatti di minore gravita, sul piano del disvalore di condotta, rispetto a quelli attinti dalla norma principale».
10.2. Secondo la previsione contenuta nell’art. 1, lett. a), della richiamata Convenzione costituisce frode lesiva degli interessi finanziari delle Comunità europee, in materia di spese, qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa, fra l’altro, all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua il percepimento o la ritenzione illecita di fondi provenienti dal bilancio generale delle Comunità europee o dai bilanci gestiti dalle Comunità europee o per conto di esse.
La struttura di tale disposizione pattizia si fonda sull’utilizzo di termini il cui significato, assai ampio nella sua potenziale sfera applicativa, è sostanzialmente coincidente nel raffronto fra la versione del testo in lingua italiana e le sue versioni in lingua inglese e francese.
Nel testo italiano della richiamata norma convenzionale figurano, infatti, espressioni («percepimento» o «ritenzione illecita» dei fondi) del tutto analoghe a quelle risultanti, rispettivamente, dalla versione inglese («misappropriation or wrongful retention of funds») e da quella francese della medesima disposizione («la perception ou la rétention indue de fonds»).
Le rispettive formulazioni lessicali, dunque, risultano sovrapponibili nel loro contenuto semantico, ponendo in evidenza i tratti identificativi di una condotta – attiva od omissiva – che si realizza attraverso il fatto di percepire, ottenere, ricevere, acquisire, appropriarsi indebitamente in qualsiasi modo di fondi di provenienza eurounitaria.
In sede di ratifica dello strumento convenzionale il legislatore ne ha conformemente recepito gli obiettivi, utilizzando, nel delineare la condotta di “indebito ‘accezione conseguimento”, un’espressione il cui significato consiste, secondo comunemente riportata raggiungere, ricevere qualche cosa.
Un termine ad ampio spettro semantico, al quale il legislatore nazionale ha fatto ricorso per adeguare l’assetto codicistico alla corrispondente formulazione lessicale prevista dall’art. 1, lett. a), della Convenzione: il termine «percepire» ivi impiegato, infatti, presenta, nel senso comune dell’espressione, l’analogo significato di acquisire, raccogliere, far proprio e, per estensione, riscuotere, ricevere il frutto, il reddito, l’utile di un bene o di un patrimonio.
La della norma interna, di contro, ha omesso qualsiasi riferimento alla previsione ulteriore condotta di “ritenzione illecita” dei fondi comunitari, anch’essa contemplata dall’art. 1, lett. a), della Convenzione del 26 luglio 1995, così aprendo, nell’opera di adeguamento alla norma pattizia, una lacuna non colmabile per via interpretativa (Sez. 6, n. 26180 del 23/05/2024, Romano, Rv. 286796). Nella rubrica e nel comma 2 della norma codicistica il legislatore impiega il termine “indebita percezione”, facendolo seguire dal sintagma riassuntivo «erogazioni pubbliche», mentre nel comma 1, per descrivere compiutamente la condotta delittuosa, fa riferimento al termine «indebito conseguimento», con la successiva individuazione dell’oggetto materiale, che vi viene esplicitato nella sua più ampia estensione possibile, attraverso l’indicazione delle forme più varie di attribuzione economica agevolata da parte dello Stato, di altri enti pubblici e attribuire rilievo a dell’Unione europea, con una clausola di chiusura finalizzata, come si è visto, ad qualsiasi erogazione pubblica, comunque denominata, dello stesso tipo.
Deve pertanto ritenersi, in conformità al dato letterale e alla finalità dello strumento convenzionale, che ai due termini rispettivamente impiegati dal legislatore nella rubrica e nel corpo della disposizione («indebita percezione» e «indebito conseguimento») si ricolleghi il medesimo significato sopra indicato, poiché, in caso contrario, il contenuto precettivo della previsione normativa risulterebbe palesemente irrazionale.
La forma indefinita dell’aggettivazione impiegata dal legislatore europeo («qualsiasi azione od omissione») sta parimenti a indicare la volontà di non restringere la condotta o introdurre particolari requisiti o condizioni specificative nelle sue forme di realizzazione.
Parimenti estese, nella loro possibile sfera applicativa, risultano le aree semantiche del termine francese «perception», che ha un significato del tutto corrispondente a quello usato nella versione italiana, e di quello inglese «misappropriation», cui si riconnette un‘analoga varieta ed ampiezza di significati (appropriazione indebita, malversazione, distrazione, sottrazione).
10.3. Occorre altresi considerare che, a seguito delle modifiche operate con la legge 28 marzo 2022, n. 25, il legislatore ha unificato l’oggetto materiale delle fattispecie incriminatrici relative all’intero settore delle frodi pubbliche (artt. 316-bis, 316.ter e 640-bis cod. pen.) disegnando in termini omogenei l’intera area degli ausili economici di provenienza pubblica (sovvenzioni, contributi, finanziamenti, mutui agevolati e altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate), con la conseguenza che le relative condotte si distinguono fra loro essenzialmente in ragione delle rispettive, specifiche, modalità di realizzazione: ‘omessa destinazione alle finalità previste, nel caso del delitto di malversazione di erogazioni pubbliche, l’indebito conseguimento, nel delitto previsto dall’art. 316- ter, di il ricorso ad artifizi o raggiri, con ingiusto profitto e altrui danno, per il delitto truffa aggravata di cui all‘art. 640-bis).
Osservate in una visione d’insieme, le richiamate fattispecie incriminatrici vengono a comporre, sia per l’ampiezza del loro contenuto precettivo che per le correlate finalità di tutela, un plesso normativo posto a presidio della corretta allocazione e distribuzione di ausili economici di qualsiasi tipo, a fondo perduto o meno, con la sola connotazione della vantaggiosità, ovvero dell’agevolazione rispetto ai tassi di interesse e alle ordinarie condizioni di mercato.
Entro tale prospettiva, in particolare, la norma prevista dall’art. 316-ter mira ad anticipare la rilevanza penale dell’illecita captazione di finanziamenti pubblici sia rispetto al delitto di malversazione a danno dello Stato, che incentra il disvalore della condotta sulla non destinazione del finanziamento alle finalità per cui è stato concesso, sia riguardo alla truffa aggravata prevista dall’art. 640-bis, che presuppone invece l’induzione in errore dell’ente, entro una relazione di sussidiarietà fra le due figure delittuose.
Da una dall’art. entro una 640-bis, relazione che di valutazione complessiva del significato delle formule lessicali ivi impiegate emerge, in definitiva, che il nucleo di tipicità della fattispecie descritta nell’art. 316-ter poggia sull’indebita acquisizione di benefici economici di qualsiasi tipo, siano essi provenienti dallo Stato, da altri enti pubblici ovvero dall’Unione europea, diretti o indiretti, per effetto di un comportamento attivo od omissivo causalmente correlato all’attivazione di una procedura amministrativa di concessione-erogazione di provvidenze di fonte pubblica.
10.4. Ulteriori elementi di conferma, al riguardo, possono trarsi dall’esame della disposizione prevista dall’art. 12 legge 7 agosto 1990, n. 241, recante «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi», che in materia di provvedimenti attributivi di vantaggi economici rispettivamente stabilisce: a) nel primo comma, che «la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione (…) da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi»; b) nel secondo comma, che «l’effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1».
Da tale disposizione risulta con evidenza che il principio di tipicità e predeterminazione delle disposizioni autorizzative di spesa da parte degli enti non conosce alcuna distinzione tra la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi, da un lato, e l’attribuzione di ausili finanziari e vantaggi economici di qualunque genere, dall’altro.
La generale esigenza di tassatività si dispiega in relazione a tutti provvedimenti attributivi di vantaggi economici, risultando artificiosa, oltre che irragionevole nella prospettiva della spesa pubblica, una distinzione tra quella realizzata attraverso dazioni in favore del privato, siano esse soggette o meno a restituzione, e quella praticata attraverso la previsione di ausili finanziari e attribuzioni di agevolazioni economiche di qualunque genere.
Sotto tale profilo, anche nella giurisprudenza contabile si fa riferimento al comune genus dei provvedimenti accrescitivi della sfera giuridica dei destinatari, finalizzati ad accordare un vantaggio economico, diretto o indiretto, mediante l’erogazione di incentivi o agevolazioni (Corte dei conti, Sez. reg. Veneto, deliberazione n. 260 del 06/04/2016).
Entro tale prospettiva, dunque, emerge un’ulteriore conferma del rilievo che nessuna differenza — di forma, di fondamento normativo, di previsione contabile o di copertura finanziaria — può esservi tra la previsione di una sovvenzione ovvero di una decurtazione di oneri gravanti sul privato, che vengano concesse o erogate a titolo di ausilio economico sulla base dei presupposti indicati dalla legge.
10.5. Né può attribuirsi rilievo, in senso contrario, all’elemento di novità riconducibile alla parziale modifica di recente apportata alla rubrica dell’art. 316- ter dall’art. 28-bis, comma 1, lett. c), n. 1), d.I. 27 gennaio 2022, n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2022, n. 25, poiché il legislatore si è limitato ad interpolare l’espressione “indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato” con quella, maggiormente appropriata, di «indebita percezione di erogazioni pubbliche», cosi evidenziando il possibile orientamento della condotta delittuosa anche in direzione degli enti pubblici e dell’Unione europea, senza aggiungervi il termine «erogazioni», la cui previsione già figurava nel testo originario della rubrica della richiamata disposizione incriminatrice.
- Ciò posto, deve rilevarsi come la complessiva disamina dei tratti identificativi della tipicità della condotta descritta dall‘art. 316-ter cit. ne escluda la sussumibilità in ciascuna delle diverse figure delittuose evocate, in via alternativa, dall’ordinanza di rimessione.
11.1. Con riferimento alla fattispecie di reato prevista dall’art. 10-quater, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che sanziona, sotto la rubrica “indebita compensazione”, l’omesso versamento delle somme dovute utilizzando in compensazione, ai sensi dell’art. 17, d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti (comma 1) o crediti inesistenti (comma 2) per un importo annuo superiore alla soglia di punibilità di cinquantamila euro, il legislatore esige, quale elemento di tipicità della condotta, l’esposizione di un (altro) credito inesistente o non spettante che il contribuente utilizza indebitamente in compensazione per ridurre o estinguere l’obbligazione tributaria.
La condotta, dunque, è delineata dal legislatore secondo un modello descrittivo diverso da quello che comporta ab origine l’indebito conseguimento di una forma di agevolazione economica (nel caso in esame, di una riduzione dell’obbligo contributivo) per avere falsamente fatto figurare presupposti in realtà inesistenti o per avere taciuto sull’esistenza di cause ostative all’efficacia dei presupposti necessari per ottenere la decontribuzione ovvero altro tipo di beneficio.
Nella struttura della norma incriminatrice prevista dall’art. 316-ter cit., non compare, infatti, alcuna condotta di «indebita compensazione» correlata ad una specifica operazione fiscale che si concretizza con la presentazione del modello F24, quale momento di consumazione del reato previsto invece dall’art. 10-quater d.lgs. cit. (ex plurimis, Sez. 3, n. 3038 del 14/11/2023, MC Tex s.r.l., Rv. 285747~ 01).
11.2. Analoga disomogeneità di struttura è ravvisabile riguardo all’ipotesi di reato prevista dall’art. 2, comma 1-bis, d.I. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638 («Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini»). Tale disposizione, infatti, presuppone un obbligo di versamento, da parte del datore di lavoro, delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, che non possono essere portate a conguaglio con gli le somme eventualmente anticipate ai lavoratori per conto delle gestioni previdenziali ed assistenziali, fatta salva l’ipotesi che, a seguito di conguaglio tra importi contributivi a carico del datore di lavoro e le somme anticipate, risulti un di saldo attivo in favore del datore di lavoro.
Nell’ambito della su indicata fattispecie di reato, dunque, la condotta omissiva presuppone la regolare formazione del sinallagma contrattuale e l’effettività della prestazione, a sua volta, corrisponde al modello legale del rapporto, ma il datore di lavoro — che pure trattiene dalla retribuzione del lavoratore le somme effettivamente dovute a titolo previdenziale — omette di versarle all’ente di gestione.
Nella disposizione prevista dall’art. 316-ter cit., di contro, alla condotta di indebita percezione posta in essere attraverso l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero tacendo informazioni dovute sulla sussistenza di una condizione ostativa, è causalmente riconducibile l’attribuzione di una forma di agevolazione economica (nel caso di specie del beneficio, in realtà non dovuto, della parziale esenzione dall’onere economico del pagamento della contribuzione gravante sul datore di lavoro in favore dei lavoratori collocati in mobilita), con il conseguente perfezionamento del reato senza che assumano rilievo, a tal fine, le forme e le modalità di ottenimento vantaggio economico legato alla previsione legale della decontribuzione o di altro tipo di agevolazione.
I presupposti e gli elementi costitutivi delle condotte poste a raffronto sono, pertanto, completamente diversi, poiché le ritenute oggetto di omesso versamento ex art. 2, comma 1-bis, d.l. cit. non sono assimilabili al beneficio della riduzione dell’importo di ritenute regolarmente versate, ovvero ad altra forma di ausilio economico, che siano stati, però, indebitamente conseguiti in forza di una precedente condotta omissiva penalmente rilevante.
11.3. Con riguardo alla fattispecie di frode previdenziale prevista dall’art. 37, comma 1, legge 24 novembre 1981, n. 689 — che sanziona il datore di lavoro che omette una o più registrazioni o denunce obbligatorie, ovvero esegue una o più denunce obbligatorie in tutto o in parte non conformi al vero —, anche a voler prescindere dalla clausola di riserva ivi stabilita in favore del reato di maggiore gravita, dalla natura di reato proprio (del quale può essere soggetto attivo il solo datore di lavoro) e dalla specificità del dolo (richiedendosi l’aver agito “…al fine di non versare in previdenza e tutto o assistenza in parte contributi obbligatorie”), la e premi tipicità previsti della dalle condotta leggi di sulla evasione contributiva trova la sua origine nell’omessa registrazione o denuncia obbligatoria del rapporto di lavoro, ovvero nell’esecuzione di denunce obbligatorie, anche in parte, non conformi al vero, dunque in una serie di elementi documentali non rinvenibili nello schema descrittivo dell’art. 316-ter cit., dove il beneficio economico viene ottenuto per effetto di una condotta attiva, ovvero di una omessa informazione preventiva riguardo alla presenza di una condizione ostativa che, se non taciuta, ne avrebbe precluso la fruizione.
Nella fattispecie prevista dall’art. 37, comma 1, legge cit. il disvalore del fatto gravita, dunque, rapporto intorno ad elementi documentali tipici, la cui omissione o alterazione incide sulla correttezza di adempimenti centrali nella dinamica del rapporto previdenziale, sia perché costituiscono la necessaria premessa di un’evasione contributiva, sia in quanto la loro inosservanza rende particolarmente difficile l’attività di controllo degli organi amministrativi.
Infine, anche in relazione all’ulteriore segmento di condotta previsto dall’art. 37, comma 1, là dove si punisce, in capo al datore di lavoro, l’esecuzione di «una o più denunce obbligatorie in tutto o, in parte, non conformi al vero», il raffronto con la struttura del reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche consente di escludere la presenza di una immutatio avente ad oggetto il contenuto di un atto specifico, poiché la realizzazione della condotta, sia nella forma attiva che in quella omissiva, ha essenzialmente ad oggetto i presupposti e le condizioni per l’attivazione della specifica procedura da cui scaturisce l’attribuzione del beneficio economico.
- Dalla ricostruzione degli elementi costitutivi e dei significati linguistici della fattispecie incriminatrice delineata nell‘art. 316-ter cit. emerge, in definitiva, una sostanziale omogeneità di disvalore che connota l’intero sistema dell’indebita percezione delle molteplici forme di agevolazione economica cristallizzate nella sequenza delle rispettive unità lessicali ivi utilizzate.
Proprio al fine di pervenire ad una nozione onnicomprensiva dell’’oggetto della condotta di indebito conseguimento, in modo da realizzare una protezione effettiva e completa degli interessi finanziari pubblici o dell’Unione europea, il legislatore ha costruito la fattispecie in esame disegnandola, come posto in rilievo dalla dottrina, attraverso le forme non di una “elencazione sostitutiva”, bensì di una “…esemplificazione esplicativa di un genus di ipotesi già sufficientemente definito…attraverso l’aiuto chiarificatore della esemplificazione casistica omogenea, onde essa, non dando vita a fattispecie analogica anticipata, non è costituzionalmente illegittima».
Tale procedimento misto, di elencazione ed esemplificazione di forme di ausilio economico all‘interno della medesima disposizione, viene infatti ritenuto dalla dottrina il frutto di un’efficace tecnica di redazione delle norme penali, rispettosa dei principi costituzionali perché mira ad evitare, al contempo, sia un‘elencazione troppo dettagliata e minuziosa, che una locuzione eccessivamente generica.
Sulla base delle su esposte considerazioni deve escludersi, pertanto, il rischio, evocato dall’ordinanza di rimessione con il richiamo ai passaggi dedicati al fondamento costituzionale del divieto di analogia in materia penale dalla sentenza della Corte costituzionale n. 98 del 2021, che la linea interpretativa tracciata dalle sentenze delle Sezioni Unite Carchivi e Pizzuto possa risolversi in una non consentita estensione analogica del contenuto precettivo della fattispecie incriminatrice.
Al riguardo, infatti, si è già evidenziato che l’assetto ermeneutico delineato e stabilmente applicato da questa Corte non determina effetti creativi di una nuova disposizione normativa, ma rispetta la ratio legis e si mantiene entro il confine semantico tracciato dai possibili significati linguistici della formulazione letterale del testo, senza oltrepassarne il senso fatto palese dalle espressioni usate e dalla loro concatenazione logica.
Al su esposto quadro di principi, dunque, le Sezioni Unite ritengono che debba darsi piena continuità, attesa la sua persistente validità sia in ragione dell’interpretazione logico-sistematica dell’enunciato legale sia della sua piena conformità al significato letterale della norma convenzionale di origine comunitaria che il legislatore ha recepito nell’ordinamento interno con la citata legge di ratifica ed esecuzione n. 300 del 2000.
Nella stessa giurisprudenza costituzionale, peraltro, si afferma che la verifica del rispetto del principio di determinatezza della norma penale va condotta non già valutando isolatamente il perimetro linguistico del singolo elemento descrittivo dell’illecito, ma raccordandolo con gli altri elementi costitutivi della fattispecie e con la disciplina in cui questa si inserisce (Corte cost., sent. n. 327 del 30/07/2008).
Sotto tale profilo, infatti, la Corte costituzionale ha posto in evidenza, con la decisione testé richiamata, che la individuazione del senso linguistico dell’espressione utilizzata dal legislatore non può ricavarsi dall’atomizzazione delle singole componenti della fattispecie incriminatrice, quanto da una lettura unitaria della formula descrittiva dell’illecito penale, ove il legislatore può includere espressioni sommarie, vocaboli polisensi, clausole generali o concetti elastici.
Deve pertanto escludersi l’esistenza di un “vulnus del parametro costituzionale evocato quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice – avuto riguardo alle finalità perseguite dall’incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca – di stabilire il significato di tale elemento mediante un’operazione interpretativa non esorbitante dall’ordinario compito a lui affidato: quando cioè quella descrizione consenta di esprimere un giudizio di corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie astratta, sorretto da un fondamento ermeneutico controllabile; e, correlativamente, permetta al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo» (sentenza n. 5 del 2004; in senso analogo, ex plurimis, sentenze n. 34 del 1995, n. 122 del 1993, n. 247 del 1989; ordinanze n. 395 del 2005, n. 302 e n. 80 del 2004)».
Con la menzionata sentenza n. 98 del 2021, inoltre, la Corte costituzionale non ha affatto negato, ma ha ribadito l’esistenza di un confine — benché non sempre agevolmente tracciabile in relazione alle singole fattispecie — tra l’estensione del contenuto linguistico individuando della disposizione normativa e la sua applicazione analogica, individuando la linea di demarcazione tra i due procedimenti interpretativi nella positiva esplorazione dei «possibili significati letterali» attribuibili alla norma incriminatrice.
In tal modo, nel richiamare il portato del principio di determinatezza del precetto penale, la decisione ora citata si pone nel solco di una risalente tradizione della dottrina penalistica, secondo cui è possibile individuare una linea di demarcazione tra i due modelli ermeneutici in ragione del fatto che, «con l’interpretazione estensiva si resta sempre nell’ambito della norma, pur se dilatata fino al limite della sua massima estensione attraverso l’attribuzione del più ampio termini di significato, fra quelli possibili, ai che la compongono, [mentre] con l’analogia si esce dai confini della norma, perché il caso in questione non può essere in alcun modo ricompreso nella medesima, anche se interpretata nella sua massima estensione: esso è diverso dalla fattispecie legale, ma ad essa simile per ratio di disciplina».
- Sulla base delle su esposte considerazioni, al primo quesito deve darsi risposta affermativa enunciando il seguente principio di diritto:
“Integra il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche previsto dall’art. 316-ter cod. pen. l’indebito conseguimento del diritto alle agevolazioni previdenziali e alla riduzione dei contributi dovuti ai lavoratori collocati in mobilità per effetto della omessa comunicazione dell’esistenza della condizione ostativa prevista dall’art. 8, comma 4-bis, legge 23 luglio 1991, n. 223 (abrogato, a decorrere dal 1 gennaio 2017, dall‘art. 2, comma 71, lett. b), legge 28 giugno 2012 n. 92), senza che assumano rilievo, a tal fine, le modalità di ottenimento del vantaggio economico derivante dall’inadempimento dell’obbligazione contributiva”.
- Deve essere ora esaminata la seconda questione rimessa alle Sezioni Unite, avente ad oggetto un contrasto interpretativo rilevato in ordine alla qualificazione della natura del reato in caso di ripetute percezioni periodiche di contributi erogati dallo Stato, dagli enti pubblici o dall‘Unione europea.
Al riguardo occorre stabilire se, in tale ipotesi, il reato previsto dall’art. 316-ter cit. debba considerarsi unitario, con la conseguenza che la relativa consumazione, frazionata e prolungata nel tempo, cessi con la percezione dell’ultimo contributo, ovvero se, in corrispondenza di ciascuna percezione, sia configurabile una pluralità di reati eventualmente unificati dal vincolo della continuazione.
14.1. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il momento consumativo coincide, in caso di erogazioni pubbliche conferite in ratei periodici e in tempi diversi, con la cessazione dei pagamenti, perdurando il reato fino a quando non vengono interrotte le riscossioni (Sez. 2, n. 48820 del 23/10/2013, Brunialti, Rv. 257431, relativa al conseguimento di più ratei di pensione della madre deceduta da parte della figlia cointestataria del conto sul quale confluivano gli emolumenti pensionistici, che aveva omesso di comunicare all’ente previdenziale il decesso della pensionata).
Muovendo dai risultati della elaborazione giurisprudenziale sedimentatasi in relazione al reato di truffa in danno degli enti previdenziali per la ricezione di indebite prestazioni di emolumenti e provvidenze periodicamente maturate, la richiamata decisione ha affermato che «in tali casi non si configura un reato permanente né un reato istantaneo ad effetti permanenti, bensì un reato a consumazione prolungata, giacché il soggetto agente sin dall’inizio ha la volontà di realizzare un evento destinato a protrarsi nel tempo. In tali casi il momento consumativo, e il “dies a quo” del termine, coincidono con la cessazione dei pagamenti, perdurando il reato – e il danno addirittura incrementandosi – fino a quando non vengano interrotte le riscossioni».
Alla prospettiva tracciata dalla richiamata sentenza hanno successivamente aderito numerose decisioni che hanno affermato il medesimo principio in relazione all’ipotesi della riscossione dei ratei pensionistici del prossimo congiunto della persona defunta, in seguito al mancato assolvimento dell’obbligo di comunicarne all’ente previdenziale l’avvenuto decesso (Sez. 6, n. 9661 del 03/02/2022, Canzi, Rv. 282942; Sez. 6, n. 10790 dell’8/01/2021, Caruso, Rv. 281084; Sez. 6, n. 24156 del 16/01/2018, Cuomo, non mass.; Sez. F, n. 40959 del 18/08/2015, Di Giorgio, non mass.).
14.2. La categoria del reato unico a consumazione frazionata e prolungata nel tempo, alla quale il su indicato indirizzo giurisprudenziale si è espressamente richiamato, è stata elaborata dalla giurisprudenza per definire una condotta «che sin dall’inizio si prospetta nella volontà di chi intende commetterlo come un’azione che sfocia in un evento che continua a prodursi nel tempo, aumentando logicamente a mano a mano la propria entità. Quando l’azione esecutiva è idonea, ai sensi del secondo comma dell‘art. 49 cod. pen., ed ha conseguito l’effetto causale che ne discende, colui che l’ha attuata con coscienza e volontà ne continua a rispondere, ove non ne interrompa egli stesso l’effetto, anche se questo, e cioè l’evento che continua a protrarsi nel tempo, poteva essere interrotto dalla stessa parte offesa» (Sez. 2, n. 1302 del 25/11/1986, Di Lonardo, Rv. 174983; Sez. 2, n. 4856 del 27/02/1984, Messina, Rv. 164375).
Sulla base di tale impostazione ermeneutica, la figura del reato unico a consumazione prolungata è stata valorizzata con riferimento alla individuazione del momento consumativo dei delitti di truffa previsti dagli artt. 640 e 640-bis cit., nell’ipotesi in cui le “erogazioni pubbliche, a versamento rateizzato, siano riconducibili ad un originario ed unico comportamento fraudolento”, configurandosi invece plurimi ed autonomi fatti di reato quando, per il conseguimento delle erogazioni successive alla prima, sia necessario il compimento di ulteriori attività fraudolente, con la conseguenza che, ai fini della prescrizione, il relativo termine decorre, nella prima ipotesi, dalla percezione dell’ultima rata di finanziamento e, nella seconda, dalla consumazione dei singoli fatti illeciti (Sez. 2, n. 2576 del 17/12/2021, dep. 2022, Cecere, Rv. 282436; Sez. 2, n. 53667 del 2/12/2016, Bellucci, Rv. 269381; Sez. 2, n. 6864 dell’11/02/2015, Alongi, Rv. 262601; Sez. 5, n. 32050 dell’11/06/2014, Corba, Rv. 260496, Sez. 2, n. 11026 del 3/03/2005, Becchiglia, Rv. 231157).
Inoltre, la configurazione del reato unico a consumazione prolungata è stata progressivamente estesa dalla giurisprudenza ad una serie di ipotesi delittuose caratterizzate dal progressivo aggravamento della lesione recata al bene protetto a seguito di un’iniziale condotta, già perfezionativa della fattispecie (Sez. 2, n. 10939 del 12/01/2024, Di Mario, Rv. 286140, in tema di riciclaggio; Sez. 3, n. 9196 del 9/01/2024, Puleri, Rv. 286019, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali; Sez. 2, n. 26727 del 10/05/2023, G., Rv. 284767, in tema di circonvenzione di persone incapaci; Sez. 1, n. 17029 del 12/12/2022, dep. 2023, C., Rv. 284402 e Sez. 2, n. 35878 del 23/09/2020, Bianchi, Rv. 280313-01, in tema di usura; Sez. 6, n. 22523 del 01/07/2020, P., 279563, in tema di omessa corresponsione dell’assegno di mantenimento; Sez. 6, n. 12073 del 06/02/2020, Grecucco, Rv. 278752, in tema di frode in pubbliche forniture; Sez. 3, n. 16042 del 28/02/2019, Antonioli, Rv. 275396, riguardo alla contravvenzione di cui all’art. 279, comma 2, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152; Sez. 6, n. 33435 del 04/05/2006, Battistella, Rv. 234358, in tema di plurime attività del pubblico ufficiale corrotto.)
14.3. Analoga soluzione è stata accolta in relazione alla condotta disegnata nell’art. 316-ter cit., avendo questa Corte ritenuto applicabile il principio secondo cui il reato è unico e a consumazione prolungata ove plurime erogazioni pubbliche siano la conseguenza di un originario ed unico comportamento mendace o di un‘omissione informativa antidoverosa, mentre lo stesso assume carattere plurale con la possibilità di unificazione dei diversi fatti sotto il vincolo — continuazione — quando, per il conseguimento delle erogazioni successive alla prima, sia necessario il compimento di ulteriori attività tipiche (Sez. 3, n. 6809 del 08/10/2014, dep. 2015, Sauro, Rv. 262549; Sez. 2, n. 48820 del 23/10/2013, Brunialti, cit.).
Da tale impostazione ermeneutica discende il duplice corollario secondo cui: a) il reato a consumazione frazionata deve considerarsi integrato in tutti i suoi elementi solo all’esito dell’ultima riscossione da parte del soggetto attivo; b) il momento consumativo, in caso di erogazioni pubbliche suddivise in più tranches conferite in tempi diversi, deve essere individuato nella cessazione dei pagamenti, perdurando il reato fino a quando non vengano interrotte le riscossioni (Sez. 3, n. 6809 del 08/10/2014, dep. 2015, Sauro, cit.).
Sotto tale profilo, in particolare, si è affermato (Sez. 6, n. 9661 del 03/02/2022, Canzi, cit.), con riferimento all’ipotesi della riscossione dei ratei pensionistici, che «le condotte successive di riscossione, lungi dal connotarsi quale mero post factum irrilevante, consistono nella reiterazione nel tempo della condotta antigiuridica tipica, con il conseguente progressivo aggravamento dell’offesa.
La periodicità dell’erogazione, pertanto, si ricollega alla iniziale condotta omissiva da cui origina l’indebita percezione del rateo di pensione, con la conseguente unitarietà del fatto di reato anche se le modalità di erogazione delle somme via via accreditate e riscosse risultino periodicamente articolate.
Ai fini della valutazione del superamento o meno della soglia di punibilità, prevista dall’art. 316-ter, comma secondo, cod. pen., occorre tener conto, infatti, della complessiva somma indebitamente percepita dal beneficiario e non di quella allo stesso corrisposta con cadenza periodica, ove le erogazioni conseguano ad una iniziale ed unitaria condotta».
linea interpretativa si sono poste numerose decisioni di questa Corte in tema di: a) conseguimento delle tariffe incentivanti previste dal d.m. 19 febbraio 2007 mediante la presentazione di false attestazioni (Sez. 6, n. 3 15120 del 15/04/2023, Nitti, non mass.; Sez. 6, n. 9060 del 30/11/2022, dep. 2023, GSE s.p.a., Rv. 284336); b) conseguimento dell’assegno sociale ai sensi dell’art. legge 8 agosto 1995, n. 335, mediante la presentazione all’I.N.P.S. di apposita domanda, con allegata falsa attestazione di residenza nel territorio dello Stato (Sez. 6, n. 35639 del 01/07/2022, Pilloni, non mass.); c) indebito incasso – ottenuto mediante l’omessa comunicazione all’I.N.P.S. dello stabile trasferimento all’estero – dei ratei di pensione di invalidità civile goduta dall’imputato sul presupposto della residenza in Italia (Sez. 6, n. 45917 del 23/09/2021, Prigitano, Rv. 282293, che richiama in motivazione Sez. 6, n. 11145 del 02/03/2010, Maione, Rv. 246693, ribadendo che «nel caso, ci si trova innanzi a una singola e unitaria condotta tipica destinata a protrarre i propri effetti nel tempo, cosi che nel guardare al discrimine con l’illecito amministrativo di cui al secondo comma dell’art 316-ter cod. pen., occorre tenere conto dell’importo complessivo indebitamente accumulato quale conseguenza della omissione riscontrata»); d) indebita percezione di assegno sociale, ottenuta mediante la falsa dichiarazione — mai modificata né aggiornata — di non possedere reddito alcuno (Sez. 6, n. 26430 del 15/04/2021, Malinverno, non mass.); e) indebita percezione degli assegni familiari, ottenuta mediante la predisposizione di falsa dichiarazione con la quale l’imputato attestava di avere il coniuge a carico, in quanto privo di reddito (Sez. 2, n. 47883 del 25/10/2016, Corradini, non mass., che evidenzia come l’indebita e continuata percezione del contributo sia stata frutto di «un unico atto fraudolento»); f) indebita percezione della pensione di invalidità civile ottenuta mediante un antidoveroso silenzio informativo (Sez. 2, n. 26761 del 09/03/2015, Lariccia, non mass.); g) indebita percezione, per diverse mensilità, del cd. reddito minimo di inserimento, ottenuta attraverso ‘omessa comunicazione del fatto che era entrato a far parte del nucleo familiare un soggetto percettore di reddito, la cui presenza faceva venir meno il diritto all’indennità mensile (Sez. 6, n. 11145 del 02/03/2010, Maione, cit.).
14.4. Sotto altro, ma connesso profilo, deve ritenersi coerente con la struttura e l’inquadramento sistematico della fattispecie di reato in esame l’ulteriore precisazione secondo cui essa si consuma nel luogo in cui il soggetto pubblico erogante dispone l’accredito dei contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre provvidenze in favore di chi ne abbia indebitamente fatto richiesta, perché con tale atto si verifica la dispersione del denaro pubblico, e non in quello in cui avviene la materiale apprensione degli incentivi (Sez. 6, n. 26180 del 23/05/2024, Romano, non mass.; Sez. 6, n. 9060 del 30/11/2022, dep. 2023, G.S.E. S.p.a., cit.; Sez. 6, n. 12625 del 19/02/2013, Degennaro, non mass.).
Il legislatore, infatti, non ha considerato l’ingiusto profitto del soggetto beneficiato quale elemento del fatto tipico, ma ha polarizzato il disvalore dell’evento nel momento e nel luogo in cui si realizza la deminutio patrimonii per il soggetto pubblico.
Peraltro, la valorizzazione, ai fini della determinazione della consumazione del reato e del conseguente radicamento della competenza territoriale, del momento e del luogo in cui si è realizzata la definitiva dispersione del danaro pubblico, rispetto a quello della sua effettiva acquisizione da parte del privato, consente di evitare che il beneficiario possa influire sulla determinazione della competenza, sino scegliere il tribunale competente, ad esempio, a mezzo della semplice domiciliazione del proprio conto corrente bancario in caso di sovvenzioni erogate mediante bonifico (Sez. 6, n. 9060 del 30/11/2022, dep. 2023, G.S.E. s.p.a., cit.).
14.5. Un diverso, e minoritario indirizzo giurisprudenziale, ritiene, di contro, che il reato de quo dovrebbe scindersi in una pluralità di percezioni indebite, rilevando il solo conseguimento della somma corrispondente ad ogni singola condotta percettiva, sicché il superamento del valore soglia andrebbe verificato in relazione al risultato economico derivante da ciascuna delle condotte decettive produttive di un‘erogazione non dovuta (Sez. 6, n. 31223 del 04/06/2021, Ciccarini, Rv. 282105, relativa ad una fattispecie in cui si contestava all’imputato avere — mediante la fittizia esposizione di somme corrisposte al lavoratore a indennità per malattia — effettuato, nelle dichiarazioni presentate mensilmente all’1.N.P.S. con il modello “DM10”, l’indebito conguaglio di tali somme quelle dovute all’ente previdenziale, versando così un importo corrispondentemente ridotto dei contributi e percependo, di conseguenza, una differenza, quale erogazione non dovuta a carico dell’ente pubblico, superiore alla prevista soglia di rilevanza penale; negli stessi termini v. Sez. 6, n. 7963 del 26/11/2019, dep. 2020, Romano, Rv. 278455 e Sez. 2, n. 15989 del 16/03/2016, Fiesta, cit.)
Deve tuttavia rilevarsi che nella motivazione della richiamata Sez. 6, n. 31223 del 04/06/2021, cit., si pone chiaramente in evidenza l’inapplicabilità, nel caso di specie ivi esaminato, del principio affermato dal diverso orientamento giurisprudenziale secondo cui occorre tener conto della complessiva somma indebitamente percepita dal beneficiario e non di quella a lui mensilmente corrisposta (Sez. 6, n. 11145 del 02/03/2010, Maione, cit.), trattandosi di un principio affermato «in relazione ad un caso in cui l’imputato aveva percepito dal Comune erogazioni indebite con cadenze mensili (segnatamente il reddito minimo di inserimento) per un determinato arco temporale, a fronte di un’unica iniziale condotta, consistente nell’avere omesso di dichiarare all’ente territoriale di non trovarsi più nelle condizioni familiari che ne legittimavano l’erogazione».
Evenienza fattuale, quella testé indicata, che nella stessa sentenza Ciccarini è stata espressamente definita “eterogenea” rispetto a quella che ne costituiva ‘oggetto, venendo in rilievo, in quel caso, non una singola condotta omissiva fonte di erogazioni dilazionate nel tempo (come nelle situazioni prese in esame dal dominante orientamento giurisprudenziale cui aderisce anche la citata sentenza Maione), «bensì molteplici condotte tipiche, consistenti nella presentazione di plurimi modelli “DM10”, recanti singoli e distinti conguagli, in realtà non consentiti in ragione dell’omessa corresponsione dei contributi previdenziali spettanti al dipendente».
14.6. Deve escludersi, pertanto, un contrasto giurisprudenziale sull’oggetto questione rimessa a queste Sezioni Unite, poiché i richiamati orientamenti convergono entrambi nel ritenere il carattere unitario e a consumazione prolungata del reato nell’ipotesi in cui la pluralità delle erogazioni sia causalmente riconducibile ad un unico fatto originario, lesivo del medesimo bene tutelato (la corretta distribuzione delle risorse pubbliche) e rappresentato da una iniziale condotta decettiva ovvero di omessa informazione doverosa riguardo all’esistenza di circostanze ostative al conseguimento dei benefici oggetto delle agevolazioni contributive.
Dalla stessa formula legislativa, come si è visto, risulta che la condotta incriminata deve avere, nella sua forma attiva od omissiva, una valenza “genetica” rispetto all’atto amministrativo di concessione o erogazione del beneficio economico e collocarsi, pertanto, in un momento cronologicamente anteriore a quest’ultimo.
Nell’ipotesi oggetto della questione posta dall’ordinanza di rimessione, legata alla presenza di una pluralità di erogazioni che scaturiscono da un unico ed originario comportamento antidoveroso, l’iniziale deliberazione si invera attraverso una condotta omissiva unica, non ulteriormente frazionabile in una pluralità di atti deliberativi specificamente riferibili ad ogni singola percezione delle agevolazioni contributive. Si è, dunque, al cospetto della prosecuzione degli effetti di una originaria illecita deliberazione, cui si ricollegano, da un lato, l’impossibilità di realizzare l’artificiosa frantumazione di una condotta geneticamente sorta come unitaria e, dall’altro lato, la necessita di tener conto dell’importo complessivo delle somme indebitamente accumulate nel tempo a seguito della iniziale condotta attiva od omissiva.
Per la configurabilità della continuazione, di contro, occorrerebbe ipotizzare una deliberazione autonoma per il conseguimento di ogni singola percezione del relativo beneficio economico, poiché tale istituto presuppone \’unificazione di una pluralità di condotte autonome ciascuna delle quali sia sostenuta da un proprio coefficiente materiale e psicologico. L’identità del disegno criminoso, infatti, è qualcosa di estrinseco rispetto alle singole deliberazioni criminose, richiedendo che le diverse violazioni siano state programmate, sia pure genericamente, sin dal primo momento, nel senso che, fin da quando si commette la prima violazione, già siano state deliberate, almeno nelle loro componenti essenziali, tutte le altre, come facenti parte di un unico programma delittuoso, sicché in tal caso è presupposta una pluralità di reati (ex plurimis, Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074; Sez. 3, n. 896 del 17/11/2015, dep. 2016, Hamami, Rv. 266179).
Conclusivamente, alla luce delle su esposte considerazioni deve darsi risposta affermativa al secondo quesito, enunciando il seguente principio di diritto:
“In tema di indebita percezione di erogazioni pubbliche, nell’ipotesi in cui il diritto alla riduzione dei contributi previdenziali e alle agevolazioni previste per il collocamento dei lavoratori in mobilita dall‘art. 8, legge 23 luglio 1991, n. 223 (abrogato, a decorrere dal 1 gennaio 2017, dall’art. 2, comma 71, lett. b), legge 28 giugno 2012 n. 92) sia stato indebitamente conseguito per effetto di una originaria condotta mendace od omissiva, il reato è unitario a consumazione prolungata quando i relativi benefici economici siano concessi o erogati in ratei periodici e in tempi diversi, con la conseguenza che la sua consumazione cessa con la percezione dell’ultimo contributo”.
- Alla stregua dei principi di diritto sopra enunciati può ora procedersi all’esame dei motivi di ricorso.
16.1. Con riferimento alle censure oggetto dei primi due motivi deve rilevarsi come la sentenza impugnata abbia congruamente esaminato e disatteso i rilievi difensivi, spiegando che la ricorrente — assieme ad altre società partecipanti al Consorzio Produttori Salentini Calzature, costituito a seguito di una grave crisi del settore produttivo calzaturiero del Salento — aveva chiesto, ai sensi del bando P.O.R. Puglia 2002-2006, il riconoscimento delle agevolazioni previste dalla legge 23 luglio 1991, n. 223, per i contributi da versare ai lavoratori assunti dalle liste di mobilità a seguito della smobilitazione degli assets della Filanto s.p.a., tacendo la circostanza, ostativa all’ottenimento dei relativi benefici economici, dell’esistenza di un rapporto di collegamento funzionale, commerciale e finanziario con tale società al momento del collocamento in mobilita dei lavoratori.
Nella vigenza della disposizione normativa prevista all’epoca della commissione dei fatti dall’art. 8, comma 4-bis, legge cit. (abrogata, a decorrere dal 1 gennaio 2017, dall’art. 2, comma 71, lett. b), legge 28 giugno 2012 n. 92), il conseguimento dei benefici economici indicati nei precedenti commi dell’art. 8 legge cit. era infatti precluso «con riferimento a quei lavoratori che siano stati collocati in mobilita, nei sei mesi precedenti, da parte di impresa dello stesso o diverso settore di attività che [..] presenta assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli dell’impresa che assume, ovvero risulta con quest’ultima in rapporto di collegamento o controllo. L’impresa che assume dichiara, sotto la propria responsabilità, all’atto della richiesta di avviamento, che non ricorrono le menzionate condizioni ostative».
Con riguardo al trattamento retributivo corrisposto ai numerosi dipendenti (complessivamente pari a duecentodieci unità) assunti a seguito del collocamento in mobilita, la Corte distrettale ha spiegato che la società ricorrente aveva compilato i modelli “DM 10″, ossia i prospetti con i quali mensilmente il datore di lavoro denuncia all’I.N.P.S. le retribuzioni mensili corrisposte ai suoi dipendenti, i contributi dovuti e l’eventuale conguaglio delle prestazioni anticipate per conto dell’ente con le agevolazioni e gli sgravi previdenziali, omettendo di indicare la sussistenza delle condizioni ostative previste dalla richiamata disposizione di cui all’art. 8, comma 4-bis, legge cit.
Sotto tale profilo, deve rilevarsi come la sentenza impugnata abbia puntualmente illustrato il quadro delle risultanze univocamente offerte dalla consulenza tecnica in atti richiamata, coerentemente ravvisando gli elementi sintomatici di un evidente rapporto di collegamento funzionale, produttivo, commerciale e finanziario con la Filanto s.p.a. sulla base delle dirimenti circostanze di fatto esaminate nella motivazione, e segnatamente: a) l’oggetto sociale del Consorzio produttori salentini calzature s.r.l. mirava a valorizzare le produzioni degli operatori del settore calzaturiero anche attraverso la fruizione delle agevolazioni, delle provvidenze, dei contributi e di ogni altro beneficio concesso dalla Regione Puglia, dallo Stato e dalla Comunità europea; b) la Filanto s.p.a., versando in una situazione di crisi, aveva dato luogo al processo di riorganizzazione aziendale e produttiva nel settore attraverso la creazione di una filiera di società collegate, in modo da recuperare competitività sul mercato e garantire il mantenimento dei posti di lavoro in esubero; c) gran parte del personale in mobilita proveniente dalla società Filanto era stato assunto dalla società ricorrente ed ivi ricollocato per effetto di un accordo stipulato dalla prima società con le organizzazioni sindacali; d) il nucleo proprietario della società ricorrente aveva costanti legami di parentela, affinità ed interessi con i vertici della Filanto s.p.a. e i soci della stessa, tanto che il suo fatturato, nell’intero arco temporale ricompreso tra il 2002 e il 2008, era stato prodotto esclusivamente nei confronti di quest’ultima società, impiegando macchinari industriali proprietà e all’interno di uno stabilimento da essa stessa acquistato.
16.2. Ora, in materia di sgravi e fiscalizzazioni riconducibili alla procedura di messa in mobilita dei lavoratori secondo le regole previste dalla legge ora citata, questa Corte ha affermato che la concessione del beneficio economico, nel ricorrere delle condizioni ivi espressamente previste, deriva direttamente dalla fonte legale e il pagamento dei relativi contributi previdenziali ed assistenziali costituisce un’obbligazione anch’essa nascente dalla legge (Sez. L, n. 9140 del 12/04/2018, Rv. 648635; Sez. L, n. 2616 del 04/02/2010, Rv. 611939).
Al riguardo, in particolare, la Corte ha chiarito che il beneficio della parziale esenzione dall’onere economico del pagamento della contribuzione in favore dei lavoratori posti in mobilita opera per le aziende che reperiscano, ai dipendenti collocati in mobilita, altre offerte lavorative, purché si tratti di una genuina operazione di reperimento, nel senso che l’impresa che colloca in mobilità non deve avere assetti proprietari coincidenti, né rapporti di collegamento 0 controllo con quella destinataria (Sez. L, n. 12589 del 08/05/2024, Rv. 670902; Sez. L, n. 9140 del 12/04/2018, cit.).
Nella medesima prospettiva, inoltre, si è precisato che, al fine di individuare i fatti di costitutivi o impeditivi del beneficio economico preteso, è il correlato criterio riparto dell’onere probatorio, l’esame del combinato disposto degli artt. 5, comma 5, e 8, comma 4-bis, legge cit. dimostra che l’assenza di collegamenti tra \’azienda che colloca in mobilita i dipendenti e quella che li assume è un fatto costitutivo del diritto, operando, tale condizione, nello stesso modo sia per i benefici invocati dall’impresa che pone in mobilita i lavoratori, sia per l’ipotesi, speculare, in cui la riduzione dei contributi venga chiesta dall’impresa che li assume (Sez. L, n. 9140 del 12/04/2018, cit.).
secondo il consolidato assetto interpretativo delineato da questa Corte in materia di sgravi e fiscalizzazioni, essendo il pagamento dei contributi un’obbligazione nascente dalla legge, spetta al debitore dimostrare il suo esatto adempimento, sicché grava sull’impresa che vanti il diritto al beneficio contributivo l’onere di provare la sussistenza dei necessari requisiti in relazione alla fattispecie normativa di volta in volta invocata (da ultimo, Sez. L, n. 1157 del 18/01/2018, Rv. 646802).
Nel caso in esame, come evidenziato dalla Corte distrettuale, le agevolazioni contributive previste dalla richiamata legge non potevano essere concesse né erogate, poiché i rapporti di lavoro erano stati instaurati, ed erano poi proseguiti, alle dipendenze di imprese che, pur apparendo formalmente diverse, erano di fatto riconducibili l’una all’altra.
La società ricorrente, infatti, aveva presentato una richiesta di agevolazione contributiva nell’ambito della sua partecipazione al bando P.O.R. Puglia 2000-2006 sulla base di una documentazione che non chiariva le circostanze relative all’effettivo rispetto delle condizioni e dei requisiti previsti dall’art. 8, comma 4-bis, legge cit.
Proprio a causa di tale omissione, a seguito della documentazione prodotta con il rilascio delle previste autocertificazioni, l’I.N.P.S. ha ritenuto sussistenti i requisiti richiesti dalla legge, cosicché la società ricorrente, che aveva assunto la maggior parte della forza lavoro proveniente dalla Filanto s.p.a., ha potuto fruire del diritto ai benefici economici previsti dalle disposizioni di cui agli artt. 8, commi 2 e 4, 25, comma 9, legge cit., per il complessivo importo di euro 3.297.641,00 (di cui, rispettivamente, la somma di euro 2.857.995 riguardava le agevolazioni contributive previste dagli artt. 8, comma 2, 25, comma 9, legge cit., mentre quella di euro 439.646,00 aveva ad oggetto i contributi direttamente concessi 0 erogati alla società datrice di lavoro dall1.N.P.S. ai sensi dell’art. 8, comma 4, legge cit..).
16.3. Non sono emerse, dunque, secondo la sentenza impugnata, condotte delittuose connotate da artifici e raggiri, ma è stata accertata la carenza dei requisiti soggettivi previsti dalla legge per l’accesso al beneficio della riduzione dei contributi previdenziali, cui avrebbe dovuto far seguito il diniego delle richieste agevolazioni o l’eventuale revoca di quelle già concesse.
Le domande di accesso ai contributi, in particolare, non si presentavano ingannevoli, dal momento che non dichiaravano falsamente l’insussistenza delle condizioni ostative, ma si limitavano a non indicare la circostanza dell’effettivo rispetto dei requisiti previsti dall’art. 8 legge cit.
L’operazione di ricollocamento dei lavoratori posti in mobilita, infatti, è stata ritenuta nel suo insieme legittima dalla Corte territoriale, poiché le citate disposizioni normative non ne vietavano l’assunzione, ma prevedevano esclusivamente un limite all’accesso al beneficio della riduzione dei contributi: limite normativo, questo, che nel caso di specie è stato indebitamente travalicato dalla ricorrente a causa dell’omessa comunicazione all’I.N.P.S. delle informazioni dovute riguardo all’assenza dei requisiti ostativi previsti dalla legge per fruire dei relativi sgravi contributivi.
Coerente con tale quadro ricostruttivo, ed in linea con i principî di diritto stabiliti da questa Corte, deve ritenersi la conclusione, cui la sentenza impugnata è n. pervenuta riguardo al fatto che le agevolazioni a vario titolo previste dalla legge 223 del 1991 sono state indebitamente conseguite dalla società ricorrente a causa di una iniziale condotta omissiva di silenzio antidoveroso, correttamente ritenuta sussumibile nello schema descrittivo del reato presupposto previsto dall’art. 316-ter cit. in quanto non accompagnata da un ulteriore comportamento ingannatorio diretto ad indurre in errore il soggetto passivo.
La condotta penalmente rilevante, infatti, deve ritenersi perfezionata non attraverso l’indebita acquisizione dei vantaggi economici derivanti dai risparmi di spesa, ma, ancor prima, con l’indebito conseguimento del diritto di percepire una serie di agevolazioni contributive il cui godimento non era consentito dalla legge. Non pertinente deve ritenersi, alla luce delle su esposte considerazioni, il richiamo operato dalla ricorrente ad un precedente di questa Corte in tema di indebita ritenzione di contributi pubblici legittimamente percepiti (Sez. 6, n. 26180 del 23/05/2024, Romano, cit.), secondo cui l’omessa comunicazione di cause sopravvenute di decadenza dal contributo regolarmente percepito può configurare la diversa ipotesi delittuosa di cui all’art. 316-bis cit., ove l’erogazione sia stata subordinata ad un vincolo di destinazione, atteso che la condotta di indebita ritenzione di contributi pubblici non è stata introdotta dal legislatore nel nostro ordinamento in sede di ratifica ed esecuzione della Convenzione di Bruxelles del 26 luglio 1995 e non è pertanto ascrivibile all’ambito applicativo della fattispecie di cui all’art. 316-ter cit., che si realizza attraverso la diversa condotta di indebito conseguimento, senza che alcun rilievo assuma il requisito destinazione dei contributi alle finalità previste dalla legge.
16.4. Analoghe considerazioni devono svolgersi riguardo alle ulteriori censure oggetto del terzo e del quarto motivo di ricorso, che la Corte territoriale ha correttamente disatteso rilevando che il vantaggio economico illecitamente acquisito dalla società deve individuarsi nel risparmio dei costi ottenuto per effetto dell’indebito conseguimento del diritto alla riduzione delle quote di contribuzione e alla fruizione degli altri benefici economici previsti dalla legge n. 223 del 1991, quale diretta conseguenza della omessa dichiarazione dell’esistenza del su indicato rapporto di collegamento sostanziale al momento della presentazione della domanda di accesso alle relative agevolazioni, cui ha fatto seguito |’attribuzione di un codice identificativo (“5Q”) da parte dell’I.N.P.S., cosi ammettendo ab origine, e una volta per tutte, la società ricorrente al successivo godimento dei predetti benefici.
Ne consegue che \’indebita percezione delle agevolazioni contributive previste dalla legge testé richiamata, sia nella forma della erogazione-concessione dei contributi (art. 8, comma 4, legge cit.), che in quella della riduzione dell’onere economico della contribuzione a carico della società (art. 8, comma 2, legge cit.), è stata determinata da un’’unica, iniziale, condotta omissiva — ossia dalla mancata comunicazione del rapporto di collegamento tra le due società — che ha generato a sua volta effetti pregiudizievoli persistenti a carico dell’ente previdenziale, tenuto conto del fatto che la copertura degli oneri finanziari derivanti dall’accesso illecito alle predette agevolazioni, come dianzi rilevato (v., supra, il par. 4.5), è a carico della gestione degli interventi di sostegno previdenziale prevista dalla disposizione, all’epoca vigente, di cui all’art. 37, legge 9 marzo 1989, n. 88, riverberando quindi i suoi effetti sul bilancio dello Stato.
Corretta, pertanto, deve ritenersi, anche sotto tale profilo, la conclusione cui è pervenuta la Corte territoriale là dove ha qualificato il reato presupposto del fatto illecito contestato nel capo B) come reato unitario a consumazione prolungata, individuandone il momento consumativo allatto della percezione dell’ultimo sgravio contributivo (nel dicembre 2008), avuto riguardo al fatto che la relativa sequenza procedimentale prevedeva l’inoltro delle singole richieste di riduzione dei contributi attraverso la periodica e reiterata presentazione dei modelli “DM 10″ contenenti i dati necessari per ottenere i previsti rimborsi.
16.5. Infondata, conclusivamente, deve ritenersi la deduzione relativa all’evocato decorso del termine prescrizionale dell’illecito contestato alla società ricorrente, avendo la sentenza impugnata correttamente rilevato che la richiesta di sequestro preventivo e di applicazione delle misure interdittive — individuata quale primo atto interruttivo della prescrizione quinquennale prevista dall’art. 22 giugno 2001, n. 231 — è stata formulata dal Pubblico ministero il 14 gennaio 2013 e che, assumendo quale data di decorrenza il mese di dicembre del 2008 — limite temporale individuato dai giudici di merito quale data dell’ultimo conseguimento degli sgravi contributivi secondo quanto indicato dallo stesso I.N.P.S. con nota del 2 luglio 2010 —, il termine quinquennale previsto dalla legge veniva pertanto a scadere nel mese di dicembre del 2013, ossa in epoca successiva alla già intervenuta interruzione del decorso del termine prescrizionale per effetto della su indicata richiesta del Pubblico ministero.
16.6. In ordine alle statuizioni in tema di confisca, disposta anche per equivalente ai sensi dell’art. 19 d.lgs. cit., la sentenza di appello le ha parzialmente confermate limitandole ai beni di proprietà della società ricorrente nella complessiva misura di euro 3.297.641,00, in quanto motivatamente ritenuta pari all’importo del profitto conseguito dal reato di cui al capo 2) in relazione all’illecito contestato nel capo B).
All’esito del primo giudizio, infatti, la misura della confisca era stata disposta indistintamente, nei confronti di tutte le società partecipanti al Consorzio che assumevano i lavoratori in mobilità provenienti dalla Filanto s.p.a., per un profitto il cui complessivo importo era stato individuato nella misura di circa sei milioni di euro.
Genericamente enunciate, e come tali inammissibili in questa sede, in quanto prive del necessario sostegno di specifiche argomentazioni criticamente correlate all’oggetto delle statuizioni decisorie sul punto intervenute, infine, le richieste al riguardo formulate dalla ricorrente.
- Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.