Corte di Cassazione, VI Sezione Penale, sentenza 28 marzo 2022, n. 11240
PRINCIPIO DI DIRITTO
Non può essere pronunciata condanna per falsa testimonianza esclusivamente sulla base del contrasto tra le dichiarazioni rese in dibattimento e quelle rese nel corso delle indagini preliminari ed utilizzate per le contestazioni di cui all’art. 500 c.p.p.; tale contrasto può assumere rilevanza ai fini dell’accertamento del reato solo ove siano emersi altri elementi di prova atti a riscontrare la veridicità delle primigenie dichiarazioni e la falsità di quelle successivamente rilasciate
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- Il ricorso è fondato e deve essere accolto, per quanto non in relazione alla eccezione di natura processuale dedotta con il primo motivo, ritenuta accoglibile anche dal Procuratore Generale, ma in maniera più radicale in relazione al terzo motivo di censura e in particolare alla doglianza formulata al punto d), che involge il profilo della sussistenza stessa del reato di falsa testimonianza.
- Com’è, infatti, dato rilevare, il terzo motivo di ricorso è prevalentemente articolato in punto di mero fatto e per tale aspetto risulterebbe improponibile. Pur se in maniera asistematica, il motivo pone, tuttavia, la cruciale questione della valenza che può essere attribuita, quale parametro di confronto con le dichiarazioni rese in dibattimento, con quelle che il testimone aveva in precedenza reso nel corso delle indagini preliminari e che nel corso del processo in cui la testimonianza viene resa, siano state utilizzate per le contestazioni di cui all’art. 500 c.p.p.
Com’è noto, infatti, le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate unicamente ai fini della credibilità del testimone (art. 500 c.p.p., comma 2), mentre dalla lettura della sentenza in esame emerge chiaramente che sono state proprio le dichiarazioni rese dalla ricorrente a sommarie informazioni testimoniali dinanzi ai Carabinieri in data (omissis) nell’ambito del procedimento n. 8471/2010 R.G.N.R. a fungere da metro di valutazione di quanto dalla stessa dichiarato, in veste di testimone, nel processo celebrato nei confronti di P. e C.M. (pag. 5 sent. impugnata), parti civili nell’ambito del presente giudizio.
La Corte di merito ha dato per pacifico tale assunto, concentrandosi piuttosto sull’eccezione, questa certamente infondata, che la difesa dell’imputata aveva sollevato riguardo alla mancata acquisizione agli atti del proprio processo per falsa testimonianza del verbale delle sommarie informazioni rese.
Che questa sia effettivamente stata la statuizione dalla Corte d’appello trova, infatti, conferma nel passo ulteriore della sentenza in cui si dà conto del fatto che l’imputata ha “rappresentato in dibattimento una realtà diversa da quella evidenziata e dichiarata in sede di indagini dinanzi alla P.G. procedente, ponendosi in netto contrasto con la primigenia esternazione in ordine alla percezione di un dato (…) dapprima denegato e poi illustrato financo nel particolare” (pag. 5).
La statuizione risulta, tuttavia, giuridicamente infondata, poiché contrastante con il vigente dato normativo.
Nell’ambito del processo in cui rende la sua deposizione, chiarisce la Corte, il testimone è, infatti, immune da responsabilità, potendo unicamente essere ritenuto attendibile o meno, tanto che l’art. 476 c.p.p., comma 2, stabilisce espressamente che, a differenza di quanto consentito dal previgente codice, non può essere arrestato per reati concernenti il contenuto della deposizione.
Uno dei modi per confermarne l’attendibilità o per converso per farne risaltare la non credibilità è rappresentato proprio dall’utilizzo delle dichiarazioni rese in precedenza dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico ministero (art. 500 c.p.p., comma 1).
Sembra, tuttavia, evidente come lo statuto di quelle dichiarazioni non possa subire mutamenti nel corso dell’eventuale successivo giudizio a carico del dichiarante, accusato di essere stato falso o reticente né che possa cambiare la rilevanza giuridica di quelle dichiarazioni, dovendosi in particolare escludere che il relativo contenuto possa fungere da esclusivo parametro di genuinità o falsità della deposizione testimoniale resa dibattimento.
Quanto ora affermato, osserva la Corte, non contrasta con la circostanza che l’art. 372 c.p., non contempla alcun parametro legale di riferimento, potendo la falsità della deposizione emergere dal confronto con una qualsiasi delle altre risultanze processuali (a mero titolo di esempio la concorde deposizione di più testimoni).
La natura giuridica che il vigente codice di rito attribuisce alla disciplina delle contestazioni dibattimentali di cui all’art. 500 c.p.p. ed il suo rapporto con il reato di falsa testimonianza non possono, dunque, subire variazioni nel passaggio dal processo in cui sono state rese le deposizioni testimoniali a quello successivamente instaurato al fine di accertare la sussistenza del delitto di falsa testimonianza, pena, altrimenti, la pratica abrogazione del comma 2 di tale previsione normativa.
La stessa affermazione, in apparenza contrastante, contenuta in una non recente pronuncia di questa Corte di legittimità (Sez. 6, n. 38107 del 04/06/2009, Ottaviano ed altri, Rv. 245367), per cui è stata ritenuta impropria l’osservazione del giudice di merito che, evocando l’art. 500 c.p.p., aveva ritenuto di non poter effettuare il confronto comparativo tra dichiarazioni procedimentali e dichiarazioni dibattimentali, per dedurne la corrispondenza al vero delle prime e la falsità delle seconde, può essere comunque condivisa alla condizione che da altri elementi processuali sia emersa la situazione così descritta, laddove nel caso in esame non risultano acquisiti dati probatori aggiuntivi atti a dimostrare la veridicità delle dichiarazioni rese dall’imputata alla Polizia giudiziaria, constando, anzi, a parere della difesa elementi di segno opposto (punto b) del terzo motivo di ricorso) non considerati nè apprezzati dalla Corte di merito.
Deve conclusivamente affermarsi il principio che non può essere pronunciata condanna per falsa testimonianza esclusivamente sulla base del contrasto tra le dichiarazioni rese in dibattimento e quelle rese nel corso delle indagini preliminari ed utilizzate per le contestazioni di cui all’art. 500 c.p.p.; tale contrasto può assumere rilevanza ai fini dell’accertamento del reato solo ove siano emersi altri elementi di prova atti a riscontrare la veridicità delle primigenie dichiarazioni e la falsità di quelle successivamente rilasciate.
- Alla luce di tale principio, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste; residui motivi assorbiti dalla natura della pronuncia.