CONSIGLIO DI STATO, IV- sentenza 20.08.2024 n. 7180
PRINCIPIO DI DIRITTO
Secondo principi giurisprudenziali consolidati, in tema di concessioni e autorizzazioni amministrative, il danno da ritardo risarcibile non può essere presunto juris et de jure, quale effetto automatico del semplice scorrere del tempo, ma è necessaria la verifica della sussistenza dei presupposti di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante) e oggettivo (ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subito), richiesti per fondare la responsabilità ex art. 2043 c.c. Sul piano delle conseguenze, dunque, il fatto lesivo deve essere collegato da un nesso da causalità ai pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali lamentati così che, dal punto di vista dell’onere probatorio, il mero superamento del termine per la conclusione del punto di vista dell’onere probatorio, il mero superamento del termine per la conclusione del procedimento non integra piena prova del danno.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- La società Renova Project s.r.l. ha impugnato la sentenza indicata in epigrafe con la quale il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione prima, ha respinto il ricorso di primo grado, avente ad oggetto la domanda di risarcimento dei danni (asseritamente) subiti dalla predetta società, per effetto dell’inerzia dell’Amministrazione regionale a fronte della domanda di rilascio dell’autorizzazione unica, di cui all’art. 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003 n. 387, formulata per la realizzazione di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica da ubicarsi nel territorio del Comune di Centraro; il giudice di primo grado ha disposto la compensazione delle spese di giudizio.
- La società appellante premette quanto segue.
2.1. Evidenzia di aver proposto ricorso per la declaratoria dell’illegittimità dell’inerzia della Regione Calabria sulla jpropria istanza, presentata il 10 marzo 2008, diretta ad ottenere l’autorizzazione unica, si cui al s. lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, per la realizzazione di un impianto di produzione di energia elettrica da impianto eolico nel Comune di Centraro.
2.2. Con sentenza del 22 aprile 2013 n. 494, il T. A. R. Calabria accoglieva il ricorso sul silenzio- inadempimento relativo alla inerzia della Amministrazione intimata sulla predetta istanza e nominava un Commissario ad acta, che, tuttavia, con atto del 29 settembre 2015 prot. 1722, ha respinto l’istanza di realizzazione del parco eolico, in quanto le norme successivamente intervenute, e, in particolare, quelle introdotte dal D. L. 91/2014 (in ordine alla verifica di assoggettabilità a valutazione dell’impatto ambientale) nonché quelle relative all’adozione del quadro territoriale paesaggistico della Regione Calabria avevano sostanzialmente modificato il quadro normativo di riferimento rispetto alla data di presentazione della domanda di autorizzazione unica.
2.3 La società ha proposto quindi ricorso davanti al T. A. R. per la Calabria, chiedendo la condanna della Regione Calabria al risarcimento dei danni patrimoniali (asseritamente) subiti, sia in termini di lucro cessante che di danno emergente, oltre al ristori delle spese sostenute.
2.4. Con la sentenza impugnata, il T. A. R. ha respinto la domanda risarcitoria, evidenziando che il risarcimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse legittimo della vita ed è subordinato, tra l’altro anche alla dimostrazione che l’aspirazione della spettanza definitiva del bene della vita collegato a tale interesse.
2.5. Il giudice di primo grado ha evidenziato che nel caso di specie non poteva dirsi raggiunta la prova in ordine alla spettanza del bene della vita, tenendo conto della discrezionalità insita nella valutazione finalizzata al rilascio dell’autorizzazione ambientale.
- Tanto premesso, l’odierna appellante ha contestato la sentenza impugnata con un unico articolato motivo.
- Si è costituita in giudizio la Regione Calabria, contestando la fondatezza del ricorso in appello e chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
- In data 8 marzo 2021 il difensore della società appellante ha depositato istanza di rinvio, in relazione alla pendenza di trattative per la composizione in via transattiva della controversia.
- All’udienza del 16 maggio 2024, su richiesta dei difensori delle parti costituite, come da verbale, la causa è stata trattenuta in decisione.
- In via preliminare, il Collegio è chiamati ad esaminare l’istanza di rinvio formulata dal difensore della società appellante e giustificata dalla pendenza di trattative tra le parti per la compensazione bonaria della controversia.
7.1. L’istanza di rinvio non può essere accolta.
7.2. Occorre premettere che l’art. 73, comma 1- bis, del c.p.a. dispone: “Non è possibile disporre, su istanza di parte, la cancellazione della causa dal ruolo. Il rinvio della trattazione della causa è disposto solo per casi eccezionali, che sono riportati nel verbale di udienza, ovvero, se il rinvio è disposto solo per casi eccezionali, che sono riportati nel verbale di udienza, ovvero, se il rinvio è disposto fuori udienza, nel decreto presidenziale che dispone il rinvio”.
7.3. Orbene, nella istanza di rinvio, il difensore della società appellante fa riferimento genericamente alla pendenza di trattative per la compensazione bonaria della controversia, senza fornire elementi ulteriori a sostegno della predetta richiesta.
7.4. Oltre a ciò, l’istanza di rinvio risulta depositata in data 8 marzo 2021 e non è stata coltivata con atti depositati successivamente.
7.5. In considerazione del carattere generico della istanza di rinvio e del suo carattere risalente nel tempo (in relazione al quale deve ritenersi che le parti abbiano avuto la possibilità di instaurare trattative per la definizione in via boaria della controversia), ritiene il Collegio che non ricorrono negli elementi dedotti dalla parte istante i “casi eccezionali” richiesti dal legislatore per differire l’udienza di discussione.
- Con un unico articolato motivo, la società appellate deduce erroneità della sentenza impugnata per intrinseca illogicità della motivazione, in ordine alla valutazione della inerzia dell’Amministrazione e all’esame del decreto del Commissario ad acta.
8.1. La società appellante evidenzia che non può essere contestato che la Regione Calabria abbia posto in essere una condotta dolosa o colposa, rimanendo consapevolmente silente e inerte per un lunghissimo tempo, incurante degli sforzi economici e organizzativi sostenuti dalla società per la redazione di un progetto di cui sopra.
8.2. A giudizio dell’appellante, un esame più approfondito dell’atto del Commissario ad acta avrebbe consentito al giudice di primo grado di rendersi conto che la domanda di autorizzazione unica è stata rigettata unicamente a causa del mutato quadro normativo.
8.3. Secondo la prospettazione difensiva dell’appellante, in base alla normativa vigente al momento della presentazione della domanda non vi erano ostacoli normativi al suo accoglimento; l’impossibilità per la società di ottenere “il bene della vita”, cui legittimamente ambiva, sarebbe imputabile in via esclusiva al ritardo dell’Amministrazione unica.
8.4. Dopo aver richiamato l’iter procedimentale seguito dal Commissario ad acta, fa rilevare che nessuno dei pareri resi in sede procedimentale si è rilevato negativo, ovvero contrario alla concessione dell’autorizzazione unica.
8.5. A suo giudizio, l’unico motivo del rigetto della istanza deve essere individuato nel mutato quadro normativo che ha reso impossibile il rilascio dell’autorizzazione richiesta.
8.6. Vi sarebbe dunque la priva che la domanda sarebbe stata accolta se la Regione Calabria avesse tempestivamente indetto la Conferenza dei servizi. Risulterebbe pertanto provati tutti gli elementi costitutivi della domanda risarcitoria, sia di carattere soggettivo che di carattere oggettivo.
- Pur dando atto che il risarcimento del danno da ritardo relativo ad relativo ad un interesse legittimo pretensivo non può essere avulso da una valutazione della spettanza del bene della vita e che è subordinato anche alla dimostrazione alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene della vita collegato ad un tale interesse, evidenzia che l’accertamento della lesione dell’interesse legittimo richiede l’effettuazione di un giudizio prognostico mediante il ricorso alla teoria condizionalistica, integrata, ove occorra, dalla teoria della causalità adeguata.
9.1. Il giudice amministrativo di primo grado, secondo il criterio del “più probabile che non”, avrebbe dovuto accertare e dichiarare che, senza il colpevole ritardo della Amministrazione regionale, il progetto per la realizzazione dell’impianto eolico sarebbe stato autorizzato.
- Il motivo è infondato.
- Costituisce ius receptum nella giurisprudenza amministrativa il principio secondo il quale il risarcimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, non è legato al mero ritardo, ma è subordinato alla dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e quindi alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene della vita collegato a tale interesse (ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 16 aprile 2024 n. 3446; sez. III, 15 gennaio 2024 n. 514; sez. IV, 17 agosto 2023 n. 7797; 22 luglio 2020 n. 4669).
11.1. È bensì vero che nel decreto del Commissario ad acta il rigetto è collegato principalmente al mutato quadro normativo, ma non è stata fornita la prova (il cui onere grava sul soggetto danneggiato) che, in base alla normativa vigente al momento della presentazione della domanda, l’intervento per la realizzazione dell’impianto eolico sarebbe stato autorizzato.
11.2. In base alla giurisprudenza sopra richiamata, ai fini del risarcimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, non è sufficiente richiamare l’inerzia della Amministrazione sulla istanza presentata, dovendo il danneggiato dimostrare la spettanza del bene della vita, ossia, nel caso di specie, dare dimostrazione del fatto che, in caso di tempestivo esame della domanda presentata, l’autorizzazione sarebbe stata rilasciata.
11.3. La prova della spettanza del bene della vita deve essere fornita dal soggetto che assume di aver subito il danno e non può essere demandata al potere accertativo del giudice, come sembra ipotizzare la parte appellante.
11.4. Ancorché sia corretto in linea teorica, ai fini della verifica del nesso causale tra condotta omissiva e il danno che ne è derivato, il richiamo (operato dall’appellante) al criterio “del più probabile che non” (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 7 novembre 2023 n. 9583), ritiene il Collegio che tale dimostrazione non possa esaurirsi nella mera allegazione della considerazione secondo la quale il Commissario ad acta nel 2015 ha respinto l’istanza, richiamando il d.l. n. 91/2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 116/2014 nonché le norme regionali sopravvenute in materia paesaggistica.
11.5. Nel caso di specie, la verifica del nesso di causalità andava effettuata mediante un giudizio contro fattuale, che ponesse al posto della inerzia il comportamento dovuto; in altri termini, la ricorrente (odierna appellante) avrebbe dovuto dimostrare, che un tempestivo esame della domanda avrebbe consentito, appunto secondo il criterio del “più probabile che non”, il rilascio della autorizzazione richiesta.
11.6 Il Collegio inoltre deve rilevare che nella sentenza del T.a.r. Calabria n. 494/2013, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità del silenzio – inadempimento formatosi per effetto della inerzia della amministrazione intimata, non vi è alcun accertamento sulla fondatezza della pretesa azionata, avendo anzi evidenziato il giudice il carattere discrezionale e non vincolato dell’attività rimessa alla Amministrazione.
11.7. Oltre a ciò, si deve rilevare che non risulta impugnato il capo di sentenza con il quale il giudice di primo grado pone alla base del rigetto della domanda risarcitoria anche la seguente ulteriore motivazione: “Neppure il contenuto della determina del commissario ad acta, infine, diversamente da quanto ritenuto nella memoria ex art. 73 c.p.a., assume la rilevanza che il ricorrente mostra di annetterle, posto che alla base del diniego di autorizzazione è espressamente posto (anche) l’esito della conferenza di servizi (verbale del 10.7.2015, che ha esplicitamente escluso l’approvazione del progetto)”.
- Sotto il profilo oggettivo, è mancata inoltre la prova del danno che sarebbe derivato dalla inerzia dell’Amministrazione, sia a titolo di danno emergente, che di lucro cessante.
12.1. Nella sentenza impugnata si dà atto che “Il danno complessivamente patito è stato quantificato in euro 89.515.000,00 oltre ad euro 76.737,16 per le ulteriori causali di cui in ricorso; in subordine, la società ricorrente ha richiesto il pagamento della somma di euro 35.368.731,42”.
12.2. Gli importi richiesti con il ricorso introduttivo del giudizio non trovano adeguato riscontro nella documentazione prodotta nel giudizio di primo grado e non solo eziologicamente ricollegabili all’inerzia della Pubblica Amministrazione, tenendo conto, peraltro, del fatto che i costi sostenuti per la presentazione della istanza sarebbero stati comunque a carico della società (indipendentemente dall’esito del procedimento); con riguardo ai ricavi previsti, il riconoscimento degli stessi, sul piano risarcitorio, presuppone la prova della spettanza del bene della vita, che, come sopra evidenziato, non è stata fornita.
12.3. Nella memoria depositata in data 21 maggio 2019 nell’ambito giudizio di primo grado la società ricorrente ha chiesto la nomina di un consulente tecnico d’ufficio.
12.4. Detta istanza, ancorché non riproposta in grado di appello, non è comunque suscettibile di accoglimento.
12.5. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza amministrativa, il principio secondo il quale nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento: quest’ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra Amministrazione e privato, la quale contraddistingue l’esercizio del pubblico potere e il correlato rimedio dell’azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. “vicinanza della prova” determina il riespandersi del principio dispositivo (ex multis, Consiglio di Stato, sez. VII, 15 novembre 2023 n. 9796).
12.6. Conseguentemente, spettava alla società appellante la prova di tutte le voci del danno asseritamente subito, prova che non può essere acquisita con il ricorso alla c.t.u. o alla verificazione tecnica.
12.7. Nell’atto di appello non vi alcun riferimento alla prova del danno e ai criteri seguiti dall’appellante ai fini della sua quantificazione.
- Anche sotto il profilo soggettivo, non è stata fornita la prova del dolo o della colpa della Amministrazione, che non può presumersi per effetto della inerzia della Amministrazione sulla istanza presentata.
13.1. Sotto il profilo della colpa, nel giudizio di primo grado, la Regione Calabria ha evidenziato che la domanda presentata dalla società ricorrente (odierna appellante) presentava delle carenze documentali che hanno reso necessaria la richiesta di integrazione dei documenti mancanti (con la conseguenza che la mancata tempestiva definizione della relativa pratica non è imputabile in via esclusiva alla colpevole inerzia dell’Amministrazione).
- In conclusione, il ricorso in appello deve essere respinto, per insussistenza dei presupposti della responsabilità della Pubblica Amministrazione del danno da ritardo per lesioni dell’interesse pretensivo.
- La valutazione complessiva della fattispecie dedotta in giudizio giustifica nondimeno la compensazione delle spese di giudizio.