Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza 23 novembre 2023, n. 32559
PRINCIPI DI DIRITTO
La questione relativa alla titolarità di una posizione qualificabile come interesse legittimo collettivo, che attribuisce agli enti associativi esponenziali la legittimazione ad agire per la tutela giurisdizionale innanzi al giudice amministrativo, integra un problema di giurisdizione, in quanto attiene ai limiti esterni delle attribuzioni di detto giudice ed è deducibile con ricorso alla Suprema Corte ex artt. 362 c.p.c. e 111, comma 8, Cost.
Pertanto, se la posizione soggettiva fatta valere ha consistenza di interesse legittimo collettivo, il giudice amministrativo, essendo fornito della giurisdizione, è tenuto ad esercitarla, incorrendo altrimenti in diniego o rifiuto della giurisdizione, vizi censurabili dalle Sezioni Unite.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.- Il SIB, interventore volontario nella fase dinanzi all’A.P. del giudizio introdotto dal sig. Caretto in primo grado e in altro giudizio promosso in appello da un altro concessionario, ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
1.1.- Il primo motivo si articola in due profili, in relazione agli articoli 3, 24, 111, comma 1° e 2°, Costituzione: a) con il primo è denunciato l’illegittimo diniego della giurisdizione, per avere l’A.P. ritenuto inammissibile, in via generale e a priori, l’intervento del SIB, al pari di tutti gli interventi proposti da altri enti e associazioni di categoria (persino di quelli già ammessi dal giudice di primo grado, come la Federazione italiana imprese demaniali), senza alcun esame concreto dello statuto di SIB (e degli statuti degli altri enti e associazioni di categoria) da cui risultava evidente la funzione primaria di SIB di rappresentanza e difesa, in ambito nazionale, delle istanze ed esigenze delle aziende turistico-balneari e della «esistenza stessa di tutte le imprese associate», irragionevolmente rinnegando la costante giurisprudenza amministrativa in tema di ammissibilità degli interventi volontari degli enti esponenziali di interessi collettivi e negando, aprioristicamente e indiscriminatamente, ogni forma di tutela giurisdizionale dell’interesse superindividuale; b) con il secondo profilo la sentenza impugnata è censurata nella parte in cui ha escluso che, a seguito del deferimento all’A.P. di questioni comuni a una serie di giudizi pendenti davanti al Consiglio di Stato, sia ammissibile l’intervento davanti alla stessa A.P. di un’associazione che è parte in uno di tali giudizi ma non in quello specificamente deferito; per questa ragione è denunciata l’illegittimità costituzionale dell’art. 99, comma 2, cod. proc. amm., per cui si chiede di sollevare questione dinanzi alla Corte costituzionale, assumendosi «evidente che il potere attribuito al Presidente del Consiglio di Stato dall’art. 99, comma 2, cod. proc. amm., di deferire, anche d’ufficio, all’Adunanza plenaria “qualunque ricorso” – se inteso, tale potere, come nella specie è stato inteso, scegliendone uno “qualunque” tra una pluralità che presentavano la medesima questione di massima di particolare importanza – si risolve nella scelta arbitraria delle parti (e dei relativi difensori) abilitati a interloquire» (così in ricorso); «la imperscrutabile e insindacabile scelta» operata dal Presidente del Consiglio di Stato (con decreto n. 160/2021) «di due tra le tante cause in cui erano presenti le medesime questioni di massima di particolare importanza avrebbe in ogni caso precluso al SIB di far valere le proprie ragioni nella sede [A.P.] in cui si elaborava la soluzione anche della causa in cui esso aveva acquisito la qualità di parte» (così in ricorso).
Gli altri motivi possono essere sintetizzati come segue.
1.2.- Il secondo motivo si articola in due doglianze che imputano all’A.P. l’indebito esercizio di poteri legislativi: a) per violazione dell’articolo 288, comma 3, TFUE, assumendosi che la direttiva 2006/123/CE (articolo 12), cd. Bolkestein, in quanto ritenuta dall’A.P. self executing e immediatamente applicabile, abbia avuto l’effetto di liberalizzare direttamente (e non solo di armonizzare) le legislazioni nazionali, facendo di queste tabula rasa e creando un vuoto normativo riempito, nella specie, con le determinazioni dell’A.P. in sostituzione della disciplina nazionale globalmente disapplicata, in materia di affidamento delle concessioni balneari, nonostante la scelta della forma e dei mezzi adeguati al raggiungimento del risultato da raggiungere fosse rimessa all’ampia discrezionalità degli organi legislativi e amministrativi nazionali; così violando anche il principio secondo cui le direttive sufficientemente dettagliate, tardivamente o non correttamente trasposte, possono essere invocate solo dai singoli nei confronti dello Stato e non anche viceversa, non potendo lo Stato trarre vantaggio dal proprio inadempimento facendolo gravare sugli amministrati (principio del cd. estoppel); b) per violazione degli articoli 29 cod. proc. amm. e 21-nonies l. n. 241 del 1990, per avere qualificato gli atti amministrativi di proroga come meramente ricognitivi di una legge-provvedimento inapplicabile erga-omnes, ritenendoli tamquam non esset, così precludendo ai titolari delle concessioni la possibilità di esperire i mezzi di tutela che, invece, avrebbero avuto contro una eventuale decisione legislativa di contenuto analogo alla sentenza impugnata dell’A.P., la quale aveva assunto effetti ancora più radicali di quelli propri di una sentenza di incostituzionalità che non incide sugli atti amministrativi definitivi.
1.3.- Con il terzo motivo il ricorrente SIB denuncia la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, per avere l’A.P. esercitato direttamente poteri legislativi e amministrativi, sotto vari profili, e cioè per avere ritenuto: a) sempre e comunque certo l’interesse transfrontaliero per ciascuna concessione, escludendo qualsiasi valutazione in concreto al riguardo; b) sempre e comunque sussistente il requisito della «scarsità della risorsa naturale» mediante una diretta valutazione (riservata invece all’autorità amministrativa) della risorsa balneare globalmente considerata, senza alcuna considerazione delle logiche differenti sottese alle singole concessioni; c) per avere ritenuto cessate, alla scadenza del periodo provvisorio (31 dicembre 2023) stabilito dalla stessa A.P., tutte le concessioni in corso, con conseguente travolgimento dei giudicati che avessero disposto la proroga; d) per avere, appunto, arbitrariamente modulato gli effetti temporali della decisione, affermando che, scaduto il termine del 31 dicembre 2023, «tutte le concessioni demaniali in essere dovranno considerarsi prive di effetti, indipendentemente da se vi sia – o meno – un soggetto subentrante nella concessione», ammonendo anche che «eventuali proroghe legislative del termine così individuato (al pari di ogni altra disciplina comunque diretta ad eludere gli obblighi comunitari) dovranno naturalmente considerarsi in contrasto con il diritto dell’Unione e, pertanto, immediatamente non applicabili ad opera non solo del giudice, ma di qualsiasi organo amministrativo»; e) per avere indebitamente stabilito i criteri che dovrebbero essere adottati dalle amministrazioni nell’espletamento delle procedure di gara per le nuove assegnazioni.
1.4.- Con il quarto motivo il SIB lamenta l’invasione dei poteri della Corte costituzionale che – si afferma – avrebbe dovuto essere investita «della questione di legittimità costituzionale delle disposizioni dell’ordinamento processuale interno che, in nome del principio di primazia del diritto dell’Unione, imporrebbero la disapplicazione indiscriminata delle disposizioni legislative di proroga delle concessioni de quibus, per contrasto con gli artt. 4, 41, 42, 43 e 97 Cost., permettendole così di valutare la sussistenza dei cd. “controlimiti”».
1.5.- Con il quinto motivo SIB deduce il mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia sulle questioni controverse, al fine di valutare se l’applicazione della direttiva sia compatibile con il disposto del tuttora vigente articolo 49 cod. nav., il quale esclude ogni indennizzo per le opere e gli investimenti effettuati nel corso del rapporto dal concessionario uscente.
2.- L’Associazione Nazionale Approdi e Porti Turistici-ASSONAT ha proposto ricorso incidentale adesivo ai motivi del ricorso di SIB, in primo luogo deducendo il diniego di giurisdizione per la ingiustificata estromissione dal giudizio di appello (primo motivo), evidenziando ulteriormente (negli altri motivi) l’eccesso di potere giurisdizionale, per avere l’A.P. travalicato i limiti esterni della giurisdizione amministrativa e invaso la sfera sia del potere legislativo che di quello amministrativo. In particolare, l’A.P. si sarebbe spinta oltre la propria attività nomofilattica ed esegetica, avendo creato un novum jus, introducendo una norma «di diritto transitorio» con la previsione di un dies ad quem, diverso da quello previsto dalla normativa nazionale, per l’efficacia di tutte le concessioni in corso, ossia il 31 dicembre 2023, e di un termine per l’indizione delle gare, formulando anche i principi ad esse applicabili. Inoltre, la valutazione secondo cui la normativa nazionale in tema di proroga delle concessioni marittime sarebbe tamquam non esset darebbe luogo a ulteriori criticità in ordine all’ambito applicativo della decisione con specifico riferimento alle strutture portuali.
3.- La Regione Abruzzo, intervenuta nel giudizio dinanzi all’A.P., ha proposto ricorso incidentale adesivo al ricorso di SIB, formulando cinque motivi.
3.1.- Con il primo motivo la Regione Abruzzo, a sostegno della denuncia di diniego di giurisdizione per le ragioni già illustrate nel primo motivo di SIB, ha denunciato il grave e irreparabile vulnus al diritto di difesa, non avendo avuto la possibilità di rappresentare le proprie ragioni in giudizio, in quanto immotivatamente estromessa dal giudizio.
La Regione Abruzzo, premesso di essere un ente costituzionale ed esponenziale di una collettività territorialmente definita e portatrice di interessi differenziati, ha osservato che era interessata e legittimata a intervenire nella fase processuale dinanzi all’A.P., anche in ragione degli effetti orientativi che i principi affermati in materia di concessioni marittime producono sull’attività istituzionale, amministrativa e regolatoria della regione e degli altri enti territoriali ricompresi nel territorio regionale. In particolare, stabilire se sia obbligo (non soltanto dei giudici ma) anche dei singoli operatori della pubblica amministrazione applicare la normativa nazionale di proroga delle concessioni demaniali marittime, o disapplicarla per contrasto con la normativa unionale, avrebbe ricadute importanti sulle competenze amministrative e regolatorie della regione, la quale ha il dovere di orientare l’azione amministrativa non soltanto dei propri funzionari, ma anche delle amministrazioni e dei funzionari operanti nel territorio, chiamati a pronunciarsi sul tema della durata delle concessioni marittime. Inoltre, la Regione Abruzzo avrebbe un interesse diretto e immediato all’intervento in causa, in quanto su segnalazione dell’AGCM (AS1784) era stata invitata a modificare le istruzioni indirizzate agli enti locali in tema di proroga delle concessioni demaniali marittime.
3.2.- Con il secondo e terzo motivo la Regione Abruzzo ha denunciato l’eccesso di potere giurisdizionale, imputando all’A.P. di essersi sostituita al legislatore, dettando una vera e propria nuova disciplina delle concessioni balneari e compiendo apprezzamenti anche politici del tutto estranei allo statuto costituzionale della funzione giurisdizionale.
3.3.- Un analogo eccesso è stato denunciato nel quarto motivo, concernente la valutazione relativa alla sussistenza incondizionata di un interesse transfrontaliero certo, e nel quinto, concernente la valutazione direttamente compiuta dall’A.P. circa la «scarsità delle risorse» che sarebbe invece riservata all’autorità amministrativa.
4.- Il Procuratore Generale ha chiesto l’accoglimento del primo motivo dei ricorsi di SIB, della Regione Abruzzo e di ASSONAT, assorbiti tutti gli altri motivi.
5.- Preliminarmente si deve valutare se a una parte (qual è il SIB) interveniente adesiva nel giudizio di appello (dinanzi all’A.P.) sia consentito impugnare autonomamente per cassazione la sentenza sfavorevole alla parte adiuvata (sig. Caretto), alla luce della giurisprudenza di legittimità che lo esclude quando il ricorso per cassazione sia proposto da chi abbia spiegato in appello intervento adesivo dipendente. Al quesito deve rispondersi affermativamente.
5.1.- In primo luogo, nella giurisprudenza consolidata di questa Corte è acquisito il principio secondo cui l’interventore adesivo non ha un’autonoma legittimazione ad impugnare laddove la parte adiuvata non abbia esercitato il proprio diritto di proporre impugnazione ovvero abbia fatto acquiescenza alla decisione ad essa sfavorevole, «salvo che l’impugnazione sia limitata alle questioni specificamente attinenti la qualificazione dell’intervento […]» (ex plurimis, Cass. n. 2818/2018, n. 27528/2016, n. 16930/2013, SU n. 5992/2012).
La predetta deroga al principio («salvo che…») è stata applicata con riferimento a sentenze del Consiglio di Stato impugnate ex articolo 111, comma 8, Costituzione e condivisibilmente giustificata dalle Sezioni Unite (n. 31266/2019) in senso collimante con «la costante giurisprudenza del giudice amministrativo» secondo la quale il soggetto interveniente ad adiuvandum […] non è legittimato a proporre appello in via principale e autonoma «salvo che non abbia un proprio interesse direttamente riferibile alla sua posizione, come nel caso in cui sia stata negata la legittimazione all’intervento o sia stata emessa nei suoi confronti la condanna alle spese giudiziali (v. Cons. Stato n. 3409/2018; id. 22 febbraio 2016, n. 724; id. 13 febbraio 2017 n. 614; 6 agosto 2013 n. 4121)» (SU n. 31266/2019 cit.).
E’ allora evidente la legittimazione di SIB – e analogamente della Regione Abruzzo e di ASSONAT – a impugnare la sentenza dell’A.P., censurata dai predetti enti con il primo motivo dei rispettivi ricorsi (principale e incidentali adesivi) per averli estromessi dal giudizio di appello, negando la loro legittimazione a parteciparvi e, in tal modo, radicalmente conculcando (in tesi) il loro diritto di azione, oltre che di difesa e al contraddittorio.
In secondo luogo, a confermare ulteriormente la loro legittimazione a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza sfavorevole alla parte adiuvata (sig. Caretto), sebbene non impugnata da quest’ultima, è la constatazione che, dal punto di vista processual-civilistico che è quello appropriato per la valutazione in esame, il SIB, ASSONAT e la Regione Abruzzo sono intervenuti nel giudizio di appello nella qualità di enti esponenziali di interessi collettivi, qualificati e istituzionali, senza ampliare il thema decidendum della causa, a tutela anche di diritti propri e autonomi, direttamente azionabili, connessi per l’oggetto e il titolo e finalisticamente convergenti con il diritto individuale della parte adiuvata.
6.- L’ammissibilità dei ricorsi, principale e incidentali, dev’essere esaminata anche tenendo conto che ad essere impugnata è una sentenza dell’A.P. – cui è stata deferita, come si è detto, la soluzione di questioni di massima di particolare importanza, su iniziativa del Presidente del Consiglio di Stato – che, dopo avere dichiarato inammissibili gli interventi in causa, ha enunciato principi di diritto (in Fatti di causa, sub 5) e restituito gli atti a una sezione ordinaria del Consiglio di Stato per ogni ulteriore statuizione in rito e nel merito.
Viene, quindi, in rilievo il precedente invocato nel controricorso del Comune di Lecce, con il quale le Sezioni Unite hanno affermato che «il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, sotto il profilo dell’eccesso di potere giurisdizionale, non è ammissibile avverso la sentenza resa, nell’esercizio della propria funzione nomofilattica, dall’A.P. che, a norma dell’articolo 99, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2010 (cod. proc. amm.), abbia enunciato uno o più principi di diritto e restituito per il resto il giudizio alla sezione remittente, non avendo detta statuizione carattere decisorio e definitorio, neppure parzialmente, del giudizio di appello, il quale implica una operazione di riconduzione della regula iuris al caso concreto che è rimessa alla sezione remittente» (SU n. 27842/2019).
In questa ottica, il giudizio di appello, nella fase successiva alla pronuncia dell’A.P., sarebbe ancora «in fieri, spettando alla sezione remittente del Consiglio di Stato non solo l’attività di contestualizzazione e sussunzione del principio enunciato dall’Adunanza Plenaria, ai fini della decisione del motivo […], ma anche la decisione degli eventuali altri motivi di appello».
Una conferma di tale impostazione è stata desunta dal ravvisato collegamento tra la impugnabilità (per eccesso di potere giurisdizionale) delle sentenze dell’A.P. enunciative di principi di diritto e la loro attitudine al giudicato, la quale sarebbe da escludere, visto che «il giudicato può formarsi soltanto sui capi della sentenza aventi contenuto decisorio, assolvendo l’interpretazione della norma ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione, e non sui princìpi di diritto autonomamente considerati» (SU n. 27842/2019), così come già affermato dall’A.P. con la sentenza n. 2 del 2018 (secondo quest’ultima pronuncia «l’enunciazione di un principio di diritto nell’esercizio della propria funzione nomofilattica non integra l’applicazione alla vicenda per cui è causa della regula iuris enunciata e non assume quindi i connotati tipicamente decisori che caratterizzano le decisioni idonee a far stato fra le parti con l’autorità della cosa giudicata con gli effetti di cui all’articolo 2909 cod. civ. e di cui all’articolo 395, n. 5, cod. proc. civ. Il vincolo del giudicato può pertanto formarsi unicamente sui capi delle sentenze dell’Adunanza plenaria che definiscono – sia pure parzialmente – una controversia, mentre tale vincolo non può dirsi sussistente a fronte della sola enunciazione di princìpi di diritto, la quale richiede – al contrario – un’ulteriore attività di contestualizzazione in relazione alle peculiarità della vicenda di causa che non può non essere demandata alla Sezione remittente»).
6.1.- Il Collegio ritiene di non poter dare continuità al citato precedente del 2019, sulla base di plurime argomentazioni.
In primo luogo, come rilevato dal Procuratore Generale, il collegamento tra ricorribilità per eccesso (o difetto assoluto) di potere giurisdizionale, ai sensi dell’articolo 111, comma 8, Costituzione, e attitudine al giudicato delle pronunce dell’A.P. enunciative di principi di diritto, è messo in dubbio nella stessa sentenza delle Sezioni Unite del 2019, ove si ammette «la possibile obiezione che l’attitudine al giudicato non costituisce un elemento imprescindibile ai fini della impugnabilità dei provvedimenti giurisdizionali, essendovi provvedimenti insuscettibili di giudicato e tuttavia impugnabili».
La replica sul punto delle stesse Sezioni Unite, secondo cui «ai fini dell’accesso alla Corte di cassazione, l’articolo 111, comma 7, Costituzione ‒ del quale il comma 8 altro non è che una specificazione ‒ da lungo tempo […] è stato interpretato nel senso che sono ricorribili per cassazione soltanto i provvedimenti aventi contenuto sostanziale di sentenza, in quanto, non solo, definitivi (rispetto ai quali non siano disponibili altri rimedi di tipo impugnatorio o oppositorio), ma anche effettivamente decisori, cioè idonei a definire una controversia su diritti soggettivi e status», non è condivisibile.
Infatti, come correttamente rilevato nella memoria di SIB (pag. 3), «se è vero che l’8° comma dell’art. 111 Cost. è una “specificazione” del 7° comma, è anche vero che il requisito della “decisorietà” è richiesto per individuare, tra i provvedimenti aventi forma diversa dalla sentenza, quelli idonei ad incidere su diritti soggettivi, laddove i provvedimenti aventi la forma di sentenza sono ricorribili per cassazione ‒ se altrimenti non impugnabili ‒ per ciò solo che sono sentenze (a prescindere dall’incidenza su diritti soggettivi […])».
Una conferma in tal senso proviene anche da una recente sentenza delle Sezioni Unite (n. 22423/2023, p. 11) che ha ribadito l’incondizionata ricorribilità per cassazione dei provvedimenti giurisdizionali aventi forma di sentenza, senza necessità di ulteriore scrutinio sulla loro portata decisoria, dovendosi quindi affermare che non è consentito neppure al legislatore ordinario far dipendere la ricorribilità per cassazione delle «sentenze» del Consiglio di Stato per motivi inerenti alla giurisdizione, ai sensi dell’articolo 111, comma 8, Costituzione, con l’effetto di limitarla, a seconda della composizione dell’organo decidente (sezione semplice o A.P.).
In secondo luogo, la difesa di SIB coglie nel segno quando osserva che «d’altra parte, il carattere meramente potenziale della definitività delle sentenze dell’A.P. ‒ superabile solo con una nuova rimessione all’A.P. ‒ nulla toglie alla sua idoneità a produrre effetti rilevanti ai fini di cui all’art. 111, 8° comma, Costituzione e cioè alla sua idoneità ‒ proprio perché la sentenza è emessa dal massimo organo della Giustizia Amministrativa ‒ a violare i (e a produrre successive, ripetute violazioni da parte delle Sezioni dei) limiti esterni della giurisdizione amministrativa; senza dire che l’esonero delle sentenze parziali dell’A.P. dal sindacato delle Sezioni Unite […] investe proprio le più rilevanti ipotesi in cui è possibile dubitare del rispetto dei limiti esterni della giurisdizione».
In effetti, non sarebbe comprensibile una soluzione che sottraesse al sindacato per eccesso di potere giurisdizionale ‒ previsto (sin dalla L. n. 3761 del 1877) a garanzia dell’integrità delle attribuzioni degli altri poteri dello Stato (legislativo ed esecutivo) e dell’esercizio del potere giurisdizionale (nei casi di indebito diniego, rifiuto o arretramento) da parte dell’autorità giurisdizionale adita (nella specie, amministrativa) cui quel potere spetti ‒ le sentenze dell’A.P. enunciative di principi di diritto, anche alla luce dell’orientamento che riconosce l’interesse a ricorrere (alle Sezioni Unite) per eccesso di potere giurisdizionale proprio ed esclusivamente avverso le sentenze d’appello che, essendo espressione dell’organo di vertice del plesso giurisdizionale amministrativo e contabile, sono anche le sole suscettibili di arrecare un vulnus all’integrità della sfera delle attribuzioni degli altri poteri (ex plurimis, Cass. SU n. 19084/2020, n. 13436/2019).
Nella stessa direzione è la requisitoria del Procuratore Generale che ha puntualmente evidenziato l’effetto, riconducibile all’orientamento delle Sezioni unite del 2019, di «[ridurre] nettamente la portata delle sentenze dell’A.P. che enunciano principi di diritto, considerandole nella sostanza alla stregua di semplici “pareri” indirizzati al giudice remittente», dovendosi invece attribuire ad esse «un diverso e maggiore rilievo», in considerazione della portata delle disposizioni dell’articolo 99 c.p.a. che disciplinano il deferimento delle questioni all’A.P.
Condivisibilmente il Procuratore Generale ha desunto dall’articolo 99, comma 3, c.p.a. («Se la sezione cui è assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dall’adunanza plenaria, rimette a quest’ultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso») il grado del vincolo al principio di diritto cui deve di regola attenersi il giudice remittente, che è rappresentato dall’obbligo per la sezione semplice di applicarlo, con la sola eccezione di un dissenso che può esprimersi solo rinviando nuovamente all’A.P., con ordinanza motivata, la decisione del ricorso. Sussiste, pertanto, un vincolo «interno» all’osservanza del principio stabilito dall’A.P. per la sezione semplice del Consiglio di Stato che non può autonomamente sottrarvisi senza un nuovo intervento della stessa A.P., da sollecitarsi con una ordinanza che deve essere adeguatamente motivata. Tale vincolo, peraltro, riguarda anche tutti gli altri giudici amministrativi, in considerazione dell’autorevolezza dell’organo da cui proviene e, quindi, della forza persuasiva della decisione, con una influenza preordinata ad estendersi ai numerosi casi analoghi nell’intero territorio nazionale.
Ad imporre questa conclusione è proprio la funzione nomofilattica valorizzata – mediante la predisposizione di uno strumento processuale idoneo a meglio garantire la prevedibilità delle decisioni giurisdizionali – dall’articolo 99, comma 2, c.p.a. che attribuisce al Presidente del Consiglio di Stato la facoltà, anche d’ufficio, di «deferire all’adunanza plenaria qualunque ricorso, per risolvere questioni di massima di particolare importanza ovvero per dirimere contrasti giurisprudenziali», al fine di enunciare principi di diritto elevati a criteri di decisione di casi analoghi o simili, come avvenuto nella fattispecie in esame. E ciò sia nel caso in cui l’A.P. decida «l’intera controversia» o «ritenga di enunciare il principio di diritto e di restituire per il resto il giudizio alla sezione remittente» (comma 4), sia nel caso in cui, ove ritenga «la questione di particolare importanza», enunci comunque «il principio di diritto nell’interesse della legge anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero l’estinzione del giudizio», senza effetto sul provvedimento impugnato (comma 5).
7.- Venendo a esaminare il primo convergente motivo dei ricorsi di SIB, della Regione Abruzzo e di ASSONAT, la comune doglianza rivolta alla sentenza impugnata è di avere dichiarato inammissibili – incorrendo in diniego o rifiuto della giurisdizione spettante all’organo giurisdizionale adito – i loro interventi (in sentenza qualificati ad opponendum) tempestivamente proposti nella fase del giudizio dinanzi all’A.P., dopo avere avuto conoscenza del deferimento, su iniziativa del Presidente del Consiglio di Stato, di plurime questioni di massima di particolare importanza, in vista dell’enunciazione di principi di diritto volti ad incidere direttamente sugli interessi collettivi e istituzionali dei predetti enti, estromessi – in tesi aprioristicamente – dal giudizio.
7.1.- E’ necessario riportare i principali passi della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha estromesso dal giudizio le associazioni di categoria (tra le quali SIB e ASSONAT) e la Regione Abruzzo.
Con riferimento alle prime, dopo avere ricordato che nel processo amministrativo «la legittimazione attiva (e, dunque, l’intervento in giudizio) di associazioni rappresentative di interessi collettivi obbedisce a regole stringenti, essendo necessario che la questione dibattuta attenga in via immediata al perimetro delle finalità statutarie dell’associazione e, cioè, che la produzione degli effetti del provvedimento controverso si risolva in una lesione diretta del suo scopo istituzionale, e non della mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati», l’A.P. ha osservato che resta «quindi preclusa ogni iniziativa giurisdizionale che non si riverberi sugli interessi istituzionalmente perseguiti dall’associazione, sorretta dal solo interesse al corretto esercizio dei poteri amministrativi o per mere finalità di giustizia, finalizzate esclusivamente alla tutela di singoli iscritti, atteso che l’interesse collettivo dell’associazione deve identificarsi con l’interesse di tutti gli appartenenti alla categoria unitariamente considerata e non con la mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati. Per autorizzare l’intervento di un’associazione esponenziale di interessi collettivi occorre, quindi, un interesse concreto ed attuale (imputabile alla stessa associazione) alla rimozione degli effetti pregiudizievoli prodotti dal provvedimento controverso. Nel caso di specie – prosegue la sentenza – il provvedimento impugnato (che si traduce nel diniego di proroga di una singola concessione demaniale) lede esclusivamente l’interesse del singolo, senza impingere in via immediata sulla finalità istituzionale delle associazioni. Né, per le ragioni già esposte, a giustificare l’intervento può rilevare la circostanza che la risoluzione delle questioni di diritto sottese al caso del singolo associato possa avere, specie per la valenza nomofilattica della pronuncia resa da questa Adunanza plenaria, una rilevanza anche sulla posizione di altri concessionari. La soluzione delle quaestiones iuris deferite a questa Adunanza plenaria non incide in via diretta ed immediata sugli interessi istituzionalmente rappresentati [dalle associazioni di categoria]» (p. 10.2 della sentenza).
L’A.P. poi ha osservato, riferendosi globalmente alle pubbliche amministrazioni (Regione Abruzzo, per quanto qui interessa) e ai concessionari demaniali intervenienti, che «essere titolari di un interesse a partecipare alla sede giurisdizionale in cui si definisce la regola di diritto da applicare successivamente alla risoluzione della presente controversia […] non è, tuttavia, di per sé in grado di legittimare l’intervento in giudizio del terzo. Invero […] non è sufficiente a consentire l’intervento la sola circostanza che l’interventore sia parte di un (altro) giudizio in cui venga in rilievo una quaestio iuris analoga a quella oggetto del giudizio nel quale intende intervenire. Osta al riconoscimento di una situazione che lo legittimi a intervenire l’obiettiva diversità di petitum e di causa petendi che distingue i due processi, sì da non potersi configurare in capo al richiedente uno specifico interesse all’intervento nel giudizio ad quem. Al contrario, laddove si ammettesse la possibilità di spiegare l’intervento volontario a fronte della sola analogia fra le quaestiones iuris controverse nei due giudizi, si finirebbe per introdurre nel processo amministrativo una nozione di interesse del tutto peculiare e svincolata dalla tipica valenza endoprocessuale connessa a tale nozione e potenzialmente foriera di iniziative anche emulative, scisse dall’oggetto specifico del giudizio cui l’intervento si riferisce. Non a caso, in base a un orientamento del tutto consolidato, nel processo amministrativo l’intervento ad adiuvandum o ad opponendum può essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale […]» (p. 10.1 della sentenza).
8.- Si deve valutare preliminarmente se la doglianza dei ricorrenti dissimuli una censura di error in procedendo, in quanto tale estranea al sindacato delle Sezioni Unite o, al contrario, colga effettivamente una questione di giurisdizione deducibile in questa sede, ai sensi dell’articolo 111, comma 8, Costituzione.
9.- Ad avviso del Procuratore Generale si tratta di questione inerente alla giurisdizione. Il Procuratore ‒ richiamati i principi risultanti dalla giurisprudenza dello stesso Consiglio di Stato, secondo i quali «nel processo amministrativo la legittimazione attiva di associazioni rappresentative di interessi collettivi presuppone che la questione dibattuta “attenga in via immediata al perimetro delle finalità statutarie dell’associazione e, cioè, che la produzione degli effetti del provvedimento controverso si risolva in una lesione diretta del suo scopo istituzionale”» ‒ ha osservato che «la loro applicazione presuppone necessariamente una attenta valutazione, da condursi caso per caso, al fine di individuare la sussistenza di un interesse collettivo, definito dalle norme statutarie dell’ente, che si identifichi con l’interesse di tutti gli appartenenti alla categoria unitariamente considerata». Ed «emerge ‒ nel caso di specie ‒ che siffatta valutazione non è stata, in radice, svolta», essendosi l’A.P. limitata ad affermare che “nel caso di specie, il provvedimento impugnato (che si traduce nel diniego di proroga di una singola concessione demaniale) lede esclusivamente l’interesse del singolo, senza impingere in via immediata sulla finalità istituzionale delle associazioni”». Tale carenza sarebbe «confermata dal riferimento […] generico a “tutte le associazioni”, senza alcuna considerazione analitica rivolta all’esame dei loro statuti. La necessità di un loro concreto e distinto esame era invece necessaria […] per accertare caso per caso la loro legittimazione, soprattutto alla luce della eterogeneità dei soggetti intervenuti, che vanno dalle associazioni di categoria e sindacali agli enti pubblici territoriali».
Non vi sarebbe stata, quindi, una «negazione in concreto di tutela alla situazione soggettiva azionata, determinata dall’erronea interpretazione delle norme sostanziali nazionali o dei principi del diritto europeo da parte del giudice amministrativo», ma una «negazione in astratto della situazione giuridica tutelata» propria degli enti intervenienti, con conseguente «arretramento rispetto ad una materia che può formare oggetto di cognizione giurisdizionale».
10.- Il Collegio, condividendo le conclusioni svolte nella requisitoria del Procuratore Generale, ritiene che non sia configurabile un mero ed incensurabile error in procedendo, ma un diniego o rifiuto di giurisdizione per avere la sentenza impugnata negato agli enti ricorrenti la legittimazione ad intervenire nel giudizio, sulla base non di specifici e concreti impedimenti processuali (ad esempio, per ragioni relative alla fase processuale in cui gli interventi sono stati proposti, al grado di rappresentatività dei soggetti intervenuti rispetto agli interessi fatti valere, ecc.) ma di valutazioni che negano, in astratto, la titolarità in capo agli stessi enti di posizioni soggettive differenziate qualificabili come interessi legittimi.
11.- Le Sezioni Unite hanno preso atto del diretto collegamento della legittimazione ad agire con la situazione giuridica sostanziale fatta valere dal ricorrente (o interveniente), giungendo ad affermare che il rapporto tra processo amministrativo e posizione sostanziale fatta valere (interesse legittimo) è di autonomia solo relativa, poiché «la sede processuale assume una posizione complementare rispetto a quella sostanziale, svolgendo una funzione di autentica individuazione degli interessi sostanziali meritevoli di tutela». «Tale operazione, che tende a identificare nella titolarità di un interesse legittimo la sussistenza della legittimazione ad agire, è il risultato di una lunga operazione giurisprudenziale» che consente di affermare che «la legittimazione ad agire, invero, è da intendere [non come mera predicazione] ma piuttosto come effettiva titolarità della posizione azionata» (v. SU n. 20820/2019).
Analogamente, nella giurisprudenza amministrativa, la legittimazione ad agire coincide con la titolarità di una posizione qualificabile come interesse legittimo (ex plurimis, Cons. di Stato, sez. V, n. 3923/2018, sez. VI n. 658/2005), anche quando si tratti di interessi (legittimi) collettivi di determinate collettività e categorie, soggettivizzate in enti associativi esponenziali, legittimati ad agire e intervenire in giudizio (ex plurimis, Cons. di Stato, A.P., n. 6/2020; A.P. n. 9/2015; sez. IV n. 2236/2020, sez. III n. 1467/2020, sez. IV n. 36/2014, sez. IV n. 1478/2012).
12.- La questione concernente la configurabilità o meno di un interesse (legittimo) suscettibile di tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo integra un problema di giurisdizione, in quanto attiene ai limiti esterni delle attribuzioni di detto giudice e, pertanto, è deducibile con ricorso alle Sezioni Unite, a norma dell’articolo 362 cod. proc. civ. (Cass. SU n. 2207/1978, in un caso speculare a quello ora in esame, cassò per difetto assoluto di giurisdizione la sentenza del Consiglio di Stato che aveva annullato l’impugnato provvedimento della giunta provinciale di Trento, in materia di approvazione di progetto di opera stradale, qualificando in termini di interesse legittimo – anziché di interesse di fatto – la pretesa azionata dall’associazione Italia Nostra nell’esercizio dei propri compiti statutari di tutela del patrimonio storico, artistico e naturale; cfr. anche SU n. 3626/1972).
Nella stessa direzione si collocano i più recenti arresti che ribadiscono che inerisce al giudizio sulla giurisdizione, spettante alle Sezioni Unite, stabilire se la pretesa sostanziale azionata assurga al rango di interesse giuridicamente rilevante (legittimo) o consista in un interesse di mero fatto non differenziato e non giustiziabile (cfr., implicitamente, SU n. 15601/2023, p. 9; n. 27177/2023, p. 11). Nel primo caso è configurabile la giurisdizione amministrativa se la posizione sostanziale dedotta sia effettivamente considerata dall’ordinamento come interesse legittimo; nell’altro caso si ha difetto assoluto di giurisdizione, mancando in astratto la giustiziabilità della posizione fatta valere.
E’ una logica conseguenza della natura sostanziale dell’interesse legittimo (l’«interesse d’individui o di enti morali giuridici» già nell’articolo 26 t.u. n. 1054/1924 sul Consiglio di Stato e «di persone fisiche o giuridiche» nell’articolo 4 legge n. 1034/1971) ‒ che nella dialettica contrapposizione ai diritti soggettivi (articoli 24, 103 e 113 Costituzione) fonda il riparto delle competenze giurisdizionali tra giudice ordinario e giudice amministrativo ‒ da tenere nettamente distinto dall’interesse (processuale) a ricorrere che integra una condizione dell’azione (cui si riferiscono alcuni precedenti delle Sezioni Unite: cfr. n. 475/2015, n. 7025/2006).
Ed allora, se la posizione soggettiva fatta valere ha consistenza di interesse legittimo, il giudice amministrativo, essendo fornito della giurisdizione, è tenuto ad esercitarla, incorrendo altrimenti in diniego o rifiuto della giurisdizione, vizi censurabili dalle Sezioni Unite, ai sensi dell’articolo 111, comma 8, Cost. (cfr., in tema di rifiuto o diniego della giurisdizione, Cass. SU n. 31226/2017, n. 2242/2015, n. 21581/2011, n. 25395/2010, n. 30254/2008, n. 13659/2006).
E’ opportuno precisare, al riguardo, che l’ipotesi del rifiuto o diniego della giurisdizione si verifica ogniqualvolta le Sezioni Unite accertino, all’esito di un controllo contenutistico, che la sentenza impugnata disconosca, effettivamente, la tutelabilità in astratto delle posizioni soggettive azionate (aventi natura di interessi legittimi o, nell’ambito della giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi), senza che occorra una formale declaratoria in tal senso da parte del giudice amministrativo di ultimo grado. In altri termini, ai fini del rilievo del vizio denunciato, non si richiede che il Consiglio di Stato giustifichi espressamente la decisione per la ritenuta estraneità della domanda alle sue (o altrui) attribuzioni giurisdizionali o dichiari formalmente che la situazione soggettiva fatta valere in giudizio sia priva di tutela in astratto, essendo compito delle Sezioni Unite verificare, all’esito di un controllo di tipo sostanziale, se la sentenza abbia prodotto oggettivamente questi effetti.
Attiene, per contro, al merito della controversia devoluta al giudice amministrativo, cioè alla fondatezza della domanda (in tal senso dovendosi intendere alcuni precedenti di questa Corte, cfr. SU n. 11588/2019, n. 2050/2016), ogni questione concernente l’idoneità di una norma di diritto – per come applicata in concreto – a tutelare l’interesse dedotto dalla parte in giudizio (cfr. Cass. SU n. 15601/2023, p. 4, anche per i precedenti ivi richiamati).
13.- La giurisprudenza amministrativa ha da tempo delineato le coordinate della tutela giurisdizionale degli interessi legittimi collettivi di determinate comunità di persone e categorie (anche professionali) affidata agli enti associativi esponenziali, iscritti in elenchi speciali previsti dalla legge o in possesso dei requisiti a tal fine individuati dalla giurisprudenza.
E’ costante l’orientamento che ammette la loro legittimazione attiva a intervenire nel processo amministrativo (anche in appello) alle condizioni che: a) la questione dibattuta attenga in via immediata al perimetro delle finalità statutarie dell’associazione e, cioè, che la produzione degli effetti del provvedimento controverso si risolva in una lesione diretta del suo scopo istituzionale e non della mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati; b) l’interesse tutelato con l’intervento sia comune a tutti gli associati, che non vengano tutelate le posizioni soggettive solo di una parte degli stessi e che non siano, in definitiva, configurabili conflitti interni all’associazione, che implicherebbero automaticamente il difetto del carattere generale e rappresentativo della posizione azionata in giudizio; restando preclusa ogni iniziativa giurisdizionale sorretta dal solo interesse astratto al corretto esercizio dei poteri amministrativi o per mere finalità di giustizia (v. Cons. di Stato, A.P., n. 9/2015; cfr., ex plurimis, A.P. n. 6/2020; sez. V n. 6037/2020, sez. IV n. 2236/2020, sez. IV n. 5229/2019, sez. III n. 5605/2019, sez. V n. 288/2019, sez. V n. 4957/2016, sez. V n. 4628/2016).
14.- Alla luce di queste coordinate può comprendersi come le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata (in gran parte riportate sub 7.1) per estromettere dal giudizio tutti gli interventi in causa, rivelino non un mero e incensurabile error in procedendo ma, al contrario, un diniego in astratto della tutela giurisdizionale connessa al rango dell’interesse sostanziale (legittimo) fatto valere dagli enti ricorrenti, con l’effetto di degradarlo a interesse di mero fatto non giustiziabile.
15.- Nella sentenza impugnata è stata omessa qualsiasi valutazione degli statuti delle associazioni ricorrenti (SIB e ASSONAT), i cui interventi sono stati globalmente dichiarati inammissibili, con conseguente loro estromissione dal giudizio, al pari degli interventi di altre associazioni ed enti eterogenei, anche istituzionali, come la Regione Abruzzo, non già all’esito di una verifica negativa in concreto delle condizioni di ammissibilità dei loro interventi (indicate dalla giurisprudenza amministrativa, sub 13), ma come effetto di un aprioristico diniego di giustiziabilità dell’interesse collettivo proprio delle stesse associazioni ed enti. Il percorso motivazionale lo dimostra.
Le menzionate associazioni di categoria sono state ritenute prive di «un interesse concreto ed attuale alla rimozione degli effetti pregiudizievoli prodotti dal provvedimento controverso» che «traduce[ndosi] nel diniego di proroga di una singola concessione demaniale […] lede esclusivamente l’interesse del singolo, senza impingere in via immediata sulla finalità delle associazioni». Ancor più significativa è l’ulteriore affermazione secondo cui «la soluzione delle quaestiones iuris deferite a questa Adunanza plenaria non incide in via diretta ed immediata sugli interessi istituzionalmente rappresentati, ma produce effetti non attuali e meramente eventuali sulla sfera giuridica dei concessionari, il che non può ritenersi sufficiente a radicare la legittimazione all’intervento, che […] non può essere sorretto dalla necessità di sostenere una tesi di diritto e, quindi, da mere ed astratte finalità di giustizia».
In tal modo, la sentenza ha, in sostanza, precluso l’accesso alla giurisdizione delle predette associazioni che avevano fatto valere, in quanto tali, un interesse (anche) proprio e diverso da (nonché convergente e quindi adesivo a) quello individuale del destinatario del provvedimento negativo (vittoriosamente impugnato dinanzi al TAR di Lecce), con il quale le associazioni condividevano l’interesse – coltivato nel giudizio di appello introdotto dal Comune di Lecce – alla conferma della sentenza di primo grado; da qui l’evidente collegamento della loro posizione giuridica con quella fatta valere dal concessionario impugnante il provvedimento amministrativo di diniego della proroga.
E’ necessario considerare, inoltre, che l’interesse delle associazioni a partecipare al giudizio di appello è asceso al massimo grado una volta che, con il decreto n. 160/2021, il Presidente del Consiglio di Stato ha deferito d’ufficio all’A.P. tre questioni di diritto di fondamentale importanza per gli interessi delle categorie rappresentate, in tema di legittimità ed efficacia delle proroghe automatiche delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative nell’intero territorio nazionale, proprio in ragione della «particolare rilevanza economico-sociale che rende opportuna una pronuncia della Adunanza plenaria, onde assicurare certezza e uniformità di applicazione del diritto da parte delle amministrazioni interessate nonché uniformità di orientamenti giurisprudenziali» (pag. 5 della sentenza). Avere escluso pregiudizialmente tutte le associazioni e gli enti dalla partecipazione alla fase del giudizio dinanzi all’A.P., che era la sede nella quale sarebbero stati enunciati principi sostanzialmente normativi e vincolanti per i giudici e anche per le amministrazioni pubbliche, è sintomo di diniego o arretramento della giurisdizione in controversia devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo.
E ciò tanto più alla luce del principio che legittima la proposizione dell’intervento adesivo nel giudizio amministrativo d’appello alle condizioni che vi sia alterità dell’interesse vantato rispetto a quello che legittimerebbe la proposizione del ricorso in via principale e che l’interveniente possa subire, anche in via indiretta e mediata, un pregiudizio dalla decisione d’appello o possa tutelare una situazione di vantaggio attraverso la definizione della controversa (cfr. Cons. di Stato, sez. II, n. 10142/2022; Cons. di Stato, A.P., n. 13/2018; sull’orientamento che ammette l’intervento ad adiuvandum e ad opponendum del soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente principale, v. sez. IV n. 7539/2023).
Neppure si potrebbe condizionare l’ammissibilità dell’intervento delle associazioni esponenziali di interessi collettivi, come la sentenza impugnata sembra sostenere, alla verifica di un loro interesse specifico identico a quello fatto valere dal titolare della concessione marittima (ad ottenere una singola proroga). Le associazioni predette agiscono, infatti, a tutela di interessi collettivi collegati e convergenti ma non confondibili con l’interesse specifico individuale fatto valere da chi (il titolare di una concessione) è parte principale nel processo. Il collegamento (anche indiretto e mediato) è necessario per giustificare l’intervento delle predette associazioni in una determinata causa (o tipologia di cause) e non in altre, ma l’interesse (legittimo) azionato è quello collettivo, attinente in via immediata al perimetro delle finalità statutarie dell’associazione, queste ultime direttamente lese dalla produzione degli effetti del provvedimento controverso.
Analoghe considerazioni valgono per la Regione Abruzzo, ugualmente estromessa dal giudizio per essere il suo intervento stato dichiarato inammissibile. La sua posizione non è stata specificamente presa in considerazione nella sentenza, ove la Regione è stata ricompresa verosimilmente tra «le pubbliche amministrazioni intervenienti» e accomunata agli altri «concessionari demaniali» estromessi, ai quali ultimi parrebbe riferirsi il criptico riferimento alla «obiettiva diversità di petitum e di causa petendi che distingue i due processi, sì da non potersi configurare in capo al richiedente uno specifico interesse all’intervento nel giudizio ad quem», senza ulteriori specificazioni in ordine ai giudizi ai quali si fa riferimento. Né è chiaro se sia riferito anche alla Regione Abruzzo il punto della motivazione ove si reputa «non […] sufficiente a consentire l’intervento la sola circostanza che l’interventore sia parte di un (altro) giudizio in cui venga in rilievo una quaestio iuris analoga a quella oggetto del giudizio nel quale intende intervenire».
In ogni caso, le doglianze espresse dalla Regione (riassunte sub 3.1) sono fondate per ragioni analoghe a quelle riguardanti gli altri ricorrenti, avendo la sentenza anche in tal caso disconosciuto l’interesse proprio dell’ente regionale a intervenire nella fase del giudizio dinanzi all’A.P., coerentemente con la giurisprudenza amministrativa che ha valorizzato il ruolo degli enti territoriali come soggetti esponenziali degli interessi della collettività di riferimento, con connesso riconoscimento di un’ampia legittimazione a partecipare al giudizio amministrativo, anche al di fuori di fattispecie attinenti alla sfera delle competenze specificamente riservate agli enti medesimi (v. Cons. di Stato, sez. IV, n. 8683/2010).
16.- In conclusione, si è trattato di un diniego o rifiuto della tutela giurisdizionale sulla base di valutazioni che, negando in astratto la legittimazione degli enti ricorrenti a intervenire nel processo, conducono a negare anche la giustiziabilità degli interessi collettivi (legittimi) da essi rappresentati, relegandoli in sostanza al rango di interessi di fatto.
La sentenza impugnata, di conseguenza, è affetta dal vizio di eccesso di potere denunciato sotto il profilo dell’arretramento della giurisdizione rispetto ad una materia devoluta alla cognizione giurisdizionale del giudice amministrativo.
17.- In conclusione, il primo motivo dei ricorsi di SIB, ASSONAT e Regione Abruzzo è accolto nei predetti termini, restando assorbito il profilo riguardante la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 99, comma 2, cod. proc. amm. (sub 1.1-b) e assorbiti anche tutti gli altri motivi proposti nei ricorsi in esame; di conseguenza, la sentenza impugnata è cassata con rinvio al Consiglio di Stato.
Non può essere accolta la richiesta di enunciare, ai sensi dell’articolo 363 cod. proc. civ., i principi di diritto nell’interesse della legge sulle questioni trattate nei restanti motivi assorbiti, sulle quali spetterà al Consiglio di Stato pronunciarsi nuovamente, anche alla luce delle sopravvenienze legislative, avendo il Parlamento e il Governo esercitato, successivamente alla sentenza impugnata, i poteri normativi loro spettanti.
- Sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese del giudizio di cassazione, in considerazione della novità, complessità ed eccezionale rilevanza delle questioni trattate.