Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 24 novembre 2021 n. 36374
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Fatta questa premessa, il Collegio ritiene di dover confermare la propria giurisprudenza secondo cui, in presenza di una clausola compromissoria di arbitrato estero, l’eccezione di compromesso, attesa la natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario da attribuirsi all’arbitrato rituale in conseguenza della disciplina complessivamente ricavabile dalla legge 5 gennaio 1994, n. 25, e dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, deve ricomprendersi, a pieno titolo, nel novero di quelle di rito, dando così luogo ad una questione di giurisdizione e rendendo ammissibile il regolamento preventivo di cui all’art. 41 cod. proc. civ.; precisandosi, peraltro, che il difetto di giurisdizione nascente dalla presenza di una clausola compromissoria siffatta può essere rilevato in qualsiasi stato e grado del processo a condizione che il convenuto non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana, e dunque solo qualora questi, nel suo primo atto difensivo, ne abbia eccepito la carenza (così l’ordinanza 25 ottobre 2013, n. 24153, innovando rispetto all’orientamento precedente, che vedeva in simile ipotesi la prospettazione non di una questione di giurisdizione, bensì di merito).
A tale pronuncia, che ha trovato successiva conferma (ordinanza 13 giugno 2017, n. 14649), va data oggi ulteriore continuità. Deve quindi affermarsi, contrariamente a quanto sostenuto nel controricorso, che il regolamento preventivo di giurisdizione è lo strumento correttamente utilizzato dalla società DBEM per contestare la giurisdizione del giudice italiano.
- Priva di fondamento è, poi, l’eccezione sollevata dalle società controricorrenti secondo cui la decisione del regolamento preventivo / sarebbe preclusa dal fatto che il Tribunale di Napoli ha stabilito di non sospendere il giudizio.
Il controricorso richiama, a sostegno della tesi, il principio enunciato dall’ordinanza 24 aprile 2002, n. 6042, secondo cui in seguito alla nuova formulazione dell’art. 367 del codice di rito, introdotta dalla legge 26 novembre 1990 n. 353, il disposto della prima parte dell’art. 41 cod. proc. civ. deve essere interpretato nel senso che qualsiasi decisione emanata dal giudice presso il quale il processo sia radicato ha efficacia preclusiva del regolamento preventivo di giurisdizione, con la conseguenza che il regolamento stesso non è proponibile dopo che il giudice del merito abbia emesso una sentenza anche soltanto limitata alla giurisdizione o ad altra questione processuale, atteso che la risoluzione della questione di giurisdizione può essere rimessa, in tal caso, al giudice processualmente sovraordinato, secondo l’ordinario svolgimento del processo.
Questo principio, che ha trovato costante conferma nella giurisprudenza successiva (v., da ultimo, la sentenza 19 aprile 2021, n. 10243), non si adatta al caso di specie. Aver disposto che il processo prosegua, senza sospensione, invitando le parti al deposito del contratto in originale non equivale ad aver assunto una decisione che in qualche modo affermi o neghi, anche per implicito, la giurisdizione; per cui nessun effetto preclusivo può ricondursi alla scelta compiuta dal Tribunale di Napoli.
- Può a questo punto procedersi all’esame della questione centrale oggetto del presente regolamento, consistente nell’interpretazione della clausola contrattuale dalla quale deriva, secondo la parte ricorrente, il difetto di giurisdizione del giudice italiano.
7.1. È necessario premettere, innanzitutto, che dalla lettura del «Contratto di distribuzione esclusiva per prodotti Bobcat» prodotto dalla società ceca in questa sede emerge senza possibilità di dubbio che si è in presenza di un contratto le cui condizioni generali sono state proposte da uno solo dei contraenti (la società DBEM, appunto). Anche volendo trascurare il tono generale del testo – che dimostra in modo evidente la sua destinazione verso un numero non precisato di controparti della medesima società – resta il fatto che nell’intestazione dell’accordo si dice che esso è stipulato tra la società Doosan Bobcat Emea e «il distributore menzionato nell’Allegato “A” (il “Distributore”)»; che, nella specie, è la società D’Avino.
Risulta in modo evidente, pertanto, che si è nell’ambito di quei contratti regolati dall’art. 1341 cod. civ. (c.d. contratti per adesione). La società D’Avino ha sostenuto nel controricorso che la clausola derogatoria della giurisdizione, contenuta nell’art. 22 del contratto ora citato, sarebbe nulla per mancanza della doppia sottoscrizione; e ha richiamato, a sostegno della tesi, l’art. II della Convenzione di New York del 10 giugno 1958, recepita in Italia con la legge 19 gennaio 1968, n. 62, secondo cui il giudice è tenuto a devolvere la lite agli arbitri a meno che la clausola derogatoria sia nulla, inefficace o insuscettibile di applicazione.
Detta società ha poi aggiunto due ulteriori considerazioni: da un lato, che la clausola derogatoria dovrebbe essere valutata facendo applicazione della legge italiana (cioè, nella specie, del citato art. 1341); dall’altro, che l’art. 28 del d.lgs. n. 40 del 2006 ha abrogato l’art. 833 cod. proc. civ. (che era stato introdotto con la legge n. 25 del 1994), a norma del quale la clausola compromissoria «contenuta in condizioni generali di contratto oppure in moduli o formulari non è soggetta all’approvazione specifica prevista dagli artt. 1341 e 1342 del codice civile». Il venir meno della norma che espressamente escludeva la necessità dell’approvazione specifica determinerebbe, secondo la società D’Avino, la necessità di dichiarare la nullità della clausola in questione. 7.2.
Osservano le Sezioni Unite che il problema dell’assoggettabilità al regime della doppia firma delle clausole derogatorie della giurisdizione in favore di un arbitrato internazionale è stato oggetto di varie pronunce di questa Corte.
Richiamando la formula contenuta nell’art. Il, comma 1, della citata Convenzione di New York – secondo cui ciascuno Stato contraente «riconosce la convenzione scritta in base alla quale le parti si obbligano a sottomettere ad un arbitrato» le controversie tra loro insorte – le Sezioni Unite hanno più volte affermato che il requisito della forma scritta è soddisfatto dall’inserimento della clausola medesima in un accordo sottoscritto dalle parti, senza che sia necessaria la specifica approvazione prevista dall’art. 1341, secondo comma, cod. civ. (così le sentenze 11 settembre 1979, n. 4746, 19 novembre 1987, n. 8499, 16 novembre 1992, n. 12268, e 22 maggio 1995, n. 5601).
Più di recente, tuttavia, l’ordinanza 18 settembre 2017, n. 21550, correttamente richiamata nella memoria della società D’Avino, ha dimostrato un’apertura in senso opposto, peraltro senza prendere posizione nel caso specifico, perché il contratto fatto valere in quel giudizio non è stato ritenuto un contratto per adesione. Ritiene il Collegio, tuttavia, che sulla complessa questione ora indicata non sia necessario pronunciarsi, per un’altra decisiva ragione.
Nella già citata ordinanza n. 24153 del 2013, infatti (punti 8.1., 8.2., 8.3. e 8.4.), queste Sezioni Unite hanno osservato che «ai fini dell’accertamento della validità ed efficacia della clausola compromissoria che deroga la giurisdizione in favore di arbitri stranieri, occorre anzitutto stabilire quali siano le norme che il giudice debba applicare per tale esame»; occorre cioè stabilire se la validità vada scrutinata secondo la legge italiana ovvero secondo la legge di un altro Stato.
Ciò in quanto l’art. 57 della legge 31 maggio 1995, n. 218, stabilisce che le obbligazioni contrattuali «sono in ogni caso regolate dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980», ratificata in Italia con la legge 18 dicembre 1984, n. 975. L’art. 3, comma 1, di quella Convenzione stabilisce che il contratto «è regolato dalla legge scelta dalle parti», le quali «possono designare la legge applicabile a tutto il contratto, ovvero a una parte soltanto di esso». Nel caso oggi in esame – analogamente a quanto si verificò in quello deciso dall’ordinanza ora richiamata – l’art. 22 del contratto dispone al comma 1 che lo stesso «è regolato dalle leggi della Repubblica Ceca».
Il che viene a significare che la validità della clausola compromissoria di cui al comma 3 del medesimo art. 22 non può essere scrutinata alla luce della legge italiana, perché le parti hanno concordemente deciso di sottoporre il contratto alle leggi della Repubblica Ceca. Ne consegue che non sussiste la presunta nullità della clausola compromissoria seguendo i criteri di cui all’art. 1341 del codice civile.
Nel controricorso, infine, la società D’Avino ha sostenuto che la clausola in questione sarebbe nulla anche secondo il diritto ceco, assumendo che quest’ultimo dispone che «se il contratto è concluso a distanza, vige la legge della sede o della residenza del beneficiario del contratto proposto, alias l’Italia nel caso de quo». Rilevano le Sezioni Unite, sul punto, che, anche volendo prescindere dalla totale genericità del richiamo al diritto straniero, il criterio invocato non sarebbe univoco, poiché non è dato sapere quale sarebbe, nello specifico, il «beneficiario» del contratto stesso.
Consegue dal complesso di tutte queste considerazioni che la clausola compromissoria invocata dalla società DBEM, non potendo essere considerata nulla, è valida ed applicabile, per cui si impone la declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice italiano, in favore dell’arbitrato estero, in relazione alla causa pendente tra la società DBEM e la società D’Avino.
- Inconclusione, deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano in relazione alla sola causa pendente tra la società DBEM e la società D’Avino. La delicatezza, complessità e parziale novità delle questioni affrontate impongono l’integrale compensazione delle spese del presente regolamento.