Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 18 marzo 2022 n. 8948
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso principale è in parte ammissibile ed in parte infondato, per le considerazioni in seguito esposte.
Occorre premettere che secondo la giurisprudenza di queste Sezioni Unite, non operano le preclusioni nascenti dal giudicato interno rispetto alla prospettazione dell’eccesso di potere denunziabile innanzi a queste Sezioni Unite per motivi attinenti alla giurisdizione, al quale si riferiscono anche le ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione riconducibili all’affermazione della giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, quelle in cui il giudice neghi la propria giurisdizione sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale -cfr. Cass.S.U. 10503/2012-.
Ipotesi per le quali, dunque, si prospetta uno sconfinamento dell’autorità giudiziaria adita nel potere legislativo ipotizzabile tutte le volte in cui il giudice, sia esso ordinario o speciale, non si limita ad interpretare la regola, ma si fa egli stesso costruttore della stessa dando luogo a un’attività di diretta produzione normativa, trasmodando dai poteri tipici dell’agire giurisdizionale -per queste ultime ipotesi v. Cass., Sez. Un., 17 gennaio 2017, n. 964; Cass., Sez. Un.,12 ottobre 2015, n. 20413; 30 ottobre 2013, n.24468; Cass., Sez. Un.,14 settembre 2012, n. 15428-.
In definitiva, la scrutinabilità del motivo qui proposto non trova ostacolo nella ritenuta giurisdizione del giudice ordinario rispetto alla giurisdizione contabile riconosciuta dalla Corte di appello, né nella mancata impugnazione di tale statuizione da parte dell’Agente della riscossione che ha invece contestato in questa sede, come in grado di appello, anche il merito della domanda.
La censura esaminata, infatti, è tesa a orientare il sindacato delle Sezioni Unite sulla verifica dell’esistenza, in radice (cfr. Corte cost. n.6/2018) ed a monte, del potere giurisdizionale in capo al giudice adito dalla Cassa nazionale Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza forense, rispetto a una pretesa asseritamente sganciata dall’esistenza di un quadro normativo di supporto che il giudice adito, nella prospettiva della ricorrente, avrebbe egli stesso confezionato invadendo le prerogative riservate al legislatore e, in definitiva, sostituendosi ad esso.
Un difetto, quello prospettato, assoluto e radicale del potere giurisdizionale che, inquadrandosi in astratto nella figura del c.d. eccesso di potere giurisdizionale, rientra nell’ambito del sindacato riservato a queste Sezioni Unite e non rimane paralizzato dalla verifica in punto di giurisdizione operata dalla Corte di appello sulla base delle regole sul riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice contabile, ponendosi invero come antecedente logico, destinato -in caso di riscontro positivo del vizio- a travolgere tanto la regola di riparto fissata dal giudice di appello -ancorché non impugnata- quanto l’intero svolgimento del giudizio.
Ed è dunque in questi limiti che la censura può essere sindacata da queste Sezioni Unite. Ciò detto in rito, il motivo non coglie nel segno. Giova premettere che secondo l’orientamento consolidato di queste Sezioni Unite, il vizio di eccesso di potere giurisdizionale del giudice ordinario per aver quest’ultimo esercitato un potere non previsto dalla legge ovvero in aperta violazione di legge -pur qualificandosi come più radicale vizio di violazione di legge- non è deducibile quale “questione di giurisdizione” con ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione ai sensi dell’art. 41, c.1, c.p.c., trovando la sua risposta di giustizia, per le parti in causa, nel sistema processuale delle impugnazioni, salvo che esso non si traduca in invasione o turbativa di altro potere dello Stato -cfr. Cass., S.U., n .23542/2015-.
In tale ultima occasione si è infatti chiarito che la categoria del vizio di eccesso di potere giurisdizionale delinea i confini del sindacato sulla giurisdizione senza impingere nella più ampiamente comprensiva nozione di violazione di legge, alla stregua della quale rimangono tuttora -a Costituzione invariata- non sindacabili le pronunce del Consiglio di Stato e della Corte dei conti.
Quando, in definitiva, non entra in gioco la (limitata) tutela apprestata dal c.8 dell’art. 111 in punto di sindacato delle decisioni delle due giurisdizioni speciali – Consiglio di Stato e Corte dei Conti- per i soli motivi inerenti la giurisdizione, il sindacato garantito dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 111, c.7, Cost. assorbe nell’ambito dell’ordinario profilo della violazione di legge la verifica circa l’esistenza, in capo all’autorità giudiziaria ordinaria -o del Tribunale superiore delle acque pubbliche- di un potere giurisdizionale esercitato ancorché, in tesi, inesistente, essendo tale vizio rilevante, quale error in iudicando, all’interno dei meccanismi processuali propri del sistema delle impugnazioni.
Per converso, si è ritenuto che, con riguardo all’autorità giudiziaria ordinaria, l’eccesso di potere giurisdizionale acquisti una sua autonomia -al di là del consumato ampliamento, in via interpretativa e giurisprudenziale, dell’ambito del sindacato sulla giurisdizione ai sensi dell’art. 111 Cost., c.8- allorché il potere giurisdizionale esercitato dal giudice ordinario si raffronti con altri poteri dello Stato.
Orbene, dando queste Sezioni Unite continuità all’orientamento appena ricordato, occorre verificare se la censura proposta dalla ricorrente, nella duplice prospettiva allegata -assenza di norme positive idonee a giustificare l’azione intrapresa in via monitoria dalla Cassa nazionale di previdenza forense e mancato preventivo esperimento del procedimento amministrativo di cui agli artt. 19 e 20 del d.lgs. n.112/1999- integri il vizio di eccesso di potere giurisdizionale sotto il profilo del difetto assoluto di giurisdizione.
Il primo profilo prospettato è infondato.
Lo stesso attiene, come detto, ad un vizio che, ipotizzando da parte del giudicante l’applicazione all’azione monitoria proposta dalla Cassa nazionale di previdenza forense di un regime di responsabilità dell’ente di riscossione diverso da quello previsto dall’ordinamento (art.20 d.lgs.n.112/1999) e dunque lo sconfinamento dell’autorità giudiziaria adita nel potere legislativo, si risolve non già in un eccesso di potere giurisdizionale -sindacabile da queste Sezioni Unite- ma in un eventuale error in iudicando della Corte di appello, soggetto all’ordinario sindacato di legittimità, tuttavia non sollecitato con tale motivo di ricorso.
Ed invero, rispetto alla pretesa risarcitoria azionata dalla Cassa Forense in via monitoria nei confronti dell’agente della riscossione, al quale la stessa aveva consegnato i ruoli ad esso affidati e non riscossi, non può prospettarsi alcun difetto assoluto di giurisdizione, questo attenendo all’impossibilità di esercitare la potestà giurisdizionale con invasione della sfera attributiva di altri poteri dello Stato -id est delle prerogative riservate allo Stato legislatore-.
Orbene, la pretesa azionata dalla Cassa forense ha avuto ad oggetto la richiesta di pagamento inoltrata all’agente della riscossione tanto dei ruoli principali e suppletivi per l’anno 1998 alla stessa consegnati in relazione all’art. 32 d.P.R. n.43/1988, quanto di quelli principali per l’anno 1999, in relazione alla disciplina introdotta dall’art. 20 del d.lgs. n.112/1999, applicabile ratione temporis. Sulla base di tali presupposti venne dunque formulata la richiesta di decreto ingiuntivo poi emesso dal Tribunale di Roma nell’anno 2009.
Orbene, la circostanza che nelle more del giudizio sia intervenuta una disciplina modificativa dell’originario quadro normativo- per l’appunto rappresentata dall’art.1, commi 527, 528 e 529 della I. n.228/2012 che ha in parte modificato e rimodulato il regime in punto di obblighi dell’agente della riscossione con riguardo ai ruoli per gli anni 1998 e 1999, in relazione al riordino complessivo del sistema della riscossione mediante ruolo -d.lgs.n.46/1999 e d.lgs.n.112/1999-, non giustifica la prospettiva, ventilata dalla ricorrente, circa la creazione da parte del giudice adito della regula iuris né tanto meno l’improponibilità assoluta della domanda -ed il conseguente difetto assoluto di giurisdizione- che queste Sezioni Unite hanno, per converso, di recente ritenuto in caso di domanda concernente un diritto non configurato neppure in astratto a livello normativo (v. Cass., S. U. n.6690/20), invece attenendo il cuore della controversia all’interpretazione del quadro normativo di riferimento progressivamente introdotto dal legislatore e sottoposto al sindacato esegetico da parte del giudice adito.
Deve pertanto escludersi che la domanda proposta in via monitoria della Cassa forense integri una pretesa non conoscibile, in astratto e non in concreto, da alcun giudice (Cass., S.U. n. 8311/19), attenendo semmai la questione al fondamento nel merito della domanda proposta dalla Cassa nei confronti dell’agente della riscossione. Né può essere utilmente invocato, per sostenere il prospettato difetto assoluto di giurisdizione, il ricordato art. 1, comma 529 I.n.228/2012, nella parte in cui esclude che si possa procedere al giudizio di responsabilità amministrativo e contabile per i crediti previsti dai commi 527 e 528 fatti salvi i casi di dolo, poiché tale previsione riguarda una tipologia di contenzioso diverso da quello promosso dalla Cassa nazionale innanzi al giudice ordinario.
Quanto al secondo profilo di censura che, riguardando in astratto l’attivazione di un’azione giudiziaria senza il preventivo esperimento del procedimento amministrativo di cui ai ricordati artt. 19 e 20 del d.lgs. n.112/1999 -al quale sarebbero soggette, secondo la ricorrente, le controversie tra agente della riscossione ed enti impositori in dipendenza del rapporto di affidamento del servizio di riscossione di entrate- lo stesso non attiene affatto all’ingerenza del giudice ordinario rispetto a poteri riservati alla p.a., quanto, più correttamente, alla proponibilità dell’azione giudiziaria, come del resto la stessa ricorrente non manca di sottolineare nel ricorso -cfr. pag.10 primo cpv.-, vizio che, pertanto, per le considerazioni appena espresse, non integra il prospettato eccesso di potere giurisdizionale. Sulla base di tali considerazioni il primo motivo di ricorso principale va rigettato.
La causa va rimessa alla Sezione prima civile per l’esame dei restanti motivi di ricorso principale e del ricorso incidentale proposto dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, tutti estranei al sindacato in punto di giurisdizione di queste Sezioni Unite.