<p style="text-align: justify;"><strong>Corte di Cassazione, SSUU civili, ordinanza 18 marzo 2019 n. 7621</strong></p> <p style="text-align: justify;">L’istanza di regolamento di giurisdizione, non essendo un mezzo di impugnazione, ma soltanto uno strumento per risolvere in via preventiva ogni contrasto, reale o potenziale, sulla potestas iudicandi del giudice adito, può anche non contenere specifici motivi di ricorso e cioè l’indicazione del giudice avente giurisdizione o delle norme e delle ragioni su cui si fonda, solo dovendo recare, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, in modo da consentire alla Corte di cassazione di conoscere dall’atto, senza attingerli aliunde, gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, sia pur in funzione della sola questione di giurisdizione da decidere (tra molte: Cass. Sez. U. ord. 16/05/2013, n. 11826, ovvero Cass. Sez. U. 20/10/2000, n. 1129; ancor più di recente - Cass. Sez. U. 18/05/2015, n. 10092 - ribadendosi l’inammissibilità del regolamento di giurisdizione solo in caso di violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, per il caso di omessa esposizione degli estremi della controversia necessari alla definizione della questione di giurisdizione ed alla verifica di proponibilità del mezzo, cioè le parti, l’oggetto e il titolo della domanda, il procedimento cui si riferisce l’istanza e la fase in cui esso si trova).</p> <p style="text-align: justify;">Se, da un lato, non è certamente consentito alla Corte di cassazione italiana statuire su quale sia il giudice straniero munito di giurisdizione (tanto non potendo effettivamente rientrare nelle sue istituzionali attribuzioni, cui l’ordinamento dei giudici stranieri resta ovviamente del tutto estraneo), ma solo se quello italiano ne sia provvisto oppur no, dall’altro lato la domanda della trustee nel caso di specie può intendersi quanto meno intesa alla verifica dell’insussistenza della giurisdizione del giudice italiano, in dipendenza della sussistenza di quella dei giudici stranieri, quest’ultima assurgendo allora non già ad (inammissibile) oggetto principale, ma a presupposto della declaratoria richiesta, che può ritenersi limitata, come il più contiene il meno ed in ogni caso per il generalissimo principio della conservazione degli atti giuridici (nel senso tradizionale dell’obbligo di interpretarli, ove consentito dalla lettera delle espressioni usate, in modo che possano avere un senso, piuttosto che in modo tale che non possano condurre ad alcun utile risultato per chi li ha posti in essere), alla negazione della giurisdizione del giudice invocata dalla controparte, odierna ricorrente principale. Del resto, le contestazioni attinenti alla giurisdizione, che le controparti del ricorrente intendessero dispiegare, dovrebbero necessariamente essere veicolate con ricorso incidentale, benché il regolamento di giurisdizione per definizione non assuma la struttura e la funzione di un’impugnazione (per l’obbligo di rispettare l’art. 371 c.p.c., siccome richiamato dall’art. 41 dello stesso codice: Cass. Sez. U. ord. 22/12/2003, n. 19667; in senso analogo, già Cass. Sez. U. 12/05/1976, n. 1657), per la necessità di concentrare in un unico giudizio tutte le questioni attinenti alla giurisdizione (tra molte: Cass. Sez. U. 17/10/1992, n. 11436). Anzi, il controricorso del resistente sarebbe comunque idoneo ad introdurre utilmente quale autonoma questione la propria tesi sulla sussistenza o meno della giurisdizione ove - come con ogni evidenza accade nella specie, sussistendone tutti i presupposti formali con indicazione della vicenda processuale e delle tesi in diritto in base alle quali è negata la giurisdizione del giudice italiano - possa convertirsi in ricorso autonomo di regolamento di giurisdizione (Cass. Sez. U. ord. 24/07/2013, n. 17935; Cass. Sez. U. 17/10/2002, n. 14767)</p> <p style="text-align: justify;">Ai fini della risoluzione della questione di giurisdizione occorre una, sia pur del tutto sommaria, puntualizzazione degli elementi costitutivi del trust: il quale (tra le ultime, in tali espressi termini, Cass. 29/05/2018, n. 13388, ove più ampi riferimenti), istituto di diritto straniero che può dirsi recepito nell’ordinamento italiano in forza e nei limiti della L. 16 ottobre 1989, n. 364 ("Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, adottata a L’Aja il 10 luglio 1985"), resta regolato dalla legge scelta dal costituente (art. 6, o da quella che con esso ha più stretti legami - art. 7), secondo i requisiti contemplati dalla stessa legge di ratifica, imperniandosi sul rapporto costituito dal disponente (o settlor), in base al quale i beni vengono posti sotto il controllo - attraverso la formale titolarità dei medesimi - di un trustee nell’interesse del beneficiario o per un fine specifico; con la peculiarità che i beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee, pur essendo a lui intestati, mentre il trustee deve amministrarli e disporne secondo il programma del trust (art. 2).</p> <p style="text-align: justify;">Dal punto di vista processuale, il trust - di cui è costantemente esclusa qualsiasi entificazione (Cass. 27/01/2017, n. 2043), risolvendosi in un insieme di rapporti giuridici facenti capo al trustee (o, più compiutamente, un insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato e formalmente intestati al trustee, che è l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi non quale legale rappresentante, ma come colui che dispone del diritto: Cass. 09/05/2014, n. 10105) - è stato preso in considerazione - tra l’altro - ai fini dell’individuazione delle parti necessarie nelle azioni revocatorie che quello hanno ad oggetto. Al riguardo, da un lato la definizione recepita - e sopra sommariamente ricordata - dell’istituto ha consentito di escludere sempre e comunque il beneficiario dal novero dei litisconsorti necessari, identificando quale unico convenuto necessario il trustee (Cass. 03/08/2017, n. 19376, secondo la quale l’interesse alla corretta amministrazione del patrimonio in trust non integra una posizione di diritto soggettivo attuale in favore dei beneficiari ai quali siano attribuite dall’atto istitutivo soltanto facoltà, non connotate da realità, assoggettate a valutazioni discrezionali del trustee, restando quest’ultimo l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi); sall’altro lato, però, si è esteso il litisconsorzio al beneficiario, talvolta - sia pure con più sobria affermazione (Cass. 25/05/2017, n. 13175, che ha ritenuto sussistente un interesse giuridicamente rilevante, ai fini della relativa legittimazione processuale, dei beneficiari del trust in relazione all’impugnazione dell’atto istitutivo dello stesso, trattandosi propriamente del riconoscimento dell’interesse degli stessi a resistere all’aggressione del titolo negoziale costituente il fondamento di una propria posizione soggettiva di natura creditoria) - sic et simpliciter, talaltra, con più estesa analisi dei presupposti, almeno ove si tratti di trust a titolo oneroso o gratuito (distinzione tra i differenti titoli rilevante già a fini fiscali: per tutte, Cass. 25/05/2018, n. 13141) ed a seconda dell’interesse del beneficiario e del disponente, in base alla corretta premessa che l’estensione del litisconsorzio necessario è proiezione degli elementi costitutivi della fattispecie e con articolata disamina dell’istituto (Cass. n. 13388/18, cit., ove più ampi riferimenti).</p> <p style="text-align: justify;">Non risulta esaminata, almeno ex professo o con particolare approfondimento, la questione della legittimazione, oltretutto se necessaria o meno, del beneficiario nei casi di azione di nullità del trust: la quale va allora affrontata in questa sede, ma al limitato fine di valutare i presupposti per applicare alla fattispecie la deroga prevista dall’art. 6, n. 1, della Convenzione di Lugano del 2007 alla regola generale di devoluzione della giurisdizione al giudice del domicilio del convenuto, essendo pacifico che il trustee convenuto ha domicilio nella Confederazione elvetica; in particolare, a tal fine va premesso che, nell’interpretazione ed applicazione di tutte le disposizioni della Convenzione, i giudici dei Paesi aderenti (e quindi anche quelli italiani e la Corte) devono, ai sensi dell’art. 1 del Protocollo 2 allegato a detta Convenzione, tenere "debitamente conto dei principi definiti dalle pertinenti decisioni dei giudici degli Stati vincolati dalla Convenzione e della Corte di giustizia delle Comunità Europee in relazione a dette disposizioni o a disposizioni analoghe della convenzione di Lugano del 1988 o degli atti normativi di cui all’art. 64, paragrafo 1, della presente convenzione" (cioè il Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, e successive modifiche, la Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, firmata a Bruxelles il 27 settembre 1968, il Protocollo relativo all’interpretazione di detta Convenzione da parte della Corte di giustizia delle Comunità Europee, firmato a Lussemburgo il 3 giugno 1971, modificati dalle Convenzioni di adesione a detta Convenzione e a detto Protocollo da parte degli Stati aderenti alle Comunità Europee, nonché l’accordo tra la Comunità Europea e il Regno di Danimarca concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, firmato a Bruxelles il 19 ottobre 2005). Ne consegue che i principi di elaborazione Eurounitaria sulla corretta interpretazione ed applicazione dell’art. 6 della Convenzione di Lugano sono gli stessi elaborati quanto all’art. 6 del Regolamento 44/2001.</p> <p style="text-align: justify;">La regola generale posta dalla Convenzione di Lugano (del 1988 come del 2007), sul punto di tenore identico a quella corrispondente del Regolamento Bruxelles I (cioè il 44/01) ed a quella del successivo Regolamento Bruxelles I-bis (cioè il 1215/12), è la determinazione della giurisdizione in base al luogo del domicilio del convenuto: sicché costituisce un’eccezione o deroga, da interpretare in modo rigoroso, la successiva previsione dell’art. 6 (fin da Corte Giust. 27/09/1988, Kalfelis, in causa C-189/87, p. 8). In particolare (Corte Giust. 20/04/2016, Profit Investment SIM spa in liq.ne, in causa C-366/13, punto 65, con richiamo a: Corte Giust. 13/07/2006, Roche Nederland e a., in causa C-539/03, punto 26; Corte Giust. 11/10/2007, Freeport, in causa C-98/06, punto 40; Corte Giust. 01/12/ 2011, Painer, in causa C-145/10, punto 79; Cass. 12/07/2012, Solvay, in causa C-616/10, punto 24), "affinché due decisioni possano essere considerate incompatibili, ai sensi dell’art. 6, punto 1, del regolamento n. 44/2001, non è sufficiente che sussista una divergenza nella soluzione della controversia, essendo inoltre necessario che tale divergenza si collochi nel contesto di una stessa fattispecie di fatto e di diritto"; sicché solo "nell’ipotesi di due ricorsi proposti contro una pluralità di convenuti, aventi oggetto e titolo diversi e tra i quali non intercorra una relazione di subordinazione o d’incompatibilità, non è sufficiente che l’eventuale accoglimento di uno di essi sia potenzialmente idoneo a riflettersi sull’entità dell’interesse a tutela del quale l’altra domanda è stata proposta affinché vi sia un rischio di decisioni incompatibili ai sensi di tale disposizione". Infatti (Corte Giust., Freeport, cit., in dispositivo), la regola dell’art. 6, paragrafo 1, n. 1, del Regolamento (e quindi, per quanto ricordato al precedente punto 32, della Convenzione di Lugano) dev’essere interpretata "nel senso che la circostanza che domande proposte nei confronti di una pluralità di convenuti abbiano fondamenti normativi diversi non osta all’applicazione di tale disposizione" e comunque "si applica qualora le domande promosse nei confronti di più convenuti siano connesse al momento del loro esperimento, vale a dire qualora sussista un interesse ad un’istruttoria e ad una pronuncia uniche per evitare il rischio di soluzioni eventualmente incompatibili se le cause fossero decise separatamente, senza che sia inoltre necessario verificare ulteriormente che dette domande non siano state presentate esclusivamente allo scopo di sottrarre uno di tali convenuti ai giudici dello Stato membro in cui egli ha il suo domicilio". Ma neppure (p. 66 delle conclusioni dell’Avvocato Generale nel medesimo caso Freeport cit.) la prova dell’intento fraudolento o abusivo dell’attore potrebbe però trarsi dal semplice fatto che l’azione diretta nei confronti del convenuto domiciliato nello Stato membro del giudice adito appaia infondata, dovendo invece quest’ultima apparire, al momento della relativa introduzione, manifestamente priva di ogni fondamento al punto da risultare artificiosa ovvero sprovvista di ogni interesse reale per l’attore: la giurisprudenza della Corte di Giustizia è stata applicata dalla Cassazione italiana con rigore (come nel caso deciso da Cass. Sez. U. 09/02/2015, n. 2360, citata dalla ricorrente incidentale in memoria, in cui è stato dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano a conoscere dell’impugnazione del licenziamento proposta nei confronti dell’armatore e del cessionario ex art. 2112 c.c. da parte di comandante di nave battente bandiera straniera e stabilmente ormeggiata all’estero, attesa la palese estraneità del raccomandatario italiano, pur evocato in giudizio, senza che assumesse rilievo, a tal fine, la proposizione di ulteriori domande, inerenti pretese retributive, fondate su diversa causa petendi), essendo stata esclusa la deroga di cui all’art. 6, comma 1, n. 1 del Regolamento quando la prospettazione stessa della domanda fosse artificiosamente finalizzata a sottrarre la controversia al giudice precostituito per legge (Cass. Sez. U. ord. 02/12/2013, n. 26937, anch’essa citata dalla ricorrente incidentale in memoria). In definitiva, tema di giurisdizione, l’art. 6, n. 1, del regolamento comunitario n. 44/2001 (oggi sostituito dall’art. 8, n. 1, di quello n. 1215/2012) va interpretato restrittivamente, integrando una regola speciale in deroga a quella generale di cui al suo precedente art. 2, per cui non può essere esteso oltre le ipotesi previste: sicché una persona domiciliata in uno Stato membro non può essere evocata in giudizio in altro Stato membro, ove è domiciliato uno degli altri convenuti, qualora le domande abbiano oggetto e titolo diversi, siano tra loro compatibili, e non una subordinata all’altra, e non sussista il rischio di decisioni incompatibili, ma solo la possibilità di una divergenza nella loro soluzione o la potenziale idoneità dell’accoglimento di una di esse a riflettersi indirettamente sull’entità dell’interesse sotteso all’altra (Cass. ord. 11/05/2017, n. 11519, che, in applicazione di tale principio, ha affermato la giurisdizione italiana rispetto alla domanda di responsabilità aquiliana ex art. 2497 c.c., ma l’ha esclusa relativamente alla domanda connessa di nullità del contratto e ripetizione del corrispettivo, non comportando l’incidenza della restituzione del prezzo sulla quantificazione del danno il rischio di decisioni inconciliabili; Cass. 13/09/2018, n. 22405; in senso più articolato, Cass. Sez. U. 23/11/2018, n. 30420); inoltre, il coinvolgimento di un convenuto ulteriore vale senz’altro a radicare la giurisdizione del giudice italiano quando sia unitaria l’azione intrapresa (come nell’evenienza della revocatoria ordinaria di cui agli artt. 2901 c.c. e ss.: Cass. Sez. U. ord. 03/11/2017, n. 26145), ma non anche quando sia chiaro il suo carattere pretestuoso, cioè la sua esclusiva finalizzazione allo spostamento della competenza giurisdizionale per ragioni di connessione (Cass. Sez. U. 13/09/2018, n. 22405, che richiama: Cass. Sez. U. 09/02/2015, n. 2360; Cass. Sez. U. 12/03/2009, n. 5965; Cass. Sez. U. 19/10/2006, n. 6217; Cass. Sez. U. 03/04/2000, n. 86).</p> <p style="text-align: justify;">Lo stato della giurisprudenza nazionale non consente di qualificare come pacifica l’esclusione della legittimazione passiva del beneficiario nelle azioni di nullità del trust, visto che quella è sì negata, ma soltanto secondo un’impostazione interpretativa maggioritaria (per tutte: Cass. 03/08/2017, n. 19376) e comunque sostanzialmente nei rapporti coi terzi (Cass. 27/01/2017, n. 2043; Cass. 22/12/2015, n. 25800; Cass. 09/05/2014, n. 10105), impostazione che, nella relativa assolutezza, altre pronunce iniziano a mettere in dubbio per la configurabilità di una posizione lato sensu creditoria in capo al beneficiario (v. Cass. 25/05/2017, n. 13175) o per la necessità almeno di approfondire e verificare la natura del trust ed in particolar modo se esso sia stato istituito a titolo oneroso (Cass. 29/05/2018, n. 13388). Al contrario, nella presente fattispecie si tratta, con tutta evidenza, di domande rivolte contro più soggetti comunque tutti - e solo - parti dell’unitario complesso rapporto di trust, le cui posizioni giuridiche soggettive (nonostante la qualificazione di quello come trust discrezionale, oltre che irrevocabile, per l’ampiezza sostanzialmente priva di qualunque vincolo dei poteri loro riconosciuti ai punti 1, 8, 9 e 11 dell’atto costitutivo ed all’art. 1 del relativo allegato 1) sono quindi indissolubilmente avvinte e condizionate dalla contestazione della validità genetica della stessa costituzione del rapporto, anziché di quella della sua opponibilità ai terzi; il titolo è, pertanto, unitario e sussiste un’evidente vincolo di interdipendenza tra la declaratoria di nullità e quella di restituzione dei beni ai quali, se non altro in base al complesso meccanismo di operatività del trust da verificare nel suo concreto atteggiarsi nella fattispecie ad opera del giudice munito di giurisdizione, la beneficiaria potrebbe avere un’aspettativa giuridicamente tutelabile; infatti, nel caso fosse accolta la domanda che mira a travolgere in radice il trust verrebbe meno qualunque posizione giuridica soggettiva, di qualsivoglia specie, anche in capo a quella. Ed atterrà allora al merito - senza potere influenzare la giurisdizione, visto che si tratta di indagine a compiersi e di possibilità non escludibile a priori - tanto la verifica o l’accertamento della sussistenza o meno di un diritto della beneficiaria, quanto la valutazione della dichiarazione od ammissione di questa di insussistenza di pretese comunque in base al trust di cui si mette qui in discussione la stessa validità: come pure al merito atterrà la valutazione della legge in concreto applicabile in forza, nel caso di specie, dell’art. 10.1 dell’atto istitutivo del trust, nonché degli effetti delle relative previsioni.</p> <p style="text-align: justify;">Va dichiarata la giurisdizione del giudice italiano in applicazione dei seguenti principi di diritto: in caso di trust (nella specie, discrezionale ed irrevocabile), costituito in Stato estero (quale le Isole Cayman) ove non trovano applicazione né la Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, nè i Regolamenti (CE) 44/01 o (UE) 1215/12, né le Convenzioni di Lugano del 16 settembre 1988 o del 30 ottobre 2007, da una cittadina italiana con individuazione del trustee in una società con domicilio in quello Stato e dei beneficiari in persone fisiche o giuridiche con domicilio in Italia, la clausola negoziale di proroga della giurisdizione in favore dei giudici dello Stato medesimo per le controversie in materia di administration del trust non si estende a quella in tema di validità del rapporto nel suo complesso considerato; ai sensi dell’art. 6, n. 1, della Convenzione di Lugano del 2007, di tenore identico all’art. 6, n. 1, del Regolamento (CE) n. 44/01 (ora trasfuso nell’art. 8, n. 1, del Regolamento UE 1215/12 e che, in caso di pluralità di convenuti, fonda la giurisdizione del giudice del luogo di domicilio di uno di questi, alla condizione che tra le domande esista un nesso così stretto da rendere opportuna una trattazione unica e una decisione unica onde evitare il rischio di giungere a decisioni incompatibili in caso di trattazione separata), sussiste la giurisdizione del giudice italiano sulla domanda proposta dalla disponente o settlor nei confronti del trustee successivo di un trust costituito all’estero (nella specie, Isole Cayman, ove non si applica nè la Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, nè alcuno strumento eurounitario), persona giuridica avente domicilio nella Confederazione elvetica, e della beneficiaria avente domicilio in Italia, non potendo definirsi artificiosa, nè volta in modo pretestuoso al solo fine di provocare lo spostamento della giurisdizione, l’instaurazione di un unitario giudizio per fare valere l’invalidità della costituzione del rapporto tra le parti del trust, questo integrando un titolo unitario e sussistendo un’evidente vincolo di interdipendenza tra la declaratoria di nullità e la domanda di restituzione dei beni ai quali la beneficiaria potrebbe avere un’aspettativa giuridicamente tutelabile.</p>