Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 24 febbraio 2022 n. 6214
PRINCIPI DI DIRITTO
Alla L. n. 206 del 2004, art. 6, comma 1, deve attribuirsi una funzione non meramente rivalutativa ma selettivo-regolativa con la conseguenza che il criterio ivi previsto è applicabile anche alle liquidazioni successive all’entrata in vigore della legge.
I benefici dovuti alle vittime del terrorismo, della criminalità organizzata, del dovere ed ai soggetti ad essi equiparati devono essere parametrati alla percentuale di invalidità complessiva, da quantificarsi con i criteri medico legali previsti dal D.P.R. n. 181 del 2009, art. 3 e 4.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il primo motivo è infondato.
4.1. Questa Corte di legittimità in svariate occasioni ha avuto modo di affermare (da ultimo Cass. 31 luglio 2020, n. 16571; Cass. 17 luglio 2019, n. 19266) che la L. 23 dicembre 2005, n. 266, all’art. 1, comma 563, stabilisce che per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui alla L. 13 agosto 1980, n. 466, art. 3 e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico; c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; d) in operazioni di soccorso; e) in attività di tutela della pubblica incolumità; f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità; all’art. 1, del successivo comma 564 si precisa che sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative.
In seguito, in attuazione di quanto stabilito dalla citata L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 565, è stato emesso, con D.P.R. 7 luglio 2006, n. 243, il regolamento concernente i termini e le modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere e ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo, che all’art. 1, comma 1, definisce, agli effetti del regolamento: a) per benefici e provvidenze, le misure di sostegno e tutela previste dalle L. 13 agosto 1980, n. 466, L. 20 ottobre 1990, n. 302, L. 23 novembre 1998, n. 407, e loro successive modificazioni, e dalla L. 3 agosto 2004, n. 206; b) per missioni di qualunque natura, le missioni, quali che ne siano gli scopi, autorizzate dall’autorità gerarchicamente o funzionalmente sopraordinata al dipendente; c) per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto.
4.2. Da tale quadro normativo si ricava che il legislatore ha ritenuto di intervenire, a protezione delle vittime del dovere (sul punto v. più specificamente infra), con due diverse disposizioni della L. n. 266 del 2005, all’art. 1, rispettivamente commi 563 e 564, individuando, nel comma 563, talune attività che, ritenute dalla legge pericolose, nel caso in cui abbiano comportato l’insorgenza di infermità, possono automaticamente portare ad attribuire alle vittime i benefici quali vittime del dovere; elencando, nel comma 564, i soggetti equiparati, ossia coloro che non abbiano riportato le lesioni o la morte in una delle attività – enumerate nelle lettere dalla a) alla f) sopra richiamate – che il legislatore ha ritenuto per loro natura pericolose, ma in altre attività che pericolose lo fossero o lo fossero diventate per circostanze eccezionali.
Il modello di selezione delle attività che è possibile equiparare, ai sensi del comma 564, non opera attraverso la tipizzazione di singole attività così caratterizzate, ma mediante la formulazione di una fattispecie aperta che tutela tutto ciò che sia avvenuto (per eccezionali situazioni) in occasione di missioni di qualunque natura. E’ stata, quindi, adottata una nozione lata del concetto di missione, nel senso che la stessa riguarda tutti i compiti e le attività istituzionali svolte dal personale militare, che si attuano nello svolgimento di funzioni o compiti operativi, addestrativi o logistici sui mezzi o nell’ambito di strutture, stabilimenti e siti militari. Qualunque tipo di attività e compito istituzionale può portare, in caso di infermità, ai benefici in questione.
4.3. E’ dunque essenziale – per la vittima del dovere che abbia contratto un’infermità in qualunque tipo di servizio, non essendo sufficiente la semplice dipendenza da causa di servizio – che la dipendenza da causa di servizio sia legata al concetto di “particolari condizioni”, costituente una connotazione aggiuntiva e specifica, chiarita dal citato D.P.R. n. 243 del 2006 (art. 1, lett. c), nel senso che rilevano: “condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”.
Così premessa la cornice normativa rilevante ai fini della soluzione del rilievo in questione ed escluso che si versi nella previsione aperta dettata dal comma 564 – non ravvisandosi, nella specie, i requisiti previsti da detta disposizione e analiticamente indicati nei paragrafi che precedono – è necessario procedere alla verifica della riconducibilità del caso di specie all’ipotesi contraddistinta dal comma 563, lett. d) ed e) come ritenuto dalla Corte territoriale; in particolare, non può essere revocato in dubbio che l’attività espletata dalla polizia municipale rientri nella nozione di “servizi di ordine pubblico”, dovendosi ricordare (v. Cass. 2 dicembre 2019, n. 31388) che già a partire dalla sentenza n. 77/1987 la Corte costituzionale ha definito la sicurezza pubblica come la “funzione inerente alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell’ordine pubblico” e tale definizione è stata, poi, ripresa nella successive sentenze n. 218/1988, n. 740/1988 e n. 162/1990 ed ancora nella sentenza n. 115/1995, in cui è precisato che la polizia di sicurezza ricomprende “le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell’ordine pubblico, da intendersi quale complesso dei beni giuridici fondamentali o degli interessi pubblici primari sui quali si fonda l’ordinata convivenza civile dei consociate”; essendo questi i contenuti della nozione di sicurezza pubblica, non va perciò in assoluto escluso dai doveri degli agenti di polizia municipale (che siano anche, come l’odierno controricorrente, addetti alla pubblica sicurezza) quello di vigilanza sul mantenimento dell’ordine pubblico e quello inteso alla tutela e alla incolumità delle persone e dei beni (e più in generale alla prevenzione dei reati); trattasi di un dovere (generale e non connesso a specifiche operazioni di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza) in determinate circostanze certamente sotteso al sopra indicato ruolo.
Ne discende la correttezza della statuizione della sentenza impugnata sul punto e quindi, come si è anticipato, l’infondatezza del motivo in esame.
- Il secondo motivo è inammissibile per difetto di specificità, giacché denuncia la violazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, commi 563 e 564 in combinato disposto con la L. n. 302 del 1990, art. 13non essendo stata accolta la richiesta di pronuncia sulla domanda relativa alla necessità di detrarre dalla speciale elargizione la rendita INAIL riconosciuta al controricorrente, senza confrontarsi con la circostanza che la sentenza impugnata, dopo aver confermato il giudizio di irrilevanza della questione già espresso dal primo giudice, ha motivato il rigetto del capo d’appello sulla base di una interpretazione della L. n. 302 del 1990, art. 13 secondo la quale l’operatività della disposizione relativa al divieto di cumulo è strutturata in termini di imposizione della scelta tra l’uno e l’altro beneficio, opzione che postula l’avvenuto riconoscimento dei rispettivi diritti, mentre il diffalco di una somma da un’altra non potrebbe che essere disposto in sede di condanna specifica.
Il motivo, senza confrontarsi in alcun modo con la prima parte della motivazione sul punto, si basa esclusivamente su ragioni di pretesa opportunità che renderebbero conveniente una pronuncia anticipata già in sede di condanna generica ed al contempo non fornisce alla Corte, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, le indicazioni relative al momento ed alla sede processuale nei quali, attraverso atti o documenti, si sia discusso della effettiva fruizione e spettanza delle provvidenze oggetto del motivo, necessarie a consentire la formulazione di un giudizio concreto sulla fondatezza o meno della censura.
- Il terzo motivo è relativo alle modalità di determinazione del grado percentuale di invalidità da riconoscere al C., necessario al fine di calcolare la misura del beneficio denominato “speciale elargizione” previsto dalla L. n. 206 del 2004, art. 5,comma 1. La critica investe la metodologia utilizzata, per avere la Corte territoriale ritenuto la correttezza dei criteri previsti dal D.P.R. n. 181 del 2009, art. 4rigettando la tesi, svolta nell’atto di appello della amministrazione, secondo cui tale norma, in base al criterio della interpretazione letterale, forniva un parametro per la sola riliquidazione delle indennità già riconosciute prima della L. n. 204 del 2006 e non di quelle riconosciute dopo, o ancora da riconoscere, per le quali la invalidità andava valutata con i criteri di cui all’art. 3 medesimo D.P.R., con esclusione del danno morale, asseritamente negli stessi già contenuto.
Si sostiene che, trattandosi di riconoscimenti successivi al D.P.R. n. 181 del 2009, il giudice del merito avrebbe dovuto scomputare dalla percentuale di invalidità riconoscibile la quota riferibile al danno morale (il che, ad esempio, avrebbe anche comportato il disconoscimento degli assegni periodici di cui alla L. n. 407 del 1998, art. 2 e di cui alla L. n. 206 del 2004, art. 5, commi 3 e 4, correlati ad una percentuale di invalidità di almeno il 25%). Si assume che erroneamente la Corte di merito abbia ritenuto più favorevole il parametro di cui all’art. 4 – evidenziando che il medesimo trattamento non poteva essere negato a chi non avesse ottenuto la liquidazione della indennità successivamente alla entrata in vigore del D.P.R. n. 181 del 2009 – e che i parametri dell’art. 3 già includevano tutte le voci di danno, compreso il danno morale, danno che, applicando l’art. 4, sarebbe stato conteggiato due volte.
- La questione controversa è relativa ai criteri di calcolo delle percentuali di invalidità applicabili alle liquidazioni delle provvidenze per le vittime del dovere (id est per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, v. infra) effettuate successivamente alla data di entrata in vigore del D.P.R. n. 181 del 2009. Nel dettaglio ci si chiede se i criteri di calcolo da applicare alle suddette ipotesi siano quelli di cui al D.P.R. n. 18 del 2009 o ovvero quello contenuto nel D.P.R. n. 243 del 2006, art. 5in relazione al disposto della L. n. 206 del 2004, artt. 5 e 6. Tale questione si iscrive nell’ambito della variegata ed eterogenea normativa che, nel tempo, ha interessato una particolare categoria di persone (vittime del dovere, del terrorismo, della criminalità organizzata) e le problematiche relative alla determinazione dei ristori legislativamente previsti.
- Va ricordato che l’istituzione, per le famiglie di vittime del dovere, di una speciale elargizione ha radici antiche ed infatti risale al R.D.L. 13 maggio 1921, n. 261, come modificato dalla L. 22 gennaio 1942, n. 181, che istituiva un fondo nel bilancio del Ministero dell’interno “per elargizioni (…) alle famiglie dei funzionari di P.S., ufficiali della Regia guardia e Reale carabinieri, agenti investigativi, Regie guardie e Reali carabinieri vittime del dovere”. Nel tempo, questa disciplina, ispirata ai principi costituzionali di solidarietà e uguaglianza, ha subito numerose integrazioni e modifiche, tutte volte progressivamente a dilatare le categorie di beneficiari, ad ampliare e diversificare i benefici, ad agevolare le condizioni per la loro concessione, ad adeguarne la misura.
8.1. Così, con la L. 22 febbraio 1968, n. 101 si è avuto un primo incremento dell’elargizione speciale già prevista nella misura unica di Lire 2.000.000. Egualmente è accaduto con riferimento all’aspetto pensionistico, in relazione al quale è stata emanata la L. 17 ottobre 1967, n. 974, che ha previsto (art. 1) l’attribuzione di una pensione privilegiata ordinaria – nella misura e alle condizioni previste dalle disposizioni in materia di pensioni di guerra – “ai congiunti dei militari caduti vittime di azioni terroristiche o criminose o deceduti in conseguenza delle ferite o lesioni riportate in dette azioni, nonché ai congiunti dei militari caduti per causa di servizio o deceduti per infermità contratta o aggravata per causa di servizio”.
L’estensione alle famiglie dei militari delle Forze armate delle disposizioni previste a favore delle famiglie degli appartenenti alle Forze di polizia caduti vittime del dovere è stata, poi, disposta dalla L. 15 dicembre 1967, n. 1261 (abrogata dal codice dell’ordinamento militare, D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66, che tuttavia ha mantenuto ferma – all’art. 1904 – siffatta equiparazione prevedendo che: “Al personale militare spettano le provvidenze in favore delle vittime del terrorismo, della criminalità e del dovere, previste dalle seguenti disposizioni: a) L. 13 agosto 1980, n. 466; b) L. 20 ottobre 1990, n. 302; c) L. 23 novembre 1998, n. 407; d) L. 3 agosto 2004, n. 206; e) L. 10 ottobre 2005, n. 207“.
8.2. In questo quadro normativo complesso si colloca la L. 27 ottobre 1973, n. 629, con la quale i due profili – della elargizione speciale (elevata a Lire 10.000.000) e della pensione – sono stati riannodati in un unico provvedimento, in favore dei superstiti dei caduti nell’adempimento del dovere appartenenti ai Corpi di polizia. In tale legge si è specificato che la categoria vittime del dovere comprende anche coloro che in attività di servizio siano caduti “per diretto effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza ad azioni terroristiche o criminose o in servizio di ordine pubblico” (art. 1, comma 1, poi, dichiarato costituzionalmente illegittimo in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui limitava l’istituito particolare trattamento pensionistico al solo caso dei dipendenti deceduti in attività di servizio escludendo gli aventi causa dei dipendenti deceduti dopo la cassazione del rapporto di impiego, sia pure per diretto effetto delle ferite o delle lesioni riportate in conseguenza di azioni contro il terrorismo o la criminalità o in servizio di ordine pubblico: v. Corte Cost. n. 266 del 1987).
8.3. L’indicata elargizione speciale è stata successivamente integrata nella misura con la L. 28 novembre 1975, n. 624 (Lire 50.000.000) ed ancora con la L. 13 agosto 1980, n. 466 (Lire 100 milioni), che ne ha altresì previsto il riconoscimento in favore delle “famiglie dei vigili del fuoco e dei militari delle Forze armate dello Stato in servizio di ordine pubblico o di soccorso, vittime del dovere”, specificando (art. 1, che ha aggiunto un comma alla L. n. 629 del 1973, art. 3 a sua volta richiamante l’art. 1 medesima legge) che per vittime del dovere si intendono la vedova e gli orfani dei militari dell’Arma dei carabinieri, del Corpo delle guardie di finanza, del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, del Corpo degli agenti di custodia, del Corpo forestale dello Stato, nonché dei funzionari di pubblica sicurezza, compreso il personale del Corpo istituito con la L. 7 dicembre 1959, n. 1083, deceduti in attività di servizio per diretto effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza ad azioni terroristiche o criminose o in servizio di ordine pubblico, nonché coloro che siano “deceduti in attività di servizio per diretto effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza di eventi connessi all’espletamento di funzioni d’istituto e dipendenti da rischi specificamente attinenti a operazioni di polizia preventiva o repressiva o all’espletamento di attività di soccorso”.
Si evince significativamente dalla relazione al disegno di legge che, poi, ha portato all’emanazione della L. n. 466 del 1980 che “vari provvedimenti esistevano già e questo disegno di legge fa riferimento ad essi, cercando di migliorarli e di dare una maggiore organicità all’insieme, migliorando anche i segni di solidarietà monetaria stabiliti da provvedimenti precedenti” ed ancora che “si intende precisare all’art. 1 con maggiore esattezza e puntualità il significato di vittime del dovere”.
L’indicata L. n. 466 del 1980 ha come particolarità rilevante il fatto che viene riconosciuta una speciale elargizione per invalidità permanente non inferiore all’80 per cento dell’attività lavorativa o tale comunque da importare la cessazione del rapporto d’impiego (ricomprendendo tra i destinatari anche i magistrati ordinari, il personale civile dell’Amministrazione degli istituti di prevenzione e pena, art. 3; i vigili urbani, nonché qualsiasi persona che legalmente richiesta presti assistenza ad esponenti della polizia giudiziaria o della pubblica sicurezza, art. 4). La successiva L. 4 dicembre 1981, n. 720, ha, poi, esteso l’elargizione di cui alla L. n. 466 del 1980 anche ai cittadini stranieri ed apolidi interessati da attentati contro la personalità dello Stato con il beneficio della retroattività agli avvenimenti più gravi dell’eversione politica.
8.4. Per la quantificazione della percentuale è stato emanato un primo D.M. interno 30 ottobre 1980 che, all’art. 6, demandava alle Commissioni mediche ospedaliere la valutazione senza tuttavia indicare i parametri. La lacuna è stata colmata dal successivo D.M. 11 luglio 1983 che richiamava, al fine della suddetta valutazione, la tabella A annessa al D.P.R. 23 dicembre 1978 e successive modifiche.
8.5. Tale quadro normativo, man mano improntato all’emergenza dei cd. anni di piombo, ancor manteneva in un unico alveo le previsioni per gli esponenti delle forze dell’ordine caduti vittime del dovere o caduti vittime del terrorismo. Gli sviluppi normativi successivi, sulla scorta di un’evoluzione storica che registra l’emersione dirompente di altri fenomeni eversivi, hanno introdotto però in prosieguo di tempo tra le due tipologie alcuni elementi di differenziazione.
8.6. “Norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata”, si intitola la L. 20 ottobre 1990, n. 302 – la quale prevede: una elargizione complessiva ai familiari (o conviventi a carico) dei caduti per atti di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico; una elargizione in percentuale alla invalidità riscontrata, per chi subisca un’invalidità permanente; in ambedue i casi (a determinate condizioni) la optabilità per un assegno vitalizio; un’applicabilità di benefici per invalidità di guerra; il diritto di assunzione dei familiari presso le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici (disposizione quest’ultima, poi, abrogata dalla L. 12 marzo 1999, n. 68; sul punto e’, quindi, intervenuto la L. 23 novembre 1998, n. 407, art. 1, comma 2, novellatrice della L. n. 302 del 1990, con cui si è realizzato un progressivo ampliamento della disciplina avente ad oggetto la tutela per le vittime del dovere, del terrorismo e della criminalità organizzata, categorie non più distinguibili e sovrapponibili, prevedendosi altresì un l’assegno vitalizio per chi subisca una invalidità permanente non inferiore ad un quarto della capacità lavorativa). In realtà anche la L. n. 302 del 1990 (pur dettata formalmente per le sole vittime del terrorismo e della criminalità organizzata) si e’, tuttavia, occupata anche delle vittime del dovere (v. art. 6: “1. Nei casi previsti dalla presente legge, gli interessati devono presentare domanda non oltre tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza (comma sostituito dalla L. 23 novembre 1998, n. 407, art. 1 e, successivamente, dalla L. 23 febbraio 1999, n. 44, art. 23). 2. Si prescinde dalla domanda, e si procede d’ufficio, nel caso di dipendente pubblico vittima del dovere (…)”).
8.7. Con ciò si anticipavano i successivi interventi normativi e specialmente quello di cui alla L. 23 dicembre 2000, n. 388, finanziaria 2001, che ha tracciato le linee di un raccordo tra i due cespiti normativi (la L. n. 466 del 1980 e la L. n. 302 del 1990), con la previsione (art. 82) che ha esteso i benefici della L. n. 302 del 1990 anche alle vittime del dovere di cui alla L. n. 466 del 1980, art. 3 prevedendo che al personale di cui alla L. n. 466 del 1980, art. 3 “ferito nell’adempimento del dovere a causa di azioni criminose, ed ai superstiti dello stesso personale, ucciso nelle medesime circostanze”, si applicano le disposizioni della più recente L. n. 302 del 1990. E’ quest’ultima legge, dunque, che diventa il baricentro dei principali aggiornamenti normativi successivi.
8.8. Quanto ai criteri per l’accertamento e la percentualizzazione dell’invalidità, nell’ambito della descritta fase normativa, è intervenuto il D.M. 16 marzo 1992, n. 377 che ha dettato disposizioni integrative e modificative dei precedenti DD.MM. tanto con riguardo alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata quanto con riferimento alle speciali elargizioni a favore di categorie di dipendenti pubblici e di cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche, e all’art. 6, dopo aver previsto che le commissioni mediche ospedaliere avrebbero dovuto attenersi per le loro valutazioni alla tabella A annessa al D.P.R. n. 915 del 1978 ed alle tabelle previste dal D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, stabiliva, in caso di difformità, l’adozione del trattamento più favorevole.
A tale D.M. ha fatto seguito il D.P.R. n. 19 aprile 1994, n. 364 che, all’art. 10, ha disposto che la percentualizzazione delle invalidità di cui alle L. n. 466 del 1980 e L. n. 302 del 1990 va operata sulla base della vigente tabella per i gradi della invalidità civile approvata, in conformità alla L. 20 dicembre 1990, n. 407, art. 3, comma 3, con D.M. sanità 5 febbraio 1992 (unico criterio, dunque, per entrambe le categorie delle vittime). E’, poi, intervenuto il D.P.R. 28 luglio 1999, n. 510 che ha riunito e coordinato le disposizioni riguardanti le modalità di attuazione delle L. n. 466 del 1980 e L. n. 302 del 1990 dettando una disciplina per individuare le Amministrazioni competenti, i tempi e le modalità del procedimento, la composizione ed il funzionamento delle commissioni, l’individuazione dei destinatari dei benefici da attribuire e la documentazione necessaria. All’art. 23 il suddetto D.P.R. n. ha abrogato le disposizioni di cui ai sopra citati decreti ministeriali e quelle di cui al D.P.R. 364 del 1994.
8.9. Si è così determinato un vuoto normativo con riguardo ai criteri di valutazione tanto più problematico se si considera che, all’epoca, la stessa normativa, pur con gli elementi di raccordo di cui al D.P.R. n. 510 del 1999 (relativi, però, alla fase precedente il riconoscimento dell’invalidità) e di cui alla finanziaria del 2001 (limitata alla previsione di cui all’art. 82 sopra ricordato), era ancora assestata sui due versanti delle vittime del dovere e di quelle della criminalità organizzata. A tale vuoto si e’, in concreto, ovviato con l’applicazione delle tabelle militari o quelle dell’Inail, entrambe sulle lesioni fisiche.
8.10. E’ stata, quindi, emanata la L. 3 agosto 2004, n. 206 (“Nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice”) che ha certamente il merito di aver sistematizzato le provvidenze, ampliato la stessa nozione vittime di terrorismo e introdotto nuove misure ristoratrici (legandole in alcuni casi a percentuali di invalidità permanente), previsto benefici previdenziali e fiscali (miglioramento dei criteri di liquidazione delle pensioni e delle indennità di fine rapporto; aumento figurativo dei periodi di contribuzione; esenzioni fiscali sulla pensione figurativamente maturata) restando comunque calibrata sulle vittime del terrorismo e delle stragi (si vedano, quanto alle misure introdotte, le previsioni dell’art. 2, comma 1; art. 3, commi 1 e 1 bis; art. 4, commi 1, 2 e 2-bis; art. 5, commi 3 e 4; 7; 9; 19; si veda, poi, la L. 27 dicembre 2013, n. 147 che ha riconosciuto, a decorrere dall’1/1/2014, un assegno vitalizio ed uno speciale assegno vitalizio, in favore della moglie e dei figli delle vittime del terrorismo con almeno il 50% di invalidità inserendo, dopo il comma 3 dell’art. 5, i commi 3-bis, 3-ter e 3-quater: “3-bis. A decorrere dal 1 gennaio 2014, al coniuge e ai figli dell’invalido portatore di una invalidità permanente non inferiore al 50 per cento a causa dell’atto terroristico subito, anche se il matrimonio sia stato contratto successivamente all’atto terroristico e i figli siano nati successivamente allo stesso, è riconosciuto il diritto a uno speciale assegno vitalizio, non reversibile, di 1.033 Euro mensili, soggetto alla perequazione automatica di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 11 e successive modificazioni. 3-ter. Il diritto all’assegno vitalizio di cui al comma 3-bis non spetta qualora i benefici di cui alla presente legge siano stati riconosciuti al coniuge poi deceduto o all’ex coniuge divorziato o ai figli nati da precedente matrimonio e viventi al momento dell’evento. L’assegno vitalizio non può avere decorrenza anteriore al 10 gennaio 2014. 3-quater. Le disposizioni di cui ai commi 3-bis e 3-ter del presente articolo si applicano anche con riferimento all’assegno vitalizio di cui alla L. 23 novembre 1998, n. 407, art. 2, comma 1, e successive modificazioni”).
Al contempo la L. n. 206 del 2004, pur senza trattare esplicitamente la problematica della valutazione percentuale cui commisurare i benefici, ha prefigurato un nuovo modo di corresponsione degli stessi in rapporto alle invalidità permanenti conseguenti ad atti terroristici. Così ha sancito, all’art. 5, il diritto ad una elargizione proporzionata al grado di invalidità (“L’elargizione di cui alla L. 20 ottobre 1990, n. 302, art. 1, comma 1 e successive modificazioni, è corrisposta nella misura massima di 200.000 Euro in proporzione alla percentuale di invalidità riportata, in ragione di 2.000 Euro per ogni punto percentuale”) e, per quanto, come si vedrà, rileva nel presente giudizio, ha disposto, all’art. 6, comma 1, che: “Le percentuali di invalidità già riconosciute e indennizzate in base ai criteri e alle disposizioni della normativa vigente alla data di entrata in vigore della presente legge sono rivalutate tenendo conto dell’eventuale intercorso aggravamento fisico e del riconoscimento del danno biologico e morale. Per le stesse finalità è autorizzata la spesa di 300.000 Euro per l’anno 2004”. Orbene, una previsione specificamente riferita alla rivalutazione delle percentuali già riconosciute ed indennizzate che tenga conto anche del danno morale, e cioè di una voce che, lungi dall’essere diretta semplicemente a fronteggiare un fenomeno inflattivo, è evidentemente integrativa di quanto già attribuito, non può che presupporre che, in termini generali, quello dettato sia il nuovo criterio in base al quale liquidare ex novo (sul punto v. infra).
8.11. A riportare ad unum i due versanti di normazione è stata ancora una legge finanziaria: ed infatti la L. 23 dicembre 2005, n. 266, all’art. 1, comma 562, ha autorizzato la spesa annua nel limite massimo di 10 milioni di Euro a decorrere dal 2006 al fine della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo a tutte le vittime del dovere, stabilendo, al comma 563 (come già ricordato al punto sub 5.1. che precede) che: “Per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui alla L. 13 agosto 1980, n. 466, art. 3 e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; nello svolgimento di servizi di ordine pubblico; nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; in operazioni di soccorso; in attività di tutela della pubblica incolumità; a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità” e precisando, al successivo comma 564, che: “Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative”.
Con tale legge, dunque, si è recuperata l’equiparazione tra le diverse tipologie di vittime di cui all’art. 82 della finanziaria del 2001. Si e’, poi, rimessa (comma 565) ad un adottando regolamento (da emanarsi su proposta del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro dell’economia e delle finanze – indicazione anch’essa significativa dell’equiparazione) la disciplina dei termini e delle modalità per la corresponsione delle provvidenze (disciplina, dunque, unica per le indicate categorie).
8.12. E’ così intervenuto il D.P.R. n. 243 del 2006, appunto recante il regolamento concernente la corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo.
Esso disciplina la procedura per la richiesta dell’interessato, il suo vaglio da parte delle amministrazioni competenti, la predisposizione da parte del Ministero dell’interno-Dipartimento della pubblica sicurezza di una graduatoria unica nazionale delle posizioni. Il D.P.R. n. 243 del 2006, art. 4 indica la data di decorrenza dei benefici così estesi (“A decorrere dal 2006”) stabilendo un ordine di corresponsione delle provvidenze fino ad esaurimento delle risorse annuali disponibili, secondo le previste lettere: a) in relazione alla L. 20 ottobre 1990, n. 302; b) in relazione alla L. 23 novembre 1998, n. 407: c) in relazione alla L. 3 agosto 2004, n. 206 (in quest’ultimo caso con la previsione, al n. 1, della possibilità di rivalutazione delle percentuali di invalidità, già riconosciute ed indennizzate, di cui all’art. 6, comma 1). Il medesimo D.P.R. n. 243 del 2006 all’art. 5, prevede, poi: – la percentualizzazione della invalidità permanente in base alle tabelle per i gradi di invalidità approvate con il D.M. sanità 5 febbraio 1992 e successive modificazioni; – la percentualizzazione del danno biologico in base alla tabella delle menomazioni approvata con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale in data 12 luglio 2000, e successive modificazioni.
Nessuna previsione vi è sull’utilizzo dei due punteggi emergenti in applicazione dell’una piuttosto che dell’altra tabella né alcun riferimento vi è ai criteri per il riconoscimento anche del danno morale, così come previsto dalla L. n. 206 del 2004, art. 6, comma 1, (e di tali lacune, come si vedrà, darà conto il D.P.R. n. 181 del 2009 che farà espresso riferimento alla necessità di integrare il D.P.R. n. 243 del 2006).
8.13. Successivamente, e dopo che già il D.P.R. n. 243 del 2006 aveva esteso, dal 2006, l’assegno vitalizio ex art. 2 L. n. 407/1998 alle vittime del dovere, è ancora proseguito l’iter di ampliamento progressivo dei benefici; e così, con decorrenza dal 1 gennaio 2008, è stato esteso alle vittime del dovere e a quelle della criminalità organizzata (L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 105) anche lo speciale assegno vitalizio previsto dalla L. n. 206 del 2007, art. 5, comma 3, e la speciale elargizione prevista dalla L. n. 302 del 1990, art. 1.
8.14. Il vuoto normativo sui criteri di liquidazione (cui non ha posto rimedio l’emanazione del D.P.R. n. 243 del 2006 che, quanto alla determinazione dell’invalidità complessiva utile per la riliquidazione dei benefici spettanti, presentava le lacune di cui è detto) è stato, quindi, colmato con il D.P.R. 30 ottobre 2009, n. 181. Quest’ultimo, intitolato “Regolamento recante i criteri medico-legali per l’accertamento e la determinazione dell’invalidità e del danno biologico e morale a carico delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice, a norma della L. 3 agosto 2004, n. 206, art. 6” (provvidenze, come detto estese alle vittime del dovere), all’art. 4, ha previsto separatamente le modalità di determinazione della percentuale di danno biologico (DB) e della percentuale di danno morale (DM) – v. infra -. Con tale D.P.R., dunque, il legislatore, con riguardo alla determinazione dell’invalidità rilevante ai fini delle provvidenze per cui è causa, ha consapevolmente affermato la valenza ontologica del danno morale quale autonoma categoria di danno in seno al più complesso pregiudizio non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c.
8.15. In realtà, anche il D.P.R. 3 marzo 2009, n. 37, di poco precedente (in altro specifico settore normativo, quello delle modalità di riconoscimento di particolari infermità da cause di servizio per il personale impiegato nelle missioni militari all’estero, nei conflitti e nelle basi militari nazionali) ha altrettanto consapevolmente tipizzato una distinta risarcibilità di “DB = danno biologico” e “DM = danno morale”, espressamente consacrando l’autonomia (e la autonoma valutazione) del danno morale rispetto al danno alla salute.
8.16. I suddetti provvedimenti normativi sono entrambi successivi all’intervento delle Sezioni Unite di questa Corte di cui alle sentenze 26972-26975 dell’11 novembre 2008, secondo cui il danno non patrimoniale, quando ricorrano le ipotesi espressamente previste dalla legge, o sia stato leso in modo grave un diritto della persona tutelato dalla Costituzione, è risarcibile sia quando derivi da un fatto illecito sia quando scaturisca da un inadempimento contrattuale.
Tuttavia, esso non costituisce un’autonoma posta di danno diversa da quella relativa al c.d. danno biologico, entrambi essendo riconducibili al più ampio concetto di danno non patrimoniale. Il danno, dunque, ai sensi delle citate SS.UU. deve essere inteso nel senso di voce descrittiva del pregiudizio, non cumulabile con il danno alla salute, ove ricorrente un danno biologico, quale degenerazione patologica della sofferenza che tutto assorbe. Invero, già successive pronunce di questa Corte sono andate oltre la suddetta affermazione di principio, ipotizzando la possibilità di un vulnus di tutela per il danneggiato esposto al rischio di non poter trovare un ristoro integrale, così violando il tessuto connettivo degli artt. 2 e 3 Cost., atteso che il risarcimento del danno alla persona rimuove un ostacolo al completo e sano sviluppo della personalità (così Cass. 28 novembre 2008, n. 28407 ha affermato come il danno morale gode di propria autonomia ontologica e come tale è meritevole di tutela; Cass. 12 dicembre 2008, n. 29191 ha egualmente sostenuto che il danno morale è dotato di propria autonomia rispetto alla lesione del diritto alla salute; Cass. 20 maggio 2009 n. 11701 ha ribadito l’importanza del ristoro dei danni all’integrità morale; Cass. 10 marzo 2010, n. 5770 ha affermato che, al fine della quantificazione del danno morale, voce dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona ovvero all’integrità morale, quale massima espressione della dignità umana, desumibile dall’art. 2 Cost. in relazione all’art. 1 della Carta di Nizza (contenuta nel Trattato di Lisbona, ratificato dall’Italia con L. 2 agosto 2008, n. 190) si deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della concreta gravità del fatto, senza che possa quantificarsi il valore dell’integrità morale come una quota minore proporzionale al danno alla salute, dovendo dunque escludersi la adozione di meccanismi semplificativi di liquidazione di tipo automatico). Certo è che i sopra citati D.P.R. n. 37 del 2009 e D.P.R. n. 181 del 2009 hanno dettato criteri specifici per il ristoro anche del danno morale ed in particolare il D.P.R. n. 181 del 2009 lo ha fatto in attuazione della previsione della L. n. 206 del 2004, art. 6, comma 1, che, come già anticipato, prevedeva una rivalutazione (ma anche, una valutazione ex novo) che tenesse conto del riconoscimento del danno biologico e morale.
Evidentemente non è in questa sede richiesto di accertare se i suddetti interventi normativi valgano ad introdurre, anche oltre gli specifici settori di riferimento ed in assenza di espliciti richiami ad un contesto di responsabilità civile in senso proprio, la codificazione di un principio di ordine generale o comunque una chiave interpretativa per una rivisitazione evolutiva della portata delle decisioni a Sezioni Unite di cui si è detto (che, peraltro, a ben guardare non hanno mai predicato un principio di diritto funzionale alla scomparsa per assorbimento ipso facto del danno morale nel danno biologico, avendo esse viceversa indicato al giudice del merito soltanto la necessità di evitare, attraverso una rigorosa analisi dell’evidenza probatoria, duplicazioni risarcitorie).
Valga, sul punto, per mera completezza, segnalare che si registrano pronunce di legittimità che, proprio facendo riferimento ai suddetti D.P.R., hanno proposto una concezione autonomista dei singoli pregiudizi non patrimoniali (e così del danno morale). Così Cass. 12 settembre 2011, n. 18641 ha evidenziato che “in tema di liquidazione del danno, la fattispecie del danno morale, da intendersi come voce integrante la più ampia categoria del danno non patrimoniale, trova rinnovata espressione in recenti interventi normativi (e, segnatamente, nel D.P.R. 3 marzo 2009, n. 37 e nel D.P.R. 30 ottobre 2009, n. 181), che distinguono, concettualmente, ancor prima che giuridicamente, tra la voce di danno cd. biologico, da un canto, e la voce di danno morale, dall’altro, con la conseguenza che di siffatta distinzione, in quanto recata da fonte abilitata a produrre diritto, il giudice del merito non può prescindere nella liquidazione del danno non patrimoniale.
Il principio è stato ribadito dalle successive Cass. 20 novembre 2012, n. 20292; Cass. 3 ottobre 2013, n. 22585; Cass. 9 giugno 2015, n. 11851; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24075 e ripreso, ancorché senza alcun riferimento ai sopra indicati D.P.R., anche da Cass., Sez. Un., 1 febbraio 2017, n. 2611 che ha affermato che l’assenza di un danno biologico documentato non osta al risarcimento del danno non patrimoniale (nella specie conseguente ad immissioni illecite), allorché siano stati lesi il diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione ed il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali diritti costituzionalmente garantiti, nonché tutelati dall’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, la prova del cui pregiudizio può essere fornita anche con presunzioni. La questione è stata, peraltro, recentemente affrontata, tra altre pronunce (Cass. 17 gennaio 2018, n. 901; Cass. 27 marzo 2018, n. 7513), da Cass. 31 gennaio 2019, n. 2788, dove si legge che, nel procedere all’accertamento e alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito deve dunque tenere conto, da una parte, dell’insegnamento della Corte costituzionale (Corte Cost. n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss.) e, dall’altra, dell’intervento del legislatore sugli artt. 138 e 139 c.d.a. come modificati dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 17, la cui nuova rubrica (“danno non patrimoniale”, sostituiva della precedente, “danno biologico”), e il cui contenuto impongono di distinguere definitivamente il danno dinamico-relazionale da quello morale.
Ne deriva che il giudice deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la compiuta fenomenologia della lesione non patrimoniale, e cioè tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (cd. danno morale) quanto quello dinamico-relazione (destinato a incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).
8.17. Nel caso qui all’esame non e’, invero, in discussione la portata oggettiva (come rivalutare) del D.P.R. n. 181 del 2009 ed invero neppure il Ministero ricorrente dubita del fatto che con lo stesso sia stata prevista una liquidazione autonoma del danno morale con i criteri ivi specificati, essendo il nodo da sciogliere piuttosto quello relativo alla portata soggettiva dello stesso (in favore di chi rivalutare).
8.18. Neppure può ritenersi che il suddetto D.P.R. abbia violato i limiti della norma primaria, ponendosi invece come momento di puntuale e testuale attuazione della stessa. Dalla premessa del D.P.R. n. 181 del 2009 si rileva che l’adozione del regolamento è stata determinata dal rilievo che “le disposizioni del D.P.R. n. 510 del 1999 e le disposizioni del D.P.R. n. 243 del 2006, in materia di riconoscimento delle invalidità, necessitano di integrazioni anche ai fini dell’applicazione della L. n. 206 del 2004, art. 6, comma 1″ ed in conseguenza occorre “disciplinare i criteri medico-legali con disposizioni di carattere generale cui debbono attenersi le commissioni mediche di cui al D.P.R. n. 510 del 1999, art. 5“.
E’, allora, significativo il richiamo alla L. n. 206 del 2004, art. 6 e cioè ad una disposizione che, come già ricordato, ha previsto che le percentuali di invalidità già riconosciute e indennizzate in base ai criteri e alle disposizioni della normativa previgente vengano rivalutate, tenendo conto dell’eventuale intercorso aggravamento fisico e del riconoscimento del danno biologico e morale, senza tuttavia stabilire i criteri per una concreta valutazione, criteri che sono, appunto, dettati dalla norma regolamentare attuativa.
8.19. Vi e’, poi, il richiamo al D.P.R. n. 243 del 2006, che, come pure già ricordato, ha riconosciuto la possibilità, a decorrere dal 2006, di rivalutazione delle percentuali di invalidità già riconosciute ed indennizzate, come prevista dalla L. n. 206 del 2004, art. 6, comma 1, la percentualizzazione della invalidità permanente in base alle tabelle del Ministro della sanità e la percentualizzazione del danno biologico in base alla tabelle del Ministro del lavoro e della previdenza sociale (con le lacune sopra evidenziate).
Trattandosi di richiamo all’atto normativo che ha dettato le regole ai fini dell’estensione alle vittime del dovere dei benefici già previsti per le vittime del terrorismo e della criminalità (prevedente, all’art. 4, l’estensione del vitalizio L. n. 407 del 1998, ex art. 2 appunto alle vittime del dovere, vitalizio che è subordinato all’esistenza di un’invalidità almeno del 25%), lo stesso depone per una applicazione dei criteri di cui al D.P.R. n. 181 del 2009 ad entrambe le categorie di vittime.
Tanto è ulteriormente confermato anche dal riferimento, sempre contenuto nelle premesse del D.P.R. n. 181 del 2009, alla L. 24 dicembre 2007, n. 244, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)”, ed in particolare all’art. 2, commi 105 e 106 ovverosia a disposizioni – comma 105 – che estendono anche alle vittime del dovere i benefici di cui alla L. n. 206 del 2004, art. 5, commi 3 e 4, inerenti appunto allo specifico assegno vitalizio, riconnesso ad una percentuale di invalidità almeno del 25%.
8.20. Così delineato l’ambito di riferimento del D.P.R. n. 181 del 2009 va evidenziato che l’art. 1 dello stesso, intitolato “Definizioni”, individua: come danno biologico “la lesione di carattere permanente dell’indennità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”; come danno morale “il pregiudizio non patrimoniale costituto dalla sofferenza soggettiva cagionata dal fatto lesivo in sé considerato”.
Ai sensi dell’art. 2 medesimo D.P.R., la valutazione della percentuale di invalidità di cui alla L. n. 206 del 2004, art. 6, comma 1, è espressa in una percentuale unica, comprensiva del danno biologico e morale (“la valutazione della percentuale d’invalidità (…) è espressa in una percentuale unica d’invalidità, comprensiva del riconoscimento del danno biologico e morale”).
Venendo alle norme direttamente rilevanti in causa: – l’art. 3, rubricato “Criteri medico legali per la valutazione dell’invalidità permanente” dispone che la percentuale di invalidità permanente (IP), riferita alla capacità lavorativa, è attribuita scegliendo il valore più favorevole tra quello determinato in base alle tabelle approvate con il D.M. sanità 5 febbraio 1992 e quello determinato in base alle tabelle A, B, E, F1 annesse al D.P.R. n. 915 del 1978, stabilendo le modalità per il loro utilizzo.
La norma, dunque, fissa le regole per la determinazione dell’invalidità permanente, anche mediante conversione di preesistenti categorie e tabelle normative, prevedendo che essa sia stabilita secondo il valore più favorevole derivante da tali plurimi parametri. – l’art. 4, rubricato “Criteri medico legali per la rivalutazione dell’invalidità permanente e per la determinazione del danno biologico e del danno morale” stabilisce i criteri per la rivalutazione delle indennità già riconosciute ed indennizzate, disponendo che: – la percentuale di invalidità permanente (IP), riferita alla capacità lavorativa, venga attribuita secondo quanto indicato nel precedente art. 3; – la percentuale di danno biologico (DB), venga determinata in base alla tabella delle menomazioni di cui al D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 138, comma 1 e art. 139, comma 4; – la percentuale di danno morale (DM) venga determinata caso per caso (secondo i parametri indicati dalla medesima norma) fino ad un massimo di 2/3 del valore percentuale del danno biologico; – la percentuale unica di invalidità complessiva (IC) di cui alla L. n. 206 del 2004, art. 6 sia pari, in misura comunque non superiore al 100%, alla somma delle percentuali del danno biologico, del danno morale e della differenza, se positiva, tra l’invalidità riferita alla capacità lavorativa ed il danno biologico, secondo la formula IC = DB + DM + (IP-DB).
8.21. Dal contenuto delle indicate disposizioni risulta immediatamente l’infondatezza della tesi difensiva del Ministero secondo cui la liquidazione effettuata ai sensi dell’art. 3 terrebbe già conto del danno morale.
La liquidazione dell’art. 3 considera, infatti, come testualmente dispone la norma, la sola riduzione della capacità lavorativa, mentre il danno biologico ed il danno morale vengono autonomamente valutati soltanto dall’art. 4, in aggiunta alla riduzione della capacità lavorativa valutata ex art. 3; nel computo finale il danno morale, poi, si aggiunge al danno biologico ed all’eventuale differenziale in aumento della riduzione della capacità lavorativa.
L’art. 4, dunque, si occupa dei criteri attraverso cui l’invalidità permanente di cui al precedente art. 3 va integrata con il danno biologico (di cui si indica la tabella di calcolo: lett. b) e con il danno morale (di cui vengono ivi fissate le regole di determinazione: lett. c). Infine, vi è un criterio (lett. d) che definisce la sommatoria tra tali voci di danno, in una prospettiva di massimo favore per i beneficiari, in quanto al danno biologico ed al danno morale si aggiungono, se superiori, i valori differenziali inerenti all’invalidità permanente di cui all’art. 3, calcolati appunto sottraendo da essa la percentuale inerente al danno biologico stesso.
8.22. In realtà, tanto il suddetto art. 4 quanto il precedente art. 2 riferiscono la percentuale unica di invalidità – o invalidità complessiva – alla valutazione di cui alla L. n. 206 del 2004, art. 6 norma relativa alla rivalutazione delle percentuali di invalidità già riconosciute e indennizzate in base ai criteri e alle disposizioni della normativa previgente. Di qui la tesi del Ministero, secondo cui l’art. 4 non si applicherebbe in caso di invalidità ancora da liquidare, con la conseguenza che andrebbe riconosciuto soltanto il danno biologico ai sensi del D.P.R. n. 243 del 2006, art. 5 e l’invalidità permanente determinata con i criteri di cui al D.P.R. n. 181 del 2009, art. 3.
La tesi, però, trascura di considerare non solo che la premessa di cui al D.P.R. n. 181 del 2009 è chiara nel fare riferimento ad una necessità di integrazione anche ai fini dell’applicazione della L. n. 206 del 2004, art. 6, comma 1 (e, dunque, non solo ai fini di tale applicazione) ma soprattutto la previsione di cui al medesimo D.P.R. n. 181 del 2009, art. 6, comma 1.
Tale norma (Disposizioni finali) prevede che: “1. A fare data dall’entrata in vigore del presente regolamento le commissioni mediche provvedono all’accertamento delle invalidità secondo quanto previsto agli artt. 3 e 4. 2. Nei casi di applicazione della L. 3 agosto 2004, n. 206, art. 6, comma 1, le valutazioni delle invalidità operate in difformità alle disposizioni del presente regolamento, possono formare oggetto di revisione da parte dei competenti organismi sanitari, previa domanda degli interessati agli uffici delle amministrazioni competenti (…)”. La lettura coordinata dei suddetti commi 1 e 2 porta a ritenere che con il comma 1 si sia inteso prevedere una applicazione generalizzata della regola della liquidazione complessiva prevista dal medesimo D.P.R. n. 181 del 2009, art. 4 per tutti gli indennizzi, anche successivi all’entrata in vigore della L. n. 206 del 2004; il comma 2 ne ribadisce l’applicazione alle ipotesi di rivalutazione di cui alla L. n. 206 del 2004, art. 6, comma 1.
La norma, dunque, così intesa si riferisce anche (anzi principalmente) alle nuove liquidazioni, che devono essere fatte con il computo del danno non patrimoniale. E del resto anche la L. n. 206 del 2004, art. 6, comma 1, (norma rispetto alla quale è proprio il D.P.R. n. 181 del 2009 ad individuare i criteri medico-legali per l’accertamento e la determinazione dell’invalidità e del danno biologico e morale) laddove stabilisce che: “1. Le percentuali di invalidità già riconosciute e indennizzate in base ai criteri e alle disposizioni della normativa vigente alla data di entrata in vigore della presente legge sono rivalutate tenendo conto dell’eventuale intercorso aggravamento fisico e del riconoscimento del danno biologico e morale” non può che interpretarsi nel senso che i nuovi criteri, che prevedono il rilievo del danno non patrimoniale, si applicano anche alle indennità già liquidate e non solo ad esse.
8.23. Una diversa interpretazione, oltre a risultare distonica rispetto all’obiettivo perseguito dal legislatore di ampliare ed estendere i benefici in favore delle vittime qualificate, esporrebbe il sistema delineato dalla L. n. 206 del 2004, fonte normativa di rango primario, e dalle disposizioni regolamentari di cui al D.P.R. n. 181 del 2009, che hanno contenuto applicativo della prima e della quale costituiscono specificazione, ad insuperabili rilievi di incostituzionalità, per violazione dell’art. 3 Cost.. Infatti non è ragionevolmente sostenibile che si sia inteso introdurre una disparità di trattamenti liquidativi, per una misura di stampo indennitario-assistenziale, a favore di persone nella medesima condizione di vittime del dovere o del terrorismo, in mera dipendenza dal momento in cui la liquidazione sia stata effettuata, né che, oltre a ciò, ad alcune delle vittime sia riconosciuto il danno morale nel computo dell’invalidità ed ad altre no, solo e sempre in relazione al fatto che la liquidazione sia avvenuta prima o dopo di quella stessa data.
E’, quindi, inevitabile che il trattamento di coloro che abbiano subito il danno o ottenuto la liquidazione prima dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 181 del 2009 cit. sia identico a quello di chi lo abbia subito o ottenuto la liquidazione dopo, sicché occorre fare applicazione della formula di chiusura di cui all’art. 4, lett. d) del medesimo D.P.R.. Del resto, anche il precedente D.P.R. n. 243 del 2006 nel prevedere all’art. 4 l’ordine di corresponsione delle differenze ha stabilito alla lett. c) n. 1, in relazione alla L. n. 206 del 2004, la “la possibilità di rivalutazione delle percentuali di invalidità, già riconosciute ed indennizzate, di cui all’art. 6, comma 1; (…)”.
8.24. Il senso della previsione del D.P.R. n. 181 del 2009 è allora chiaro: in base ad essa le vittime del dovere e quelle a queste equiparate, frattanto valutate con i criteri di cui al D.P.R. n. 243 del 2006, art. 5 (norma che richiamava al fine della percentualizzazione dell’invalidità permanente e del danno biologico il D.M. 5 febbraio 1992 e il D.M. 12 luglio 2000, pur senza ulteriori specificazioni) avrebbero dovuto, poi, essere valutate con i nuovi (definendi) criteri che, come già prefigurato dalla L. n. 206 del 2004, avrebbero dovuto valorizzare anche il danno morale. Il fatto che il legislatore abbia inteso riferirsi a tali nuovi criteri (che erano ancora attesi) anche, ma non solamente, per le vittime già valutate è confermato dalla L. n. 206 del 2004, art. 4, comma 2 bis inserito dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 792 (“2-bis. Per i soggetti che abbiano proseguito l’attività lavorativa ancorché l’evento dannoso sia avvenuto anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge, inclusi i casi di revisione o prima valutazione, purché l’invalidità permanente riconosciuta non risulti inferiore ad un quarto della capacità lavorativa o della rivalutazione dell’invalidità con percentuale omnicomprensiva anche del danno biologico e morale come indicato all’art. 6, comma 1, al raggiungimento del periodo massimo pensionabile, anche con il concorso degli anni di contribuzione previsti dall’art. 3, comma 1, la misura del trattamento di quiescenza è pari all’ultima retribuzione annua integralmente percepita e maturata, rideterminata secondo le previsioni di cui all’art. 2, comma 1”. L’inclusione, oltre ai casi di revisione, anche di quelli di prima valutazione è emblematica dell’intento del legislatore di non operare alcuna differenziazione.
8.25. Il D.P.R. in questione trova, dunque, applicazione proprio per la determinazione dell’inerente grado di invalidità, tra l’altro con espressa riferibilità (oltre che ad altri benefici, come è per l’elargizione di cui alla L. n. 206 del 2004, art. 5, commi 1 e 5, attraverso il richiamo del preambolo al D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, art. 34 convertito, con modificazioni, dalla L. 29 novembre 2007, n. 222) ai sopra indicati vitalizi L. n. 407 del 1998, ex art. 2 ed L. n. 206 del 2004, ex art. 5, commi 3 e 4.
Sul punto, va richiamata, e condivisa, anche Cass. 27 maggio 2014, n. 11834 secondo cui, in materia di trattamenti previdenziali ed assistenziali in favore delle vittime di atti terroristici, il regolamento di cui al D.P.R. n. 181 del 2009 è stato emanato per dettare una disciplina univoca e generale, in modo da consentire l’applicazione della L. n. 206 del 2004, art. 6 – che, come detto, prevede la rivalutazione delle indennità tenendo conto del danno biologico e di quello morale, pur senza determinarne i criteri – ed ha introdotto, pertanto, disposizioni immediatamente applicabili ai procedimenti giurisdizionali non conclusi con sentenza definitiva, e, dunque, anche in sede di legittimità.
Anche in tale precedente si è evidenziato che la portata applicativa del regolamento si desume tanto dalle premesse quanto dalle disposizioni finali. Dalle prime, ove si esplicita che i provvedimenti previgenti in tema di riconoscimento delle invalidità (D.P.R. n. 510 del 1999 e D.P.R. n. 243 del 2006) “necessitano di integrazioni al fine dell’applicazione” del citato art. 6 ed ove si chiarisce che le disposizioni ivi contenute hanno carattere generale e che ad esse debbono attenersi le commissioni mediche competenti ai fini della concessione dei benefici in favore delle vittime civili del terrorismo e della criminalità organizzata.
Dalle seconde (art. 6), ove si prevede che a fare data dall’entrata in vigore del regolamento le commissioni mediche provvedono all’accertamento delle invalidità secondo quanto previsto agli artt. 3 e 4 e che le valutazioni dell’invalidità operate in difformità rispetto alle disposizioni del regolamento possono formare oggetto di revisione da parte dei competenti organismi sanitari previa domanda degli interessati e ove si aggiunge che la determinazione della nuova percentuale di invalidità si applica anche alle domande presentate a partire dalla data di entrata in vigore della L. n. 206 del 2004 citata cui non sia seguito l’accertamento medico-legale da parte delle commissioni mediche per sopravvenuto decesso del danneggiato.
Tutto ciò manifesta come solo agli accertamenti compiuti in applicazione dei suddetti criteri possa attribuirsi carattere di definitività e che solo l’applicazione di tali criteri realizza compiutamente l’intento sotteso alla previsione della L. n. 206 del 2004, art. 6. In tal senso, quindi, alla normativa di cui al D.P.R. va assegnata la funzione di integrare ab origine la previsione di cui al citato L. n. 206 del 2004, art. 6 e portata interpretativa per la sua applicazione.
8.26. Deve quindi ritenersi, disattendendosi il percorso interpretativo tracciato da Cass. n. 11101/2020 che, per i fini che qui interessano, l’accertamento dell’invalidità deve tenere conto del danno morale e deve avvenire secondo i criteri di cui al D.P.R. n. 181 del 2009, artt. 3 e 4. Si ricorda, del resto, che, come evidenziato nell’ordinanza interlocutoria, il Consiglio di Stato in sede consultiva espresse parere favorevole – n. 2775 del 2009 all’emanazione di un regolamento al fine di disciplinare, nella materia di cui si tratta, i criteri medico legali con disposizioni di carattere generale (anche da qui la successiva genesi del D.P.R. n. 181 del 2009), sulla premessa che la necessità di introdurre un sistema di calcolo unico, rispetto alle componenti del danno biologico e morale della percentuale d’invalidità, fosse richiesto dalla L. n. 206 del 2004, art. 6 e che il computo del danno biologico ulteriore già fosse stato introdotto dal D.P.R. n. 243 del 2006, art. 5. 8.27.
Per quanto sopra evidenziato, non può essere condivisa l’opzione ermeneutica secondo la quale la L. n. 206 del 2004, art. 6 si rivolga solo ad una ristretta platea di destinatari essendo intesa solo alla rideterminazione delle invalidità riportate dalle vittime del terrorismo ed equiparate riconosciute tali in epoca antecedente all’entrata in vigore della L. n. 206 del 2004, allo scopo di porle al riparo dal fenomeno inflattivo, attraverso un meccanismo di riequilibrio – determinato dalla comparazione di percentuali di invalidità permanenti calcolate attraverso l’utilizzo di criteri di computo differenti – che tenga conto dell’eventuale intercorso aggravamento fisico, oltre che del riconoscimento del danno biologico e morale.
Si sottolinea, a sostegno di tale conclusione, che il legislatore ha previsto esclusivamente l’accantonamento della spesa necessaria per il solo anno 2004 (art. 5, comma 2; art. 6, comma 1) e non invece “a decorrere” dall’anno 2004. E’ sufficiente osservare, in contrario, innanzitutto che, come evidenziato nell’ordinanza interlocutoria, già la L. n. 308 del 1990, art. 8, comma 2, prevedeva un meccanismo di indicizzazione (“1. Gli assegni vitalizi di cui alla presente legge sono soggetti ad una automatica rivalutazione annuale in misura pari al tasso di inflazione accertato per l’anno precedente, sulla base dei dati ufficiali ISTAT, e sono esenti dall’IRPEF. 2. Le elargizioni previste dalla presente legge sono rivalutate con i criteri di cui al comma 1 alla data della corresponsione e sono esenti dall’IRPEF”).
Ed allora, se va escluso che si tratti di una previsione intesa solo a porre le già effettuate liquidazioni al riparo da fenomeno inflattivo, deve ritenersi che, con la stessa, sul presupposto dell’introduzione di un nuovo e generalizzato criterio di valutazione dell’invalidità complessiva, si sia valutato di adeguare a tale criterio (anche) le liquidazioni già effettuate. Egualmente, il riferimento contenuto nell’ultima parte dell’art. 6, comma 1, ad una spesa autorizzata di 300.000 Euro per l’anno 2004 non è risolutivo nel senso opzionato da Cass. n. 11101/2020.
Ciò sia perché tale previsione non impedisce che si sia comunque inteso introdurre un nuovo e generale criterio di valutazione, ben potendo ritenersi che la L. n. 206 del 2004, art. 16 con i previsti impegni di spesa pluriennali, abbia avuto come obiettivo le nuove liquidazioni, mentre l’art. 6 le riliquidazioni; sia perché l’art. 5, comma 2 medesima legge, ha previsto che la disposizione di cui al comma 1 (speciale elargizione di Euro 200.000,00 con Euro 2.000,00 per punto percentuale prevista dalla L. n. 302 del 1990) si applica anche alle elargizioni già erogate prima della data di entrata in vigore della presente legge, considerando, altresì, nel computo la rivalutazione di cui all’art. 6 e precisato che “a tale fine è autorizzata la spesa di 12.070.000 Euro per l’anno 2004″, spesa che sarebbe del tutto sproporzionata se il legislatore, negli artt. 3 e 4, avesse inteso riferirsi solo alla rideterminazione delle invalidità riportate dalle vittime del terrorismo riconosciute tali in data antecedente all’entrata in vigore della L. n. 206 del 2004.
Del resto, nel senso che il nuovo parametro previsto alla L. n. 206 del 2004, art. 5 dovesse applicarsi anche ai benefici già liquidati ed erogati, si è espresso lo stesso legislatore prevedendo, con il D.L. n. 159 del 2007, art. 34 cit., cono. con modif. in L. n. 222 del 2007, che anche le vittime del dovere individuate nella L. n. 266 del 2005, art. 1, commi 563 e 564, possano beneficiare dei vantaggi introdotti dalla L. n. 206 del 2004 con compensazione di quanto già ricevuto. 8.28.
Come già sopra evidenziato, inoltre, il D.P.R. n. 181 del 2009 non solo indica i criteri medico-legali per la rivalutazione delle indennità, ma specifica altresì che le valutazioni delle indennità, operate in difformità rispetto ai suoi criteri, possono essere riviste e modificate dalle commissioni sanitarie competenti, su istanza dell’interessato.
Ciò significa che i parametri medico-legali di cui al D.P.R. n. 181 del 2009 vanno applicati anche alle domande di rivalutazione presentate a partire dall’entrata in vigore della L. n. 206 del 2004. Tale possibilità trae fondamento dal dato letterale delle disposizioni finali del decreto ed è coerente con la funzione di integrazione ab origine della L. n. 206 del 2004 da riconoscersi allo stesso.
- Vanno conseguentemente affermati i seguenti principi di diritto: – “alla L. n. 206 del 2004, art. 6,comma 1, deve attribuirsi una funzione non meramente rivalutativa ma selettivo-regolativa con la conseguenza che il criterio ivi previsto è applicabile anche alle liquidazioni successive all’entrata in vigore della legge”. – “I benefici dovuti alle vittime del terrorismo, della criminalità organizzata, del dovere ed ai soggetti ad essi equiparati devono essere parametrati alla percentuale di invalidità complessiva, da quantificarsi con i criteri medico legali previsti dal D.P.R. n. 181 del 2009, art. 3e 4″.
- Essendosi la Corte territoriale conformata ai suddetti principi anche il terzo motivo di ricorso deve essere respinto.
- Conclusivamente il ricorso va rigettato.
- La complessità delle questioni trattate, oggetto di contrastanti precedenti giurisprudenziali, induce la Corte a compensare le spese tra le parti.
- Non occorre dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass., Sez. Un., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,comma 1 quater perché la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass., Sez. Un., n. 9938/2014; Cass. n. 1778/2016; Cass. n. 28250/2017).