Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili – sentenza 25 novembre 2024 n. 30220
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va limitata la giurisdizione della Corte dei Conti, sezioni unite, in tema di impugnazione dell’elenco annuale ISTAT delle pubbliche amministrazioni predisposto ai sensi del SEC 2010, l’art. 23- quater d.l. n. 137 del 2020, alla sola applicazione della disciplina nazionale sul contenimento della spesa pubblica.
Va attribuita la giurisdizione al giudice amministrativo per ogni ulteriore ambito, inclusa l’applicazione della normativa europea.
PARTE RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Con l’unico motivo di ricorso le ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 1, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 7 del codice del processo amministrativo (c.p.a.) e dell’art. 11 del codice della giustizia contabile (c.g.c.) come modificato dall’art. 23-quater d.l. n. 137 del 2020, per aver la Corte dei conti ritenuto ricompreso nella sua giurisdizione il potere di annullamento dell’elenco ISTAT.
1.1. Le ricorrenti evidenziano che la giurisdizione su tale ambito, originariamente ricadente sul giudice amministrativo, con la legge 24 dicembre 2012, n. 228, era stata attribuita alle sezioni riunite della Corte dei conti; tuttavia, con l’art. 23-quater d.l. n. 137 del 2020, il legislatore, modificando l’art. 11, comma 6, lett. b, c.g.c., ha limitato la giurisdizione del giudice contabile “ai soli fini dell’applicazione della normativa nazionale sul contenimento della spesa pubblica”.
Sicché – contrariamente a quanto affermato dalle Sezioni riunite – sussisterebbe la giurisdizione del giudice amministrativo per gli ulteriori profili ovvero quando la parte lamenti la violazione di un interesse diverso da quello “interno”.
Da ciò l’errata interpretazione dell’art. 11, comma 6, lett. b), c.g.c. e l’errata disapplicazione della modifica operata con l’art. 23-quater cit., fondata su una errata applicazione della sentenza della Corte di giustizia 13 luglio 2023, Ferrovienord Spa e Federazione Italiana Triathlon, nelle cause riunite C-363/21 e C-364/21.
- Il ricorso – come eccepito dal controricorrente e rilevato dal Pubblico Ministero – è inammissibile.
- Occorre premettere che la sentenza n. 17/2023 della Corte dei conti – sezioni riunite è una sentenza non definitiva che ha deciso sulla giurisdizione senza definire, neppure parzialmente, il giudizio.
Ciò emerge indiscutibilmente da una varietà di indici formali: la decisione riguarda solo la giurisdizione e contiene l’esplicita locuzione «non definitivamente pronunciando»; manca una esplicita statuizione di liquidazione delle spese così come una statuizione di separazione: anzi, la sentenza ha previsto l’ulteriore prosecuzione del giudizio di merito, disponendo, con separata ordinanza, per l’attività istruttoria.
3.1. Orbene, l’art. 360, terzo comma, cod. proc. civ. – nel testo sostituito dall’art. 2, comma 1, d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – stabilisce: «Non sono immediatamente impugnabili con ricorso per cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio.
Il ricorso per cassazione avverso tali sentenze può essere proposto, senza necessità di riserva, allorché sia impugnata la sentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio».
In tal modo, pertanto, il legislatore ha introdotto la distinzione tra le “sentenze non definitive su questioni”, soggette a ricorso per cassazione necessariamente differito (art. 360, terzo comma, cod. proc. civ.), e le “sentenze non definitive su domanda o parziali”, suscettibili, invece, di ricorso per cassazione immediato ovvero, in alternativa, differito con onere di formulazione della riserva di ricorso (art. 361 cod. proc. civ.).
Sul punto v. Sez. U, n. 2575 del 22/02/2012; v. anche Cass. n. 18104 del 04/08/2010; Sez. U, n. 10937 del 05/05/2017; Sez. U, n. 3556 del 10/02/2017; Cass. n. 11916 del 12/05/2017; v. anche ampiamente in motivazione, sia pure nell’alveo della diversa fattispecie della pronuncia di accoglimento della questione di giurisdizione e rinvio al giudice di primo grado, Sez. U, n. 25774 del 22/12/2015; da ultimo v. Cass. n. 16071 del 07/06/2023.
3.2. Nel primo ambito rientra la questione attinente alla giurisdizione che ha carattere pregiudiziale e, astrattamente, è idonea a definire il giudizio ai sensi dell’art. 279, secondo comma, n. 2, cod. proc. civ.
Va rilevato, sul punto, che l’art. 360, terzo comma, cod. proc. civ., nel non consentire il ricorso immediato per cassazione avverso le “sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio” si riferisce, indubbiamente, alle ipotesi di cui all’art. 279, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il quale stabilisce che:
«il collegio pronuncia sentenza 4) quando, decidendo alcune delle questioni di cui ai numeri 1), 2) e 3), non definisce il giudizio e impartisce distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa», cioè quando – con riferimento al caso di specie – rigetta la questione pregiudiziale, affermando la propria giurisdizione, e dispone la prosecuzione del giudizio di merito.
- Non muta tale conclusione quanto dedotto dalle ricorrenti con la memoria, ossia che il giudice contabile abbia anche, con indicazione contenuta nella motivazione e poi nel dispositivo, «accerta[to] la sussistenza del controllo pubblico sul ricorrente, ai sensi del SEC 2010».
4.1. In realtà, ciò che le ricorrenti oppongono è che la sentenza debba essere qualificata come definitiva e “parziale” in quanto decisoria (almeno in parte) del giudizio.
4.2. Tale conclusione, tuttavia, non solo contrasta con i requisiti formali sopra illustrati, che permettono di ancorare la distinzione a requisiti oggettivi, ma, anche sul piano sostanziale, non appare condivisibile, posto che la Corte dei conti, oltre a statuire sulla giurisdizione, non ha deciso su alcuna ulteriore domanda introdotta nel giudizio, ma ha solo intrapreso la disamina dei presupposti di merito (in ispecie del primo su tre) per poter decidere sulle domande della società ricorrente (v. Sez. U, Sentenza n. 10242 del 19/04/2021, che puntualizza la rilevanza obbiettiva dei requisiti formali, che restano recessivi solo nell’ipotesi in cui risulti una “ambiguità derivante dall’irriducibile contrasto tra indici di carattere formale”).
Come emerge dalla stessa sentenza impugnata, del resto, A22 aveva chiesto l’accertamento e la declaratoria “di non applicazione della disciplina sul contenimento della spesa pubblica”, nonché “dell’insussistenza dei presupposti per la sua qualificazione come amministrazione pubblica” in relazione alla disciplina SEC 2010 e, quindi, “l’annullamento dell’elenco delle amministrazioni pubbliche” redatto dall’ISTAT per il 2023 in relazione al proprio inserimento.
Nessuna di queste domande è stata oggetto di statuizione, né può ritenersi sufficiente il mero accertamento di uno dei presupposti in base ai quali potrà intervenire la (futura) decisione, la cui rilevanza è solo interna allo svolgimento del processo.
4.3. Neppure può dirsi, del resto, che l’invocata statuizione sia idonea ad arrecare un pregiudizio attuale ed effettivo o abbia una attitudine al giudicato – che postula l’accoglimento o il rigetto nel merito di una pretesa o di una domanda – lasciando del tutto impregiudicata la sorte delle domande formulate dalla società ricorrente e la definizione del rapporto controverso.
- Ne deriva che la sentenza non poteva essere assoggettata ad immediato ricorso per cassazione, potendo lo stesso essere proposto solo una volta sopravvenuta la decisione definitiva.
- Queste Sezioni Unite, peraltro, ritengono che, nella vicenda in giudizio, sussistano i presupposti per l’enunciazione del principio di diritto ai sensi dell’art. 363 cod. proc. civ.
6.1. Già con la sentenza Sez. U, n. 27187 del 28/12/2007, infatti, si è affermato che «se le parti non possono, nel loro interesse e sulla base della normativa vigente, investire la Corte di cassazione di questioni di particolare importanza in rapporto a provvedimenti giurisdizionali non impugnabili, e il P.G. presso la stessa Corte non chieda l’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge, le Sezioni Unite della Corte – chiamate comunque a pronunciarsi su tali questioni su disposizione del Primo Presidente – dichiarata l’inammissibilità del ricorso, possono esercitare d’ufficio il potere discrezionale di formulare il principio di diritto concretamente applicabile.
Tale potere, espressione della funzione di nomofilachia, comporta che – in relazione a questioni la cui particolare importanza sia desumibile non solo dal punto di vista normativo, ma anche da elementi di fatto – la Corte di cassazione possa eccezionalmente pronunciare una regola di giudizio che, sebbene non influente nella concreta vicenda processuale, serva tuttavia come criterio di decisione di casi analoghi o simili».
Su tale assetto, la recente riforma attuata con il d.lgs. n. 149 del 2022 non ha inciso, tant’è che con la recente sentenza Sez. U, n. 8268 del 22/03/2023 si è precisato che «il procedimento per l’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge, ex art. 363, comma 1, c.p.c., richiede la ricorrenza dei seguenti presupposti processuali:
- a) l’avvenuta pronuncia di uno specifico provvedimento giurisdizionale non impugnato o non impugnabile né ricorribile per cassazione;
- b) l’illegittimità del provvedimento stesso, quale indefettibile momento di collegamento ad una controversia concreta;
- c) un interesse della legge, quale interesse generale o trascendente quello delle parti, all’affermazione di un principio di diritto per l’importanza di una sua formulazione espressa».
6.2. Orbene, i requisiti sopra indicati ricorrono tutti nel caso in esame attesa l’inammissibilità del ricorso e il concreto ed effettivo collegamento tra il provvedimento impugnato ad una concreta vicenda.
Inoltre, come emerge chiaramente dalla stessa decisione qui impugnata (ma anche dagli atti delle parti), il contenzioso in esame appare di ampia incidenza non solo in termini quantitativi – attesa l’instaurazione presso la Corte dei conti – sezioni riunite di una pluralità di giudizi – ma anche per la rilevanza dei profili sollevati.
Ciò tanto più per le implicazioni eurounitarie nella materia in relazione agli artt. 4 e 121 e ss TFUE, che hanno già dato origine ad un intervento della Corte di giustizia, il che rende apprezzabile la sussistenza di un interesse ad una pronuncia che, «prescindendo completamente dalla tutela dello ius litigatoris, si sostanzia nella stessa enunciazione del principio di diritto richiesta alla Corte, finalizzata alla stabilizzazione della giurisprudenza» (Sez. U, n. 13332 del 01/06/2010).
Va sottolineato, peraltro, che, in coerenza con il compito delle Sezioni Unite diretto a regolare la giurisdizione innanzi ad un ricorso avverso la decisione del giudice contabile (v. Sez. U, n. 33988 del 17/11/2022), il principio di diritto investe esclusivamente il riparto della giurisdizione nella specifica materia tra il giudice contabile e il giudice amministrativo, restando estranea ogni connotazione riferita al merito della specifica vicenda.
- Ciò premesso, la questione controversa si incentra sull’esistenza e validità di un riparto di giurisdizione tra la Corte dei conti e giudice amministrativo ai sensi dell’art. 23-quater d.l. n. 137 del 2020 in relazione all’impugnazione dell’elenco delle amministrazioni pubbliche da inserire nel conto economico consolidato, redatto dall’ISTAT in attuazione della disciplina eurounitaria contenuta nel SEC 2010 (Sistema dei conti economici integrati), previsto e regolato dal reg. n. 549/2013/UE ed inserito nella cornice normativa delineata da una pluralità di atti unionali (in ispecie, la direttiva n. 85/2011/UE e il reg. n. 473/2013/UE).
- Il Sistema in discussione costituisce uno strumento statistico di fondamentale importanza per l’Unione Europea, poiché assolve all’obbiettivo di consentire una corretta e comparabile analisi delle situazioni economiche di tutti gli Stati membri dell’Unione Europea per garantire il rispetto degli obbiettivi di bilancio e l’osservanza da parte degli Stati membri dell’obbligo, ex art. 126 TFUE, di evitare disavanzi pubblici eccessivi.
La rilevanza del profilo, e anche la stessa compenetrazione tra ordinamento giuridico nazionale ed eurounitario, trova conferma, del resto, nella modifica dell’art. 97 Cost., il cui primo comma, con la legge costituzionale n. 1 del 2012, è stato riformulato con la previsione «Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico».
Se per il diritto interno l’equilibrio di bilancio ha una funzione pubblica di garanzia, nel senso che assicura la continuità delle prestazioni costituzionali nel tempo e ribadisce la fiducia degli elettori nei confronti degli eletti, per il diritto eurounitario appare centrale la leale cooperazione in materia finanziaria, in considerazione della reciproca interdipendenza tra politiche economiche ed efficacia unitaria delle politiche monetarie (art. 4, § 3 TUE e art. 121 TFUE).
Il raggiungimento di questi obbiettivi è imposto a tutte le pubbliche amministrazioni, «in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, dalla normativa in materia di contabilità e finanza pubblica» (ai sensi dell’art. 2, lett. a), l. n. 243 del 2012), perimetrate dall’elenco ISTAT e identificate in base al SEC 2010.
L’ISTAT, a tale scopo, ha il compito di redigere annualmente un elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato, al fine di «assicurare il consolidamento degli obiettivi di finanza pubblica stabiliti in sede di Unione europea».
In altri termini, la determinazione dei saldi e la predisposizione delle loro eventuali successive correzioni scaturiscono dai dati trasmessi dalle amministrazioni pubbliche che formano il conto consolidato: la corretta formazione dell’elenco ISTAT, individuando le amministrazioni pubbliche tenute all’attuazione dell’equilibrio di delle politiche economiche ai sensi degli artt. 121 e ss. TFUE.
8.1. Preme tuttavia evidenziare che l’elenco ISTAT – ossia l’avvenuto inserimento dell’ente all’interno dell’elenco – ha assunto, nel tempo, una sempre maggiore rilevanza, con un proliferare di norme anche ai fini della finanza pubblica interna o anche, solo, per orientare l’individuazione della soggettività pubblica e non per finalità necessariamente contabili.
In via solo esemplificativa, l’art. 5, comma 9, d.l. n. 95 del 2012 quanto all’attribuzione di incarichi di studio e consulenza, ovvero di incarichi dirigenziali o altre cariche in organi di governo delle amministrazioni o degli enti o società controllate; analogamente, l’art. 1, comma 321, della legge n. 147 del 2013, in tema di riduzioni di spesa per l’Autorità garante della concorrenza e del mercato e per le Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità e versamento all’entrata dei risparmi.
Oppure, ancora, l’art. 6, commi 2 e 3, del d.l. n. 65 del 2015 sul versamento di risparmi conseguiti dall’Inps; del pari l’art. 22, comma 6, d.l. n. 90 del 2014, in tema di consulenza e studio e organi collegiali di alcune Autorità indipendenti.
L’inserimento nell’elenco ISTAT, dunque, ha oramai esiti che vanno oltre quelli di natura strettamente contabile: dall’inserimento dell’ente nell’elenco derivano gli specifici effetti previsti dalla singola normativa che richiama, per la sua applicazione, il suddetto elenco.
8.2. Se ne può concludere che l’elenco ISTAT ha una rilevanza centrale non solo in chiave eurounitaria, ma anche ai fini della finanza pubblica interna e della stessa perimetrazione soggettiva delle pubbliche amministrazioni per una variegata pluralità di effetti.
- L’inserimento di un ente nell’elenco ISTAT è, come tale, suscettibile di impugnazione innanzi all’autorità giurisdizionale.
Secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa e contabile, infatti, l’inclusione nell’elenco ha natura provvedimentale (v. Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 5617; Corte dei conti – sezioni riunite, 27 novembre 2013, n. 7, che hanno sul punto affermato trattarsi di “accertamento costitutivo”, ravvisandovi “margini di discrezionalità tecnica, richiedente il “possesso di conoscenze specialistiche””).
Le stesse Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 12496 del 2017) hanno precisato che all’elenco, in quanto redatto in base ai criteri stabiliti nei regolamenti europei, deve “riconoscersi natura meramente ricognitiva, quale determinazione assunta all’esito dell’accertamento in ordine alla ricorrenza dei criteri definitori e classificatori posti” dal SEC 2010.
La necessità di una verifica giudiziale, del resto, discende dalla stessa sentenza della Corte di giustizia, Ferrovienord Spa e Federazione Italiana Triathlon, nelle cause riunite C-363/21 e C-364/21.
9.1. Sino al 2012 competente a decidere sul contenzioso in oggetto era il giudice amministrativo.
Con l’art. 1, comma 169, della l. n. 228 del 2012, la giurisdizione è stata attribuita al giudice contabile, per il quale «avverso gli atti di ricognizione delle amministrazioni pubbliche operata annualmente dall’ISTAT ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, è ammesso ricorso alle Sezioni riunite della Corte dei conti, in speciale composizione, ai sensi dell’articolo 103, secondo comma, della Costituzione».
La norma è stata confermata dall’art 11, comma 6, lett. b), c.g.c., che, nel testo originario, disponeva: «Le Sezioni riunite in speciale composizione, nell’esercizio della propria giurisdizione esclusiva in tema di contabilità pubblica, decidono in unico grado sui giudizi: […] b) in materia di ricognizione delle amministrazioni pubbliche operata dall’ISTAT».
L’art. 23-quater, comma 2, d.l. n. 137 del 2020 ha modificato in senso limitativo tale indicazione, sicché la citata lett. b) ha assunto (testo sottolineato quello introdotto dalla novella) il seguente tenore: «b) in materia di ricognizione delle amministrazioni pubbliche operata dall’ISTAT, ai soli fini dell’applicazione della normativa nazionale sul contenimento della spesa pubblica;».
- Come evidenziato dalla sentenza impugnata, la novella ha ridotto l’ambito della giurisdizione (esclusiva) del giudice contabile.
In particolare, la sentenza ha posto in risalto che l’intervento del legislatore ha escluso la possibilità “di statuire in modo vincolante a fini diversi da quelli relativi della normativa nazionale”, escludendo per il ricorrente “la disponibilità di mezzi di tutela, quali l’annullamento (produttivo di effetti erga omnes) o la disapplicazione a garanzia di altri effetti/fini, tra cui, quelli del diritto Ue.”.
10.1. In base a questi presupposti, pertanto, il giudice contabile ha ritenuto, in forza della decisione della Corte di giustizia sopra citata, incompatibile l’art. 23-quater, comma 2, d.l. n. 137 del 2020.
- Occorre partire da quanto affermato dalla Corte di giustizia.
Con la sentenza richiamata, invero, la Corte ha precisato che, alla luce dei principi di equivalenza ed effettività, una normativa nazionale che “limiti la competenza del giudice contabile a statuire sulla fondatezza dell’iscrizione di un ente nell’elenco delle amministrazioni pubbliche” non contrasta con la normativa europea rilevante “purché siano garantiti”, in base al sistema giurisdizionale interno, “l’effetto utile dei regolamenti e della direttiva summenzionati nonché la tutela giurisdizionale effettiva imposta dal diritto dell’Unione” (par. 100).
La Corte di Lussemburgo, pertanto, non ha escluso, in sé, la compatibilità dell’art. 23-quater con il diritto eurounitario, ma ne ha rimesso la concreta valutazione al giudice nazionale alla luce di una pluralità di condizioni.
(a) necessità ed indefettibilità del controllo giurisdizionale («qualora il giudice nazionale constatasse che l’entrata in vigore dell’articolo 23 quater del decreto-legge n. 137/2020 determina l’assenza di qualsiasi controllo giurisdizionale delle decisioni dell’ISTAT relative all’iscrizione di enti nel settore delle amministrazioni pubbliche …
Bisognerebbe considerare che tale disposizione rende impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del suddetto regolamento e, pertanto, non permette di garantire l’effetto utile della direttiva 2011/85. Infatti, in una simile ipotesi, detti enti non potrebbero adire alcun giudice ai fini del controllo delle misure adottate dall’ISTAT in applicazione del regolamento di cui sopra», par. 94).
La Corte, tuttavia, ha precisato che tale condizione non si riscontra se «soltanto il giudice amministrativo è competente ad annullare l’iscrizione di un ente nell’elenco ISTAT ed il giudice contabile può controllare unicamente la legittimità di tale iscrizione in maniera incidentale allorché statuisce sull’applicazione della normativa nazionale sul contenimento della spesa pubblica» (par. 95).
Non ha poi rilievo, per il diritto dell’Unione, che dalla norma derivi la determinazione di un giudice competente diverso da quello indicato dalla Costituzione della Repubblica italiana in materia di bilancio (par. 99).
(b) sia salvaguardato il cd. principio di autosufficienza del ricorso, ossia che «gli enti iscritti nell’elenco ISTAT che intendono contestare la loro designazione quali amministrazioni pubbliche» non siano costretti, per ottenere tutela, «a presentare due distinti ricorsi, vale a dire uno davanti al giudice amministrativo e un altro davanti alla Corte dei conti» per «chiedere al giudice amministrativo l’annullamento erga omnes della decisione che li ha iscritti in quest’elenco» e «dinanzi alla Corte dei conti contestare le conseguenze della loro iscrizione nell’elenco suddetto e ottenere, eventualmente, in maniera incidentale, la disapplicazione di tale iscrizione» (par. 97).
Non rileva, invece, che dalla duplice devoluzione possa sorgere il rischio che «si formino giudicati contrastanti» poiché «la semplice possibilità che si verifichino simili divergenze non è sufficiente per concludere per l’esistenza di una violazione dell’articolo 19 TUE, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta e del principio di effettività, purché un ente che contesti la decisione di qualificazione adottata nei suoi confronti possa limitarsi a proporre un unico ricorso per veder esaminata la propria domanda» (par. 98).
- La Corte dei conti – sezioni riunite, cui è stato rimesso in sede di rinvio il riscontro dei presupposti indicati dalla Corte di giustizia, è giunta quindi a disapplicare l’art. 23-quater cit. con un articolato percorso interpretativo.
In particolare, ha rilevato che:
– la Corte di giustizia ha affermato la natura self-executing della complessiva disciplina eurounitaria (il reg. n. 549/2013UE – SEC 2010 -, nonché la direttiva n. 85/2011/UE e il reg. n. 471/2012/UE), dunque vincolante per gli Stati membri in ordine all’accertamento della qualificazione di “amministrazione pubblica”;
– dalla qualificazione di un ente come “amministrazione pubblica” discendono effetti di natura contabile, rientrando la redazione dell’elenco ISTAT nelle materie di contabilità pubblica per la sua incidenza sui conti nazionali e gli effetti ulteriori in sede eurounitaria, da cui la necessità di assicurare il rispetto dell'”effetto utile” della disciplina unionale e l’indefettibilità e l’inderogabilità di un controllo
giurisdizionale;
– l’autonomia procedurale sull’individuazione dei meccanismi processuali interni riconosciuta agli Stati membri incontra dei limiti, il cui concreto accertamento è rimesso al giudice nazionale, non potendosi pregiudicare la capacità del diritto unionale di essere attuato;
– l’art. 23-quater cit. non è rispettoso di tali limiti in quanto:
- a) determina, per la natura “esclusiva” della giurisdizione contabile ex art. 11, comma 6, c.g.c. (locuzione rimasta inalterato dall’intervento legislativo) e per l’inesistenza di una giurisdizione generale dell’autorità giurisdizionale amministrativa per l’annullamento degli atti, “l’insindacabilità presso qualsiasi altro giudice degli effetti comunitari” dell’elenco ISTAT;
- b) in ogni caso, viola il principio di autosufficienza del ricorso non potendo il soggetto interessato limitarsi a “proporre un unico ricorso per vedere esaminata la sua domanda”.
- È indubbiamente condividibile la conclusione cui giungono le Sezioni riunite in ordine alla sottrazione della tutela di annullamento al giudice contabile, attesa l’esplicita limitazione (“ai soli fini dell’applicazione della normativa nazionale sul contenimento della spesa pubblica”) introdotta con l’art. 23-quater cit.
Non appare invece condividibile l’ulteriore considerazione sulla portata modificativa della norma e sul rapporto tra norme interne e norme unionali, né l’esito raggiunto.
- Ai sensi dell’art. 103, secondo comma, Cost., la Corte dei conti “ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge”.
Come ha rilevato la Corte costituzionale (sentenza n. 29 del 1995), la prassi giurisprudenziale e le leggi di attuazione della Costituzione hanno esaltato, della Corte dei conti, il ruolo complessivo di garante imparziale dell’equilibrio economico-finanziario del settore pubblico e, in particolare, della corretta gestione delle risorse collettive, quale “organo posto a tutela degli interessi obiettivi della pubblica amministrazione”.
La giurisprudenza costituzionale ha altresì precisato che la giurisdizione “nelle materie di contabilità pubblica”, come prevista dalla Costituzione e alla stregua della sua conformazione storica, è dotata non di una “assoluta”, ma solo di una tendenziale generalità (sentenza n. 102 del 1977, nonché sentenza n. 33 del 1968), in quanto essa è suscettibile di espansione in via interpretativa, quando sussistano i presupposti soggettivi e oggettivi della responsabilità per danno erariale, ma ciò solo “in carenza di regolamentazione specifica da parte del legislatore che potrebbe anche prevedere la giurisdizione ed attribuirla ad un giudice diverso” (sentenza n. 641 del 1987).
Inoltre, come ha sottolineato la Corte costituzionale nella sentenza n. 385 del 1996, “appartiene … alla discrezionalità del legislatore, che deve essere circoscritta all’apprezzamento ragionevole dei motivi di carattere ordinamentale e, particolarmente, di quelli riconducibili agli equilibri costituzionali, la definizione concreta della materia di contabilità pubblica, da attribuire alla giurisdizione della Corte dei
conti”.
In linea con questa prospettiva, del resto, le Sezioni Unite (Sez. U, n. 2370 del 25/01/2023) hanno ritenuto che, in tema di danno erariale, per configurare in capo ad un magistrato, oltre alla responsabilità disciplinare, una responsabilità contabile da disservizio derivante dall’inosservanza dei termini per il deposito dei provvedimenti, occorre un quid pluris rispetto al mero ritardo.
Quanto sopra, posto che, nella definizione dei rispettivi ambiti di competenza, “spetta alla responsabilità disciplinare affidata all’organo di governo autonomo reagire a condotte violative dei doveri funzionali del magistrato che abbiano determinato, per il mancato rispetto dei termini di deposito dei provvedimenti, un livello della funzione giurisdizionale qualitativamente non adeguato alle attese dell’utenza”.
- Orbene, occorre rilevare, in via generale, che l’inclusione nell’elenco ISTAT ha natura provvedimentale, cui si contrappone, in capo agli enti coinvolti, una situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo, ambito che, in quanto tale, ai sensi dell’art. 7 c.p.a., è riferibile alla giurisdizione amministrativa.
Del resto, anteriormente all’intervento operato con l’art. 1, comma 169, l. n. 228 del 2012 (che ha previsto il ricorso alle Sezioni riunite della Corte dei conti), il relativo contenzioso era pacificamente instaurabile innanzi al giudice amministrativo.
La riserva di giurisdizione in favore della Corte dei conti ai sensi dell’art. 103, comma 2, Cost., dunque, non pare escludere una competenza generale e residuale del giudice amministrativo, incontrando il limite funzionale della interpositio del legislatore.
15.1. Il testo della disposizione utilizzata dal legislatore per esercitare la propria interpositio ha delle indubbie ambiguità. L’art. 11, comma 6, lett. b), c.g.c., dedicato all’individuazione delle ipotesi in cui le Sezioni riunite decidono “nell’esercizio della propria giurisdizione esclusiva in tema di contabilità pubblica”, prevede, in esito alla novella, che tale giurisdizione esclusiva in tema di elenchi ISTAT, è confinata “ai soli fini dell’applicazione della normativa nazionale sul contenimento della spesa pubblica”, dunque limitata ai soli effetti disapplicativi.
Tuttavia, tale rilievo non appare decisivo: il risalente criterio fondante la ripartizione della giurisdizione esclusiva – per “blocchi di materie” – è stato ridimensionato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 204 del 2004) nel senso che il legislatore ordinario può ampliare l’ambito della giurisdizione esclusiva, ma “con riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in assenza di tale previsione, comporterebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità”.
Deve trattarsi, cioè, di materie nelle quali si rinvengono controversie concernenti l’esercizio del potere amministrativo – che, come tali, coinvolgono interessi legittimi – e aventi ad oggetto provvedimenti, atti o comportamenti lesivi (anche) di diritti soggettivi.
Si tratta di principi declinati per il giudice amministrativo, ma sicuramente pertinenti anche rispetto alla fattispecie in giudizio.
Ne deriva che il legislatore, nel delineare in positivo un più limitato ambito della giurisdizione esclusiva rimasta in capo alla Corte dei conti nella materia della ricognizione delle amministrazioni pubbliche operata dall’ISTAT (i.e. «ai soli fini dell’applicazione della normativa nazionale sul contenimento della spesa pubblica»), ha, in realtà, integralmente espunto dalla competenza giurisdizionale della Corte dei conti l’applicazione della normativa eurounitaria.
Infatti, prima ancora di precludere al giudice contabile l’esercizio della tutela di annullamento, ha chiaramente delimitato la relativa giurisdizione alla sola disciplina nazionale sul contenimento della spesa pubblica, escludendola in relazione alla rilevanza eurounitaria del medesimo atto di ricognizione.
15.2. Né deve stupire che, in relazione al medesimo ambito, si assista ad un riparto tra differenti giurisdizioni che viene ancorato al petitum sostanziale e alla causa petendi e ai profili e alle questioni di specifico rilievo nei diversi comparti.
In via solo esemplificativa, avuto riguardo agli ambiti propri della giurisdizione contabile, in tema di pensioni dei militari la giurisdizione esclusiva della Corte di conti è limitata al sorgere, modificarsi, estinguersi del diritto di pensione, mentre resta estranea ogni questione connessa con il rapporto di pubblico impiego (v. Sez. U, n. 24670 del 08/10/2018).
15.3. A fronte della “contrazione” dell’ambito della giurisdizione, pertanto, si deve ritenere che si sia, contestualmente, riespansa la giurisdizione del giudice amministrativo chiamato, nell’ambito della sua generale giurisdizione di legittimità disciplinata dall’art. 7 c.p.a. («sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni …»), ad operare il vaglio della legittimità dell’azione amministrativa e la tutela degli interessi legittimi alla luce degli usuali vizi del provvedimento, riconducibili alla incompetenza, all’eccesso di potere ed alla violazione di legge.
È appena il caso di osservare, sul punto, che una posizione di tutela generale degli interessi legittimi in capo al giudice amministrativo rinviene un ulteriore indice alla luce della recente riforma del processo civile di cui al d.lgs. n. 149 del 2022.
L’art. 37 cod. proc. civ., ripreso dall’art. 362, primo comma, cod. proc. civ., infatti, nel disciplinare la rilevazione del difetto di giurisdizione del giudice ordinario, indica esplicitamente il giudice amministrativo, distinguendolo dagli altri giudici speciali, quasi a delinearne una posizione particolare nell’ordinamento.
Non è invece decisivo, in senso contrario, il richiamo operato, dalla Corte dei conti, all’argomentazione, utilizzata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 12496 del 2017, con riferimento alla presunta insussistenza di una “riserva di generale giurisdizione sulla legittimità degli atti amministrativi a tutela di posizioni giuridiche soggettive nonché dei vizi del procedimento o di difetto di motivazione o di istruttoria”.
Nella specifica vicenda, infatti, l’argomentazione era funzionale ad escludere la rilevanza e la fondatezza delle questioni di legittimità sulla (all’epoca) devoluzione esclusiva (pre-art. 23-quater) alla giurisdizione della Corte dei conti del contenzioso avverso gli atti di ricognizione delle amministrazioni pubbliche operata annualmente dall’ISTAT.
Le Sezioni Unite, con la citata sentenza, non hanno inteso disconoscere la vocazione generale della giurisdizione amministrativa di legittimità sugli interessi legittimi quanto, piuttosto, escludere che, con l’assegnazione alla Corte dei conti di una nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva in materia, si fosse creato un nuovo giudice speciale, sottolineando che la materia de qua, attribuita al giudice contabile in virtù di esplicita previsione normativa, poteva rientrare nell’ambito dell’ampia nozione costituzionale di giurisdizione contabile, da cui la legittimità della scelta del legislatore.
Si tratta, in evidenza, di una situazione omogenea – e speculare – a quella dedotta nel presente giudizio, dove, sul medesimo ambito, viene, al contrario, ridotto l’ambito della giurisdizione contabile e ripristinato quello della giustizia amministrativa.
15.4. Infine, va sottolineato che l’esito delineato è coerente con una interpretazione conforme del diritto interno ai principi unionali, obbligo che viene meno solo quando la norma interna appaia assolutamente incompatibile con quella dell’Unione.
Mentre l’obbligo permane in presenza di un margine, anche minimo, di discrezionalità che consenta all’interprete di scegliere tra più interpretazioni comunque plausibili della disposizione nazionale (Corte di giustizia, 5 ottobre 2004, da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer, punto 114; più di recente, 9 marzo 2020, C-103/18 e C-429/18, Sánchez Ruiz e a., punto 121; 24 giugno 2021, C-550/19, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, punto 76; 8 dicembre 2022, C-492/22 PPU, CJ, punto 63).
Contrariamente a quanto affermato dalle Sezioni riunite, la trama complessiva dei principi costituzionali e del sistema ordinamentale depone a favore di una interpretazione della norma volta ad escludere un irresolubile vuoto di tutela, risolvendosi l’art. 23-quater d.l. n. 137 del 2020 in una regola positiva di riparto della giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice contabile.
- Il riespandersi della giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo sull’atto di ricognizione delle amministrazioni pubbliche operata dall’ISTAT porta altresì ad escludere la possibile lesione del principio di autosufficienza del ricorso.
La regola sulla giurisdizione delineata per effetto della novella nel rinviare, indirettamente, alla giurisdizione del giudice amministrativo non sembra lasciare spazio alla necessità, per l’ente, di formulare due distinti ricorsi.
Ciò è sicuramente possibile ma non appare necessario, né decisivo in chiave eurounionale: la tutela giurisdizionale di annullamento è attribuita al solo giudice amministrativo, con la conseguente autosufficienza, sotto questo profilo, del ricorso al medesimo proposto, senza necessità – in coerenza con i principi affermati dalla Corte di giustizia – di una duplicazione dei ricorsi.
Neppure appare decisiva la circostanza che al giudice contabile rimanga la possibilità di controllare la legittimità di tale iscrizione in maniera incidentale allorché statuisce sull’applicazione della normativa nazionale sul contenimento della spesa pubblica.
Si tratta, in realtà, di una cognizione che ha un oggetto non necessariamente ed esattamente sovrapponibile, in quanto delimitato ai soli effetti della disciplina interna sulla spending review.
Va ricordato, del resto, che, come osservato in dottrina, nel nostro ordinamento non esiste una nozione di pubblica amministrazione valida “ad ogni effetto di legge”, ricorrendo, invece, tante accezioni a seconda della disciplina di settore, mutevoli nel tempo e negli scopi.
Giova infine osservare che il giudice amministrativo ha già esercitato, con pienezza ed effettività, la tutela della posizione giuridica del soggetto inserito nell’elenco in epoca antecedente alla modifica del 2012, con una valutazione estesa alla generalità dei vizi dell’atto amministrativo in relazione ad un potere (quello dell’ISTAT) che non è vincolato ma, per le specifiche analisi ed elaborazioni imposte ai sensi del SEC 2010, rientra nella categoria della discrezionalità tecnica, sicché, anche nella riespansa giurisdizione del giudice amministrativo, non sembrano residuare spazi di tensione rispetto all’effetto utile della normativa eurounionale.
- Da ultimo, alla luce delle considerazioni esposte appare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale.
17.1. Come evidenziato, non viene in rilievo una attribuzione necessaria del giudice contabile, ma una determinazione il cui ambito può essere disegnato, in concreto, dal legislatore, sicché va esclusa la violazione degli artt. 100 e 103 Cost.
La potestà del giudice amministrativo, del resto, come già anteriormente al 2012, si inserisce nell’alveo dell’art. 7 c.p.a. sì da assicurare una pienezza di tutela, senza che sia configurabile per l’ente iscritto nell’elenco che ne contesta fa formazione una violazione degli 24, 111 e 113 Cost., né degli artt. 6 e 13 CEDU in relazione all’art. 117 Cost.
Neppure appare rilevante l’attuale delimitazione dell’alveo della giurisdizione contabile, che, peraltro, ha un oggetto differente – ossia, agli effetti della disciplina interna sulla spending review – rispetto alla disciplina eurounionale, tale da togliere rilevanza, in parte qua, ai dedotti inconvenienti di un possibile contrasto di statuizioni, afferenti ad ambiti diversi.
Né la scelta del legislatore di concentrare la tutela in via principale sul giudice amministrativo appare lesiva dell’art. 3 Cost.
Orbene, si è già dato atto sul punto (v. par. 5.1. e 5.2.) della latitudine del riferimento operato dal legislatore all’avvenuto richiamo dell’elenco ISTAT (e dell’inserimento dell’ente) anche, solo, per orientare l’individuazione della soggettività pubblica e non per scopi necessariamente contabili.
In tal senso, allora, non può dirsi irragionevole voler riconoscere alla giurisdizione del giudice amministrativo un ambito che ha ricadute dirette sulla nozione, anche eurounionale, di pubblica amministrazione e di soggettività pubblica.
17.2. Inammissibile per carenza di pertinenza è, poi, la denunciata violazione dell’art. 76 Cost.: la fattispecie normativa in questione esula dal conferimento di una delega al potere esecutivo, né la norma è stata adottata con le forme del decreto legislativo.
17.3. Va infine escluso che l’inserimento dell’art. 23-quater nel d.l. n. 137 del 2020 sia lesivo dei principi di cui all’art. 77 Cost.
È ben vero che la norma è stata inserita solo in sede di conversione del decreto legge; militano a favore della sua legittimità, peraltro, più indici:
- a) in primo luogo, la disposizione non è estranea alla rubrica del provvedimento normativo che esplicitamente indicava l’ambito degli interventi anche nel settore giustizia, effettivamente presenti in numerose norme, sicché non si può parlare di una “evidente e manifesta mancanza di ogni nesso di interrelazione tra le disposizioni incorporate nella legge di conversione e quelle dell’originario decreto legge” (v. Corte cost. sentenza n. 145 del 2015, sentenza n. 186 del 2015; sentenza n. 169 del 2017, in cui si ritiene sufficiente “la specificazione dell’oggetto del provvedimento di urgenza”; sentenze n. 181 e n. 266 del 2019);
- b) in secondo luogo, il provvedimento è stato emanato nella piena emergenza Covid-19, condizione esterna di rilevantissima urgenza;
- c) inoltre, l’intero provvedimento è, in sé, a contenuto eterogeneo, accostabile, sotto questo versante, ai cd. decreti milleproroghe, la cui evidente finalità era quella di fronteggiare una situazione straordinaria, complessa e variegata.
Si può concludere, pertanto, che la connessione materiale tra il contenuto del decreto e quello della legge di conversione – in relazione alla disposizione di cui all’art. 23-quater cit. – risponda ad un criterio funzionale e finalistico (v. Corte costituzionale sentenza n. 266 del 2019).
- In conclusione, va esclusa la legittimità della disapplicazione dell’art. 23-quater d.l. n. 137/2020.
- Va pertanto enunciato il seguente principio di diritto «In tema di impugnazione dell’elenco annuale ISTAT delle pubbliche amministrazioni predisposto ai sensi del SEC 2010, l’art. 23- quater d.l. n. 137 del 2020, nel delimitare la giurisdizione della Corte dei conti – sezioni riunite alla sola applicazione della disciplina nazionale sul contenimento della spesa pubblica, non ha determinato un vuoto di tutela o il mancato rispetto dell’effetto utile della disciplina unionale, restando attribuita la giurisdizione, per ogni ulteriore ambito, al giudice amministrativo»
- Attesa la novità della questione e l’esito del giudizio, le spese vanno compensate.