Corte Costituzionale, sentenza 05 maggio 2022 n. 109
Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 95 del codice di procedura civile, sollevate, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 24, terzo comma, 36 e 111, primo comma, della Costituzione, dal Giudice dell’esecuzione presso il Tribunale ordinario di Pavia.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, ha eccepito anzitutto l’inammissibilità delle questioni sollevate per difetto di motivazione sulla rilevanza e sulle ragioni fondanti le censure, osservando che il giudice a quo si sarebbe limitato a riprodurre le allegazioni del difensore istante, senza formulare una propria valutazione.
2.1.– Inoltre, il rimettente avrebbe ricostruito in modo incompleto la normativa applicabile nel caso di specie. Egli, infatti, da un lato, avrebbe omesso di considerare la specifica disciplina prevista dall’art. 135, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, secondo cui le spese relative ai processi esecutivi, mobiliari e immobiliari, hanno diritto di prelazione, ai sensi degli artt. 2755 e 2770 del codice civile, sul prezzo ricavato dalla vendita o sul prezzo dell’assegnazione o sulle rendite riscosse dall’amministratore giudiziario; dall’altro, avrebbe erroneamente ritenuto che, in caso di incapienza delle somme ricavate dalla procedura esecutiva, il difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non possa ottenere integralmente l’importo liquidato dal giudice.
2.2.– In via gradata, la difesa statale ha concluso per la manifesta infondatezza delle questioni sollevate, per la non condivisibilità dell’assunto secondo il quale il difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non potrebbe conseguire il compenso allo stesso spettante secondo i criteri indicati dall’art. 82 del d.P.R. n. 115 del 2002.
3.– L’eccezione di inammissibilità con la quale il Presidente del Consiglio dei ministri contesta che il rimettente si sarebbe limitato a riportare le allegazioni del difensore istante nel giudizio principale, omettendo ogni valutazione al riguardo, non è fondata.
La tecnica redazionale impiegata nell’ordinanza di rimessione, consistente nella riproduzione analitica delle censure di legittimità costituzionale formulate dal difensore nel giudizio principale, denota, infatti, la consapevole intenzione del giudice a quo di mutuarne l’apparato argomentativo.
Risulta dunque adempiuto l’obbligo del rimettente di rendere esplicite, facendole proprie, le argomentazioni di parte sulla non manifesta infondatezza (sentenze n. 10 del 2015 e n. 350 del 2007).
4.– È, invece, fondata l’eccezione di inammissibilità per incompleta ricostruzione del quadro normativo.
4.1.– Il rimettente ha dato atto che il difensore della creditrice procedente nel giudizio a quo aveva chiesto determinarsi il compenso a carico dell’erario senza limitarne l’ammontare alla esigua somma dichiarata dal terzo pignorato. Ciò, sul presupposto che, ai fini della liquidazione dell’onorario per il difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, l’antinomia tra la regola generale di cui all’art. 95 cod. proc. civ. – che condiziona la realizzazione del credito per le spese del processo esecutivo alla fruttuosità dell’espropriazione – e la disciplina dettata dall’art. 82 del d.P.R. n. 115 del 2002 – il quale prevede che l’onorario e le spese spettanti al difensore sono liquidati dall’autorità giudiziaria con decreto di pagamento osservando la tariffa professionale – debba essere risolta accordando prevalenza a quest’ultima regola, in ossequio al criterio di specialità.
In subordine, per il caso in cui il giudice dell’esecuzione avesse ritenuto di liquidare le spettanze nei limiti della capienza del credito assegnato, il difensore aveva sollecitato l’odierno incidente di legittimità costituzionale.
4.1.1.– Ciò posto, alla stregua del costante orientamento di questa Corte – secondo il quale la motivazione sulla rilevanza è da intendersi correttamente formulata quando illustra le ragioni che giustificano l’applicazione della norma censurata e determinano la pregiudizialità della questione sollevata rispetto alla definizione del processo principale (ex plurimis, sentenze n. 52 del 2022 e n. 105 del 2018) – il giudice a quo era tenuto ad esplicitare i motivi della ritenuta applicabilità, nella specie, dell’art. 95 cod. proc. civ. Avrebbe dovuto, cioè, argomentare in ordine alle ragioni della ritenuta operatività della regola dettata da tale disposizione, che, secondo la lettura fornita dal diritto vivente, limita la liquidazione dei compensi a favore del difensore alla capienza del ricavato della espropriazione forzata anche nella ipotesi in cui al pagamento di tali compensi sia tenuto a provvedere l’erario. Il rimettente si è, al contrario, limitato, nonostante il difensore nel giudizio principale gli avesse esplicitamente chiesto di liquidare i compensi in misura superiore alla somma oggetto di distribuzione nel processo esecutivo, ad asserire in modo tautologico di non poter «decidere la presente causa, senza la soluzione della questione di legittimità costituzionale sollevata ed invocata».
4.2.– Un’attenta ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale avrebbe, invece, evidenziato ragioni di ordine testuale e sistematico idonee ad escludere l’operatività, nella specie, della norma censurata.
4.2.1.– Nella liquidazione delle spettanze dell’avvocato del creditore ammesso al patrocinio a spese dello Stato, la regola espressa dall’art. 95 cod. proc. civ., secondo la quale il credito per le spese della procedura esecutiva può ottenere soddisfazione nei soli limiti della capienza del ricavato, non può invero trovare applicazione. Ciò in quanto la disciplina del patrocinio per i non abbienti e le norme sul governo delle spese del processo si rivolgono a rapporti distinti e autonomi (Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 9 settembre 2019, n. 22448; ordinanza 2 settembre 2020, n. 18223).
Il rapporto che origina dal provvedimento di ammissione al beneficio si instaura direttamente tra il difensore e lo Stato, e ad esso le parti del giudizio rimangono totalmente estranee (Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanze 18 giugno 2020, n. 11769; 27 gennaio 2015, n. 1539); quello che scaturisce dalla statuizione sulle spese di lite intercorre, invece, tra dette parti ed è disciplinato, nel processo di cognizione, dal principio della soccombenza e, nel processo esecutivo, dalla regola della soggezione del debitore all’esecuzione (Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 5 ottobre 2018, n. 24571).
4.2.2.– L’autonomia dei due rapporti trae significativa conferma dal disposto dell’art. 83, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui statuisce che «[p]er il giudizio di cassazione, alla liquidazione procede il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato». Tale norma, «pur tenuto conto della peculiarità del giudizio di cassazione e della chiara volontà del legislatore di escludere che il giudice di legittimità possa essere chiamato anche all’attività di liquidazione, che involge chiaramente valutazioni di merito e fattuali, denota come in alcuni casi la liquidazione non possa che avvenire quando la causa principale sia stata già decisa, non potendosi quindi ricollegare indefettibilmente alla decisione della causa anche il venir meno della potestas iudicandi sulla istanza di liquidazione. In tal senso depone anche la previsione sempre contenuta nel secondo comma dell’art. 83 che prevede che il giudice competente possa provvedere anche alla liquidazione dei compensi dovuti per le fasi o i gradi anteriori del processo, se il provvedimento di ammissione [al patrocinio] è avvenuto dopo la loro definizione» (Cass., n. 22448 del 2019).
4.2.2.1.– Né, in senso contrario, può valorizzarsi il comma 3-bis dell’art. 83 del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 783, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», a mente del quale «[i]l decreto di pagamento è emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta».
Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, il referente temporale introdotto dalla disposizione anzidetta è, infatti, meramente indicativo del termine preferibile per provvedere sulla liquidazione, senza, tuttavia, che al giudice sia precluso di pronunciarsi su di essa dopo aver deciso definitivamente sul merito, avendo tale norma la finalità acceleratoria di raccomandare che la pronuncia del decreto di pagamento avvenga contestualmente al provvedimento che definisce il giudizio (ancora Cass., n. 22448 del 2019).
4.3.– Nell’ambito del processo esecutivo, l’autonomia del provvedimento di liquidazione dei compensi a carico dell’erario trova ulteriore riscontro nella disciplina del recupero delle spese anticipate dallo Stato dettata dall’art. 135, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, secondo il quale «[l]e spese relative ai processi esecutivi, mobiliari e immobiliari, hanno diritto di prelazione, ai sensi degli articoli 2755 e 2770 del codice civile, sul prezzo ricavato dalla vendita o sul prezzo dell’assegnazione o sulle rendite riscosse dall’amministratore giudiziario».
Tale previsione implica che, una volta che il difensore del creditore ammesso al beneficio abbia ottenuto dal giudice dell’esecuzione la liquidazione delle proprie spettanze secondo i criteri indicati dall’art. 82 del d.P.R. n. 115 del 2002 – e dunque in base ai valori medi dei parametri di cui all’art. 4 del decreto del Ministro della Giustizia 10 marzo 2014, n. 55 (Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247) e con il dimezzamento imposto dall’art. 130 del citato testo unico – è lo Stato che, per rivalersi delle somme anticipate, partecipa, in via privilegiata, alla distribuzione della somma ricavata o assegnata.
5.– La rilevata lacuna della ordinanza di rimessione determina l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 95 cod. proc. civ.