Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 9 febbraio 2022, n. 951
MASSIMA
In materia di accertamento del nesso causale tra attività lavorativa e patologia insorta, laddove le conclusioni espresse dalla CTU fossero non univoche e certe riespandono il potere del G.A. di disattenderle attraverso una motivazione razionalmente adeguata. Nel nostro ordinamento vige, infatti, il principio del iudex peritus peritorum, in virtù del quale è consentito al giudice di merito di valutare la complessiva attendibilità delle
conclusioni peritali e, se del caso, disattenderne le sottese argomentazioni tecniche
laddove queste risultino intimamente contraddittorie.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1) L’appello si palesa infondato.
3) Il Collegio rileva l’infondatezza delle censure basate sostanzialmente su questo ordine di motivazioni di seguito meglio esplicitate: – la C.T.U. non è univoca e certa nell’individuazione del nesso causale e nell’attribuirlo alle specifiche mansioni e concrete attività lavorative svolte dall’appellato; – il giudice può motivatamente discostarsi dalle conclusioni rese dal consulente tecnico secondo il suo prudente apprezzamento della valutazione degli elementi istruttori; – il Comitato di verifica per le cause di servizio è l’organo istituzionalmente deputato ad esprimere le valutazioni sulla riconducibilità delle patologie a causa di servizio delle patologie, con un giudizio connotato da rilevante discrezionalità tecnica, che lo rende insindacabile se non in presenza di manifesta irragionevolezza o illogicità o palese travisamento dei fatti.
4) Invero la C.T.U. non è univoca nelle sue conclusioni, non affermando espressamente, in termini di ragionevole certezza, la sussistenza del nesso causale tra l’infermità sofferta e l’attività di servizio espletata dall’appellante, dedotta solo in via presuntiva.
La relazione del consulente non ha preso specificamente in esame la concreta attività lavorativa dell’appellante, assumendo le sue conclusioni in base a una valutazione del tutto astratta del sovraccarico funzionale causato dall’attività di servizio. D’altra parte, il giudice amministrativo, com’è noto, può discostarsi dalle conclusioni rese dal consulente tecnico d’ufficio, purchè motivi in modo adeguato le ragioni di tale scostamento nell’ambito del suo potere/dovere di valutare materiale probatorio assunto in atti secondo criteri di prudente apprezzamento. Le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio non hanno infatti efficacia vincolante per il giudice, che può legittimamente disattenderle attraverso una
valutazione critica che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente
e logicamente motivata (Cons. Stato, Sez. V, 22/01/2014, n. 321). Nel nostro ordinamento vige infatti il principio del iudex peritus peritorum, in virtù del quale è consentito al giudice di merito valutare la complessiva attendibilità delle conclusioni peritali e, se del caso, disattenderne le sottese argomentazioni tecniche laddove queste risultino intimamente contraddittorie (Cons. Stato Sez. II, 05/10/2020, n. 5824).
Nel caso di specie del tutto ragionevole e condivisibile è l’argomentazione della sentenza gravata, che ha operato un’attenta analisi della relazione finale del consulente tecnico d’ufficio e, facendo espressamente proprie le osservazioni critiche espresse dal perito dell’amministrazione, non ha ritenuto che la consulenza tecnica d’ufficio fosse utile a smentire le valutazioni compiute e le conclusioni raggiunte dal Comitato di verifica, sulla non ascrivibilità della patologia in questione a causa di servizio.
Corretto appare l’iter argomentativo della sentenza che rileva come, anche secondo il consulente tecnico di ufficio, la coxartrosi dell’appellante “è qualificata come primaria e, come ricorda lo stesso c.t.u., ciò è sinonimo di idiopatico, che, a sua volta, significa ad etiologia ignota, ovvero non individuabile”. Nondimeno la consulenza tecnica d’ufficio afferma che la causa dell’infermità sarebbe imputabile – anzi, esprimendosi in termini dubitativi, potrebbe essere imputabile – a un “sovraccarico funzionale”, derivandolo dalla sola circostanza che la malattia sarebbe insorta con alcuni anni di anticipo rispetto al periodo della vita in cui, di regola, si manifesta, sostenendo che ciò potrebbe essere riconducibile all’attività professionale svolta nell’ultimo decennio dell’appellante, quale desumibile però dal solo quadro amnestico, e non documentale, prospettato da quest’ultimo. Del tutto ragionevoli, né smentite dalle censure formulate dall’appellante, risultano quindi le affermazioni del giudice di primo grado secondo cui “in una simile ricostruzione, il nesso causale tra la malattia e l’attività professionale svolta dal ricorrente è affidato a una duplice congettura, in cui un’ipotesi si aggiunge all’altra, ed entrambe dipendono da elementi non documentati e da mere illazioni”. Allo stesso modo il giudice di prime cure ha esercitato in modo adeguatamente motivato il suo dissenso rispetto alle conclusioni raggiunte (peraltro lo si ripete in modo non univoco) dal consulente tecnico d’ufficio, che ha posto a base della sua versione l’elemento del “sovraccarico funzionale”: quest’ultimo non è stato esattamente definito nella relazione peritale, ma può intendersi come la sommatoria di una serie rilevantissima di traumi di minima entità, che può interessare le strutture dell’apparato locomotore.
Il consulente tecnico tuttavia non ha illustrato quale tipo di microtraumi possa causare una coxartrosi, né, tanto meno, individua quali, tra le attività svolte nello scorso decennio dall’appellante, anche solamente da questi narrate e non documentate, possa aver causato la patologia. Né a tal fine può supplire il generico rinvio a studi, effettuati sul personale militare U.S.A. “dato che non è la divisa, ma le concrete attività svolte da un certo soggetto, in un particolare periodo, a comporre o meno le condizioni favorevoli al sorgere della malattia”.
La sentenza evidenzia correttamente che lo stesso consulente tecnico d’ufficio ha riconosciuto che, in relazione all’attività lavorativa dell’appellante, “si è assolutamente consapevoli, in termini medico legali, della mancanza di elementi che consentano di definire nel dettaglio quale possa essere stato, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, il gesto o l’attitudine funzionale che possa avere configurato un sovraccarico funzionale“. Del tutto ragionevoli e fondate sul motivato prudente apprezzamento degli elementi istruttori, risultano le conclusioni della sentenza gravata in ordine al fatto che la consulenza tecnica d’ufficio non ha fornito elementi adeguati per poter affermare che l’appellante abbia in concreto subito un sovraccarico funzionale derivante dall’attività di servizio, né comunque permette di individuare per la sua malattia un’eziologia diversa da quella indicata nel parere del Comitato verifica per le cause di servizio e riconducibile alla specifica attività lavorativa svolta. Né possono avere pregio determinante, in senso contrario, le affermazioni dell’appellante circa le numerose attività di servizio dell’appellante volte alla lotta alla criminalità, che avrebbero comportato un notevole impegno fisico, in quanto anche queste attività fisiche rimangono del tutto generiche, soprattutto in riferimento al supposto specifico sovraccarico funzionale sull’articolazione dell’anca. Tali attività fisiche connesse al servizio non sono state specificate e vengono individuate in modo generico come la necessità di sostenere l’uso di “pesi innaturali”, quali quelli degli anfibi, armi, giubbotto antiproiettile (che certo non è sostenibile fossero portati costantemente durante l’attività di servizio); come pure nella circostanza che le attività in questione fossero spesso svolte in ambiente esterno, sia in tempo diurno che notturno, a volte ancor più disagiato a causa del rigore della temperatura e delle avverse condizioni metereologiche (condizioni che, anche in questo caso, non potevano riguardare la prevalenza dell’attività dell’appellante, considerato la sua funzione e grado, e comunque non evidenziano di per sé fattori di specifica l’incidenza sulla patologia sofferta). Ciò, peraltro, anche tenendo conto che, affinchè sia affermabile la sussistenza di una causa di servizio, è necessario che le attività svolte debbano essere eccedenti rispetto a quelle ordinarie, nel senso che nella nozione di concausa efficiente e determinante delle condizioni di servizio possono farsi rientrare soltanto i fatti ed eventi eccedenti le ordinarie condizioni di lavoro, gravosi per intensità e durata, che vanno necessariamente documentati, con esclusione, quindi, delle circostanze e condizioni del tutto generiche, quali inevitabili disagi, fatiche e momenti di stress, che costituiscono fattore di rischio ordinario in relazione alla singola tipologia di prestazione lavorativa (Cons. Stato, 11 maggio 2007, n. 2274).
Nel caso di specie, invece, tale eccedenza rispetto alle ordinarie condizioni di lavoro, per gravosità e intensità non si ravvisa essendo l’attività connessa alla lotta alla criminalità normalmente riconnessa agli incarichi ricoperti, alle mansioni e al grado dell’appellante.
Né in senso contrario possono valere i riconoscimenti conseguiti, come gli encomi solenni e semplici, in quanto questi testimoniano il valore altamente positivo dei risultati dell’attività svolta, non la sua eccezionalità rispetto alle normali mansioni.