<p style="font-weight: 400; text-align: justify;"></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong>CORTE COSTITUZIONALE – sentenza 14 febbraio 2020 n. 22</strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>Va dichiarato che non spettava allo Stato, e, per esso, al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, sezione prima, annullare il verbale n. 63 del 22 ottobre 2018 della VII commissione consiliare permanente del Consiglio regionale della Puglia attestante la composizione della medesima commissione, e va annullata, per l’effetto, la sentenza del TAR Puglia 21 febbraio 2019, n. 260.</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>2.– In via preliminare, occorre esaminare le eccezioni di inammissibilità del ricorso formulate, per conto del Presidente del Consiglio dei ministri, dall’Avvocatura generale dello Stato.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>2.1.– Innanzitutto, secondo il resistente, il ricorso sarebbe inammissibile perché la Regione avrebbe impugnato per conflitto un atto che – pur promanando da un’autorità giurisdizionale e, quindi, da un potere statale – non sarebbe «idoneo ad esprimere in maniera definitiva la volontà del potere di appartenenza». Evocando quanto asseritamente affermato dalla sentenza n. 81 del 2012 di questa Corte, assume l’Avvocatura generale che la Regione, prima di proporre ricorso per conflitto, avrebbe dovuto attendere il passaggio in giudicato della sentenza, dato che quest’ultima, proprio perché non definitiva, non sarebbe suscettibile di «generare una lesione definitiva delle attribuzioni costituzionali rivendicate dalla parte regionale».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’eccezione è da respingere.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Non pertinente, in primo luogo, è il richiamo alla sentenza n. 81 del 2012. In quel caso non fu infatti l’assenza di definitività della pronuncia del giudice amministrativo oggetto di ricorso a determinare l’inammissibilità dello stesso, bensì l’aver la Regione ricorrente denunciato «semplici errores in iudicando», portando così all’esame della Corte un conflitto di attribuzioni che si risolveva «in un improprio mezzo di gravame avverso le sentenze del giudice amministrativo».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Ciò posto, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che «costituisce atto idoneo ad innescare un conflitto intersoggettivo di attribuzione qualsiasi comportamento significante, imputabile allo Stato o alla Regione, che sia dotato di efficacia e rilevanza esterna e che – anche se preparatorio o non definitivo – sia comunque diretto “ad esprimere in modo chiaro ed inequivoco la pretesa di esercitare una data competenza, il cui svolgimento possa determinare una invasione nella altrui sfera di attribuzioni o, comunque, una menomazione altrettanto attuale delle possibilità di esercizio della medesima”» (sentenza n. 332 del 2011; nello stesso senso, sentenze n. 382 del 2006, n. 211 del 1994 e n. 771 del 1988).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In disparte la possibilità che l’atto oggetto del conflitto possa essere altresì impugnato in sede giurisdizionale, quel che rileva è, dunque, il tono costituzionale del conflitto stesso, il quale sussiste quando il ricorrente non lamenti una lesione qualsiasi, ma una lesione delle proprie attribuzioni costituzionali (ex plurimis, sentenze n. 28 del 2018, n. 87 del 2015 e n. 52 del 2013).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Quando, in particolare, oggetto di ricorso siano sentenze o altri atti giurisdizionali, il conflitto intersoggettivo è costantemente ritenuto ammissibile, in presenza delle anzidette condizioni, anche laddove l’atto sia non definitivo e altresì contestualmente impugnato in sede giurisdizionale (di recente, sentenze n. 259 e n. 57 del 2019, n. 2 del 2018 e n. 260 del 2016).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’ammissibilità del conflitto intersoggettivo da atti giurisdizionali, in altre parole, è condizionata dalla sussistenza del tono costituzionale, nonché dalla già rilevata esigenza che il ricorso non si risolva in un mezzo improprio di censura sul modo di esercizio della funzione giurisdizionale.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Per queste complessive ragioni, non incidono sull’ammissibilità del presente conflitto le ordinanze del Consiglio di Stato, sezione quinta, 7 ottobre 2019, n. 5079 e 5 luglio 2019, n. 3426, con le quali il giudice di secondo grado ha accolto l’istanza cautelare presentata dalla Regione Puglia, sospendendo l’efficacia della impugnata sentenza del TAR.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Infatti, la mera sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato – che continua ad essere presente nell’ordinamento, pur se in una situazione di “quiescenza” – non fa venir meno l’interesse al ricorso, «dal momento che “la lesione delle attribuzioni costituzionali può concretarsi anche nella mera emanazione dell’atto invasivo della competenza, potendo, quindi, perdurare l’interesse dell’ente all’accertamento del riparto costituzionale delle competenze”» (sentenza n. 328 del 2010, che richiama le sentenze n. 287 del 2005, n. 222 del 2006 e n. 199 del 2004).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>2.2.– Assume inoltre il resistente che il ricorso sarebbe inammissibile perché la ricorrente avrebbe promosso un conflitto volto a sollecitare un controllo su «errores in iudicando commessi dal Giudice amministrativo», non deducibili in sede di conflitto.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Anche questa seconda eccezione non è fondata.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Quel che la Regione Puglia contesta non è il modo di esercizio della funzione da parte del giudice amministrativo, ma la sussistenza stessa, in capo a quest’ultimo, del potere giurisdizionale. Asserisce infatti la ricorrente che, annullando il verbale di una commissione del Consiglio regionale, il TAR Puglia avrebbe agito in carenza assoluta di giurisdizione, e per questo avrebbe leso attribuzioni costituzionalmente garantite alla Regione stessa dagli artt. 114, secondo comma, 117, 121, primo e secondo comma, 123 Cost., nonché riconosciute ai consiglieri regionali dall’art. 122, quarto comma, Cost.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Si è dunque in presenza di un ricorso in cui è contestata «l’esistenza stessa del potere giurisdizionale nei confronti del ricorrente», ciò che rende il conflitto ammissibile, secondo il costante orientamento di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 2 del 2018, n. 235 e n. 107 del 2015).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.– Nel merito, mentre il ricorso per conflitto di attribuzione non è fondato in riferimento all’art. 122, quarto comma, Cost. – per l’assorbente ragione che l’impugnata sentenza del TAR non chiama i consiglieri regionali «a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni» – lo è, invece, con riferimento agli artt. 114, secondo comma, 117 e 121, secondo comma, Cost. In base a tali disposizioni costituzionali non spetta allo Stato, e, per esso, al giudice amministrativo, annullare il verbale attestante la composizione di una commissione consiliare permanente del Consiglio regionale. Va perciò annullata la sentenza del TAR Puglia, sede di Bari, sezione prima, n. 260 del 2019.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.1.– Ricorre nella giurisprudenza costituzionale, già in alcune pronunce risalenti (ex multis, sentenze n. 110 del 1970 e n. 66 del 1964), l’affermazione secondo cui le attribuzioni dei Consigli regionali, pur non esprimendosi a livello di sovranità, sono manifestazione «di autonomie costituzionalmente garantite» (da ultimo ordinanza n. 15 del 2019; in tal senso, ex plurimis, sentenze n. 279 del 2008, n. 365 e n. 301 del 2007). Conseguentemente, «i Consigli regionali godono […] in base a norme costituzionali, di talune prerogative analoghe a quelle tradizionalmente riconosciute al Parlamento», anche se, «al di fuori di queste espresse previsioni, non possono essere assimilati ad esso» (ordinanza n. 15 del 2019; sentenza n. 39 del 2014).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>In particolare, come ricordato nella sentenza n. 43 del 2019, la giurisprudenza costituzionale ha pacificamente riconosciuto ai Consigli regionali, al pari che ai due rami del Parlamento, la funzione di autorganizzazione interna, qualificandola, accanto alla funzione legislativa e a quelle di indirizzo politico e di controllo, come parte del «nucleo essenziale comune e caratterizzante delle funzioni degli organi “rappresentativi”» (sentenza n. 69 del 1985; in senso analogo, sentenza n. 289 del 1997, ove si afferma che tale nucleo caratterizzante delle attribuzioni regionali, definito dall’art. 121, secondo comma, Cost., ricomprende, per quanto qui rileva, le funzioni legislative e regolamentari, «di indirizzo politico, nonché quelle di controllo e di autorganizzazione»).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Nell’ambito dell’autonomia organizzativa spettante anche alle assemblee legislative regionali è ricompresa la potestà di disciplinare i propri lavori, sia attraverso l’approvazione di regolamenti interni che predeterminano le modalità di funzionamento dei Consigli e delle loro articolazioni, sia attraverso l’interpretazione e l’applicazione dei regolamenti stessi, attività che costituiscono razionale completamento dell’autonomia in questione (analogamente, sia pur con riferimento al diverso caso dell’autodichia di ciascuna Camera, sentenza n. 262 del 2017).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Lo statuto e la normativa regionale possono assegnare al Consiglio o al suo ufficio di presidenza anche lo svolgimento di alcune funzioni amministrative e non è escluso che la stessa potestà di autorganizzazione interna dei Consigli regionali si manifesti attraverso atti di esercizio di funzioni amministrative non strettamente coessenziali alla loro potestà normativa (sentenze n. 43 del 2019, n. 337 del 2009, n. 69 del 1985 e n. 81 del 1975). In questa evenienza, tali atti si collocano all’esterno della sfera di autonomia costituzionalmente garantita e potrebbero perciò soggiacere a sindacato giurisdizionale, particolarmente se devono essere adottati sulla base di parametri legali.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Certo è però che siffatta natura, e il connesso regime di sindacato, non sono predicabili in riferimento al verbale attestante le modalità con cui è stata decisa la composizione di una commissione consiliare, attraverso l’interpretazione e l’applicazione dell’art. 9 del regolamento interno del Consiglio regionale della Puglia, cioè della disposizione che allo scopo richiede, per quanto possibile, il ricorso al criterio proporzionale, riferito alla consistenza numerica di ciascun gruppo consiliare.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Nel caso che dà origine al presente conflitto, non si è di fronte a un atto amministrativo, da adottarsi nel rispetto di parametri legali “esterni”, ma all’interpretazione e all’applicazione di un criterio (appunto la composizione delle commissioni in proporzione, per quanto possibile, alla forza numerica dei gruppi consiliari) stabilito dallo stesso regolamento interno del Consiglio regionale, criterio esso stesso espressivo, in questa forma, di discrezionalità politica. Si tratta perciò di una decisione strettamente collegata alla potestà di autorganizzazione del Consiglio, «con carattere di essenzialità e diretta incidenza, tale che, in sua mancanza, l’attività del Consiglio […] sarebbe menomata o ne sarebbe significativamente incisa» (sentenza n. 43 del 2019).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>L’annullamento del verbale attestante la composizione della commissione consiliare, nonché il ricorso, da parte della stessa sentenza impugnata, a un “potere conformativo” particolarmente penetrante – che sviluppa calcoli e indica addirittura soluzioni numeriche precise, in vista di una particolare applicazione del criterio proporzionale – incidono sulla composizione della commissione consiliare in questione, e persino sullo stesso equilibrio, in quella commissione, tra forze politiche di maggioranza e di opposizione, visto che all’esito della soluzione predisposta in sentenza la commissione finirebbe per essere composta paritariamente, almeno secondo quanto asserito dalla Regione ricorrente, da consiglieri di maggioranza e di opposizione. Il nucleo essenziale della potestà di autorganizzazione consiliare costituzionalmente garantita, tuttavia, risiede proprio nella facoltà di decidere, sia in ordine alle modalità del riparto proporzionale dei consiglieri nelle commissioni, sia in relazione al necessario rispetto, in esse, del corretto rapporto numerico tra maggioranza e opposizione.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>D’altra parte, la garanzia della potestà di autorganizzazione è, al tempo stesso, protezione della funzione legislativa regionale, cui ogni commissione consiliare permanente, come noto, fornisce un contributo determinante. Mette conto ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, i Consigli regionali devono esercitare la potestà legislativa «in piena autonomia politica, senza che organi a essi estranei possano né vincolarla né incidere sull’efficacia degli atti che ne sono espressione» (sentenza n. 39 del 2014).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Lo stesso Consiglio di Stato, adìto in sede cautelare, ha del resto deciso la sospensione dell’impugnata sentenza del TAR Puglia, evidenziando che di fronte a «interna corporis organizzativi di un organo a competenza legislativa […] il sindacato del giudice amministrativo cede di fronte al principio costituzionale di separazione dei poteri» (Consiglio di Stato, sezione quinta, ordinanza 5 luglio 2019, n. 3426).</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>3.2.– Da un lato, quindi, la scelta in ordine alla composizione di una commissione consiliare è diretta espressione della potestà di autorganizzazione spettante al Consiglio regionale, dall’altro tale potestà finisce per essere assorbita tra le garanzie che assistono lo svolgimento della funzione legislativa regionale, cui le commissioni consiliari permanenti contribuiscono in modo determinante: di talché ogni sindacato esterno sulle decisioni relative alla composizione di tali commissioni è svolto in difetto assoluto di giurisdizione, determinando una lesione delle attribuzioni costituzionali previste dagli artt. 114, secondo comma, 117 e 121, secondo comma, Cost.</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>La soluzione qui affermata coincide con quella assunta dalla Corte di cassazione (sezioni unite civili, ordinanza 3 marzo 2016, n. 4190), che, in un caso analogo, ha stabilito che le decisioni relative alla composizione delle commissioni permanenti dei Consigli regionali sono atti che «sia direttamente che indirettamente concorrono a consentire l’esercizio, da parte della stessa Assemblea, della funzione legislativa», e che eventuali censure sulle determinazioni del Presidente dell’Assemblea in ordine a tali aspetti «non sono quindi certamente proponibili in sede di impugnazione di quegli atti dinnanzi al giudice amministrativo».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Va aggiunto che, nel caso di specie, non manca una procedura cui i consiglieri regionali possono ricorrere per prospettare l’asserita lesione delle loro prerogative. L’art. 5 del regolamento interno del Consiglio regionale stabilisce, infatti, che l’ufficio di presidenza del Consiglio regionale (nel quale sono necessariamente presenti anche componenti provenienti da gruppi di opposizione) ha il compito di assicurare «l’esercizio dei diritti dei Consiglieri, tutelandone le prerogative».</em></p> <p style="font-weight: 400; text-align: justify;"><em>Ai sensi degli artt. 114, secondo comma, 117, 121, secondo comma, Cost., non spettava pertanto allo Stato, e per esso al TAR Puglia, sede di Bari, sezione prima, emanare la sentenza 21 febbraio 2019, n. 260, che va di conseguenza annullata.</em></p>