<p style="text-align: justify;"></p> <p style="text-align: justify;"><strong>Corte Costituzionale, sentenza 24 aprile 2020 n. 70</strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Puglia 17 dicembre 2018, n. 59, recante «Modifiche e integrazioni alla legge regionale 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale)»; va dichiarata altresì l’illegittimità costituzionale, a partire dalla data del 19 aprile 2019, dell’art. 7 della legge della Regione Puglia 28 marzo 2019, n. 5, recante «Modifiche alla legge regionale 30 novembre 2000, n. 17 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi in materia di tutela ambientale) e istituzione del Sistema informativo dell’edilizia sismica della Puglia, nonché modifiche alle leggi regionali 30 luglio 2009, n. 14 (Misure straordinarie e urgenti a sostegno dell’attività edilizia e per il miglioramento della qualità del patrimonio edilizio residenziale) e 17 dicembre 2018, n. 59 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 30 luglio 2009, n. 14)».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Va dichiarata cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019, nell’arco temporale antecedente all’entrata in vigore dell’art. 5, comma 1, lettera b), del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici», convertito, con modificazioni, nella legge 14 giugno 2019, n. 55, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, della Costituzione, con il ricorso iscritto al n. 63 del reg. ric. 2019;</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Va infine dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, Cost., anche in relazione agli artt. 36 e 37 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)», all’art. 5, comma 10, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, recante «Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia», convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106, e all’art. 5, comma 1, lettera b), del d.l. n. 32 del 2019, con il ricorso iscritto al n. 63 del reg. ric. 2019.</em></p> <p style="text-align: justify;"><strong><em>TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE</em></strong></p> <p style="text-align: justify;"><em>2.– I ricorsi propongono questioni simili nell’oggetto e nei parametri evocati. Possono essere quindi riuniti e trattati congiuntamente, al fine di essere decisi con una unica pronuncia.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>3.– In via preliminare, questa Corte è chiamata a pronunciarsi sulla duplice eccezione di inammissibilità sollevata dalla Regione Puglia con riferimento a entrambe le impugnazioni.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>3.1.– Ad avviso della difesa regionale, infatti, le censure sarebbero inammissibili perché entrambe prive di motivazione e di intrinseca coerenza, dato che gli argomenti spesi dalla Avvocatura generale dello Stato non si porrebbero in un rapporto di conseguenzialità logica rispetto ai parametri evocati. La carenza argomentativa viene ulteriormente sostenuta con riferimento alla censura che evoca l’art. 5, comma 10, del “decreto sviluppo”, in relazione al quale non sarebbe «neppur minimamente accennato» il tenore dell’asserita violazione costituzionale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>3.2.– Le eccezioni di inammissibilità non sono fondate. I termini delle questioni sono, infatti, sufficientemente chiari ed omogenei, risultando esaustivamente evidenziati i profili che, a parere della difesa statale, renderebbero illegittime le disposizioni impugnate.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>4.– Con il primo ricorso (reg. ric. n. 27 del 2019), come dianzi anticipato, lo Stato ha impugnato l’art. 2 della legge reg. Puglia n. 59 del 2018, recante una norma di interpretazione autentica dell’art. 4, comma 1, della legge reg. Puglia n. 14 del 2009.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il legislatore regionale ha così stabilito che detta disposizione debba intendersi «nel senso che l’intervento edilizio di ricostruzione da effettuare a seguito della demolizione di uno o più edifici a destinazione residenziale o non residenziale, può essere realizzato anche con una diversa sistemazione plano-volumetrica, ovvero con diverse dislocazioni del volume massimo consentito all’interno dell’area di pertinenza, alle condizioni di cui all’articolo 5, comma 3, della medesima l.r. 14/2009 e qualora insista in zona dotata delle urbanizzazioni primarie previste dalle vigenti disposizioni normative, statali e regionali».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>4.1.– Sostiene la difesa dello Stato che questa norma violerebbe l’art. 3 Cost. perché, lungi dall’individuare uno dei possibili significati desumibili dalla prescrizione interpretata, innoverebbe retroattivamente l’ordinamento regionale, così consentendo deroghe volumetriche, nell’ambito della ristrutturazione edilizia, oltre i limiti assentiti dalla originaria disciplina regionale del 2009. La disposizione censurata realizzerebbe, quindi, una nuova deroga ex lege agli strumenti urbanistici, ledendo il principio di ragionevolezza, coerenza e certezza del diritto, nonché il legittimo affidamento di terzi controinteressati agli ampliamenti volumetrici in deroga.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La previsione regionale lederebbe altresì il buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., posto che la sua efficacia retroattiva avrebbe l’effetto di «disorientare» le amministrazioni comunali, che non sarebbero in grado di individuare, al fine di un corretto esercizio delle proprie funzioni, gli ampliamenti realizzati nei periodi intercorrenti tra la prima e la seconda normativa.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Questa censura è strettamente collegata alla terza delle questioni, diretta a sostenere la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione agli artt. 36 e 37 del t.u. edilizia. La retroattività della disposizione, infatti, porterebbe alla sanatoria di abusi sostanziali, così violando il principio fondamentale della “doppia conformità”, principio in virtù del quale il manufatto edilizio deve risultare conforme sia alla disciplina urbanistica vigente quando è stato edificato, sia a quella vigente quando viene domandato l’accertamento di conformità.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>4.2.– In via preliminare, va ricordato che la successiva legge reg. Puglia n. 5 del 2019, ha abrogato (art. 8) la disposizione impugnata, e introdotto un’altra dal medesimo tenore letterale di quella abrogata, ma con efficacia pro futuro (art. 7).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Tali articoli sono stati autonomamente impugnati dallo Stato con il successivo ricorso (reg. ric. n. 63 del 2019), anch’esso portato all’odierna attenzione di codesta Corte.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Questa autonoma impugnazione impedisce che, nel caso di specie, possa dichiararsi la cessazione della materia del contendere della questione relativa all’art. 2 della legge reg. Puglia n. 59 del 2018. Per costante orientamento di questa Corte, la cessazione della materia del contendere è pronunciata qualora la modifica intervenuta in pendenza di giudizio abbia carattere satisfattivo delle pretese del ricorrente e la norma abrogata non abbia trovato medio tempore applicazione (ex plurimis, sentenze n. 287 e n. 180 del 2019). Il successivo ricorso del Governo avverso la norma abrogatrice e l’ulteriore disposizione aggiunta nel corpo dell’art. 4 della legge reg. n. 14 del 2009 (rappresentata dall’art. 7 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019) dimostrano la persistenza di un interesse a una pronuncia nel merito, come pure argomentato dallo stesso ricorrente nella successiva impugnazione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Peraltro, il periodo di vigenza della norma retroattiva prima della sua abrogazione, per quanto limitato, non è tale da escludere in radice una sua qualche applicazione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.– Prima di entrare nel merito delle prospettate questioni di legittimità costituzionale della norma di interpretazione autentica, deve essere ricordato, a titolo di premessa, che detta previsione si preoccupa di interpretare una disposizione, contenuta nella legge reg. Puglia n. 14 del 2009, relativa agli ampliamenti volumetrici consentiti in caso di demolizione e ricostruzione di edifici preesistenti (cosiddetta ristrutturazione ricostruttiva).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.1.– La legge appena menzionata è stata adottata dalla Regione Puglia in attuazione del cosiddetto “piano casa”, misura straordinaria di rilancio del mercato edilizio predisposta nel 2008 dal legislatore statale, contenuta nell’art. 11 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In particolare l’art. 11, comma 5, lettera b), prevedeva che detto piano potesse realizzarsi anche attraverso possibili «incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi, spazi pubblici e di miglioramento della qualità urbana, nel rispetto delle aree necessarie per le superfici minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Nel 2009, per dare attuazione a tale norma fece seguito l’intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata, stipulata in data 1° aprile 2009, che ha consentito ai legislatori regionali, fra cui quello pugliese, aumenti volumetrici (pari al 20 per cento o al 35 per cento in caso di demolizione e ricostruzione) a fronte di un generale miglioramento della qualità architettonica e/o energetica del patrimonio edilizio esistente.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.2.– Per restare alla cosiddetta ristrutturazione ricostruttiva, che più da vicino interessa l’oggetto del presente giudizio, talune misure regionali adottate hanno realizzato una vera e propria disciplina derogatoria non perfettamente coerente rispetto al generale quadro normativo statale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.2.1.– A tale riguardo, deve essere ricordato come, in origine, l’art. 3, comma 1, lettera d), del t.u. edilizia disponesse che, in caso di demolizione, la ricostruzione per essere tale e non essere considerata una nuova “costruzione” – che avrebbe in tal caso richiesto un apposito permesso di costruire, e non una mera segnalazione certificata di inizio attività (artt. 10 e 22 del t.u. edilizia) – doveva concludersi con la «fedele ricostruzione di un fabbricato identico», comportando dunque identità di sagoma, volume, area di sedime e caratteristiche dei materiali.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il successivo decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 301 (Modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia) ha modificato la definizione di “ricostruzione”, eliminando sia lo specifico riferimento alla identità dell’area di sedime e alle caratteristiche dei materiali, sia il concetto di “fedele ricostruzione”.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.2.2.– In epoca successiva, nel 2011, con il comma 9 dell’art. 5 del d.l. n. 70 del 2011 (cosiddetto “decreto sviluppo”), il legislatore ha espressamente autorizzato le Regioni a introdurre normative che disciplinassero interventi di ristrutturazione ricostruttiva con ampliamenti volumetrici, concessi quale misura premiale per la razionalizzazione del patrimonio edilizio, eventualmente anche con «delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse». In tal modo, il legislatore nazionale ha ammesso deroghe all’identità di volumetria nell’ipotesi di ristrutturazioni realizzate con finalità di riqualificazione edilizia.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Simile possibilità è stata però esclusa, dallo stesso legislatore, per una particolare categoria di manufatti, e cioè per gli «edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta […]» (art. 5, comma 10, del medesimo decreto).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.2.3.– Nel 2013, il legislatore è nuovamente intervenuto sull’art. 3, comma 1, lettera d), del t.u. edilizia, con l’art. 30, comma 1, lettera a), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), cosiddetto “decreto del fare”, convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, che ha qualificato come “interventi di ristrutturazione edilizia” quelli di demolizione e ricostruzione «con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 [Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137] e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il legislatore statale ha dunque progressivamente allargato l’ambito degli interventi di ristrutturazione, consentendo di derogare all’identità di volumetria in caso di ricostruzioni volte alla riqualificazione edilizia e imponendo il rispetto della sagoma solo per immobili vincolati.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>5.2.4.– Questa tendenza si è arrestata, nel 2019, con l’art. 5, comma 1, lettera b), del d.l. n. 32 del 2019 (cosiddetto decreto “sblocca cantieri”), che ha inserito il comma 1-ter all’art. 2-bis del t.u. edilizia, così imponendo, per la ristrutturazione ricostruttiva, il generalizzato limite volumetrico (a prescindere, dunque, dalla finalità di riqualificazione edilizia) e il vincolo dell’area di sedime: «[i]n ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Allo stato attuale, quindi, la ristrutturazione ricostruttiva, autorizzabile mediante segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), è ammissibile purché siano rispettati i volumi, l’area di sedime del manufatto originario e, per gli immobili vincolati, la sagoma. Al momento dell’adozione del “piano casa” da parte delle Regioni, invece, la normativa statale richiedeva, per la ristrutturazione ricostruttiva, il solo rispetto della volumetria e della sagoma, non l’identità di sedime, limiti da rispettare affinché la ristrutturazione non si traducesse in una nuova costruzione, diversamente regolata dalla legislazione nazionale di settore.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>6.– Alla luce di tali premesse, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge reg. Puglia n. 59 del 2018 sono fondate per violazione degli artt. 3 e 117, terzo comma, Cost., in relazione agli artt. 36 e 37 del t.u. edilizia e all’art. 5, comma 10, del decreto-legge n. 70 del 2011 (cosiddetto “decreto sviluppo”).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.– L’art. 4, comma 1, della legge reg. Puglia n. 14 del 2009, oggetto della norma interpretativa, aveva previsto (e prevede) che, «[a]l fine di migliorare la qualità del patrimonio edilizio esistente, sono ammessi interventi di demolizione e ricostruzione di edifici residenziali e non residenziali o misti con realizzazione di un aumento di volumetria sino al 35 per cento di quella legittimamente esistente alla data di entrata in vigore della presente legge da destinare, per la complessiva volumetria risultante a seguito dell’intervento, ai medesimi usi preesistenti legittimi o legittimati, ovvero residenziale, e/o a usi strettamente connessi con le residenze, ovvero ad altri usi consentiti dallo strumento urbanistico. A seguito degli interventi previsti dal presente articolo, gli edifici non residenziali non possono essere destinati a uso residenziale qualora ricadano all’interno delle zone territoriali omogenee E) di cui all’articolo 2 del decreto del Ministero dei lavori pubblici 1444/1968». Il comma 3 del medesimo articolo si premura poi di specificare che «[g]li interventi di ricostruzione devono essere realizzati nel rispetto delle altezze massime e delle distanze minime previste dagli strumenti urbanistici. È consentito il mantenimento dei distacchi, degli arretramenti e degli allineamenti dei manufatti preesistenti limitatamente alla sagoma preesistente. In mancanza di specifica previsione in detti strumenti, e nel caso di ricostruzione di edifici all’interno della sagoma planimetrica dell’esistente, le volumetrie complessive ricostruite sono consentite nel rispetto delle altezze massime della strumentazione urbanistica comunale vigente e delle distanze minime previste dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (…)».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In tal senso l’aumento volumetrico, in caso di ricostruzione e demolizione, era (ed è) condizionato dalla legge regionale al rispetto delle altezze e delle distanze previste dagli strumenti urbanistici o, in mancanza, dall’art. 9 del decreto Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della l. 6 agosto 1967, n. 765), o comunque all’osservanza della sagoma dell’edificio preesistente rispetto ai distacchi, agli allineamenti e agli arretramenti.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.1.– In simile contesto, qualche anno dopo, il legislatore pugliese, con la citata legge reg. Puglia n. 59 del 2018, ha inserito l’impugnata norma di interpretazione autentica, la quale ha disposto che il sopra menzionato art. 4, comma 1, della legge reg. Puglia n. 14 del 2009 deve essere inteso nel senso che «l’intervento edilizio di ricostruzione da effettuare a seguito della demolizione di uno o più edifici a destinazione residenziale o non residenziale, può essere realizzato anche con una diversa sistemazione plano-volumetrica, ovvero con diverse dislocazioni del volume massimo consentito all’interno dell’area di pertinenza».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.2.– La disposizione impugnata, come emerge dal confronto delle due prescrizioni, non ha una portata meramente interpretativa.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Questa Corte, con riferimento a una norma di altra Regione che interpretava la locuzione «edifici esistenti» nel senso di includervi «anche gli edifici residenziali in fase di realizzazione in forza di titolo abilitativo in corso di validità» (così allargando, in via retroattiva, la platea dei manufatti beneficiari degli ampliamenti volumetrici previsti dal “piano casa”), ha ribadito la «sostanziale indifferenza, quanto allo scrutinio di legittimità costituzionale, della distinzione tra norme di <strong>interpretazione autentica</strong> – retroattive, salva una diversa volontà in tal senso esplicitata dal legislatore stesso – e <strong>norme innovative</strong> con efficacia retroattiva» (sentenza n. 73 del 2017; nonché, da ultimo, sentenza n. 108 del 2019).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Al legislatore – anche regionale – «non è preclusa la possibilità di emanare norme retroattive sia innovative che di interpretazione autentica. La retroattività deve, tuttavia, trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall’efficacia a ritroso della norma adottata» (sentenza n. 73 del 2017).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.2.1.– Questa Corte ha, peraltro, individuato alcuni limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi, relativi al «principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; [al]la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; [al]la coerenza e [al]la certezza dell’ordinamento giuridico; [a]l rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario» (sentenza n. 73 del 2013; ex plurimis, da ultimo anche sentenze n. 174 e n. 108 del 2019).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Questa Corte ha peraltro precisato che la qualifica di norma (meramente) interpretativa va ascritta solo a quelle disposizioni «che hanno il fine obiettivo di chiarire il senso di norme preesistenti ovvero di escludere o di enucleare uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, allo scopo di imporre a chi è tenuto ad applicare la disposizione considerata un determinato significato normativo. Il legislatore, del resto, può adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull’applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, così rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una norma anteriore» (sentenza n. 73 del 2017).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La distinzione tra norme interpretative e disposizioni innovative rileva, ai fini dello scrutinio di legittimità costituzionale, perché «la palese erroneità di tale auto-qualificazione può costituire un indice, sia pure non dirimente, della irragionevolezza della disposizione impugnata» (sentenza n. 73 del 2017; ex plurimis, anche sentenze n. 103 del 2013 e n. 41 del 2011).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.3.– Alla luce di questi criteri si deve concludere che la specificazione contenuta nella disposizione impugnata è insuscettibile di essere ricompresa nell’originario contenuto dell’art. 4, comma 1, della legge reg. Puglia n. 14 del 2009.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La norma regionale fa infatti riferimento a una «diversa sistemazione plano-volumetrica o a diverse dislocazioni del volume nell’area di pertinenza». Estende, quindi, in via retroattiva, l’oggetto della disposizione originaria: con riferimento alle “diverse dislocazioni”, la disposizione censurata consente nuove e distinte costruzioni rispetto all’immobile originario, collocate in luogo diverso dal precedente ancorché nella medesima area di pertinenza.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>È vero che, con l’art. 5, comma 9, del citato “decreto sviluppo”, il legislatore nazionale ha consentito interventi di demolizione e ricostruzione anche con «delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse», ma tale fattispecie disciplina l’ipotesi affatto diversa del possibile trasferimento (cosiddetto decollo), nell’ambito delle scelte di pianificazione dell’ente locale, dei volumi da una determinata area del territorio ad altra zona che ammetta l’edificabilità. “Delocalizzazione”, peraltro, che rimane preclusa agli «edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta» (art. 5, comma 10, del “decreto sviluppo”).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>A tacere del fatto che la norma regionale fa retroagire al 2009 una possibilità prevista dalla disciplina statale solo nel 2011, la disposizione introdotta dalla Regione Puglia ha una portata diversa e più ampia rispetto alla disciplina dello Stato, la quale non ammette la “dislocazione” dei volumi, cosi come previsto da quest’ultima disposizione.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.4.– A conclusioni analoghe può giungersi per l’ambiguo riferimento alle «diverse sistemazioni plano-volumetriche».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>La norma regionale autorizza retroattivamente modifiche alla sagoma dell’edificio, da intendersi come «conformazione planivolumetrica della costruzione fuori terra nel suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali, nonché gli aggetti e gli sporti superiori a 1,50 m.»: così ai sensi dell’Allegato A, recante «Quadro delle definizioni uniformi» dello Schema di regolamento edilizio tipo, adottato a seguito di intesa in Conferenza unificata del 20 ottobre 2016.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il t.u. edilizia ha sempre richiesto, come si è visto supra, per gli interventi di demolizione e ricostruzione, il rispetto della sagoma dell’edificio preesistente (art. 3, comma 1, lettera d). Il vincolo della sagoma è stato attenuato solo nel 2013, quando l’art. 30, comma 1, lettera a), del d.l. n. 69 del 2013 ne ha disposto il rispetto solo per gli immobili vincolati ai sensi del cod. beni culturali.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ne deriva che il significato dell’originaria disposizione regionale non poteva consentire ab origine una diversa sistemazione plano-volumetrica e conseguenti modifiche alla sagoma dell’edificio oltre a quelle ammissibili ai sensi e nei limiti della disciplina statale: la norma di interpretazione autentica ha lo scopo, dunque, di legittimare retroattivamente opere di ristrutturazione disallineate rispetto alla preesistente sagoma del manufatto.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.5.– Non è discutibile, dunque, la portata innovativa della disposizione impugnata, la quale integra, non diversamente da quanto affermato dalla difesa dello Stato, una nuova deroga agli strumenti urbanistici, rendendo irragionevolmente legittime, in virtù della sua portata retroattiva, «condotte […] non considerate tali al momento della loro realizzazione (perché non conformi agli strumenti urbanistici di riferimento)», ma che tali «divengono per effetto dell’intervento successivo del legislatore», così realizzando una «surrettizia ipotesi di sanatoria» (sentenza n. 73 del 2017).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.6.– L’irragionevolezza della disposizione censurata, con conseguente lesione dell’art. 3 Cost., si accompagna ad una contestuale violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione agli artt. 36 e 37 del t.u. edilizia e all’art. 5, comma 10, del “decreto sviluppo”. Gli artt. 36 e 37 del t.u. edilizia esprimono, infatti, il principio fondamentale della cosiddetta doppia conformità edilizia, principio che richiede la coerenza del manufatto con la disciplina urbanistica sia quando è stato edificato, sia quando viene domandato l’accertamento di conformità.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Come questa Corte ha avuto modo di chiarire in più occasioni in tema di condono edilizio “straordinario”, «[…] spettano alla legislazione statale, oltre ai profili penalistici (integralmente sottratti al legislatore regionale: sentenze n. 49 del 2006, n. 70 del 2005 e n. 196 del 2004), le scelte di principio sul versante della sanatoria amministrativa, in particolare quelle relative all’an, al quando e al quantum. Esula, infatti, dalla potestà legislativa concorrente delle Regioni il potere di “ampliare i limiti applicativi della sanatoria” (sentenza n. 290 del 2009) oppure, ancora, di “allargare l’area del condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello Stato” (sentenza n. 117 del 2015). A maggior ragione, esula dalla potestà legislativa regionale il potere di disporre autonomamente una sanatoria straordinaria per il solo territorio regionale (sentenza n. 233 del 2015)» (sentenza n. 73 del 2017; nello stesso senso, da ultimo, sentenze n. 208 del 2019 e n. 68 del 2018).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>7.7.– Le considerazioni appena compiute inducono a dichiarare assorbita la censura concernente la violazione dell’art. 97 Cost.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>8.– Il Presidente del Consiglio ha poi impugnato, con autonomo ricorso, due disposizioni della legge reg. Puglia n. 5 del 2019: la prima (art. 8) ha abrogato la più volte menzionata norma di interpretazione autentica (art. 2 della legge reg. Puglia n. 59 del 2018); la seconda (art. 7) ha inserito in pianta stabile, e con efficacia pro futuro, una prescrizione riproduttiva della abrogata norma regionale (asseritamente) interpretativa.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>8.1.– Avverso tali norme la difesa statale ha reiterato, nella sostanza, le censure già proposte nei confronti della disposizione (asseritamente) interpretativa di cui all’art. 2 della citata legge regionale n. 59 del 2018.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Ad avviso della Avvocatura generale, l’inserimento in pianta stabile di una norma identica al contenuto precettivo dell’art. 2 della legge reg. n. 59 del 2018 avrebbe reso l’abrogazione di quest’ultima priva di qualsiasi effetto pratico, realizzando un continuum normativo che persisterebbe nelle violazioni degli artt. 3, 97, 117, comma terzo, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 36 e 37 del t.u. edilizia e all’art. 5, comma 10, del “decreto sviluppo”.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>8.1.1.– Rispetto ai termini del precedente ricorso, vi è un profilo di novità, attinente all’asserita lesione dell’art. 2-bis, comma 1-ter, del t.u. edilizia (comma inserito, come si è visto, dall’art. 5, comma 1, lettera b, del d.l. n. 32 del 2019), il quale ora dispone che «[i]n ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo», così collocandosi fra i principi fondamentali della materia «governo del territorio».</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>9.– La questione di legittimità costituzionale, concernente l’art. 7 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019, promossa con riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost, in relazione all’art. 5, comma 1, lettera b), del d.l. n. 32 del 2019, è fondata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>9.1.– In primo luogo, deve sottolinearsi che la norma statale evocata come parametro interposto, entrata in vigore quattro giorni dopo la impugnata disposizione regionale, assurge, come anticipato, al rango di principio fondamentale della materia.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>In tale direzione, un indice significativo è offerto, anzitutto, dalla particolare sede normativa (il t.u. edilizia) prescelta dal legislatore per l’inserimento della nuova norma (avvenuto, come già detto, per mezzo dell’art. 5, comma 1, lettera b, del d.l. n. 32 del 2019).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Per costante giurisprudenza costituzionale, a prescindere dall’auto-qualificazione, certamente non vincolante per l’interpretazione di questa Corte, contenuta nell’art. 1, comma 1, del t.u. edilizia, in detto testo unico trova sede la legislazione di cornice in materia di edilizia, a sua volta riconducibile al governo del territorio.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Molteplici sono le disposizioni del citato testo unico che questa Corte ha annoverato tra i principi fondamentali della suddetta materia (ex plurimis, sentenze n. 125 del 2017, n. 282 e n. 272 del 2016, e n. 259 del 2014).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Lo stesso art. 2-bis del t.u. edilizia, nel cui ambito si trova il menzionato comma 1-ter, è stato considerato principio fondamentale per ciò che concerne la vincolatività delle distanze legali stabilite dal d.m. n. 1444 del 1968, derogabili solo a condizione che le eccezioni siano «inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio» (sentenza n. 86 del 2019), salvo quanto previsto dall’art. 5, comma 1, lettera b-bis), del d.l. n. 32 del 2019.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>9.2.– Come questa Corte ha già avuto modo di sottolineare, le disposizioni del t.u. edilizia integrano «norme dalla diversa estensione, sorrette da rationes distinte e infungibili, ma caratterizzate dalla comune finalità di offrire a beni non frazionabili una protezione unitaria sull’intero territorio nazionale» (sentenza n. 125 del 2017).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il comma 1-ter dell’art. 2-bis del t.u. edilizia, nel disporre che «[i]n ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo», detta evidentemente una regola unitaria, valevole sull’intero territorio nazionale, diretta da un lato a favorire la rigenerazione urbana e, dall’altro, a rispettare l’assetto urbanistico impedendo ulteriore consumo di suolo (come peraltro si trae dai lavori preparatori della legge di conversione dell’art. 5, comma 1, lettera b-bis, del d.l. n. 32 del 2019).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>9.3.– Chiarita la portata del comma 1-ter, risulta evidente l’antinomia tra il suo tenore normativo e il disposto dell’art. 7 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Il comma 1-ter dell’art. 2-bis del t.u. edilizia è infatti incompatibile con l’art. 7 della citata legge reg. Puglia n. 5 del 2019, che consente, in caso di demolizione e ricostruzione, un aumento volumetrico. Inoltre, il riferimento alla necessaria costruzione entro l’area di sedime – come definita dal sopra menzionato Allegato A dello Schema di regolamento edilizio tipo – impedisce le «diverse dislocazioni dei volumi» cui fa riferimento la norma regionale impugnata.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Non può sostenersi, come invece argomenta la difesa regionale, che l’intervenuta modifica normativa statale non incida sulla legislazione regionale attuativa del “piano casa”, considerata disciplina speciale rispetto alla normativa generale prevista dal legislatore nazionale. Il nuovo comma 1-ter dell’art. 2-bis del t.u. edilizia stabilisce che i limiti volumetrici e di sedime si applichino «[i]n ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione», così esprimendo una ratio univoca, volta a superare tutte le disposizioni (anche regionali), in materia di SCIA, incompatibili con i nuovi vincoli.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>L’intervenuta modifica del parametro interposto rappresentato dal nuovo principio fondamentale rende quindi costituzionalmente illegittima la norma impugnata, a partire dalla entrata in vigore della novella legislativa statale.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Inoltre, poiché la norma regionale impugnata è entrata in vigore il 16 aprile 2019 mentre la norma statale è entrata in vigore il 19 aprile 2019, la disposizione non può avere avuto applicazione per i pochi giorni precedenti, essendo stata vigente per un tempo incompatibile con il consolidarsi del titolo abilitativo (ai sensi dell’art. 19, comma 6-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241, recante «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi»).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>Per tale ragione può considerarsi cessata la materia del contendere della questione relativa all’art. 7 impugnato, per l’arco temporale antecedente all’entrata in vigore del nuovo art. 2-bis, comma 1-ter, del t.u. edilizia.</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>9.4.– Sono assorbite le censure promosse per violazione degli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 36 e 37 del t.u. edilizia e all’art. 5, comma 10, del d.l. n. 70 del 2011 (cosiddetto “decreto sviluppo”).</em></p> <p style="text-align: justify;"><em>9.5.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8 della legge reg. Puglia n. 5 del 2019 sono invece non fondate, data la natura meramente abrogativa della disposizione impugnata.</em></p>