Corte di Cassazione, Sez. Unite Penali, sentenza 05 ottobre 2022 n. 37502
PRINCIPIO DI DIRITTO
È abnorme, e quindi ricorribile per cassazione, l’ordinanza del giudice dell’udienza preliminare che, investito di richiesta di rinvio a giudizio, disponga, ai sensi dell’art. 33-sexies, cod. proc. pen., la restituzione degli atti al pubblico ministero sull’erroneo presupposto che debba procedersi con citazione diretta a giudizio, trattandosi di atto che impone al pubblico ministero di compiere una attività processuale contra legem ed in violazione dei diritti difensivi, successivamente eccepibile, ed è idoneo, pertanto, a determinare una indebita regressione, nonché la stasi del procedimento.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- La questione, per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite, è la seguente: «se sia abnorme il provvedimento del giudice dell’udienza preliminare che, ai sensi dell’art.33-sexies cod. proc. pen., disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero sull’erroneo presupposto che, per il reato per il quale è stato richiesto il rinvio a giudizio, l’azione penale debba essere esercitata con citazione diretta a giudizio».
- Viene dunque in rilievo l’applicazione dell’art. 33 -sexies cod. proc. pen., disposizione inclusa nel capo VI -bis del Titolo I del codice di rito dal d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, istitutivo del giudice unico di primo grado.
La norma ha la funzione di assicurare il corretto riparto di attribuzioni e di garantire, nel contempo, il più rapido accesso alla fase dibattimentale nei casi in cui si proceda con citazione diretta a giudizio.
Di qui la previsione di un’ordinanza, cori cui il giudice nell’udienza preliminare rileva che per il reato deve procedersi con citazione diretta a giudizio e dispone la trasmissione degli atti al pubblico ministero per l’emissione di decreto di citazione ai sensi dell’art. 552 cod. proc. pen., secondo la formulazione introdotta dall’art. 47, comma 1, legge 16 dicembre 1999, n. 479, con cui, al fine di assicurare una nitida e coerente distinzione delle competenze e delle sequenze procedimentali, è stata sostituita la disposizione in base alla quale era lo stesso giudice ad emettere il decreto di citazione.
Non essendo previsto uno specifico mezzo di impugnazione, l’ammissibilità del ricorso proposto dal pubblico ministero risulta strettamente correlata alla configurabilità del profilo di abnormità dedotto, solo in tale prospettiva potendosi addivenire in questa sede alla rimozione del provvedimento impugnato (sul punto si tornerà, ma può fin d’ora richiamarsi Sez. U, n. 1 del 09/07/1997, Quarantelli, Rv. 209221).
- Peraltro, prima di valutare il profilo dell’abnormità e il contrasto interpretativo posto in evidenza dalla Sezione rimettente, si tratta di stabilire se il provvedimento con cui il giudice dell’udienza preliminare, investito di richiesta di rinvio a giudizio, abbia disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero, sul presupposto che debba procedersi con citazione diretta, sia o meno corretto e se dunque la conseguente regressione del procedimento possa o meno dirsi indebita.
Si è già avuto modo di sottolineare come il reato di cui all’art. 4, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 fosse originariamente punito con pena massima di anni tre di reclusione, pena poi aumentata fino ad anni quattro e mesi sei di reclusione per effetto della modifica introdotta dall’art. 39, comma 1, lett. d), d.l. 26 ottobre 2019, n. 124, conv. con modificazioni dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157.
In concreto, il fatto oggetto di contestazione è stato commesso nella vigenza della disposizione più favorevole, ma l’esercizio dell’azione penale, mediante richiesta di rinvio a giudizio, risale ad epoca successiva all’introduzione della modifica.
Ciò posto, l’art. 550 cod. proc. pen. definisce selettivamente i casi nei quali si procede con citazione diretta a giudizio, negli altri dovendosi procedere con richiesta di rinvio a giudizio ai sensi dell’art. 416 cod. proc. pen.
In particolare, è previsto che si proceda con citazione a giudizio, oltre che nei casi specificamente contemplati dal secondo comma di tale articolo, quando si tratti di contravvenzioni o di delitti puniti con la reclusione non superiore nel massimo ad anni quattro o con la multa, dovendosi aver riguardo per la determinazione della pena alle disposizioni dell’art. 4 cod. proc. pen.
Tale disposizione ha natura processuale e non si occupa di stabilire il trattamento sanzionatorio e la disciplina applicabile ai reati, con effetti sostanziali, ma di regolare una sequenza procedimentale di atti, volta a consentire l’ulteriore svolgimento del processo.
In tale quadro, non può prescindersi dal riferimento a pronunce ormai consolidate della giurisprudenza delle Sezioni Unite, in forza delle quali, in linea con quanto stabilito dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, secondo cui la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, la materia processuale è regolata dal principio «tempus regit actum» (Sez. U, n. 44895 del 17/07/2014, Pinna, Rv. 260927; Sez. U, n. 3821 del 17/01.12006, Timofte, in motivazione): ciò significa in particolare che la norma disciplina non un fatto passato, ma presente o futuro, senza porsi in conflitto con il principio di irretroattività, salva l’introduzione di specifiche norme transitorie; non viene, invece, in rilievo il diverso principio dettato, a fini sostanziali, dall’art. 2 cod. pen., dal quale si desume l’applicazione anche retroattiva del trattamento sanzionatorio più favorevole, e non esistono «principi di diritto intertemporale, propri della legalità penale, che possano essere pedissequamente trasferiti nell’ordinamento processuale» (Sez. U, n. 27919 del 31/03/2011, Ambrosio, Rv. 250196).
Coerentemente, allorché si tratti di applicare una norma processuale incidente sulla competenza o, come nel caso in esame, sulle modalità di esercizio dell’azione penale e di riparto delle attribuzioni, deve apprezzarsene il contenuto nel momento in cui l’applicazione avviene attraverso il concreto esercizio dell’azione penale, così da dare luogo ad una correlata sequenza procedimentale.
In particolare, non può assumere rilievo la circostanza che la norma processuale faccia riferimento a limiti edittali previsti da norme sostanziali, in quanto i suoi effetti ineriscono al processo e al suo sviluppo, ferma restando l’applicazione concreta in sede di decisione del trattamento più favorevole, peraltro non sempre agevolmente individuabile in una fase diversa.
Nel caso della disposizione dettata dell’art. 550 cod. proc. pen., che fa ulteriormente riferimento all’art. 4 cod. proc. pen., deve in definitiva ritenersi che il rinvio a limiti edittali previsti da norme sostanziali debba essere inteso come rinvio «fisso», apprezzabile nel momento dell’applicazione della norma, e non «mobile», in quanto correlato alla pena applicabile secondo il criterio previsto dall’art. 2 cod. pen. (in tali termini, Sez. 2, n. 9876 del 12/02/2021, Macrì, Rv. 280724).
Conseguentemente, deve ritenersi che, ai fini dell’individuazione delle modalità di esercizio dell’azione penale e, dunque, della verifica della necessità o meno della fissazione dell’udienza preliminare, debba aversi riguardo alla disciplina desumibile dall’art. 550 cod. proc. pen. al momento di quell’esercizio (in tal senso anche Sez. 3, n. 18297 del 04/03/2020, Castigliola, Rv. 279238, nonché Sez. 4, n. 4313 del 22/09/2000, Pitzalis, Rv. 217661., e, con riferimento al caso di erronea applicazione di disposizione sopravvenuta all’esercizio dell’azione penale, Sez. 4, n. 6970 del 07/12/2000, dep. 2001, Nurzia, Rv. 218197), dovendosi, nel contempo, disattendere, in quanto ormai superato, l’orientamento affermatosi allorché, a fronte dell’aumento della pena prevista per il delitto di usura, da parte dell’art. 11 quinquies, comma primo, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modificazioni dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, si era nondimeno ritenuto che quell’aumento non modificasse la competenza pretorile per i fatti anteriormente commessi (sul punto Sez. 1, n. 172 del 12/01/2000, Castellazzi, Rv. 215362; Sez. 1, n. 794 del 05/02/1997, Tralucco, Rv. 206972; Sez. 1, n. 1751 del 22/03/1995, Lopez, Rv. 20161).
- Posto, dunque, che il provvedimento impugnato è giuridicamente erroneo e ha prodotto un’indebita regressione del procedimento, può procedersi all’esame della questione rimessa a queste Sezioni Unite, verificando se siffatto provvedimento possa o meno qualificarsi come abnorme, tema con riguardo al quale la Sezione rimettente ha rilevato la sussistenza di un contrasto.
4.1. Il tema dell’abnormità dei provvedimenti ha formato oggetto di numerose pronunce delle Sezioni Unite, che hanno fatto riferimento a tale tipo di patologia, pur non specificamente individuata e definita dal codice di rito, ciò che è dipeso da una precisa scelta del legislatore, desumibile anche dalla «Relazione al progetto preliminare del nuovo codice di procedura penale», in cui si dà atto della rinuncia a prevedere espressamente l’impugnazione dei provvedimenti abnormi, «attesa la rilevante difficoltà di una possibile tipizzazione e la necessità di lasciare sempre alla giurisprudenza di rilevarne l’esistenza e di fissarne le caratteristiche ai fini dell’impugnabilità».
La necessità di introdurre tale categoria si correla all’esigenza di assicurare la legalità di ogni sequenza procedimentale e di scongiurare il rischio di anomalie imprevedibilmente insorte e non riconducibili ad altra specie di patologia, tali nondimeno da alterare lo sviluppo del procedimento e da arrecare pregiudizio alle prerogative riconosciute alle parti: di qui l’ammissibilità in questi casi, in deroga al principio della tipicità dei mezzi di impugnazione, del ricorso per cassazione, al fine di eliminare quegli atti, ove il vizio non sia riconducibile alle categorie della nullità o dell’inutilizzabilità e non sia previsto altro mezzo di impugnazione.
Tali peculiarità dell’atto abnorme concorrono peraltro, in negativo, a definirne restrittivamente la nozione, dovendosi trattare di situazioni correlate alle più diverse situazioni processuali e sfuggite per la loro peculiarità ad una diversa disciplina, dovendosi escludere che qualunque violazione di norme processuali possa automaticamente dare luogo ad un’ipotesi di abnormità, in violazione dei principi di tassatività delle nullità e dei mezzi di impugnazione.
4.2. Proprio muovendo da tali considerazioni le Sezioni Unite hanno elaborato una nozione di atto abnorme, che è stata progressivamente affinata.
Alla considerazione che il provvedimento può definirsi abnorme quando, per la singolarità e stranezza del suo contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, tanto da legittimare il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., essendo questo il solo strumento processuale utilizzabile per rimuoverne gli effetti (Sez. U, n. 7 del 26/04/1989, Goria, in motivazione), è seguita la compiuta elaborazione di un articolato principio.
Si è infatti affermato che si considera abnorme il provvedimento che, per la sua singolarità, non sia inquadrabile nell’ambito dell’ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite.
Si è precisato che l’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché, per la sua singolarità, si ponga fuori dal sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e la impossibilità di proseguirlo (seguendo l’evoluzione delle pronunce, si segnalano Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, dep. 1998, Di Battista, Rv. 209603; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, dep. 2000, Magnani, Rv. 21.5094; Sez. U, n. 33 del 22/11/2000, Boniotti, Rv. 217244; Sez. U, n. 19289 del 25/02/2004, Lustri, Rv. 227355, riferita ad un caso di abnormità funzionale, implicante una situazione di stasi, a seguito del diniego di competenza da parte sia del sia del p.m.; Sez. U, n. 22909 del 31/05/2005, Minervini, in motivazione; nel medesimo alveo devono inquadrarsi anche la sentenza Quarantelli, in precedenza richiamata, nonché Sez. U, n. 34536 del 11/07/2001, Chirico, Rv. 219587, secondo le quali anche nel caso di atto abnorme valgono i termini per la proposizione dell’impugnazione, salva l’ipotesi di gravame proposto nei confronti di quei provvedimenti affetti da un’anomalia genetica così radicale che, determinandone l’inesistenza materiale o giuridica e rendendoli inidonei a passare in giudicato, può essere denunciata in qualsiasi momento).
In tale quadro è venuta in rilievo l’ipotesi della c.d. regressione anomala del procedimento ad una fase anteriore, nonostante la valida instaurazione del rapporto processuale fra le parti necessarie, e si è rilevato che la stessa costituisce sintomo dell’abnormità dell’atto (Cass., Sez. U, n. 19 del 18/06/1993, Garonzi, Rv. 194061; Sez. U, n. 8 del 24/03/1995, Cirulli, in motivazione; Sez. U, n. 10 del 09/07/1997, Baldan, Rv. 208220; Sez. U,, n. 4 del 31/01/2001, Romano, in motivazione; Sez. U. n. 22807 del 29/05/2002, Manca, Rv. 221999, che fa riferimento in particolare all’ipotesi dell’indebita restituzione degli atti al p.m. per il rinnovo della citazione).
Per lo più la regressione indebita è stata considerata quale fenomeno rappresentativo dell’alterato funzionamento del procedimento e dunque inquadrata all’interno dell’abnormità funzionale, peraltro sul presupposto che costituisca il risultato di attività che si esplica oltre ogni ragionevole limite, al di là dei casi consentiti e delle ipotesi previste, pur essendo, in astratto, manifestazione di un potere legittimo, venendo in questo caso stravolto il profilo funzionale (così anche la sentenza Minervini).
Ma, nel contempo, deve rilevarsi come la citata sentenza Manca, nel dar rilievo alla regressione anomala, ne segnali il suo porsi fuori del sistema, il che la colloca su un piano interferente anche con l’abnormità strutturale.
4.3. Il tema della regressione anomala ha formato oggetto di ulteriore, significativa sentenza delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008, Battistella, Rv. 238240), nella quale, muovendo dal rilievo che la fase dell’udienza preliminare deve assicurare il consolidamento dell’imputazione e valorizzando le indicazioni al riguardo fornite dalla Corte costituzionale (Corte cost., sent. n. 88 del 1994; n. 265 del 1994; 131 del 1995 e 384 del 2006), è stato delineato il percorso virtuoso che il g.u.p. deve seguire nel caso di genericità e indeterminatezza dell’imputazione, invitando il pubblico ministero a procedere alle integrazioni necessarie, solo in caso di persistente omissione potendo disporre la restituzione degli atti ai fini dell’emissione di una nuova richiesta di rinvio a giudizio.
Orbene, si è in tale sede rilevato che il potere di controllo demandato al giudice è esercitato oltre ogni limite, dando luogo ad un profilo di abnormità, nel caso di restituzione degli atti ex abrupto, senza previa attivazione del rimedio correttivo, e si è sottolineato che ogni indebita regressione costituisce un serio vulnus all’ordo processus, inteso come sequenza logico-cronologica ordinata di atti, in spregio dei valori costituzionali dell’efficienza e della ragionevole durata del processo.
Una così netta affermazione, volta a correlare regressione indebita e abnormità in ragione dell’alterazione della ordinata sequenza procedimentale, muove dal riferimento ad un potere riconosciuto ma esercitato oltre i limiti, ciò che, secondo la consolidata sistematica, espressa delle plurime sentenze richiamate, dovrebbe ricondursi ad un profilo di abnormità funzionale, produttiva di quell’anomalo effetto.
Non può peraltro trascurarsi che l’analisi condotta nella sentenza Battistella non si incentra tanto sulla sussistenza del potere di controllo, quanto sul potere di restituzione, esercitato in uno stadio del procedimento in cui lo stesso non era ancora attribuito al giudice, così da determinare quell’alterazione che si pone al di fuori del sistema processuale e che ancora una volta risulta confinante con il profilo dell’abnormità strutturale.
4.4. Ma, a fronte della perentoria conclusione, in tema di regressione anomala, espressa dalla sentenza Battistella, la giurisprudenza successiva (in particolare Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni, Rv. 243590) ha delineato una nozione di abnormità, da un lato, inserita nel solco ormai consolidato, ma, dall’altro, volta a ridimensionare la possibilità di riconoscere automaticamente valore sintomatico alla regressione del procedimento.
Esaminando il provvedimento con cui il giudice del dibattimento – rilevata l’invalidità della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini di cui all’art. 415- bis cod. proc. pen., in realtà ritualmente eseguita – dichiari erroneamente la nullità del decreto di citazione a giudizio, disponendo la trasmissione degli atti al p.m., ne ha esclusa l’abnormità, in quanto si tratta di provvedimento che, lungi dall’essere avulso dal sistema, costituisce espressione dei poteri riconosciuti al giudice dall’ordinamento e che non determina la stasi del procedimento, potendo il p.m. disporre la rinnovazione della notificazione del predetto avviso.
Si è sottolineato come l’abnormità si traduca in uno sviamento della funzione giurisdizionale, che si colloca al di là del perimetro entro il quale è riconosciuta dall’ordinamento, tanto nel caso di atto strutturalmente eccentrico, quanto nell’ipotesi di atto normativamente disciplinato ma utilizzato al di fuori dell’area che ne individua la funzione e la ragion d’essere, essendo rilevante ai fini dell’abnormità dell’atto l’esistenza o meno del potere di adottarlo. In tal modo l’abnormità strutturale e quella funzionale sono riconducibili ad un fenomeno unitario, per cui se è riconoscibile l’attribuzione in ordine all’adottabilità di un atto, gli eventuali vizi possono essere solo quelli previsti dalla legge, a prescindere dal fatto che ne derivi la regressione del procedimento, diversamente dovendosi ravvisare l’abnormil:à e l’esigenza di rimozione.
Si è ribadita la rilevanza dell’abnormità funzionale implicante una crisi di funzionamento del processo per stasi o indebita regressione e si è sottolineato che il sistema è ispirato dal principio di non regressione, come riconosciuto anche dalla Corte costituzionale (Corte cost., sent. n. 236 del 2005).
Ma, nel contempo, si è rimarcata la necessità di un inquadramento rigoroso di un istituto che ha caratteri di eccezionalità, e si è escluso che la nozione possa essere riferita a situazioni di mera illegittimità, considerate altrimenti non inquadrabili e non rimediabili.
Si è sottolineato il limite logico rappresentato dai vizi innocui in caso di sopravvenuta irrilevanza dell’anomalia, in quanto sia stato esercitato un potere non spettante, che tuttavia non abbia determinato alcuna anomalia in ragione di attività propulsive legittime.
Ed ancora, per stigmatizzare la necessità di un adeguato inquadramento della nozione, si è segnalato che l’abnormità è prevista quale illecito disciplinare del magistrato nel caso di adozione di provvedimento non previsto da norme vigenti.
In tale prospettiva, nel rapporto tra giudice e pubblico ministero si è delimitata l’abnormità strutturale in termini di «esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall’ordinamento (carenza di potere in astratto) ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale, nel senso di esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una situazione legale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge, cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di oltre ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto)».
L’abnormità funzionale, ravvisabile nei casi di stasi del procedimento e di impossibilità di proseguirlo, è stata riferita all’ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo, rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo: solo in tali limiti il pubblico ministero può ricorrere, lamentando che il conformarsi minerebbe la regolarità del processo; altrimenti è tenuto ad ottemperare, in un sistema che non ammette la possibilità di conflitto in caso di contrasto tra pubblico ministero e giudice, senza che possa dirsi di per sé caratterizzante dell’abnormità l’effetto della regressione del processo ad una fase precedente.
Va al riguardo osservato come la sentenza Toni specificamente valorizzi l’analisi e le conclusioni della richiamata sentenza Manca, riferita ad un caso di regressione fuori sistema, in tal modo intendendo ridimensionare la portata della regressione indebita, che alla luce di tale condivisibile analisi può dare luogo ad un profilo di abnormità rilevante sul piano strutturale, secondo l’unificante definizione che la stessa sentenza Toni fornisce, ovvero sul piano funzionale, in quanto si determini una situazione di stasi, che peraltro nel rapporto tra giudice e pubblico ministero è ravvisabile alla sola condizione che ad essa si accompagni l’imposizione di un adempimento che dia luogo ad una nullità rilevabile.
Le sentenze successive, anche quando hanno ribadito la consolidata nozione di abnormità e fatto riferimento alla distinzione tra abnormità strutturale e funzionale (Sez. U, n. 40984 del 20/03/201.8, Gianforte, Rv. 273581; Sez. U, n. 4319 del 28/11/2013, dep. 2014, L., Rv. 257786), non hanno comunque inteso smentire le conclusioni della sentenza Toni o l’hanno espressamente condivisa, in una prospettiva di delimitazione della nozione di atto abnorme (Sez. U. n. 10728 del 16/12/2021, dep. 2022, Fenucci, Rv. 282807; Sez. U. n. 20569 del 18/01/2018, Ksouri, Rv. 272715).
Inoltre, è stato sottolineato che l’impugnazione avverso un atto abnorme deve essere comunque sorretta da un interesse del ricorrente alla rimozione del concreto pregiudizio derivante da quell’atto (sul punto, specificamente, la richiamata sentenza Gianforte).
- E’ dunque alla luce di tale quadro ricostruttivo e dell’articolata elaborazione della nozione di atto abnorme, cui è pervenuta la giurisprudenza delle Sezioni Unite, che deve essere esaminato il tema devoluto dalla Sezione rimettente.
5.1. Come segnalato nell’ordinanza di rimessione, esiste effettivamente un contrasto interpretativo in ordine alla qualificazione come abnorme del provvedimento con cui il giudice dell’udienza preliminare indebitamente restituisca gli atti al pubblico ministero sull’erroneo presupposto che debba procedersi con citazione diretta a giudizio.
Le pronunce in materia, anche se spesso richiamano indistintamente i precedenti con i quali è stata affermata o negata l’abnormità, Si riferiscono, a ben guardare, a tre diverse tipologie di provvedimenti.
5.2. Tra le sentenze, che concludono nel senso dell’abnormità, in particolare se ne segnalano talune (Sez. 3, n. 3719 del 14/01/2022, Wang, non massimata; Sez. 2, n. 28304 del 25/06/2021, Ariani, Rv. 281802; Sez. 3, n. 29703 del 03/06/2021, D’Attilio, non massimata; Sez. 3, n. 18297 del 04/03/2020, Castigliola, Rv. 279238) che prendono in considerazione casi analoghi a quello oggetto del presente procedimento, caratterizzati dall’erroneo apprezzamento della pena edittale prevista per il reato, al momento dell’esercizio dell’azione penale, sia pur in base a modifica sopravvenuta rispetto alla data di commissione del reato.
Altre pronunce (Sez. 5, n. 21496 del 25/02/2021, Diarra, non massimata; Sez. 6, n. 10902 del 08/11/2018, Puglisi, non massimata; Sez. 5, n. 35153 del 10/04/2016, Branca, Rv. 2677661; Sez. 3, n. 51424 del 18/09/2014, Longhi, Rv. 261397; Sez. 3, n. 25204 del 08/05/2008, Lunetto, Rv. 240246) riguardano situazioni nelle quali non era stata debitamente valutata la tipologia di reato, rientrante tra le attribuzioni del collegio, ovvero non era stata correttamente computata la pena edittale in conseguenza della mancata considerazione di aggravanti o dell’erronea qualificazione come reato autonomo di ipotesi nelle quali la pena discendeva in realtà dal computo di circostanze attenuanti ad effetto speciale.
Infine, altre sentenze (Sez. 1, n. 30062 del 29/09/2020, I3ianco, Rv. 279729; Sez. 3, n. 12706 del 21/02/2019, Cavalera, non massimata; Sez. 5, n. 10531 del 20/02/2018, Lazzarini, Rv. 272593; Sez. 1, n. 10666 del 27/01/2015, Comparone, Rv. 262694; Sez. 5, n. 15051 del 22/02/2012, De Cicco, Rv. 252475; Sez. 5, n. 31975 del 10/07/2008, Ragazzoni, Rv. 241162) hanno ad oggetto ipotesi, nelle quali la restituzione degli atti era stata disposta alla luce della riqualificazione del fatto in reato per il quale è prevista la citazione diretta, tema peraltro affrontato anche dalla sentenza Longhi, inclusa nel gruppo precedente (in tale alveo rientrano anche plurime sentenze, non massimate, riguardanti provvedimenti di restituzione ex art. 33 -sexies cod. proc. pen., emessi a seguito della riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309).
5.3. Nel senso dell’esclusione dell’abnormità si registrano corrispondentemente pronunce che si riferiscono a casi analoghi a quello oggetto del presente procedimento (Sez. 5, n. 30834 del 03/07/2014, Fan, non massimata, riferita al reato di cui all’art. 612-bis cod. pen.), sentenze nelle quali un’aggravante non era stata reputata rilevante al fine di concorrere alla determinazione della pena (Sez. 6, n. 6945 del 05/02/2019, Alioti, Rv 275083) e altre pronunce riguardanti provvedimenti di restituzione degli atti fondati sulla previa riqualificazione del fatto in reato per il quale è prevista la citazione diretta (Sez. 2, n. 23814 del 17/07/2020, Salvo Raffaella, Rv. 279547; Sez. 2, n. 7320 del 02/02/2012, Montinari, non massimata; Sez. 4, n. 45437 del 01/12/2010, Rink, non massimata; Sez. 2, n. 40143 del 22/10/2010, T., non massimata; Sez. 6, n. 41037 del 20/10/2009, Betti, Rv. 245033; Sez. 4, n. 18308 del 03/02/2009, Gronen, non massimata; Sez. :I, n. 47766 del 06/11/2008, Lungari, Rv. 242747; Sez. 4, n. 14495 del 19/09/2006, Canonico, non massimata).
- Tutte le sentenze richiamate muovono dal medesimo quadro di riferimento, delineato dalle plurime pronunce delle Sezioni Unite in ordine alla nozione di abnormità: peraltro la diversità delle situazioni trova riscontro negli argomenti concretamente valorizzati.
6.1. In particolare le sentenze che ravvisano l’abnormità con riferimento a provvedimenti riconducibili alle prime due tipologie, pur richiamando anche sentenze riferite all’ipotesi della previa riqualificazione, valorizzano il profilo dell’indebita regressione a fase esaurita e soprattutto le più recenti sentenze Ariani e Castigliola, alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza Toni, fanno specifico riferimento all’abnormità funzionale, derivante dal fatto che il provvedimento, pur adottato nell’esercizio di un potere in astratto attribuito al giudice, imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizza un atto nullo, rilevabile nel corso del processo, che comporta un nuovo esercizio dell’azione penale con modalità meno garantita e, in caso di eccezione di nullità, una nuova ordinanza di trasmissione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell’art. 550, comma 3, cod. proc. pen.
Le sentenze che, in casi corrispondenti, giungono a conclusioni opposte, rilevano che il provvedimento non è estraneo al sistema normativo e non determina alcuna irrimediabile stasi processuale, in quanto non assume rilievo, alla luce di quanto rappresentato dalle Sezioni Unite nella sentenza Toni, costituente la principale base di sostegno di tale orientamento, il mero fatto della regressione del procedimento e, nel contempo, il pubblico ministero ha l’obbligo di uniformarsi alla decisione del giudice, in assenza della possibilità di sollevare conflitto ai sensi dell’art. 28 cod. proc. pen., fermo restando che il sistema contempla il rimedio previsto dall’art. 550, comma 3, cod. proc. pen., al fine di ottenere dal giudice del dibattimento una nuova ordinanza di restituzione degli atti al g.u.p., che quest’ultimo non potrebbe contestare, stante il disposto dell’art. 28, comma 2, cod. proc. pen. che riconosce la prevalenza della decisione del giudice del dibattimento.
6.2. Relativamente ai provvedimenti basati sulla previa riqualificazione, le sentenze che ravvisano l’abnormità muovono dal presupposto che spetti al giudice la modifica, la precisazione o la correzione di errori eventualmente contenuti nell’imputazione, che, peraltro, deve avvenire nel rispetto dei principi sanciti dalla giurisprudenza costituzionale, quale esito di una lettura estensiva del meccanismo previsto dall’art. 423, comma 1, cod. proc. pen. e dell’applicazione analogica dell’art. 521, comma 2, cod. proc. pen. (Corte cost., sent. n. 88 del 1994; n. 131 del 1995; n. 384 del 2006).
Pertanto, si assume (così le sentenze Lazzarini e Comparone, nonché la sentenza Ragazzoni), il giudice dell’udienza preliminare può «ridurre» l’imputazione ed anche prosciogliere l’imputato se ritenga di escludere la sussistenza del fatto contestato, ma può procedere in tal senso soltanto a condizione che ricorrano i relativi presupposti e nel rispetto della sequenza procedimentale chiarita dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 5307 del 2008, Battistella, cit.) e di quanto disposto dagli artt. 425 e 429 cod. proc. pen. Non è, invece, consentito al giudice disporre la restituzione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell’art. 33 -sexies cod. proc. pen. mediante un provvedimento irritualmente adottato a seguito della modificazione dell’accusa prospettata dal pubblico ministero nella richiesta di rinvio a giudizio, operata in via autonoma e non contestabile.
Si sottolinea, in tale prospettiva, che viene in rilievo l’abnormità del provvedimento sul piano funzionale, in quanto si determina un’indebita regressione del processo, considerando anche che sarebbe impedita al pubblico ministero la possibilità di insistere sull’originaria imputazione, essendo precluso ai sensi dell’art. 521-bis cod. proc. pen. il ricorso ad una contestazione suppletiva, ciò che darebbe luogo ad una situazione di stasi processuale.
L’opposto indirizzo valorizza (così la sentenza Betti) la circostanza che anche il giudice dell’udienza preliminare possa dare al fatto una diversa qualificazione giuridica, quale espressione del principio di legalità (si richiamano Corte cost., sent. n. 347 del 1991 e n. 112 del 1994, nonché Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619), e che l’alternativa tra sentenza di non luogo a procedere e rinvio a giudizio sussiste solo a condizione che non debba applicarsi l’art. 33- sexies cod. proc. pen., senza che possa determinarsi una stasi processuale, dato l’obbligo del pubblico ministero di conformarsi alla decisione, fermo il potere del giudice del dibattimento, su eccezione di parte, di procedere al sensi dell’art. 550, comma 3, cod. proc. pen.
6.3. Tale dibattito trova eco nell’ordinanza di rimessione, in cui con riguardo al caso della riqualificazione si segnala la rilevanza di una recente decisione delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 48590 del 18/04/2019, Sacco, Rv. 277304), dalla quale può desumersi che il giudice dell’udienza preliminare può procedere alla riqualificazione del fatto, ma solo ai fini dell’eventuale rinvio a giudizio per il fatto riqualificato: nel contempo, con riferimento alle altre ipotesi, compresa quella oggetto del presente procedimento, si sottolinea che, a contrario, dalla sentenza Sacco potrebbe trarsi conferma dell’insussistenza dell’abnormità, salvo che possa dirsi concretamente ed effettivamente ravvisabile, secondo i principi affermati nella sentenza Toni, l’imposizione di un adempimento che dia luogo ad un atto nullo, soluzione che viene problematicamente prospettata.
- Così ricostruiti i termini del contrasto, queste Sezioni Unite condividono l’orientamento favorevole alla ravvisabilità dell’abnormità del provvedimento, con cui, nelle varie ipotesi menzionate, sia disposta indebitamente la restituzione degli atti al pubblico ministero.
Deve peraltro convenirsi con quanto rilevato nell’ordinanza di rimessione in ordine alla diversità dell’ipotesi della restituzione degli atti, disposta ai sensi dell’art. 33-sexies cod. proc. pen., previa riqualificazione del fatto, rispetto a tutte le altre.
Come opportunamente segnalato dalla Sezione rimettente, assume in tale quadro un rilievo decisivo la ricognizione, operata dalle Sezioni Unite nella sentenza Sacco, delle prerogative decisorie del giudice dell’udienza preliminare.
Nell’affermare il principio per cui “Gli effetti della connessione sull’attribuzione monocratica o collegiale si determinano al momento del rinvio a giudizio e, qualora venga meno la connessione per effetto di pronuncia di sentenza di proscioglimento e residuino solo reati per i quali è previsto il decreto di citazione a giudizio, il giudice dell’udienza preliminare deve disporre il rinvio a giudizio dinanzi al tribunale in composizione monocratica”, le Sezioni Unite hanno posto in correlazione il disposto dell’art. 33-sexíes cod. proc. pen. cori quello dell’art. 33- quinquies in ordine ai limiti temporali di deducibilità e rilevabilità dei vizi in materia di attribuzione dei procedimenti.
Da ciò desumono che il modulo procedurale previsto all’art. 33-sexíes cod. proc. pen. è riferito ai casi in cui il vizio nella modalità dell’esercizio dell’azione è desumibile dalla stessa formulazione dell’imputazione; ha riguardo, cioè, ai fatti-reato così come contestati dal pubblico ministero, non già a quelli, eventualmente ridotti o diversi, ritenuti dal giudice all’esito dell’esame nel merito della richiesta di rinvio a giudizio e degli atti sui quali essa si fonda (affermazione su cui si basano tutte le sentenze richiamate, con cui è stata ravvisata l’abnormità del provvedimento di restituzione degli atti, conseguente alla previa riqualificazione).
In tal modo, pur essendosi esplicitamente ribadito quanto affermato dalla Corte costituzionale (Corte cost., sent. n. 88 del 1994) e dalle Sezioni Unite (sentenza Battistella), nel senso che l’intervento del giudice per assicurare la costante corrispondenza dell’imputazione a quanto emerge dagli atti costituisce un atto doveroso e un’esigenza insopprimibile, non solo a garanzia del diritto di difesa dell’imputato e dell’effettività del contraddittorio, ma anche al fine di consentire che il controllo giurisdizionale sul corretto esercizio dell’azione penale si svolga in piena autonomia, si è nondimeno escluso che la riqualificazione possa giustificare la regressione del procedimento, dovendosi al contrario ritenere che la stessa possa accompagnarsi ai tipici esiti decisori dell’udienza preliminare, secondo l’alternativa tra sentenza di non luogo a procedere e rinvio a giudizio (in linea con quanto esposto nelle sentenze Lazzarini, Comparone, Longhi e Ragazzoni; non si pone in contrasto con tale impostazione Sez. 6, n. 2534 del 13/11/2003, dep. 2004, Bukvic, Rv. 228280, che ha escluso l’abnormità della decisione, con cui il giudice dell’udienza preliminare, pur riqualificando il fatto in reato che consente la citazione diretta a giudizio, abbia disposto il rinvio a giudizio).
Va, del resto, rilevato che la qualificazione costituisce esercizio di un potere che è stato legislativamente delineato come strettamente inerente ad un esito decisorio tipico, tanto da essere stato espressamente contemplato dall’art. 521 cod. proc. pen., anche se la qualificazione può riguardante anche procedimenti incidentali, come quelli riguardanti misure cautelari (sul punto la richiamata sentenza delle Sezioni Unite n. 16 del 1996, Di Francesco), potendo il giudice assumere iniziative di carattere strumentale„ volte ad assicurare quel tipico esito (come nel caso dell’invito rivolto al pubblico ministero di precisare e/o integrare la contestazione), in un quadro connotato dal progressivo sviluppo del procedimento, rispetto al quale la regressione dello stesso assume invece carattere eccezionale, in quanto quello sviluppo si renda impossibile.
Ciò significa che in sede di udienza preliminare è in radice esclusa la possibilità di restituzione ex art. 33-sexies cod. proc. pen., fondata sulla riqualificazione del fatto, e che dunque la regressione, che discenda da un siffatto provvedimento risulta atipica, in quanto disposta in assenza dell’attribuzione al giudice del relativo potere.
Fermo restando che nei casi indicati deve ritenersi necessario lo svolgimento dell’udienza preliminare, in luogo della sequenza procedimentale basata sul decreto di citazione diretta a giudizio, e che, dunque, valgono anche le considerazioni che saranno di seguito esposte, riferite alle altre tipologie di provvedimenti di restituzione indebita degli atti, deve comunque fin d’ora osservarsi che nel caso della previa riqualificazione, pur seguendo la rigorosa e restrittiva impostazione della sentenza Toni, il provvedimento risulta abnorme, in quanto tale da determinare uno sviamento della funzione giurisdizionale per effetto di una regressione disposta in radice al di fuori dei casi in astratto contemplati, la quale, nel rapporto tra giudice e pubblico ministero, assume rilievo sia sotto il profilo strutturale che sotto il profilo funzionale (nel quadro evocato non solo dalla sentenza Battistella, ma anche dalle sentenze Manca, Romano e Baldan, la prima delle quali specificamente richiamata dalla sentenza Toni a sostegno della propria analisi).
Altera, infatti, l’ordo processus, cioè l’ordinato svolgimento della sequenza procedimentale, in violazione del principio di non regressione, con conseguente vulnus ai principi di efficienza e ragionevole durata del processo, e determina una situazione di stasi processuale, in quanto il pubblico ministero, che non può sollevare conflitto ai sensi dell’art. 28 cod. proc. pen. (sul punto Sez. U, n. 9605 del 28/11/2013, dep. 2014, Seghaier, Rv. 257989–01), si troverebbe costretto ad uniformarsi alla qualificazione prospettata dal giudice, di per sé implicante la citazione diretta, e nella sostanziale impossibilità di insistere sull’originaria imputazione, attesa anche la preclusione di contestazioni suppletive, in forza della disciplina dettata dall’art. 521-bis cod. proc. pen.
Deve al riguardo aggiungersi che, proprio per il fatto che il nuovo decreto di citazione sarebbe emesso con riguardo ad una qualificazione del fatto rientrante nei limiti di applicabilità della citazione diretta a giudizio, non costituirebbe idoneo strumento compensativo la possibilità di formulare eccezione dinanzi al giudice del dibattimento in limine litis ai sensi dell’art. 550, comma 3, cod. proc. pen., se non ammettendo che il giudice possa a sua volta operare in quella fase, peraltro diversa da quella decisoria, una diversa qualificazione.
Tale soluzione interpretativa non sembra in linea neppure con la ristretta base cognitiva di cui il giudice dispone in quello stadio del processo e induce invece a stabilire un parallelismo tra il tipo di valutazione demandata al g.u.p ai sensi dell’art. 33 -sexíes cod. proc. pen. e al giudice del dibattimento ai sensi dell’art. 550, comma 3, cod. proc. pen., nel senso che debbano riferirsi entrambe al vizio eventualmente emergente dalla contestazione operata dal pubblico ministero.
- Può concludersi nel senso dell’abnormità anche con riguardo ai provvedimenti di restituzione indebita, diversi da quelli fondati sulla previa riqualificazione.
8.1. I principi affermati dalla sentenza Sacco, valorizzati anche nell’ordinanza di rimessione, non possono essere ritenuti idonei ad escludere, per contro, la ravvisabilità dell’abnormità, al di fuori dell’ipotesi della previa riqualificazione, dovendosi considerare la concreta dinamica dei rapporti tra giudice e pubblico ministero e il tipo di alterazione che il provvedimento di indebita restituzione finisce per produrre. In questi casi viene in rilievo un potere in astratto attribuito al giudice ed esercitato nella sede propria e nel tempo previsto, ma in violazione della concreta disciplina sul riparto dei procedimenti e oltre i limiti consentiti, così da determinare un’alterazione nello sviluppo della sequenza procedimentale.
Ciò non si traduce solo in una violazione dei principi di rilievo costituzionale, ex art. 111, comma 2, Cost., di efficienza e di ragionevole durata, valorizzati nella sentenza Battistella, ma anche in una situazione di stasi, derivante non dal mero fatto della regressione in sé, quanto dall’imposizione al pubblico ministero di un adempimento contra legem, che dà luogo ad un atto affetto da nullità, rilevabile nel corso del giudizio. In tale prospettiva è ravvisabile l’abnormità dell’atto, in linea con gli assunti della sentenza Toni, poi riproposti da successive sentenze.
8.2. Proprio sull’individuazione di un atto nullo si fondano, del resto, le richiamate sentenze Ariani e Castigliola, mentre la problematicità di tale individuazione, nell’ambito della disciplina dettata dal capo VI -bis del Titolo I del codice di rito, ha condotto la Sezione rimettente a prendere atto del contrasto e a rimettere la questione alle Sezioni Unite.
Ma, a ben guardare, non vi è motivo di nutrire dubbi in ordine alla configurabilità della prospettata nullità. Le disposizioni in materia di riparto di attribuzioni di cui al capo VI -bis del Titolo I del codice di rito, pur non equiparabili a quelle sulla competenza, sono comunque volte ad assicurare l’ordinato sviluppo del procedimento, scongiurando possibili interferenze tra le attribuzioni degli organi giudicanti e potenziali pregiudizi alle facoltà delle parti, e contemplano rimedi per il caso in cui si verifichino errori.
Sono previsti in particolare limiti e termini di deducibilità delle relative questioni, da correlarsi anche a norme inserite altrove, come l’art. 550, comma 3, cod. proc. pen., particolarmente rilevante ai presenti fini.
La disciplina si inserisce dunque pienamente nel complessivo sistema e non vale a ridurre l’ambito delle garanzie assicurate alle parti, salva la previsione di specifiche deroghe.
Non sono previste specifiche cause di nullità, ma è ricorrente tuttavia l’affermazione che l’erronea attribuzione di un processo determina un vizio assimilabile alla nullità a regime intermedio„ suscettibile di essere rilevato entro precise scansioni temporali (sul punto, Sez. 2, n. 11649 del 08/03/2019, La Porta, in motivazione).
Deve a questo punto osservarsi che l’udienza preliminare rappresenta uno snodo processuale maggiormente garantito, la cui mancanza produce un evidente, specifico vulnus alle facoltà difensive: pur in mancanza dell’espressa qualificazione del vizio quale nullità, non sembrano tuttavia frapporsi ostacoli al suo inquadramento tra quelle generali di tipo intermedio (come in effetti riconosciuto anche da Sez. 1, n. 5967 del 04/12/2014, dep. 2015, Galeotti, Rv. 262426; Sez. 5, n. 9875 del 30/01/2014, Gorreri, Rv. 262433; Sez. 6, n. 7774 del 17/01/2002, Bonora, Rv. 221533, sia pur non sempre sulla base di un’espressa indicazione del suo fondamento), in quanto riconducibili all’intervento e all’assistenza delle parti ex art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc.
La nullità riguarda, in particolare, l’atto propulsivo che pretermette lo svolgimento dell’udienza preliminare, ed è certamente rilevabile nello sviluppo del processo.
Peraltro, la mancanza dell’udienza preliminare dà luogo anche ad una grave alterazione della corretta sequenza procedimentale, che concerne, fra l’altro, la competenza funzionale in materia di riti alternativi, oltre a determinare la diretta esposizione delle parti ad una fase processuale connotata da pubblicità, prima del momento in cui il vaglio assicurato dal giudizio demandato al giudice dell’udienza preliminare sia stato svolto.
Tali considerazioni, è bene precisare, non valgono invece nell’ipotesi inversa, cioè quella dello svolgimento, pur non previsto, dell’udienza preliminare, la quale costituisce una causa di espansione delle facoltà difensive e la cui fissazione non può di per sé dare luogo ad alcuna nullità, salva la deducibilità, con le modalità e nei limiti stabiliti, della relativa questione, al fine di salvaguardare l’assetto normativamente previsto.
Tutto ciò trova pieno riscontro in quanto affermato dalle Sezioni Unite (nella motivazione della sentenza Sacco) e dalla Corte costituzionale (Corte cost., sent. n. 183 del 2003), che nell’esaminare la prospettata questione di illegittimità costituzionale dell’art. 33-sexies cod. proc. pen. per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede la restituzione in termini dell’imputato per la richiesta di riti alternativi, nel caso di svolgimento di udienza preliminare, a rigore, non prevista per il titolo di reato contestato, ha escluso qualsivoglia profilo di incostituzionalità, segnalando che si tratta di sequenza procedimentale maggiormente garantita.
Del resto, la conferma di tale analisi può trarsi della centralità del ruolo assunto dallo svolgimento dell’udienza preliminare nella disciplina dedicata dal codice di rito ai vari tipi di patologie che possono verificarsi in sede di riparto di attribuzioni: può infatti rimarcarsi che, nel caso di svolgimento dell’udienza preliminare, può porsi solo una questione di riparto delle attribuzioni in senso orizzontale (artt. 33-septies, comma 1, cod. proc. pen.; art. 516, comma 1-bis cod. proc. pen.), essendo prevista invece la trasmissione degli atti al pubblico ministero nei casi in cui sia rilevata la mancata celebrazione dell’udienza preliminare (art. 33-septies, comma 2, cod, proc. pen. e art. 516, comma 1-ter cod. proc. pen), tema che forma oggetto di analisi anche nella motivazione della sentenza Sacco.
Coerente con tale impostazione risulta l’assunto della non riconducibilità al sistema del provvedimento con cui il tribunale in composizione monocratica, pur dopo lo svolgimento dell’udienza preliminare, rilevi che il processo va attribuito all’organo collegiale e disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero, così determinando un’indebita regressione (Sez. 3, n. 51011 del 24/10/2013, Diodato, Rv. 257917).
Sulla base delle considerazioni che precedono non possono nutrirsi dubbi in ordine al fatto che la questione del mancato svolgimento dell’udienza preliminare, ove tempestivamente dedotta, possa essere riproposta nel corso del giudizio, anche in sede di impugnazione, pur non essendo specificamente menzionata dall’art. 33-octies, cod. proc. pen.
Non possono inoltre desumersi argomenti di segno contrario dal disposto dell’art. 33-novies, cod. proc. pen., che esclude l’invalidità degli atti e l’inutilizzabilità delle prove per il solo fatto dell’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale. Va invece rilevato come sia stata ribadita l’insussistenza di una nullità nel caso della celebrazione dell’udienza preliminare, seppur non prevista per il reato oggetto del procedimento (in tal senso, in motivazione, Sez. 2, n. 9876 del 12/02/2021, Macrì, già richiamata in ordine all’applicabilità del principio «tempus regit actum»).
8.3. In definitiva, al di là delle differenze strutturali rilevate nel caso della previa riqualificazione, suscettibile di specifica valutazione, deve comunque ritenersi, alla luce dei condivisi principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza Toni, che in tutti i casi di indebita restituzione degli atti ai sensi dell’art. 33-sexies cod. proc. pen., perché si proceda con citazione diretta a giudizio, ricorra almeno un’ipotesi di abnormità funzionale, da cui discende una situazione di stasi, in quanto il provvedimento, di cui non può direttamente ravvisarsi e dichiararsi la nullità, si risolve nell’imposizione di un successivo adempimento, cioè l’atto di impulso consistente nell’emissione del decreto di citazione diretta a giudizio, che è affetto da nullità rilevabile nello sviluppo del processo, nullità che nella sentenza Toni non è stata qualificata e che non deve essere inquadrata tra le nullità assolute.
Conseguentemente il pubblico ministero, il quale non può opporsi al provvedimento, sollevando conflitto, ha uno specifico interesse alla sua rimozione, non essendo a tal fine sufficiente il meccanismo contemplato dall’art. 550, comma 3, cod. proc. pen., incentrato sulla successiva formulazione dinanzi al giudice del dibattimento di eccezione avente ad oggetto il mancato svolgimento della prevista udienza preliminare.
Non si tratta tanto di evitare il relativo, tortuoso meccanismo processuale quanto di prendere atto dell’esigenza di scongiurare l’imposizione di un atto derivante da una patologia processuale e affetto da nullità rilevabile, e del conseguente interesse a ricorrere, correlato all’esigenza di assicurare l’ordinato svolgimento del processo, secondo le cadenze prestabilite, evitando l’adozione di un successivo atto nullo, idoneo ad arrecare pregiudizio alle parti, la cui costituzione nel giudizio dibattimentale si sarebbe potuta prevenire con lo svolgimento dell’udienza preliminare.
Non può valere ad escludere il prospettato profilo di abnormità l’esigenza, pur avvertita dalla sentenza Toni, di restringere la nozione di atto abnorme, che fra l’altro può costituire illecito disciplinare del magistrato, in base a quanto previsto dall’art. 2, comma 1, lett. ff), d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, che fa riferimento all’adozione di provvedimenti non previsti da norme vigenti ovvero sulla base di un errore macroscopico o di grave e inescusabile negligenza.
Va, peraltro, osservato che in questa sede si discute di una nozione che assume rilievo tecnico-processuale, mentre la formula usata per definire l’illecito disciplinare fa immediato riferimento ad un’ipotesi di provvedimento emesso in carenza di potere, primariamente produttivo di sviamento della giurisdizione in chiave strutturale, e rinvia più in generale, nella prospettiva deontologica, ad un complessivo giudizio di macroscopicità e di inescusabilità, che, al di fuori di qualsivoglia automatismo, implica la valutazione del caso concreto (per la nozione di atto abnorme a fini deontologici, può richiamarsi Sez. U, civ., n. 11431 del 12/05/2010, in motivazione, in cui abnorme è stato riconosciuto «l’atto adottato da qualsiasi giudice oltre i limiti di legge o per fini diversi da quelli sanciti dalle norme»).
- All’esito dell’analisi condotta può dunque formularsi il seguente principio: «E’ abnorme, e quindi ricorribile per cassazione, l’ordinanza del giudice dell’udienza preliminare che, investito di richiesta di rinvio a giudizio, disponga, ai sensi dell’art. 33-sexies, cod. proc. pen., la restituzione degli atti al pubblico ministero sull’erroneo presupposto che debba procedersi con citazione diretta a giudizio, trattandosi di atto che impone al pubblico ministero di compiere una attività processuale contra legem ed in violazione dei diritti difensivi, successivamente eccepibile, ed è idoneo, pertanto, a determinare una indebita regressione, nonchè la stasi del procedimento».
- Alla luce di tale principio deve ritenersi che nel caso in esame il provvedimento impugnato non sia solo illegittimo, ma debba considerarsi abnorme, in quanto tale da imporre al pubblico ministero un adempimento contra legem, destinato a dare luogo ad un atto nullo.
Ne discende che il ricorso è ammissibile e in concreto fondato e che il provvedimento impugnato deve essere annullato senza rinvio con trasmissione degli atti al Tribunale di Prato – Ufficio del Giudice dell’udienza preliminare -, per l’ulteriore corso.