Corte Costituzionale, sentenza 05 aprile 2022 n. 88
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 38 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1957, n. 818 (Norme di attuazione e di coordinamento della legge 4 aprile 1952, n. 218, sul riordinamento delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti), nella parte in cui non include tra i destinatari diretti ed immediati della pensione di reversibilità i nipoti maggiorenni orfani riconosciuti inabili al lavoro e viventi a carico degli ascendenti assicurati.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
2.– Prima di passare all’esame delle questioni sollevate, deve procedersi ad una specificazione del petitum quale risultante dal dispositivo della ordinanza di rimessione nella parte in cui si riferisce alla condizione di interdetta della nipote del de cuius richiedente la pensione di reversibilità.
Dalla complessiva lettura dell’ordinanza si evince, infatti, che la condizione di interdizione è stata richiamata sull’implicito presupposto che dalla stessa sia derivata l’inabilità al lavoro. E che il petitum si fondi sulla premessa logica della rilevanza dell’interdizione, non in quanto tale, ma in quanto da essa sia scaturita l’inabilità al lavoro, è desumibile, non solo dall’espresso riferimento a quest’ultima contenuto in alcuni passi dell’ordinanza, ma anche dall’esplicita correlazione con la situazione posta in comparazione, relativa ai figli inabili al lavoro ai sensi dell’art. 13 del regio decreto-legge 14 aprile 1939, n. 636 (Modificazioni delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per l’invalidità e la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria e sostituzione dell’assicurazione per la maternità con l’assicurazione obbligatoria per la nuzialità e la natalità), convertito, con modificazioni, nella legge 6 luglio 1939, n. 1272, come sostituito dalla legge 4 aprile 1952, n. 218 (Riordinamento delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti) e successivamente dalla legge 21 luglio 1965, n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale).
Inoltre, la puntuale indicazione dei profili di contrasto della norma denunciata con i parametri costituzionali evocati è significativa della circostanza che il petitum deve essere riferito ai nipoti maggiorenni, orfani e inabili al lavoro, dei quali risulti provata la vivenza a carico degli ascendenti.
Lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, nel suo atto di intervento per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, postula che il requisito dell’interdizione si accompagni alla condizione di inabilità al lavoro del soggetto interessato.
Pertanto, dalla lettura coordinata del dispositivo e della motivazione dell’ordinanza di rimessione emerge che l’intervento additivo chiesto dal rimettente deve essere riferito alla situazione di inabilità al lavoro del nipote maggiorenne e orfano, che nel caso di specie si associa ad una condizione di interdizione, la quale logicamente la presuppone: tanto più a seguito dell’inserimento nell’ordinamento, per effetto della legge 9 gennaio 2004, n. 6 (Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all’istituzione dell’amministrazione di sostegno e modifica degli artt. 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizioni e di inabilitazione, nonché relative norme di attuazione, di coordinamento e finali), tra le misure a protezione delle persone prive (in tutto o in parte) di autonomia, dell’amministrazione di sostegno, che ha reso del tutto residuale il ricorso al provvedimento di interdizione, limitandolo ai casi più gravi, in cui esso sia necessario per assicurare adeguata protezione ai soggetti che versino in condizioni di abituale infermità di mente che li renda incapaci di provvedere ai propri interessi (sulla possibilità che la discrepanza tra motivazione e dispositivo dell’ordinanza di rimessione sia agevolmente risolta tramite gli ordinari criteri ermeneutici, sentenze n. 224 e n. 58 del 2020, n. 219 del 2017, n. 203 e n. 94 del 2016 e n. 170 del 2013; ordinanza n. 244 del 2017).
3.– In via preliminare, va ancora rilevato che le questioni di legittimità costituzionale sollevate non incorrono nei profili di inammissibilità segnalati dall’interveniente.
3.1.– La difesa dello Stato eccepisce che l’ordinanza di rimessione motiverebbe in modo insufficiente sulla rilevanza delle questioni, poiché non sarebbe precisato in quale momento la nipote dell’assicurato sia stata dichiarata inabile, né il tipo di inabilità, essendone genericamente riferito lo stato di inabilità totale, senza precisazione della sua definitività o temporaneità.
Non sarebbero inoltre desumibili dall’ordinanza gli elementi da cui trarre il convincimento che l’assicurato provvedesse in modo continuativo al sostentamento della nipote o che fosse l’unico a provvedervi; né sarebbe dato ricavare che i genitori della maggiorenne interdetta non fossero sopravvissuti alla morte del nonno. Non vi sarebbe, inoltre, alcun indice da cui rilevare che la stessa non percepisse altri trattamenti pensionistici e che effettivamente fosse nubile.
In ultimo, non sarebbe precisato se la nipote versasse in uno stato di effettivo bisogno economico.
3.1.1.– Va premesso che compete al giudice rimettente la qualificazione della fattispecie portata al suo esame nel giudizio principale, atteso che il sindacato sulla rilevanza, effettuato da questa Corte, ha carattere esterno, si arresta cioè alla soglia della non implausibilità della motivazione dell’ordinanza di rimessione (sentenze n. 194, n. 183, n. 59, n. 32 e n. 15 del 2021, n. 267 e n. 32 del 2020; ordinanze n. 117 del 2017 e n. 47 del 2016).
Ciò posto, l’eccezione è priva di fondamento.
Il giudice rimettente espone che la Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 3847 del 2018, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da C. C., in qualità di tutore di S. R. – nipote orfana, incapace di intendere e di volere, convivente con il nonno A. C. e maggiorenne all’epoca del decesso di quest’ultimo –, volta ad ottenere la pensione di reversibilità.
La medesima ordinanza di rimessione aggiunge che la Corte di merito ha negato il diritto alla pensione di reversibilità in ragione della maggiore età della nipote, avendo la sentenza di questa Corte n. 180 del 1999 esteso la platea degli aventi diritto ai soli nipoti minorenni.
E su tale aspetto si appuntano i motivi di ricorso sviluppati dalla Corte di cassazione rimettente. In punto di rilevanza, il giudice a quo evidenzia, inoltre, che la discendente superstite, orfana e interdetta, a carico dell’ascendente assicurato, aveva già raggiunto la maggiore età all’epoca del decesso del nonno e, dunque, possedeva il requisito anagrafico costituente elemento ostativo all’acquisizione del diritto alla reversibilità, cosicché, in forza della norma censurata, le sarebbe precluso il diritto alla pensione di reversibilità.
Precisa, ancora, che non risulta dedotta in causa la titolarità di altri trattamenti pensionistici ai superstiti, circostanza non eccepita dall’ente previdenziale.
Alla luce delle argomentazioni esposte, la fattispecie concreta risulta descritta in modo sufficiente a suffragare il requisito della rilevanza, atteso che le indagini in fatto sono state svolte dalla Corte di merito, che ha accertato la ricorrenza di tutte le condizioni affinché la pretesa al conseguimento della pensione di reversibilità per i superstiti, in favore della nipote orfana, inabile al lavoro, convivente con il nonno e a suo carico, fosse riconosciuta, ma ha disatteso la relativa domanda esclusivamente per la carenza del requisito anagrafico, ossia per il raggiungimento della maggiore età della nipote al momento in cui il nonno è deceduto (sul rigetto dell’eccezione d’inammissibilità per difetto di rilevanza, sentenze n. 194 e n. 22 del 2021).
Non era nei poteri del giudice di legittimità effettuare indagini ulteriori sul fatto, atte a confermare l’integrazione delle condizioni prescritte per il godimento del diritto alla pensione di reversibilità ai superstiti, tanto più che i motivi di ricorso si incentravano in via esclusiva sull’esegesi della norma impugnata, nella parte in cui nega il riconoscimento di detto diritto a vantaggio dei nipoti maggiorenni e inabili al lavoro.
D’altronde, il fatto che ad agire sia stato il tutore della persona interessata, qualificata come interdetta, lascia intendere che la nipote fosse in stato di incapacità di agire, ossia che si trovasse in condizioni di abituale infermità di mente, tale da renderla incapace di provvedere ai propri interessi, ai sensi dell’art. 414 del codice civile.
3.1.2.– Peraltro, il requisito anagrafico costituisce comunque presupposto necessario affinché si possa invocare la sussistenza del diritto in questione, sicché, quand’anche le ulteriori condizioni per il conseguimento dello stesso in astratto non sussistessero, non potrebbe essere accolta l’eccezione d’inammissibilità, per mancanza di utilità concreta per la parte attrice nel giudizio a quo, delle questioni sollevate in ordine al richiesto presupposto della minore età del nipote che invoca il diritto.
Competerà, successivamente, al giudice di merito – cui la causa sia rinviata per effetto dell’ipotetica cassazione della pronuncia impugnata in sede di legittimità – verificare la ricorrenza delle altre condizioni previste dalla legge, e non già al giudice della nomofilachia.
Invero, il requisito della rilevanza non si identifica nell’utilità concreta di cui le parti in causa potrebbero beneficiare (sentenze n. 172 e n. 59 del 2021, n. 254 del 2020), essendo sufficiente, per l’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in via incidentale, che la disposizione censurata sia applicabile nel giudizio a quo, senza che rilevino gli effetti di una eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale per le parti in causa (sentenze n. 253, n. 174 e n. 170 del 2019).
3.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri propone un’ulteriore eccezione di inammissibilità, sostenendo che sarebbe erroneamente identificata la norma oggetto di censura, in conseguenza di una ricostruzione parziale del quadro normativo.
Infatti, i dubbi di legittimità costituzionale si appuntano sull’art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957, che riconosce il diritto alla pensione di reversibilità ai parenti dell’assistito che siano inabili al lavoro, nella parte in cui tale diritto non è riconosciuto al nipote maggiorenne inabile, mentre tali dubbi non si estendono all’art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939, come convertito, che regola un’ipotesi specifica del diritto al trattamento della pensione di reversibilità.
La difesa erariale osserva che l’art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939, come convertito, disciplina, oltre alla fattispecie ordinaria della pensione di reversibilità spettante al coniuge e ai figli superstiti che al momento della morte dell’assicurato o del pensionato non abbiano superato l’età di diciotto anni – fattispecie ricompresa nell’art. 13 della legge n. 218 del 1952, di cui la norma censurata costituisce specificazione –, anche la fattispecie della pensione di reversibilità spettante ai figli di qualunque età riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del suo decesso e, in mancanza, rispettivamente ai genitori ultrasessantacinquenni non titolari di pensione e a carico del pensionato o dell’assicurato al momento della sua morte o, ancora, ai fratelli celibi e alle sorelle nubili superstiti, non titolari di pensione, permanentemente inabili al lavoro e a carico del dante causa al momento del suo decesso, ossia al cui sostentamento provvedeva il dante causa in maniera continuativa.
In base all’assunto dell’interveniente, rispetto alla situazione in cui versa la nipote maggiorenne, orfana e inabile al lavoro, sarebbe l’art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939 a negare concretamente il diritto alla pensione di reversibilità, e non già il censurato art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957.
Questa conclusione sarebbe avvalorata dal fatto che il giudice a quo prospetta l’irragionevolezza dell’esclusione proprio rispetto al trattamento pensionistico di reversibilità, vita natural durante, riconosciuto dall’art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939, come convertito, ai figli maggiorenni inabili al lavoro, sopravvissuti ai genitori.
Su tale aspetto, la difesa statale evidenzia, in ultimo, che la stessa ordinanza di rimessione, in prima battuta, si interroga sulla necessità di verificare la legittimità costituzionale dell’art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957 e dell’art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939, per poi sviluppare le motivazioni della non manifesta infondatezza esclusivamente sulla prima disposizione indicata.
3.2.1.– L’eccezione non può trovare accoglimento.
La giurisprudenza di questa Corte ha evidenziato che ricorre l’inammissibilità delle questioni per aberratio ictus solo ove sia erroneamente individuata la norma in riferimento alla quale sono formulate le censure di illegittimità costituzionale (sentenze n. 32 del 2021, n. 224 del 2020 e n. 24 del 2019).
Ciò posto in via generale, l’art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939, come convertito, prevede la prestazione indiretta a favore dei figli superstiti, di qualunque età, riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del suo decesso, mentre l’art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957, al fine di riconoscere il diritto alle prestazioni delle assicurazioni obbligatorie per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, per la tubercolosi e per la disoccupazione, equipara ai figli legittimi o legittimati (formulazione, quest’ultima, non più in vigore: la legge 10 dicembre 2012, n. 219, recante «Disposizioni in materia di riconoscimento di figli naturali», all’art. 2, comma 1, lettera a, ha delegato il Governo ad emanare un decreto legislativo a modifica delle disposizioni vigenti sostituendo «i riferimenti ai “figli legittimi” e ai “figli naturali” con i riferimenti ai “figli” salvo l’utilizzo delle denominazioni di “figli nati nel matrimonio” o di “figli nati fuori del matrimonio”, quando si tratta di disposizioni a essi specificamente relative». La delega è stata attuata con il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, recante «Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219»), i figli adottivi, affiliati, naturali e i minori regolarmente affidati, e ai genitori gli adottanti, gli affilianti, il patrigno e la matrigna nonché le persone alle quali il minore sia stato affidato.
Alla stregua del descritto quadro normativo, l’estensione dei trattamenti previdenziali – entro certi limiti e condizioni – a determinati componenti della famiglia dell’assicurato include solo i minori regolarmente affidati dagli organi competenti a norma di legge e non anche i nipoti, pur se minori e viventi a carico degli ascendenti, a meno che fossero sussistite le predette condizioni, cioè che fossero stati formalmente affidati a questi ultimi dagli organi competenti.
Su tale aspetto è intervenuta questa Corte, che ha accertato il contrasto della previsione legislativa con il canone di ragionevolezza nella parte in cui, mentre includeva, fra i destinatari diretti ed immediati della pensione di reversibilità, i minori non parenti, formalmente affidati al titolare della pensione principale, escludeva dal beneficio dell’ultrattività pensionistica i nipoti minori e viventi a carico degli ascendenti per i quali il legislatore non avesse richiesto tale formale affidamento (sentenza n. 180 del 1999).
Pertanto, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del richiamato art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957, nella parte in cui non include, tra i soggetti ivi elencati, anche i minori dei quali risulti provata la vivenza a carico degli ascendenti, risultando così ampliata la platea dei superstiti del beneficiario del trattamento pensionistico ai nipoti minorenni, viventi a carico dell’ascendente.
Ne discende che, mentre l’art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939, come convertito, delinea le condizioni affinché il coniuge e i figli del titolare della pensione – o, in subordine, i suoi genitori o i suoi fratelli e sorelle – possano godere della pensione di reversibilità per i superstiti, l’art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957 contiene una clausola di equiparazione ai figli delle altre categorie di soggetti che possono vantare tale diritto, sicché è proprio tale ultima norma ad incidere sulla platea degli aventi diritto, operandone la relativa estensione.
Cosicché correttamente è stato censurato l’art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957, nella parte in cui non estende detta equiparazione ai nipoti maggiorenni, orfani e inabili al lavoro.
Tale conclusione è corroborata dalla circostanza che la richiamata sentenza n. 180 del 1999 è intervenuta proprio sul citato art. 38, nella parte in cui non equiparava ai minori affidati i minorenni non formalmente affidati, ma al cui sostentamento provveda di fatto l’ascendente.
4.– Quanto al merito delle questioni, questa Corte ha già sottolineato che la ratio della reversibilità dei trattamenti pensionistici consiste nel farne proseguire, almeno parzialmente, anche dopo la morte del loro titolare, il godimento da parte dei soggetti a lui legati da determinati vincoli familiari, garantendosi, così, ai beneficiari la protezione dalle conseguenze che derivano dal decesso del congiunto (fra le altre, sentenze n. 180 e n. 70 del 1999, n. 18 del 1998). Si realizza in tal modo, anche sul piano previdenziale, una forma di ultrattività della solidarietà familiare (ancora sentenza n. 180 del 1999), proiettando il relativo vincolo la sua forza cogente anche nel tempo successivo alla morte (così, con riferimento al rapporto coniugale, la sentenza di questa Corte n. 174 del 2016).
Nei medesimi sensi si è espressa anche la Corte di cassazione, la quale ha avuto modo di sostenere, con riferimento alla posizione del coniuge, che l’attribuzione della pensione di reversibilità consegue al principio solidaristico che è preordinato alla continuazione della funzione di sostegno economico assolta a favore dell’avente diritto durante la vita del dante causa (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 21 settembre 2012, n. 16093).
4.1.– La finalità del trattamento pensionistico in esame di tutelare la continuità del sostentamento e prevenire lo stato di bisogno che può derivare dal decesso del congiunto è alla base della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957 «nella parte in cui non include tra i soggetti ivi elencati anche i minori dei quali risulti provata la vivenza a carico degli ascendenti» (sentenza n. 180 del 1999).
In quella occasione, la Corte ha accertato il contrasto con il canone della ragionevolezza della previsione legislativa che estendeva il trattamento pensionistico di cui si tratta, in caso di mancanza dei soggetti prioritariamente indicati, ai minori regolarmente affidati all’assicurato dagli organi competenti a norma di legge, e non ai propri nipoti minorenni che vivessero a suo carico, salvo il caso di affidamento.
L’architrave della ricordata sentenza è rappresentato dalla valorizzazione del rapporto parentale tra ascendenti e discendenti, fondata sulla naturale affectio, nella quale si innesta la speciale e privilegiata disciplina voluta dal legislatore, sul piano dei diritti e dei relativi obblighi: il dovere di concorrere negli oneri di mantenimento, istruzione ed educazione, sancito dall’art. 316-bis cod. civ. a carico degli ascendenti quando i genitori non hanno i mezzi sufficienti; l’obbligo di prestare gli alimenti, che può essere assolto anche accogliendo e mantenendo nella propria casa gli aventi diritto ex artt. 433 e 443 cod. civ.; l’intervento giudiziale nel caso in cui ai nonni venga precluso il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni ai sensi dell’art. 317-bis cod. civ.; il diritto del nipote alla continuità affettiva con i nonni, declinato dall’art. 315-bis cod. civ.; la tutela penale di tali doveri ed obblighi per effetto degli artt. 570 e 591 del codice penale.
4.2.– Coerentemente con il dettato desumibile da tale plesso normativo, anche in sede nomofilattica è stato riconosciuto il diritto degli ascendenti a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni – previsto dall’art. 317-bis cod. civ., coerentemente con l’interpretazione dell’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, fornita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, dell’art. 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, e degli artt. 2 e 30 Cost., allorché sia compatibile con l’esclusivo interesse del minore –, cui corrisponde lo speculare diritto del minore di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti, ai sensi dell’art. 315-bis cod. civ. La sussistenza di tale interesse è configurabile quando il coinvolgimento degli ascendenti si sostanzi in una fruttuosa cooperazione con i genitori per l’adempimento dei loro obblighi educativi, in modo tale da contribuire alla realizzazione di un progetto formativo volto ad assicurare un sano ed equilibrato sviluppo della personalità del minore (Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 25 luglio 2018, n. 19780; sezione sesta civile, ordinanza 12 giugno 2018, n. 15238).
4.3.– La rilevanza di tale rapporto è confermata anche dal giudizio sullo stato di abbandono dei minori ai fini della dichiarazione di adottabilità, nel perseguimento del loro superiore interesse, posto che a tale effetto deve essere previamente valutata l’idoneità dei nonni a provvedere all’assistenza ed alla cura dei nipoti, nel rispetto del diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia allorché tra detti parenti siano intrattenute relazioni significative (Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 11 aprile 2018, n. 9021; sentenza 26 maggio 2014, n. 11758).
5.– Ciò posto, nel quadro normativo risultante dalla richiamata sentenza n. 180 del 1999, il rapporto di parentela tra l’ascendente e il nipote maggiorenne, orfano e inabile al lavoro, subisce un trattamento irragionevolmente deteriore rispetto a quello con il nipote minorenne, con conseguente fondatezza della questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.
Se, infatti, per quanto si è dianzi chiarito, il legame sotteso al rapporto tra nonno e nipote minorenne, come presupposto per l’accesso al trattamento pensionistico di reversibilità, deve essere ritenuto meritevole di tutela, analoga valutazione di meritevolezza, collegata al fondamento solidaristico, che il legislatore è chiamato a specificare e modulare nelle diverse situazioni in modo coerente con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza (sentenza n. 174 del 2016), non può non riguardare anche il legame familiare tra l’ascendente e il nipote, maggiore di età, orfano e inabile al lavoro. La relazione appare in tutto e per tutto assimilabile a quella che si instaura tra ascendente e nipote minore di età, per essere comuni ai due tipi di rapporto la condizione di minorata capacità del secondo e la vivenza a carico del primo al momento del decesso di questo.
È illogico, e ingiustamente discriminatorio, che i soli nipoti orfani maggiorenni e inabili al lavoro viventi a carico del de cuius siano esclusi dal godimento del trattamento pensionistico dello stesso, pur versando in una condizione di bisogno e di fragilità particolarmente accentuata: tant’è che ad essi è riconosciuto il medesimo trattamento di reversibilità in caso di sopravvivenza ai genitori, proprio perché non in grado di procurarsi un reddito a cagione della predetta condizione. Ulteriore profilo, codesto, di irragionevolezza della disposizione in esame.
5.1.– Né vale, come fa la difesa erariale, argomentare l’esclusione alla stregua del rilievo della limitata durata nel tempo della prestazione in favore dei nipoti minori (fino alla maggiore età) e della (in astratto) più lunga durata dell’aspettativa di vita del nipote maggiorenne inabile al lavoro. Tale differenza non è dirimente ai fini della spettanza di un diritto che ha matrice solidaristica, a garanzia delle esigenze minime di protezione della persona.
6.– Deve, in conclusione, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957, per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui non include tra i destinatari diretti ed immediati della pensione di reversibilità i nipoti maggiorenni orfani riconosciuti inabili al lavoro e viventi a carico degli ascendenti assicurati.
Resta assorbita la questione riferita all’altro parametro costituzionale evocato, l’art. 38 Cost.