Corte di Cassazione, Sez. Unite Penali, sentenza 19 ottobre 2022 n. 39614
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il giudice di appello che, nel pronunciare declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, pervenga alla conclusione – sia sulla base della semplice ‘constatazione’ di un errore nel quale il giudice di primo grado sia incorso sia per effetto di ‘valutazioni’ difformi – che la causa estintiva é maturata prima della sentenza di primo grado, deve revocare le statuizioni civili in essa contenute.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il quesito sottoposto alle Sezioni Unite con l’ordinanza di rimessione è il seguente: «Se il giudice di appello, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione, maturata prima della pronuncia della sentenza impugnata, per effetto di una valutazione difforme rispetto a quella operata dal giudice di primo grado (come, ad esempio, nei casi di esclusione della recidiva qualificata o di ritenuta insussistenza di una circostanza aggravante o di formulazione di un diverso giudizio di comparazione fra circostanze del reato), possa ugualmente decidere sull’impugnazione, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, ovvero debba revocare le statuizioni civili».
- Rispetto al predetto quesito, sussistono due indirizzi contrastanti nella giurisprudenza di legittimità, segnalati dal Collegio che ha rimesso la questione.
2.1. Vi è un primo orientamento secondo il quale il verificarsi della causa estintiva “a monte” della sentenza di condanna in primo grado comporta comunque l’inapplicabilità dell’art. 578 cod. proc. pen., indipendentemente dalla ragione per la quale l’estinzione del reato venga rilevata dal giudice dell’impugnazione.
Il principale argomento su cui si fonda l’orientamento in questione è costituito dal fatto che non è ravvisabile alcuna distinzione tra i fattori che escludono i presupposti di operatività dell’art. 578 cod. proc. pen. (norma che é generalmente considerata di stretta interpretazione), qualora l’estinzione del reato sia maturata prima della sentenza di primo grado.
L’indirizzo in esame si richiama al principio, affermato da Sez. U, n. 10086 del 13/07/1998, Citaristi, Rv. 211191, secondo cui é illegittima la sentenza d’appello nella parte in cui, una volta accertato che la prescrizione del reato é maturata prima della pronuncia di primo grado, conferma le statuizioni civili in questa contenute; in tale ipotesi, infatti, non sussistono i presupposti in presenza dei quali l’art. 578 cod. proc. pen. consente al giudice dell’impugnazione di decidere sugli effetti civili anche nel caso in cui dichiari l’estinzione del reato.
Analogo indirizzo, in linea con quello affermato da Sez. U, n. 10086 del 13/07/1998, Citaristi, é stato ribadito da Sez. 6, n. 33398 del 19/09/2002, Rusciano, Rv. 222426, secondo cui la decisione del giudice dell’impugnazione sugli effetti civili del reato estinto per prescrizione presuppone che la causa estintiva sia sopravvenuta alla sentenza emessa dal giudice di primo grado che ha pronunciato sugli interessi civili, mentre, qualora la causa di estinzione del reato preesista alla sentenza di primo grado ed il giudice non l’abbia dichiarata, non sussistono i presupposti di operatività dell’art. 578 cod. proc. pen., poiché tale disposizione presuppone una precedente pronuncia di condanna sulle statuizioni civili validamente emessa e gli effetti della sentenza d’appello che riformi quella di primo grado devono essere riportati al momento in cui é stata adottata la prima decisione. Negli stessi termini si sono successivamente espresse anche Sez. 5, n. 17370 del 14/03/2003, Ministeri, Rv. 224195 e Sez. 4, n. 27393 del 22/03/2018, Fasolino, Rv. 273726.
Altre decisioni della Corte di legittimità, sebbene riferite a questioni in parte diverse, forniscono indicazioni per molti versi affini a quelle espresse dall’indirizzo in esame.
Sez. 1, n. 6881 del 02/05/1995, Ferrigno, Rv. 201903 esclude che possano essere confermate le statuizioni civili della sentenza di condanna appellata, a fronte dell’estinzione del reato deliberata in appello in seguito all’esclusione di un’aggravante che ostava alla declaratoria di amnistia, poiché «gli effetti della sentenza di appello vanno riportati al momento di quella di primo grado».
Sez. 4, n. 3844 del 28/01/1994, Mangini, Rv. 197962 ha disposto l’annullamento senza rinvio, limitatamente agli effetti civili, della sentenza d’appello che, a seguito dell’esclusione di un’aggravante, aveva dichiarato estinto per amnistia già nel corso del giudizio di primo grado il reato che aveva formato oggetto di condanna, senza però trarne le dovute conseguenze in tema di statuizioni civili, che la Corte di merito aveva confermato.
2.2. All’indirizzo fin qui illustrato se ne contrappone un altro secondo il quale il giudice d’appello che dichiari la prescrizione maturata in epoca antecedente la sentenza di condanna (non perché erroneamente non rilevata dal primo giudice, bensì) a seguito di un apprezzamento diverso riferito al regime circostanziale, ha il potere – dovere di decidere sull’impugnazione ai soli effetti delle statuizioni civili, in applicazione dell’art. 578 cod. proc. pen.
Occorre, al riguardo, premettere che la maggior parte delle sentenze ascrivibili a tale orientamento sono relative a reati per i quali si é ritenuto più favorevole, e quindi operativo, il regime sul calcolo della prescrizione derivante dall’applicazione della normativa antecedente alla riforma del 2005 che consentiva di ritenere rilevante, ai fini del computo del termine di prescrizione, il bilanciamento delle circostanze, evenienza oggi esclusa dal vigente art. 157, comma terzo, cod. pen.
La prima pronunzia espressiva dell’indirizzo in parola é Sez. 1, n. 12315 del 18/01/2005, Sgarbi, Rv. 231430, secondo la quale la riconosciuta operatività, da parte del giudice d’appello, di una causa di estinzione del reato preesistente alla pronuncia di condanna emessa dal giudice di primo grado e derivante non dall’accertamento di un errore nel quale quest’ultimo sia caduto, ma da una diversa valutazione discrezionale del giudice dell’impugnazione – nella specie costituita dalla ritenuta concedibilità di attenuanti generiche considerate equivalenti alle contestate aggravanti -, lascia integro il potere-dovere dello stesso giudice di decidere sull’impugnazione, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., ai soli effetti delle disposizioni e dei capi concernenti gli interessi civili.
In linea con la decisione testé richiamata si pongono Sez. 4, n. 21569 del 16/01/2007, Centanini, Rv. 236717 (fattispecie in cui la Corte di appello, dopo aver ritenuto, in riforma della sentenza di primo grado, le circostanze attenuanti prevalenti sulle aggravanti contestate così da determinare la prescrizione del reato in epoca antecedente alla sentenza di primo grado, aveva comunque provveduto ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen.), Sez. 5, n. 9092 del 19/11/2008, dep. 2009, Gallo, Rv. 243323, Sez. 3, n. 10229 del 24/01/2013, G.E., non mass. e Sez. 5, n. 39446 del 08/05/2018, Cerone, non mass. (relativa ad un caso in cui la Corte d’appello aveva rilevato che l’estinzione del reato per prescrizione, maturata in primo grado, era conseguita all’esclusione della recidiva qualificata).
- Così chiariti i termini del contrasto giurisprudenziale, per fornire risposta al quesito occorre muovere dal principio generale dell’accessorietà delle statuizioni civili alla condanna penale, stabilito dall’art. 538 cod. proc. pen., in base al quale il giudice decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, avanzata dalla parte civile nel processo penale, allorché pronuncia sentenza di condanna.
In forza di tale principio, la sentenza di condanna é, in via ordinaria, la pre-condizione perché il giudice penale di primo grado decida sulla domanda risarcitoria o restitutoria della parte civile; con la conseguenza che, in base all’art. 538 cod. proc. pen., accertamento della responsabilità penale e accertamento della responsabilità civile sono, di regola, inscindibili.
In estrema sintesi, a differenza di quanto accade nell’ipotesi di proposizione dell’azione civile nella sua sede propria in pendenza di un giudizio penale per lo stesso fatto (ipotesi in cui l’attuale sistema processuale – a differenza di quello previgente – é informato ai principi dell’autonomia e della separazione tra processo civile e processo penale), qualora l’azione civile venga promossa all’interno del giudizio penale vale, come detto, la regola che subordina il potere del giudice di decidere sulle restituzioni e sul risarcimento alla sentenza di condanna (artt. 538 e 74 cod. proc. pen., 185 cod. pen.).
Il principio posto dall’art. 538 cod. proc. pen. trova applicazione anche nel giudizio d’appello in virtù di quanto stabilito dall’art. 598 cod. proc. pen. che pone un principio generale di estensione delle regole del grado precedente.
Nel caso in cui, invece, l’imputato venga assolto, é prevista dall’art. 576 cod. proc. pen. l’impugnazione della sentenza di assoluzione ai soli fini civili, nata dalla necessità, per la parte civile, di vincere il giudicato assolutorio che altrimenti si formerebbe in sede penale e le sarebbe opposto in sede civile.
In questo caso, però, si pone una prospettiva del tutto diversa da quella dell’art. 578 cod. proc. pen., nato per disciplinare l’ipotesi in cui a una condanna pronunciata in primo grado segua la declaratoria di prescrizione in appello.
L’art. 578 cod. proc. pen. deroga al principio fissato dall’art. 538 cod. proc. pen., nel senso che, a fronte della condanna dell’imputato, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento del danno cagionato in favore della parte civile, le statuizioni civili non vengono caducate qualora, all’esito del giudizio di appello (o di quello di cassazione), si constati l’intervenuta estinzione del reato “per amnistia o per prescrizione”.
In un passo della sentenza n. 12 del 12 gennaio 2016, la Corte costituzionale, richiamato il principio di accessorietà di cui all’art. 538, comma 1, (che «continua a collegare in via esclusiva la decisione sulla domanda della parte civile alla condanna dell’imputato»), chiarisce che, rispetto ad esso, «[I]’unica eccezione – fortemente circoscritta – é quella stabilita dall’art. 578 del medesimo codice e riguarda il giudizio di impugnazione. Riproponendo e ampliando la disposizione introdotta dall’art. 12, primo comma, della legge 3 agosto 1978, n. 405 (Delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia e di indulto e disposizioni sull’azione civile in seguito ad amnistia) e in puntuale attuazione del criterio direttivo di cui all’art. 2, n. 28), della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale), si prevede, infatti, che quando é stata pronunciata condanna, anche generica, dell’imputato alle restituzioni o al risarcimento dei danni a favore della parte civile, il giudice di appello o la Corte di cassazione, nel dichiarare estinto il reato per amnistia o per prescrizione, decidono comunque sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.».
La stessa Corte costituzionale ha successivamente ribadito che il principio di accessorietà «talora deflette a tutela del diritto di azione della parte civile (art. 24, secondo comma, Cost.). La disciplina delle impugnazioni conosce, infatti, norme particolari che attribuiscono al giudice del gravame o al giudice del rinvio in seguito ad annullamento il potere-dovere di provvedere sulla domanda civile, pur in presenza di una pronuncia di proscioglimento e quindi in assenza dell’accertamento della responsabilità penale» (Corte cost., sentenza n. 182 del 2021, § 6).
Tra le “norme particolari” cui fa riferimento la Corte costituzionale nella pronunzia appena citata viene, per l’appunto, menzionato l’art. 578 cod. proc. pen. (§ 6.2).
La portata derogatoria di tale disposizione rispetto al principio di accessorietà é stata a più riprese affermata anche dalla giurisprudenza di legittimità. Ad esempio, é stato chiarito che l’art. 578 cod. proc. pen «costituisce (…) una deroga al principio della devoluzione, stabilendo che la pronunzia di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione, intervenuta dopo una prima condanna, non comporta effetti automatici sui capi civili della decisione impugnata (salvo stabilire se questi effetti debbano poi essere di caducazione o di conferma). Simile pronunzia di estinzione non esenta invece il giudice dell’impugnazione dal prendere in considerazione a questi fini il gravame» (Sez. U, n. 25083 del 11/07/2006, Negri).
Analoghe notazioni in ordine alla natura “derogatoria” dell’art. 578 cod. proc. pen. Si rinvengono nella già richiamata Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016, Schirru (in specie vds. §§ 7 e 8): quest’ultima pronunzia richiama il principio generale di cui all’art. 538 cod. proc. pen., norma che pone, in via generale, «la regola della subordinazione del potere del giudice penale di decidere sulle restituzioni e il risarcimento alla pronuncia di sentenza di condanna», enunciando un principio che «ha trovato plastica esemplificazione nelle sentenze di questa Corte che hanno posto in evidenza il dovere del giudice dell’appello, laddove, nel pronunciare declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, accerti che la causa estintiva é maturata prima della sentenza di primo grado, di revocare contestualmente le statuizioni civili in essa contenute (Sez. 3, n. 15245 del 10/03/2015, C., Rv. 263018; conformi, Sez. 6, n. 33398 del 19/09/2002, Rusciano, Rv. 222426; Sez. 2, n. 5705 del 29/01/2009, Somma, Rv. 243290; Sez. 6, n. 9081 del 21/02/2013, Colucci, Rv. 255054; Sez. 5, n. 44826 del 28/05/2014, Regoli, Rv. 261815).»
Sempre secondo Sez. U, Schirru «si é assistito alla creazione di una eccezione al sistema con la formulazione dell’art. 578 cod. proc. pen. riguardante il giudizio di impugnazione: norma che (…) prevede in capo al giudice dell’impugnazione il potere di pronunciarsi, a margine della declaratoria della causa di estinzione del reato per amnistia e per prescrizione, anche agli effetti civili».
- La portata derogatoria dell’art. 578 cod. proc. pen., sottolineata dalle pronunce appena richiamate, comporta come conseguenza che l’applicazione della disposizione in esame é limitata alle cause estintive cui essa fa espresso riferimento.
Il fattore di “specificità” dell’art. 578 cod. proc. pen. (che costituisce, secondo un indirizzo consolidato, norma di stretta interpretazione: v. Corte cost., sent. n. 12 del 2016; Sez. U, n. 25083 del 11/07/2006, Negri, § 4; Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016, Schirru, §§ 8.1 e 9.2) é costituito dal fatto che la possibilità di deliberare in punto di pretesa civilistica é limitata ai casi di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione.
Detta possibilità é invece esclusa in caso di estinzione del reato per oblazione o per morte dell’imputato (Sez. 4, n. 25532 del 16/01/2019, Abbona, Rv. 276339; Sez. 4, n. 31314 del 23/06/2005, Zelli, Rv. 231745), o rispetto ad altre cause estintive come la remissione della querela (da ultimo v. Sez. 4, n. 45594 del 11/11/2021, Vitucci, Rv. 282301), o la sanatoria del reato urbanistico (cfr. Sez. 3, n. 3593 del 25/11/2008, dep. 2009, Orrù, Rv. 242739). Del pari é da escludere la possibilità di applicare analogicamente l’art. 578 cod. proc. pen. ai casi in cui il reato venga successivamente abrogato e qualificato come illecito civile.
Secondo Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016, Schirru, cit., § 8.1, «[i]l carattere del precetto, che “fa eccezione a regole generali o ad altra legge”, rende evidente, nel rispetto dell’articolo 14 delle preleggi, che non si applica oltre i casi e i tempi in esso considerati. Senza considerare che, comunque, la norma dell’art. 578 cod. proc. pen. abilita il giudice a tanto, sul presupposto non di una pronuncia di assoluzione dal reato (come nel caso della abrogazione) ma di riconoscimento di causa di estinzione di un fatto reato dopo condanna.».
- Con riferimento all’ambito applicativo dell’art. 578 cod. proc. pen., il Collegio osserva che un primo presupposto é costituito dal fatto che vi sia stata una sentenza di condanna (anche generica) agli effetti civili (ossia alle restituzioni o al risarcimento del danno). Deve, quindi, escludersi dall’ambito di applicazione dell’art. 578 cod. proc. pen. l’ipotesi in cui vi sia stato, in primo grado, il proscioglimento dell’imputato non solo in base al tenore letterale della disposizione richiamata, ma anche perché l’azione civile risarcitoria promossa dal soggetto danneggiato può essere accolta solo in presenza della condanna dell’imputato, che ne abbia affermato la responsabilità anche a fini civili.
La già citata sentenza Sez. U. Negri del 2006 ha chiarito come, nel caso di impugnazione della parte civile avverso la sentenza di proscioglimento emessa in primo grado, trova applicazione l’art. 576 cod. proc. pen. e non l’art. 578 cod. proc. pen.
- Un secondo presupposto imprescindibile perché, nonostante la declaratoria di estinzione del reato, vi sia una pronuncia agli effetti civili ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen. é l’esistenza di un’impugnazione della sentenza di condanna che, nel precedente grado di giudizio, abbia affermato la responsabilità dell’imputato e lo abbia condannato alla restituzione o al risarcimento del danno in favore della parte civile (Sez. U, n. 6141 del 25/10/2018, dep. 2019, Milanesi, Rv. 274627).
E’ pacifico in giurisprudenza che l’impugnazione debba essere proposta dall’imputato (e si estenda ope legis alla pronuncia di condanna relativa ai capi civili) o, nei casi previsti, dal pubblico ministero; non così, invece, quando ad impugnare sia (anche, o in via esclusiva) la parte civile.
Infatti, come si afferma anche in dottrina, va tenuta distinta la disciplina dell’art. 578 cod. proc. pen. da quella dell’art. 576 cod. proc. pen., che regola in modo specifico le impugnazioni della parte civile e costituisce un’altra eccezione alla regola di cui all’art. 538 cod. proc. pen., in quanto legittima la parte civile a impugnare la sentenza di proscioglimento e devolve al giudice dell’impugnazione i poteri del giudice di primo grado in ordine alla domanda risarcitoria o restitutoria.
La già citata Sez. U, n. 25083 del 11/07/2006, Negri, al § 6, chiarisce che «l’art. 576 e l’art. 578 disciplinano situazioni processuali diversificate, mirando l’art. 578, nonostante la declaratoria della prescrizione, a mantenere, in assenza di un’impugnazione della parte civile, la cognizione del giudice dell’impugnazione sulle disposizioni e sul capo della sentenza del precedente grado che concernono gli interessi civili, mentre l’art. 576 conferisce al giudice dell’ impugnazione il potere di decidere sulla domanda al risarcimento ed alle restituzioni, pur in mancanza di una precedente statuizione sul punto.».
- L’operatività dell’art. 578 cod. proc. pen. é poi subordinata alla condizione che la precedente condanna sulle statuizioni civili alla quale sia sopravvenuta la prescrizione (o l’amnistia) sia stata validamente pronunciata nel grado di giudizio immediatamente precedente (Sez. 5, n. 17370 del 14/03/2003, Ministeri, Rv. 224195-01; Sez. 1, n. 242 del 06/12/2007, dep. 2008, Grassano, Rv. 238812).
Da qui il corollario che, ove la sentenza sia erroneamente emessa — e sia quindi “ingiusta” (arg. Sez. 5, n. 17370 del 14/03/2003, Ministeri, cit.) o sottoposta a “censure, sicché da riformare” (Sez. 4, n. 3844 del 28/01/1994, R.C. in proc. Mangini, Rv. 197962-01) — per avere il giudice omesso di rilevare il già maturato decorso dei termini di prescrizione, tale pronuncia non può valere ai fini e per gli effetti dell’art. 578 cod. proc. pen. (cfr., ex plurimis, Sez. 4, n. 27393 del 22/03/2018, Fasolino, Rv. 273726-01; Sez. 3, n. 15245 del 10/03/2015, C., Rv. 263018-01; Sez. 4, n. 42488 del 31/01/2013, Coatti, Rv. 258285-01; Sez. 5, n. 9092 del 19/11/2008, dep. 2009, Gallo, Rv. 243323-01).
La Corte costituzionale, con la già citata sentenza n. 182 del 2021, ha, a sua volta, osservato che «[i]mprescindibile condizione perché il giudice dell’impugnazione possa decidere, non ostante il proscioglimento dell’imputato, sugli interessi civili é dunque, anzitutto, l’emissione di una valida condanna nel grado di giudizio immediatamente precedente, impugnata dall’imputato o dal pubblico ministero, alla quale sia sopravvenuta una causa estintiva del reato».
Di conseguenza, affinché possa ritenersi “valida” la sentenza di condanna sulle statuizioni civili la causa estintiva deve essere sopravvenuta rispetto alla condanna di primo grado. Invero, l’art. 578 cod. proc. pen. fa riferimento, ai fini della pronuncia sugli effetti civili, al solo giudice d’appello o alla Corte di cassazione che dichiarino estinto il reato per prescrizione (o amnistia), senza menzionare anche la pronuncia del giudice di primo grado e, quindi, correla logicamente tale principio al sopravvenire della prescrizione dopo la decisione di primo grado (Sez. 2, n. 5705 del 29/01/2009, Somma, Rv. 243290).
In tale prospettiva ermeneutica la sopravvenienza della causa estintiva é inscindibilmente connessa alla validità della condanna alle statuizioni civili nel grado immediatamente precedente. Una conferma a tale affermazione proviene dalla decisione delle Sezioni Unite Citaristi (Sez. U, n. 10086 del 13/07/1998, Citaristi, n. 221191-01) che hanno ritenuto illegittima la sentenza d’appello che, accertata la maturazione della prescrizione del reato in epoca antecedente alla pronuncia di primo grado a seguito di sua derubricazione, confermi le statuizioni civili contenute in detta sentenza.
- E’ pacifico che l’applicazione dell’art. 578 cod. proc. pen. resta preclusa allorquando il giudice dell’impugnazione accerti che la causa estintiva non é sopravvenuta alla condanna di primo grado, ma si era già verificata a tale data e non era stata rilevata nel grado precedente a causa di un errore dell’organo giudicante.
Il quesito sottoposto al Collegio delle Sezioni Unite riguarda, invece, il caso in cui l’estinzione del reato per prescrizione rilevata in sede di impugnazione, e maturata prima della precedente sentenza di condanna, sia il frutto di un diverso apprezzamento del regime circostanziale e del giudizio di bilanciamento tra attenuanti e aggravanti.
L’ordinanza di remissione osserva che occorre distinguere due diverse situazioni: a) l’omessa erronea declaratoria di estinzione del reato per prescrizione da parte del giudice che ha pronunziato la sentenza di condanna, ipotesi, questa, in cui pacificamente il giudice dell’impugnazione deve revocare le statuizioni civili precedentemente adottate, dovendosi riportare al momento in cui la prescrizione era maturata, con conseguenze ostative alla condanna relativa ai capi civili; b) la dichiarazione di estinzione del reato conseguente ad un diverso giudizio del giudice dell’impugnazione in ordine alla sussistenza di una o più aggravanti e al bilanciamento tra attenuanti e aggravanti idoneo ad incidere in mitius sul tempo necessario a prescrivere. In quest’ultimo caso, il giudice della condanna non commette un errore nel calcolo del termine di prescrizione, ma semplicemente opera un diverso giudizio sul regime circostanziale o sul bilanciamento tra circostanze, che si riflette sulla maturazione dei termini di prescrizione del reato, destinata a retroagire ad epoca antecedente alla sentenza di primo grado.
- Il Collegio ritiene senz’altro meritevole di adesione il primo indirizzo interpretativo (illustrato supra, § 2.1), condividendo i principi espressi dalle Sezioni Unite Citaristi (Sez. U, n. 10086 del 13/07/1998, cit.) che per prime hanno messo in luce lo stretto e inscindibile legame esistente tra “sopravvenienza” della causa estintiva del reato e “validità” della condanna alle statuizioni civili nel grado immediatamente precedente.
A tali principi si é conformata la prevalente giurisprudenza secondo cui, qualora il giudice d’appello, nel pronunciare declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, accerti che la prescrizione é maturata in epoca antecedente alla sentenza di primo grado, deve contestualmente revocare le statuizioni civili in essa contenute (Sez. 3, n. 41583 del 10/09/2021, non mass.; Sez. 4, n. 27393 del 22/03/2018, Fasolino, cit.), con la conseguenza che, in tal caso, é illegittima la condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili (Sez. 3, n. 15245 del 10/03/2015, C, cit.; Sez. 4, n. 44826 del 28/05/2014, Regoli, Rv. 261815-01; Sez. 3, n. 9081 del 21/02/2013, Colucci, Rv. 255054), così come al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile (Sez. 5, n. 32636 del 16/04/2018, Suraci, cit.; Sez. 6, n. 9081 del 21/02/2013, cit.; Sez. 2, n. 5705 del 29/01/2009, Somma, cit.).
Appaiono condivisibili sul punto le argomentazioni della sentenza Fasolino sopra citata secondo cui «quando la decisione di condanna di primo grado venga riformata per essere intervenuta una causa estintiva prima della sua pronuncia – prescrizione all’epoca già maturata – osta al mantenimento del potere di provvedere sui soli effetti civili, il disposto dell’art. 538, comma 1, cod. proc. pen., secondo il quale il giudice decide sulla domanda di restituzione o risarcimento solo quando pronuncia sentenza di condanna. Il giudice dell’impugnazione, infatti, non può esercitare poteri che il giudice di prima cura non può validamente esercitare».
La natura derogatoria ed eccezionale dell’art. 578 cod. proc. pen. trova una sua coerente collocazione, nell’ordinamento processuale, alla luce del già richiamato principio di accessorietà.
A ben vedere, infatti, laddove l’art. 578 cod. proc. pen. attribuisce al giudice dell’impugnazione che ha dichiarato estinto il reato la legittimazione a decidere in ordine alle statuizioni civili adottate con la condanna emessa in primo grado, il principio in esame non travolge le decisioni relative ai capi civili, perché esse sono accessorie rispetto a una condanna (penale) “validamente emessa”, avente ad oggetto un reato la cui estinzione é maturata solo successivamente.
Appare evidente che, su queste basi, la fattispecie cui ha inteso fare riferimento il legislatore é essenzialmente quella in cui il fatto estintivo non abbia alcuna interferenza temporale con la condanna dell’imputato, essendo intervenuto in un momento successivo e non pregiudicandone, quindi, la validità.
Nel caso in cui, viceversa, l’estinzione del reato sia bensì maturata prima della condanna in primo grado, ma venga constatata solo in sede d’appello, il principio in esame non può più operare, atteso che la condanna emessa per un reato che – sia pure in base a una decisione successiva – era in realtà già prescritto non può reputarsi “valida” nel senso appena detto; e ciò indipendentemente dal fatto che la declaratoria di estinzione del reato derivi dalla “correzione” di un errore del giudice di prima istanza nel computo del tempo necessario a prescrivere, ovvero da una diversa valutazione che determini un accorciamento del termine prescrizionale.
- Il difforme orientamento, in base al quale sarebbe preferibile affidare al giudice dell’impugnazione il compito di decidere sulle statuizioni civili anche nel caso in cui la prescrizione sia maturata prima della sentenza di condanna in dipendenza di una diversa valutazione del regime circostanziale, fa essenzialmente leva sulla ritenuta diversità di siffatta situazione rispetto al caso in cui il giudice che ha emesso la condanna non ha tenuto conto, per un errore, dell’avvenuto spirare della prescrizione.
Si é già osservato, tuttavia, che il diverso approccio valutativo del giudice dell’impugnazione costituisce un’espressione del principio di legalità, che giustifica la sostituzione della sentenza d’appello a quella di primo grado riformata.
La soluzione qui ritenuta preferibile appare maggiormente rispettosa del generale principio in base al quale la sentenza del giudice d’appello, nel deliberare entro i limiti del devolutum (art. 597 cod. proc. pen.), esplica – in base all’art. 605 cod. proc. pen. – un effetto sostitutivo rispetto alle argomentazioni e alle statuizioni della sentenza impugnata (cfr. Sez. 1, n. 5524 del 16/12/1993, dep. 1994, Costanza, Rv. 196538). Queste ultime recedono a fronte delle valutazioni e della decisione del giudice del gravame, con la conseguenza che, ove quest’ultima consista in una riforma del provvedimento appellato, essa sola spiegherà gli effetti che le sono propri, nel caso in cui si formi il giudicato.
Corollario di detto principio, per quanto d’interesse in questa sede, é che l’estinzione del reato dichiarata dal giudice dell’appello, ma maturata prima della condanna emessa in primo grado, non può dirsi “sopravvenuta” alla condanna medesima, di cui travolge funditus la “validità”, in quanto il fatto estintivo, quali che siano le ragioni della sua declaratoria postuma, impone di retrocedere nel giudizio al momento del suo verificarsi.
Vengono quindi meno, in siffatta ipotesi, due dei presupposti fondamentali di applicabilità dell’art. 578 cod. proc. pen. già passati in rassegna: ossia quello della “sopravvenienza” della causa estintiva del reato e quello della previa condanna “validamente emessa”.
- Se il giudice di primo grado, rispetto alla medesima regiudicanda, avesse operato una valutazione identica a quella del giudice dell’impugnazione (ad esempio escludendo una recidiva qualificata, o un’aggravante ad effetto speciale) che lo avesse condotto a rilevare l’estinzione del reato, la condanna non sarebbe stata emessa e, conseguentemente, non sarebbero state adottate le statuizioni sui capi civili.
Di contro, ove si volesse operare la distinzione prospettata dal secondo orientamento a seconda che il mancato rilevamento della prescrizione del reato dipenda da un errore del giudice di primo grado o da una valutazione difforme del giudice dell’impugnazione (Sez. 5, n. 39446 del 08/05/2018, Cerone, non mass.; Sez. 3, n. 10229 del 24/01/2013, G.E., non mass.; Sez. 5, n. 9092 del 19/11/2008, dep. 2009, Rv. 243323; Sez. 4, n. 21569 del 16/01/2007, Centanini, Rv. 236717; Sez. 1, n. 12315 del 18/01/2005, Sgarbi, Rv. 231430), si finirebbe per legittimare un diverso esito del giudizio, quanto meno con riferimento alle statuizioni civili, a seconda che la causa di estinzione del reato venga rilevata in primo grado oppure in appello.
Se, cioé, si riconoscesse la legittimazione “ora per allora” a decidere sulla domanda civile alla Corte di merito che, sulla base di una diversa valutazione, dichiari prescritto il reato, si attribuirebbe alla stessa un potere di decidere che sarebbe invece precluso, in applicazione della regola generale di cui all’art. 538 cod.proc.pen., al giudice di primo grado che dichiari estinto il reato in esito alla valutazione degli elementi incidenti sul corso del termine di prescrizione. Sembra evidente la dissimmetria di siffatta soluzione e degli effetti che ne scaturiscono.
- Non appare corretto pervenire a diverse conclusioni facendo riferimento all’ipotesi considerata dall’art. 448, comma 3, cod. proc. pen., in base al quale, quando la sentenza é pronunciata nel giudizio di impugnazione, il giudice decide sull’azione civile a norma dell’articolo 578 cod. proc. pen.
Trattasi di fattispecie di stretta interpretazione, in quanto non riconducibile all’ordinarietà del rito del patteggiamento (nel quale vale la regola in base alla quale il giudice che applica la pena non decide sulla domanda della parte civile), ma al caso – affatto particolare – in cui il giudice dell’impugnazione accolga la richiesta dell’imputato rigettata in primo grado, ritenendo ingiustificato il dissenso del pubblico ministero: in tale ipotesi, collegata alla previsione contenuta nel comma 1 dell’art. 448 cod. proc. pen., vi é stata, comunque, in primo grado una sentenza di condanna (estesa anche alle connesse statuizioni civili), a fronte della quale é del tutto coerente con la disciplina generale il richiamo all’art. 578 cod.proc.pen., non potendosi comunque porre nel nulla il capo riguardante la condanna al risarcimento del danno.
Anche nell’ipotesi considerata dal terzo comma dell’art. 448 cod. proc. pen., infatti, vi é stata già una decisione sull’azione civile, come nel caso di sopravvenuta amnistia o prescrizione.
- La distinzione, prospettata dall’indirizzo qui disatteso, tra omessa rilevazione, da parte del giudice della condanna, dell’avvenuto decorso del termine di prescrizione al momento della decisione e declaratoria di prescrizione maturata in epoca antecedente alla pronunzia di primo grado per effetto di un diverso apprezzamento, da parte del giudice d’appello, delle circostanze é priva di un riferimento normativo idoneo a giustificare una diversità di regime tra le due situazioni.
Come si é già avuto modo di sottolineare, l’art. 578 cod. proc. pen. é norma di stretta interpretazione, derogando al più volte richiamato principio di accessorietà delle statuizioni civili alla condanna penale, enunciato dall’art. 538 cod. proc. pen.
Non può esservi distinzione, quanto agli effetti, tra una prescrizione dichiarata dal giudice dell’appello che rilevi un errore di calcolo del primo giudice e una prescrizione che venga dichiarata “ora per allora” per effetto di una diversa valutazione degli elementi che valgono il termine prescrizionale.
Anche il diverso giudizio comparativo fra circostanze o l’esclusione di un’aggravante speciale, quando operati dal giudice dell’appello in riforma della sentenza di primo grado, sono rilevazione di errori di diritto sostanziale o processuale. Infatti il giudice applica la legge (principio di legalità) e, quando si discosta dal giudizio del grado precedente sui predetti elementi, lo fa rilevando una violazione di legge sostanziale o processuale, ossia un errore di diritto, ma pur sempre un errore. Esattamente come fa il giudice d’appello, quando rileva che il primo giudice ha errato nell’applicazione delle norme sul calcolo della prescrizione.
- Non sfugge al Collegio che l’ordinamento processuale penale conosce ipotesi nelle quali viene in rilievo una netta distinzione fra errore percettivo ed errore valutativo: é quanto accade in particolare, come noto, nella disciplina del ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, di cui all’art. 625-bis cod. proc. pen. (in proposito si veda Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280). Si potrebbe, quindi, obiettare che siffatta distinzione potrebbe trovare applicazione anche nella materia in esame, con conseguente possibilità di distinguere fra le ipotesi in cui il primo giudice sia incorso in un errore “percettivo” (non avendo cioé percepito l’intervenuta estinzione del reato) e quelle in cui si possa parlare di errore “valutativo”, al quale verrebbe a sovrapporsi il diverso apprezzamento del giudice dell’impugnazione.
L’obiezione non convince. La distinzione in commento non é conferente rispetto ai poli del contrasto segnalato. L’errore del giudice di primo grado nel computo della prescrizione difficilmente potrebbe ascriversi tra quelli percettivi, posto che anche il detto computo é regolato da un coacervo di norme soggette a interpretazione e non a mera “percezione” o “constatazione”.
- Per quanto finora detto, l’art. 578 cod. proc. pen. non é applicabile in tutti i casi in cui la pronuncia del giudice dell’impugnazione comporti il decorso dei termini di prescrizione del reato in epoca antecedente la sentenza di condanna pronunciata nel precedente grado di giudizio, sentenza non “validamente” emessa per effetto della successiva riforma ad opera del giudice del gravame.
La già citata sentenza n. 182 del 30 luglio 2021 della Corte costituzionale sembra ulteriormente accreditare questa conclusione laddove osserva che «[i]mprescindibile condizione perché il giudice dell’impugnazione possa decidere, non ostante il proscioglimento dell’imputato, sugli interessi civili é dunque, anzitutto, l’emissione di una valida condanna nel grado di giudizio immediatamente precedente, impugnata dall’imputato o dal pubblico ministero, alla quale sia sopravvenuta una causa estintiva del reato. Pertanto, fuori dall’ambito applicativo della norma é sia l’ipotesi in cui il giudice di appello, su impugnazione del pubblico ministero, dichiari la prescrizione del reato in riforma della sentenza di assoluzione di primo grado, sia quella in cui il medesimo giudice accerti che la prescrizione del reato é maturata prima della pronuncia di primo grado.».
- L’inapplicabilità dell’art. 578 cod. proc. pen. a tutte le ipotesi in cui l’estinzione del reato si collochi “a monte” della sentenza di condanna in primo grado comporta che, nel caso di specie, dev’essere disposta la revoca delle statuizioni civili precedentemente adottate, con conseguente esclusione di ogni valutazione del giudice (penale) dell’impugnazione in ordine alla responsabilità dell’imputato.
La parte civile viene, in tal modo, onerata di promuovere l’azione civile nella sede naturale: una condizione che, in tal senso, potrebbe astrattamente apparire deteriore rispetto a quella che deriverebbe dalla scelta dell’opposta soluzione. Tuttavia, a ben vedere, la soluzione qui prescelta non comporta, di per sé, un concreto pregiudizio per le ragioni della parte civile, avuto riguardo in particolare alle connotazioni di accessorietà e di separatezza dell’azione civile rispetto a quella penale e alle connesse facoltà di scelta consapevole del danneggiato tra il promovimento dell’azione civile e la costituzione di parte civile nel giudizio penale.
Va infatti ricordato che, come ben evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale, nel processo penale odierno non vi é più il rapporto di pregiudizialità dell’azione penale rispetto a quella civile (recepito nel sistema tracciato dal vecchio codice di rito penale e che trovava riscontro nel principio affermato dall’art. 295 cod. proc. civ.), di tal che oggi la parte civile, sulla base dei principi affermati dall’art. 75 cod. proc. pen., «assume carattere accessorio e subordinato rispetto all’azione penale, sicché é destinata a subire tutte le conseguenze e gli adattamenti derivanti dalla funzione e dalla struttura del processo penale, cioé dalle esigenze, di interesse pubblico, connesse all’accertamento dei reati e alla rapida definizione dei processi».
Al tempo stesso, superando decisamente il previgente principio della pregiudizialità dell’azione penale rispetto a quella civile, «l’assetto generale del nuovo processo penale é ispirato all’idea della separazione dei giudizi, penale e civile, essendo prevalente, nel disegno del codice, l’esigenza di speditezza e di sollecita definizione del processo penale, rispetto all’interesse del soggetto danneggiato di esperire la propria azione nel processo medesimo».
Perciò «l’esercizio, nel giudizio penale, del diritto della parte civile alla restituzione o al risarcimento del danno, avendo carattere accessorio, ha un orizzonte più limitato, di cui quest’ultima non può non essere consapevole nel momento in cui opta per far valere le sue pretese civilistiche nella sede penale piuttosto che in quella civile. Nel fare questa opzione l’eventuale “impossibilità di ottenere una decisione sulla domanda risarcitoria laddove il processo penale si concluda con una sentenza di proscioglimento per qualunque causa (salvo che nei limitati casi previsti dall’art. 578 cod. proc. pen.) costituisce […] uno degli elementi dei quali il danneggiato deve tener conto nel quadro della valutazione comparativa dei vantaggi e degli svantaggi delle due alternative che gli sono offerte”.» (Corte cost., sent. n. 12 del 2016, richiamata da Corte cost., sent. n. 176 del 2019).
Tali principi non sono contraddetti dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 173 del 12/07/2022 che, a titolo di parziale eccezione, ha ritenuto costituzionalmente illegittima la mancata previsione che il giudice, quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, decida sulla domanda per la restituzione o il risarcimento de danno, proposta a norma degli artt. 74 e ss. cod. proc. pen. In tale ultima ipotesi, infatti, interviene l’accertamento di commissione del reato.
Richiamando la giurisprudenza della Corte costituzionale (ed in specie le sentenze nn. 168 del 2006, 433 del 1997 e 192 del 1991, e l’ordinanza n. 124 del 1999), la sentenza delle Sezioni Unite Cremonini rileva che in essa «é reiterato il rilievo che l’assetto generale del nuovo processo penale é ispirato all’idea di separazione dei giudizi, penale e civile, essendo prevalente, nel disegno del codice, l’esigenza di speditezza e di sollecita definizione del processo penale rispetto all’interesse del soggetto danneggiato di esperire la propria azione nel processo medesimo (…) La ragionevolezza di siffatta scelta legislativa si lega ad un sistema processuale, qual é quello vigente, che ha fatto cadere la regola – stabilita dal codice di procedura penale abrogato – della sospensione obbligatoria del processo civile in pendenza del processo penale sul medesimo fatto, sicché non vi sono ostacoli processuali o condizionamenti alla attivazione della pretesa risarcitoria nella sede propria. Si é aggiunto, da parte della Corte Costituzionale, che l’eventuale impossibilità, per il danneggiato, di partecipare al processo penale non incide in modo apprezzabile sul suo diritto di difesa e, prima ancora, sul suo diritto di agire in giudizio, perché resta intatta la possibilità di esercitare l’azione di risarcimento del danno nella sede civile: di modo che ogni separazione dell’azione civile dall’ambito del processo penale non può essere considerata una menomazione o una esclusione del diritto alla tutela giurisdizionale, giacché la configurazione di quest’ultima, in vista delle esigenze proprie del processo penale, é affidata al legislatore» (Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, Cremonini, § 9, pag. 24).
Proprio il fatto che il danneggiato dispone della facoltà di valutare e di scegliere tra le dette alternative, avendo gli strumenti per esercitare detta facoltà in modo consapevole e responsabile, esclude che possa parlarsi di un pregiudizio ai danni della parte civile anche al cospetto dei principi affermati dall’ordinamento sovranazionale. La Corte EDU, infatti, ritiene che le scelte operate al riguardo dal nostro ordinamento non siano in contrasto con le fonti sovranazionali (si veda, da ultimo, Corte EDU, Prima Sezione, Marinoni c. Italia, 18/11/2021, appl. 27801/12, § 34, in cui si dà atto che «nel sistema italiano, una persona che si ritiene lesa da un reato può scegliere, per ottenere una riparazione o una restituzione, tra l’azione di responsabilità civile davanti al giudice civile e l’azione civile nel processo penale. Il rapporto tra le due procedure é regolato dall’articolo 75 del CPC, in termini di autonomia, quando si sceglie la via civile, e in termini di carattere accessorio – accessorietà -, quando si sceglie la via della parte civile»).
- Occorre, infine, considerare che, anche nel caso di revoca delle statuizioni civili da parte del giudice dell’impugnazione che rilevi l’estinzione del reato maturata già prima della sentenza di condanna deliberata in primo grado, la parte civile (titolare di un interesse concreto e attuale in tal senso) può «pretendere che il giudizio penale non si arresti alla contestata prescrizione del reato, ma prosegua al fine di valutare se la stessa sia stata erroneamente o meno dichiarata e di ottenere così il risultato che, con la propria costituzione, la parte civile stessa si prefiggeva» (così, sia pure in relazione ad ipotesi diversa, Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, Massaria, cit., § 4.1., pag. 14).
- Per tutte le ragioni sin qui esposte, al quesito sottoposto al vaglio delle Sezioni Unite deve, dunque, darsi risposta affermando il seguente principio di diritto: “Il giudice di appello che, nel pronunciare declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, pervenga alla conclusione – sia sulla base della semplice ‘constatazione’ di un errore nel quale il giudice di primo grado sia incorso sia per effetto di ‘valutazioni’ difformi – che la causa estintiva é maturata prima della sentenza di primo grado, deve revocare le statuizioni civili in essa contenute”.
- Il Collegio osserva che, nel caso di specie, le parti civili avrebbero potuto confutare le valutazioni della Corte di merito relative al regime circostanziale e, in particolare, in ordine al riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 8, d.l. 152 del 1991 e al giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti. In tal caso, la Corte di legittimità sarebbe stata chiamata a valutare quest’ultimo aspetto, con conseguenze potenzialmente incidenti sulla pronunzia impugnata e anche sulle statuizioni civili con essa revocate.
Tuttavia, tale condizione non si é verificata. Ed invero, entrambi i ricorsi delle parti civili si dolgono esclusivamente del fatto che la Corte territoriale, revocando le statuizioni civili del Tribunale previa declaratoria di prescrizione intervenuta in epoca antecedente la condanna in primo grado, non avrebbe fatto buon governo dell’art. 578 cod. proc. pen. Le medesime parti civili non hanno devoluto, quindi, alla Corte di legittimità la questione riguardante il giudizio circa il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 8, d.l. 152/1991 e il bilanciamento delle circostanze.
- Ne consegue che, nel caso di specie, alla luce dei principi in precedenza illustrati, i ricorsi delle parti civili devono essere rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
- E’, infine, appena il caso di considerare che l’imputato Di Maria é deceduto successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione. La sua posizione deve pertanto essere definita con l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato a lui ascritto estinto per morte dell’imputato: resta, infatti, interdetta qualsiasi pronuncia sui motivi dell’impugnazione, presupponendo la relativa decisione l’esistenza in vita del soggetto che ha proposto il gravame ed essendo preclusa ogni eventuale pronuncia di proscioglimento nel merito ai sensi dell’art. 129, comma secondo, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 24507 del 09/06/2010, Lombardo, Rv. 247790; Sez. 3, n. 23906 del 12/05/2016, Patti, Rv. 267384).