Corte Costituzionale, sentenza 14 ottobre 2021 n. 194
Va dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), sollevata, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Trento, sezione lavoro.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
2.– La questione di legittimità costituzionale è ammissibile sotto il profilo della rilevanza.
Nel giudizio principale il ricorrente – al quale l’INPS ha riconosciuto ed erogato la NASpI periodica per circa sei mesi sussistendo i requisiti di contribuzione e il presupposto della disoccupazione involontaria in cui il lavoratore ricorrente era venuto a trovarsi – ha esercitato un’azione di accertamento negativo della pretesa dell’Istituto alla restituzione della liquidazione anticipata dell’ulteriore trattamento di NASpI, al quale aveva diritto (per circa 18 mesi e ammontante a euro 14.761,52), quale incentivo all’autoimprenditorialità ai sensi dell’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 22 del 2015. L’INPS assumeva che, dopo l’attribuzione di tale incentivo, il lavoratore aveva costituito un rapporto di lavoro subordinato della durata di soli quattro giorni con una retribuzione di euro 249,05 e, in conseguenza di ciò, faceva valere l’obbligo restitutorio previsto dal comma 4 dello stesso art. 8.
Il giudice rimettente sussume tale attività lavorativa di brevissima durata nella fattispecie del lavoro subordinato escludendo che possa essere qualificabile come lavoro occasionale e, pertanto, si interroga sulla legittimità costituzionale del predetto art. 8, comma 4, che fa riferimento all’instaurazione di un «rapporto di lavoro subordinato», laddove invece per il contratto di prestazione occasionale l’art. 54-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 2017, n. 96, prevede che i compensi percepiti dal prestatore non incidono sul suo stato di disoccupato.
Tanto è sufficiente ai fini della rilevanza della questione di legittimità costituzionale poiché compete al giudice rimettente la qualificazione della fattispecie portata al suo esame nel giudizio principale, atteso che il relativo sindacato di questa Corte ha carattere «esterno», si arresta cioè alla soglia della non implausibilità della motivazione dell’ordinanza di rimessione (ex plurimis, sentenze n. 183, n. 59, n. 32, n. 22 e n. 15 del 2021, n. 267 e n. 32 del 2020; ordinanze n. 117 del 2017 e n. 47 del 2016).
3.– Quanto ancora al profilo dell’ammissibilità della questione, occorre esaminare le eccezioni pregiudiziali dell’INPS e del Presidente del Consiglio dei ministri.
3.1.– In primo luogo, l’INPS ha assunto un’erronea e incompleta ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, da parte del giudice rimettente, per non essersi quest’ultimo confrontato con le pronunce della Corte di cassazione che hanno riguardato l’indennità di mobilità anticipata di cui all’art. 7, comma 5, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), che costituirebbe il diretto antecedente dell’istituto in esame.
L’eccezione non è fondata.
Nella giurisprudenza di questa Corte è stato più volte ribadito che l’incompleta ricostruzione della cornice legislativa e giurisprudenziale di riferimento rende inammissibili le questioni sollevate solo se compromette irrimediabilmente l’iter logico argomentativo posto a fondamento delle valutazioni del rimettente sia sulla rilevanza, sia sulla non manifesta infondatezza (ex multis, sentenze n. 61 del 2021, n. 136 del 2020, n. 150 del 2019 e n. 27 del 2015; ordinanze n. 108 del 2020, n. 136 e n. 30 del 2018 e n. 88 del 2017).
Nella fattispecie in esame, invece, non era necessario, ai fini della comprensione del ragionamento sotteso all’ordinanza di rimessione, che fosse ricostruito l’abrogato istituto dell’anticipazione dell’indennità di mobilità, che, pur costituendo per alcuni aspetti un antecedente di quello contemplato dall’art. 8 del d.lgs. n. 22 del 2015, si collocava in un contesto normativo complessivo molto diverso, con riferimento alle finalità e all’ambito di applicazione del trattamento previdenziale.
3.2.– L’Avvocatura generale dello Stato ha dedotto, per sua parte, in primo luogo, l’inammissibilità della questione perché l’ordinanza di rimessione mirerebbe ad introdurre un precetto vago, non connotato da precisione e tassatività, che imporrebbe all’INPS una valutazione, caso per caso, tanto dell’esiguità della durata del rapporto di lavoro subordinato, quanto dell’incidenza dello stesso sull’effettiva continuità del lavoro autonomo, di impresa o in forma cooperativa, ai fini della decisione in ordine all’an e al quantum della restituzione dell’anticipazione erogata.
Occorre rilevare che, in generale, l’ordinanza di rimessione delle questioni di legittimità costituzionale non necessariamente deve concludersi con un dispositivo recante altresì un petitum, essendo sufficiente che dal tenore complessivo della motivazione emerga con chiarezza il contenuto ed il verso delle censure (sentenza n. 175 del 2018), spettando a questa Corte, ove ritenuto sussistente il denunciato vizio di illegittimità costituzionale, individuare il dispositivo più idoneo a rimuovere tale vizio.
Nelle ipotesi, come quella in esame, in cui il petitum sia di carattere additivo, la questione è inammissibile solo se l’ordinanza di rimessione omette di indicare in maniera sufficientemente circostanziata il verso della addizione che sarebbe necessaria per la reductio ad legitimitatem (sentenza n. 175 del 2018).
L’eccezione dell’Avvocatura è quindi infondata, atteso che il giudice a quo indica compiutamente il contenuto della pronuncia additiva auspicata, laddove dubita della legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 2015 nella parte in cui, in contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost., prevede, nell’ipotesi di instaurazione da parte del beneficiario dell’incentivo all’autoimprenditorialità di un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo afferente la NASpI liquidata anticipatamente, l’obbligo, a carico del beneficiario, di restituire per intero l’anticipazione ottenuta, «anziché una somma corrispondente alla retribuzione percepita, qualora lo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato non abbia, specie in ragione della sua esigua durata, inciso in misura apprezzabile sull’effettività e sulla continuità dell’esercizio dell’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale, il cui avvio è stato favorito dall’erogazione dell’incentivo all’autoimprenditorialità».
3.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito, in secondo luogo, l’inammissibilità della questione poiché il giudice a quo, nell’evocare la violazione dell’art. 3 Cost., non ha argomentato in modo adeguato la dedotta censura.
Anche tale eccezione è infondata, in quanto dall’ordinanza di rimessione si evince con sufficiente chiarezza che il parametro di cui all’art. 3 Cost. è richiamato in quanto viene ravvisata nella norma censurata, laddove impone sempre e comunque la restituzione integrale dell’indennità erogata in via di anticipazione, a prescindere dalla durata e dall’effettiva incidenza del rapporto di lavoro subordinato instaurato dal beneficiario prima della scadenza del periodo di spettanza del trattamento, una violazione dell’art. 3, primo comma, Cost. sul piano della ragionevolezza intrinseca e della proporzionalità.
4.– All’esame della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Trento, sezione lavoro, è opportuno premettere una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento nel quale si colloca la disposizione censurata.
Il d.lgs. n. 22 del 2015, emanato in attuazione della delega contenuta nell’art. 1 della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro), con riferimento agli eventi di disoccupazione involontaria verificatisi dal 1° maggio 2015, ha sostituito l’Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI) e la mini-ASpI prevista per alcune particolari categorie di lavoratori con la Nuova assicurazione sociale per l’impiego (NASpI).
È stata realizzata così un’omogeneizzazione della disciplina relativa ai trattamenti ordinari e ai trattamenti brevi di sostegno dei lavoratori in situazione di disoccupazione involontaria rapportando la durata degli stessi alla storia contributiva del singolo lavoratore da realizzare anche attraverso l’incremento della durata massima in caso di anzianità contributive più estese.
Sul piano soggettivo, la NASpI non ha introdotto innovazioni di rilievo rispetto all’ASpI, in quanto può essere riconosciuta a tutti i lavoratori dipendenti che abbiano perso involontariamente la propria occupazione, con esclusione dei lavoratori pubblici a tempo indeterminato e dei lavoratori agricoli a tempo determinato e indeterminato.
L’arco temporale di fruizione della prestazione, non è invece più determinato dalla legge in ragione dell’età del beneficiario, bensì è rapportato alla storia contributiva del lavoratore: la prestazione può infatti avere una durata massima pari alla metà delle settimane di contribuzione accreditate a favore del lavoratore negli ultimi quattro anni esclusi gli eventuali periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione delle prestazioni di disoccupazione.
Pertanto è venuto meno il tradizionale favor per i lavoratori anagraficamente più anziani e si è scelto di agevolare i soggetti con una maggiore posizione contributiva: è stata così eliminata la parte “assistenziale”, in quanto non correlata alla contribuzione, del trattamento, precedentemente prevista in favore di soggetti in età “avanzata” che, in quanto tali, avevano maggiori difficoltà a rientrare nel mercato del lavoro, e si è favorito l’approccio, prettamente economico, già attuato in materia pensionistica con l’introduzione del sistema contributivo, secondo il quale la prestazione deve essere parametrata alle somme versate a titolo di contributi, ossia al quantum di apporto finanziario all’assicurazione, in base ad un criterio “meritocratico”, che incide tanto sulla durata quanto sull’entità del trattamento.
4.1.– Nel contesto di questa nuova disciplina al fine di favorire la ricollocazione del lavoratore involontariamente inoccupato al di fuori del mercato del lavoro subordinato, l’art. 8 del d.lgs. n. 22 del 2015 consente all’avente diritto al trattamento NASpI di ottenerne la corresponsione anticipata per poter avviare un’attività autonoma, di impresa o in forma cooperativa.
In particolare, l’art. 8 del d.lgs. n. 22 del 2015 – il cui comma 4 è oggetto dell’odierna questione di legittimità – stabilisce al comma 1 che «[i]l lavoratore avente diritto alla corresponsione della NASpI può richiedere la liquidazione anticipata, in unica soluzione, dell’importo complessivo del trattamento che gli spetta e che non gli è stato ancora erogato, a titolo di incentivo all’avvio di un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale o per la sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico ha ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio».
Se però il lavoratore instaura un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo per cui è riconosciuta la liquidazione anticipata della NASpI, è tenuto a restituire «per intero» l’anticipazione ottenuta. È fatta salva solo l’ipotesi in cui il rapporto di lavoro subordinato sia instaurato con la cooperativa della quale il lavoratore ha sottoscritto una quota di capitale sociale.
Tale incentivo all’imprenditorialità, di cui alla norma censurata, ha un duplice precedente: uno più diretto costituito dalla corresponsione anticipata dell’ASpI, di cui all’art. 2, comma 19, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita); l’altro, in epoca più risalente e in un contesto normativo diverso, costituito dall’indennità di mobilità erogata in via anticipata ex art. 7, comma 5, della legge n. 223 del 1991.
Il presupposto di questi benefici, che si sono succeduti nel tempo, è analogo: l’anticipazione, in favore del lavoratore “disoccupato”, è prevista per agevolare quest’ultimo nell’intraprendere un’attività autonoma o avviare un’impresa.
La finalità perseguita dal legislatore, quindi, è stata (ed è) quella di favorire il reimpiego del lavoratore “disoccupato” in un’attività diversa da quella di lavoro subordinato, allo scopo di ridurre la pressione sul relativo mercato.
Si tratta, in sostanza, di forme tipiche di legislazione promozionale, volte ad incentivare l’iniziativa autonoma individuale, quale forma di occupazione “alternativa” rispetto al lavoro dipendente, “convertendo” in lavoratori autonomi o imprenditori i lavoratori in cerca di occupazione, con l’ulteriore possibile effetto indotto, per lo stesso mercato del lavoro, della eventuale insorgenza di nuove occasioni di lavoro nel medio-lungo periodo.
4.2.– Come evidenziato, la norma censurata (ossia il comma 4 dell’art. 8 del d.lgs. n. 22 del 2015) stabilisce espressamente che, se il lavoratore instaura un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo per cui è riconosciuta la NASpI, è tenuto a restituire per intero l’anticipazione ottenuta.
L’obbligo restitutorio ha una specifica finalità di contrasto del possibile abuso da parte di chi chiede il beneficio senza poi intraprendere, in concreto, un’attività di lavoro autonomo o di impresa. L’eventuale instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, proprio nel periodo in cui spetterebbe altrimenti la prestazione periodica, è un indice rivelatore della mancanza di effettività e di autenticità dell’attività di lavoro autonomo o di impresa, che giustifica la liquidazione anticipata della prestazione, altrimenti spettante con cadenza periodica.
Il contrasto dell’elusione è quindi al fondo dell’obbligo restitutorio, previsto dalla disposizione censurata.
Peraltro occorre precisare che un obbligo restitutorio integrale (id est «per intero») è stato previsto per la prima volta dalla normativa primaria solo per l’anticipazione della NASpI; non lo era per l’ASpI, né per l’indennità di mobilità.
Infatti per quest’ultima prestazione era previsto dalla normativa di attuazione dell’art. 7, comma 4, della legge n. 223 del 1991, ossia dall’art. 3, comma 2, del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 17 febbraio 1993, n. 142 (Regolamento di attuazione dell’art. 7, comma 5, della legge 23 luglio 1991, n. 223, in materia di corresponsione anticipata dell’indennità di mobilità) che l’INPS recuperasse le somme liquidate a titolo di anticipazione nel caso in cui il percettore si fosse «occupato alle dipendenze di terzi» entro i ventiquattro mesi successivi a quello della corresponsione delle somme stesse. Non era precisato, dalla norma regolamentare né da quella primaria, che il recupero dovesse essere per intero, ossia per il totale delle somme anticipate.
Tuttavia, nella giurisprudenza di legittimità era stato affermato che il recupero doveva intendersi per l’intero ammontare delle somme anticipate, e non già limitato alle retribuzioni percepite nell’occupazione presso terzi, perché ciò poteva dedursi, in via interpretativa, dalla finalità antielusiva della norma e della natura dell’incentivo che consisteva in un vero e proprio finanziamento vincolato a uno scopo, quello dell’investimento in un’attività autonoma o di impresa (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 25 maggio 2010, n. 12746; successivamente in senso conforme, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 15 settembre 2021, n. 24951).
Anche la disciplina della liquidazione anticipata dell’ASpI, espressamente estesa all’ipotesi in cui il lavoratore “disoccupato” intendesse intraprendere un’attività d’impresa, non prevedeva espressamente una restituzione integrale della somma anticipata in caso di instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato: invero, l’art. 2, comma 19, della legge n. 92 del 2012, si era limitato a stabilire, a tal riguardo, che «limiti, condizioni e modalità» del beneficio sarebbero stati determinati con decreto ministeriale. In attuazione di tale previsione l’art. 4, comma 2, del decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 29 marzo 2013, n. 73380, recante «Erogazione in unica soluzione dell’indennità ASpI e mini-ASpI, di cui all’articolo 2, comma 19, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Decreto n. 73380)» ha stabilito che l’indennità anticipata doveva essere restituita – senza però specificare se per intero o solo nella parte restante – nel caso in cui il lavoratore instaurasse un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo rilevante per l’indennità corrisposta in forma anticipata.
In definitiva la restituzione «per intero» è stata contemplata espressamente per la prima volta solo dalla norma censurata con una formulazione molto chiara e inequivoca: il percettore dell’anticipazione dell’indennità, se instaura un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo per cui è riconosciuta la liquidazione anticipata della NASpI, è tenuto a restituire «per intero» l’anticipazione ottenuta.
5.– Ciò premesso, la questione di legittimità costituzionale non è fondata.
5.1.– La possibile violazione dell’art. 3, primo comma, Cost. è invocata, innanzi tutto, dal giudice rimettente per una sorta di “incoerenza intrinseca” dell’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 2015, nella misura in cui tale norma impone al lavoratore la restituzione per intero del contributo erogato in via anticipata anche quando, come nella fattispecie considerata, per la limitata durata del rapporto di lavoro subordinato instaurato, non sia stata compromessa la finalità dell’incentivo, per essere proseguita l’attività autonoma o di impresa avviata grazie allo stesso.
In realtà l’obbligo restitutorio è coerente con l’indicata finalità antielusiva della disposizione censurata, che è quella di evitare che il trattamento corrisposto in via anticipata non sia realmente utilizzato per intraprendere e poi proseguire un’attività di lavoro autonomo, di impresa o in forma cooperativa.
Se da una parte il disegno del legislatore è stato quello di favorire il reimpiego del lavoratore “disoccupato” in attività diversa da quella di lavoro subordinato, ossia in attività di lavoro autonomo o d’impresa, dall’altra la ratio dell’obbligo restitutorio, previsto dalla disposizione censurata, è costituita da una più specifica finalità di contrasto del possibile abuso da parte di chi chiede il beneficio senza poi intraprendere, in concreto, un’attività di lavoro autonomo o di impresa. L’eventuale instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, proprio nel periodo in cui sarebbe stata altrimenti erogata la prestazione periodica, è una spia della mancanza di effettività e di autenticità dell’attività di lavoro autonomo o di impresa che giustifica la liquidazione anticipata della prestazione, altrimenti spettante con cadenza periodica.
Peraltro la giurisprudenza di legittimità anche di recente – con riguardo al non dissimile, almeno negli scopi e tratti essenziali, istituto dell’indennità di mobilità anticipata – ha affermato che il beneficio dell’anticipazione ha lo scopo di indirizzare il più possibile il disoccupato in mobilità verso attività autonome, sì da perdere la sua connotazione di tipica prestazione di sicurezza sociale, configurandosi piuttosto come un contributo finanziario, destinato a far fronte alle spese iniziali di un’attività che il lavoratore in mobilità svolge in proprio (tra le altre, Cass., sez. lav., sentenze n. 24951 del 2021 e n. 12746 del 2010).
In quest’ottica l’obbligo restitutorio non è una “sanzione” per il fatto che il beneficiario dell’incentivo all’autoimprenditorialità abbia instaurato un rapporto di lavoro subordinato nel periodo di spettanza della NASpI periodica. Bensì tale circostanza, in quanto verificatasi proprio nel periodo suddetto, è stata considerata dal legislatore come elemento fattuale indicativo della mancanza o insufficienza del presupposto stesso del beneficio – ossia dell’inizio, e poi prosecuzione, di un’impresa individuale (o in cooperativa) ovvero di un’attività di lavoro autonomo – secondo un criterio semplificato, tale da non richiedere all’Istituto previdenziale un’indagine in ordine alla maggiore o minore incidenza e portata della contestuale prestazione di lavoro subordinato. Si tratta di una scelta che rientra nella discrezionalità del legislatore, esercitata in modo non manifestamente irragionevole, anche se sarebbe possibile ipotizzare criteri alternativi, connotati da una qualche flessibilità, non dissimili, ad esempio, da quello che prevede la compatibilità della prestazione di lavoro subordinato di modesta entità con la spettanza dell’erogazione periodica – non già anticipata – della NASpI (art. 9 del d.lgs. n. 22 del 2015).
5.2.– Una possibile lesione dell’art. 3, primo comma, Cost. è dedotta dal giudice a quo, altresì, sotto il profilo del difetto di proporzionalità dell’obbligo di restituzione per intero del contributo da parte del lavoratore che ne ha ottenuto l’erogazione in via anticipata, anche nell’ipotesi in cui abbia costituito un rapporto di lavoro subordinato tale, per la sua limitata durata, da non incidere negativamente sulla prosecuzione dell’attività autonoma o di impresa dello stesso.
Anche sotto tale aspetto la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 2015, non è fondata.
5.2.1.– In primo luogo, dal bilanciamento compiuto dal legislatore ordinario, nell’esercizio della sua discrezionalità, non emerge una “sproporzione” manifestamente irragionevole perché la disposizione censurata ha un orizzonte temporale di durata limitata. Invero, il contemperamento con l’eventuale interesse del beneficiario dell’incentivo all’autoimprenditorialità a rientrare nel mercato del lavoro subordinato dopo aver effettivamente intrapreso, in ipotesi senza successo, un’attività autonoma, imprenditoriale o in forma cooperativa, è realizzato dal legislatore con la previsione dello stesso art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 22 del 2015, che limita l’obbligo restitutorio all’ipotesi in cui il lavoratore si sia rioccupato alle dipendenze altrui, con un rapporto subordinato vero e proprio, prima della scadenza del periodo per il quale egli avrebbe avuto diritto alla percezione della NASpI in forma periodica. Si tratta quindi di una condizionalità che sussiste per un limitato periodo di tempo, ritagliato sulla durata della NASpI altrimenti spettante, caso per caso, in forma periodica, secondo un bilanciamento non dissimile da quello operato nel caso dell’anticipo dell’indennità di mobilità per la quale era previsto, per tutti i beneficiari della prestazione, un unico limite temporale di ventiquattro mesi.
Del resto l’analogo contemperamento tra le contrapposte esigenze in rilievo, operato in precedenza dall’art. 7, comma 5, della legge n. 223 del 1991 – nel senso che il lavoratore che avesse ottenuto l’erogazione in via anticipata dell’indennità di mobilità doveva restituirla, in caso di rioccupazione alle dipendenze altrui, solo se ciò fosse avvenuto prima del decorso del termine di ventiquattro mesi dalla corresponsione della relativa somma – era stato preso in considerazione dalla stessa giurisprudenza di legittimità, che ne ha sottolineato la ratio, anche tenendo conto dell’esigenza di evitare i problemi operativi che sarebbero derivati ove invece fosse stata prevista una valutazione, caso per caso, della effettività del tentativo di intraprendere un’attività di lavoro autonomo da parte dei beneficiari dell’indennità di mobilità in via anticipata (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 18 settembre 2007, n. 19338).
5.2.2.– In secondo luogo la norma censurata, laddove impone al beneficiario dell’incentivo all’autoimprenditorialità la restituzione per intero del trattamento erogato in via anticipata, ha una portata applicativa comunque circoscritta specificamente alla costituzione di un rapporto di lavoro subordinato, prima del decorso del tempo per il quale il lavoratore avrebbe avuto diritto all’erogazione della NASpI periodica; ed è ciò che fa sorgere l’obbligo di restituzione contemplato dalla norma stessa.
Il (temporaneo) vincolo in costanza di svolgimento dell’attività per la quale è stato corrisposto, in via anticipata, il trattamento di NASpI è, dunque, specifico e puntuale; sicché è possibile per il lavoratore – cui sia stato erogato il trattamento in via anticipata e che, come nel caso di specie, abbia effettivamente iniziato e prosegua un’attività di impresa individuale – svolgere anche attività non riconducibili alla fattispecie di lavoro subordinato, quali, innanzi tutto, quella di lavoro autonomo (art. 2222 del codice civile).
6.– Non sfugge peraltro a questa Corte il rischio di una particolare rigidità della norma censurata al verificarsi in concreto della situazione prospettata dal giudice rimettente, ossia quella dello svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato che «non abbia, specie in ragione della sua esigua durata, inciso in misura apprezzabile sull’effettività e sulla continuità dell’esercizio dell’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale, il cui avvio è stato favorito dall’erogazione dell’incentivo all’autoimprenditorialità».
Rientra, tuttavia, nell’esercizio della discrezionalità del legislatore in materia di politiche attive del lavoro, l’individuazione delle soluzioni più opportune per ovviare ai profili critici segnalati dall’ordinanza di rimessione, i quali – pur non assurgendo al vizio di manifesta irragionevolezza della disciplina censurata – suggeriscono, tuttavia, l’introduzione di meccanismi di flessibilità per evitare che la rigidità della (pur temporanea) preclusione del lavoro subordinato, prevista dalla disposizione censurata, possa costituire, in concreto, un indiretto fattore disincentivante di genuine e virtuose iniziative di autoimprenditorialità o di lavoro autonomo, idonee a superare situazioni di disoccupazione involontaria.