Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, sentenza 21 febbraio 2022 n. 5624
PRINCIPI DI DIRITTO
Le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d’ufficio, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., costituiscono argomentazioni difensive, sebbene di carattere non tecnico-giuridico, che possono essere formulate per la prima volta nella comparsa conclusionale e anche in appello, purché non introducano nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove ma si riferiscano alla attendibilità e alla valutazione delle risultanze della c.t.u. e siano volte a sollecitare il potere valutativo del Giudice in relazione a tale mezzo istruttorio.
In tema di consulenza tecnica d’ufficio, il secondo termine previsto dall’ultimo comma dell’art. 195, c.p.c., così come modificato dalla I. n. 69 del 2009, ovvero l’analogo termine che, nei procedimenti cui non si applica, ratione temporis, il novellato art. 195 c.p.c., il giudice, sulla base dei suoi generali poteri di organizzazione e direzione del processo ex art. 175 c.p.c., abbia concesso alle parti ha natura ordinatoria e funzione acceleratoria e svolge ed esaurisce la sua funzione nel subprocedimento che si conclude con il deposito della relazione da parte dell’ausiliare; pertanto la mancata prospettazione al consulente tecnico di osservazioni e rilievi critici non preclude alla parte di sollevare tali osservazioni e rilievi, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., nel successivo corso del giudizio e, quindi, anche in comparsa conclusionale o in appello.
Qualora le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d’ufficio, non integranti eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., siano stati proposti oltre i termini concessi all’uopo alle parti e, quindi, anche per la prima volta in comparsa conclusionale o in appello, il giudice può valutare, alla luce delle specifiche circostanze del caso, se tale comportamento sia stato o meno contrario al dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità di cui all’art. 88 c.p.c. e, in caso di esito positivo di tale valutazione, trattandosi di un comportamento processuale idoneo a pregiudicare il diritto fondamentale della parte ad una ragionevole durata del processo ai sensi dell’art. III Cost. e, in applicazione dell’art. 92, primo comma, ultima parte c.p.c., può tenerne conto nella regolamentazione delle spese di lite.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- L’ordinanza di rimessione, precisato che nel caso di specie non trova applicazione ratione temporis la disciplina introdotta dall’art. 46 della legge n. 69/2009, che ha modificato gli artt. 191 e 195 cod. proc. civ., ha rilevato che nella giurisprudenza di legittimità la questione posta dal ricorso non trova soluzione univoca.
Si evidenzia nella ordinanza appena ricordata che, secondo un primo orientamento, che risulta maggioritario, le osservazioni critiche alla consulenza tecnica d’ufficio non possono essere formulate in comparsa conclusionale – e pertanto se ivi contenute non possono essere esaminate dal giudice – perché in tal modo esse rimarrebbero sottratte al contraddittorio e al dibattito processuale (Cass., 19/02/2016, n. 3330; Cass. 25/02/2014, n. 4448; Cass., ord., 9/09/2013, n. 20636; Cass. 22/03/2013, n. 7335; Cass., ord., 13/01/2012, n. 410, non massimata; Cass. 6/09/200, n. 19128; Cass. 1/07/2002, n. 9517; Cass. 26/11/1998, n. 11999, per evidente lapsus calami indicata nella richiamata O.I. come Cass. 1199/2002), per cui le contestazioni vanno sollevate nella prima udienza successiva al deposito della relazione, risultando comunque tardiva la loro deduzione svolta soltanto in sede di comparsa conclusionale e non innanzi al collegio, quando è ancora possibile disporre una riconvocazione del consulente tecnico o un supplemento delle indagini peritali. Ciò anche in ragione della inidoneità strutturale della comparsa conclusionale e della memoria di replica ad assumere un siffatto contenuto, essendo le stesse destinate alla sola esposizione ed illustrazione delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano le conclusioni già precisate davanti al giudice istruttore e alla contestazione di quelle della controparte; non dovendosi peraltro ritenere la memoria di replica sede idonea a ripristinare il contraddittorio (Cass. 3/07/2013, n. 16611).
A sostegno della conclusione appena esposta, una parte della giurisprudenza rileva anche che, poiché le contestazioni alla consulenza tecnica integrano eccezioni rispetto al suo contenuto, esse sono soggette al termine di preclusione di cui all’art. 157, secondo comma, cod. proc. civ., cioè debbono dedursi nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso (Cass. 25/02/2014, n. 4448; Cass.,ord., 3/08/2017, n. 19427; Cass. 5/12/2017, n. 29099, non massimata).
L’orientamento minoritario, invece, opta – come evidenza l’ordinanza di rimessione – per la soluzione opposta, ritenendo che la comparsa conclusionale può contenere nuove ragioni di dissenso e contestazione avverso le valutazioni e conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, trattandosi di nuovi argomenti su fatti acquisiti alla causa, che non determinano un ampliamento dell’ambito oggettivo della controversia (Cass. 10/03/2000, n. 2809; Cass. 2/05/1977, n. 1666; v. anche Cass. 22/06/2006, n. 14467, p. 15-16, non massimata specificamente sul punto).
Una rimeditazione critica dei due orientamenti è stata operata da Cass. 26/07/2016, n. 15418. Tale pronuncia ha richiamato il principio, sancito dalle Sezioni Unite (Cass., sez. un., 3/06/2013, n. 13902), secondo cui la consulenza di parte deve essere considerata un mero atto difensivo, la cui produzione non può ricondursi in alcun modo al divieto di cui all’art. 345 cod. proc. civ. e la cui allegazione al procedimento deve ritenersi regolata dalle norme che disciplinano tali atti; la natura tecnica del documento, infatti, non ne altera la natura, che resta quella di un atto difensivo. Da ciò consegue che i rilievi critici all’operato dell’esperto del giudice non incontrano barriere preclusive né in appello né in primo grado. Se, quindi, da un lato, le contestazioni che concernono il procedimento della consulenza tecnica, possono ritenersi assoggettate alla disciplina delle nullità relative (il già citato art. 157, secondo comma, cod. proc. civ.), dall’altro, le censure che attengono al contenuto delle deduzioni dell’ausiliare del giudice, costituendo mere argomentazioni difensive, non incontrano barriera preclusiva alcuna. Neppure potrebbe sostenersi – secondo Cass. n. 15418/2016 già citata – che, così ritenendo, possa determinarsi una violazione del principio del contraddittorio, in quanto la controparte ha la possibilità di rispondere con la memoria di replica; qualora le contestazioni richiedano la revisione o un supplemento d’indagine del consulente tecnico, con necessità di rimettere la causa sul ruolo istruttorio, al giudice spetterà di valutare, ai fini della liquidazione delle spese, la serietà delle ragioni che hanno indotto la parte a prospettare le osservazioni critiche alla c.t.u. per la prima volta in sede di comparsa conclusionale.
Il principio espresso dalla sentenza di legittimità n. 15418/2016 è stato ripreso da Cass. 21/08/2018, n. 20829 e richiamato in particolare da Cass., ord., 22/01/2019, n. 2516.
L’ordinanza interlocutoria ha individuato due profili problematici presentati dall’approdo giurisprudenziale appena richiamato.
Il primo attiene alla disciplina degli artt. 191 e 195 cod. proc. civ. come modificati dalla I. n. 69/2009, la quale, allo scopo di rendere più celere l’espletamento del mezzo istruttorio, ha previsto che il giudice fissi tre termini nell’ambito del procedimento della c.t.u. nell’ottica di una progressiva formazione della stessa in collaborazione tra le parti, il giudice e gli esperti nominati, con piena esplicazione del principio del contraddittorio. Tale meccanismo, benché imperniato su termini ordinatori, ad avviso del collegio remittente, è difficilmente compatibile con la possibilità di nulla eccepire sino alla comparsa conclusionale.
Il secondo, invece, si riferisce alla sottrazione del mezzo istruttorio della consulenza tecnica d’ufficio, per quanto attiene al merito, a qualsiasi preclusione, laddove, invece, i vizi procedurali sono assoggettati al rigoroso termine di cui al secondo comma dell’art. 157, cod. proc. civ.. Nell’ordinanza di rimessione si evidenzia, con riferimento al profilo in questione, anche la difficoltà di distinguere, in concreto, le critiche che attengono al procedimento (e che, ad ogni effetto, devono ritenersi eccezioni di nullità formali), e quelle che riguardano il contenuto della consulenza, esistendo peraltro vizi del procedimento che si ripercuotono sul contenuto della sentenza (è fatto l’esempio dell’indagine tecnica che si estenda oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente, vizi questi del procedimento che inevitabilmente si riflettono sul contenuto della relazione tecnica).
L’ordinanza interlocutoria ha pertanto enucleato tre profili su cui le Sezioni unite sono chiamate ad esprimersi:
– se le critiche alla consulenza tecnica possano essere sollevate per la prima volta in comparsa conclusionale;
– in caso di risposta positiva, se l’ammissibilità dei rilievi sia subordinata a una valutazione caso per caso del giudice, se la soluzione valga solo per i processi per cui non trovano applicazione i riformati artt. 191 e 195 cod. proc. civ. ovvero anche per i procedimenti instaurati dopo l’entrata in vigore della legge n. 69/2009, se vi siano conseguenze per la parte, sotto il profilo dell’attribuzione delle spese del giudizio o sotto altri profili;
– in caso di risposta negativa, se ciò vada ricondotto all’applicazione del disposto di cui all’art. 157, secondo comma, cod. proc. civ. alla generalità dei vizi inerenti alla consulenza tecnica, quale categoria comprensiva anche dei vizi che attengono al contenuto dell’atto, ovvero quale conseguenza della mancata partecipazione della parte alla formazione della consulenza, così come stabilito dal giudice con la fissazione dei termini di cui all’art. 195 cod. proc. civ., e, in quest’ultimo caso, se ciò valga solo per i procedimenti cui si applicano i riformati artt. 191 o 195 cod. proc. civ. ovvero anche per i processi ove il giudice abbia fissato, in virtù dei suoi generali poteri di organizzazione e direzione del processo ex art. 175 cod. proc. civ., un termine per il deposito di osservazioni; infine, se l’inammissibilità in primo grado comporti o meno l’inammissibilità nel giudizio di appello della (ri)proposizione dei rilievi formulati in comparsa conclusionale.
- Prima di proseguire nell’esame delle questioni sottoposte a questo Collegio, risulta opportuno fare alcune precisazioni in relazione al quadro normativo di riferimento, evidenziando le modifiche agli artt. 191 e 195 cod. proc. civ. introdotte dalla legge 69/2009.
L’art. 191 cod. proc. civ., rubricato «Nomina del consulente tecnico», al primo comma, dispone che: «Nei casi previsti dagl articoli 61 e seguenti il giudice istruttore, con ordinanza ai sensi dell’articolo 183, settimo comma, o con altra successiva ordinanza, nomina un consulente, formula i quesiti e fissa l’udienza nella quale il consulente deve comparire». Tale disposizione è stata modificata dalla I. 18 giugno 2009, n. 69, che ha aggiunto, al testo previgente, per quanto rileva in questa sede, le parole «formula i quesiti».
L’art. 195 cod. proc. civ., rubricato «Processo verbale e relazione», dispone che: «Delle indagini del consulente si forma processo verbale, quando sono compiute con l’intervento del giudice istruttore, ma questi può anche disporre che il consulente rediga relazione scritta.
Se le indagini sono compiute senza l’intervento del giudice, il consulente deve farne relazione, nella quale inserisce anche le osservazioni e le istanze delle parti.
La relazione deve essere trasmessa dal consulente alle parti costituite nel termine stabilito dal giudice con ordinanza resa all’udienza di cui all’articolo 193. Con la medesima ordinanza il giudice fissa il termine entro il quale le parti devono trasmettere al consulente le proprie osservazioni sulla relazione e il termine, anteriore alla successiva udienza, entro il quale il consulente deve depositare in cancelleria la relazione, le osservazioni delle parti e una sintetica valutazione sulle stesse». L’ultimo comma dell’articolo in parola è stato sostituito dalla I. 69/2009; la formulazione precedente era: «La relazione deve essere depositata in cancelleria nel termine che il giudice fissa».
È agevole osservare che, con le modifiche apportate alle richiamate norme del codice di rito, il legislatore ha inteso procedimentalizzare in particolare lo svolgimento della consulenza tecnica, ispirandosi anche alle prassi formatesi in vigenza delli precedente disciplina, miranti alla concentrazione delle attività dell’ausiliare, con conseguente accelerazione del relativo iter, nell’ottica di una riduzione dei tempi del processo (la cui irragionevole durata poteva attribuirsi spesso anche alle disposte rinnovazioni delle c.t.u. e alle chiamate a chiarimenti del consulente a seguito delle censure mosse delle parti), nonché ad una piena esplicazione del principio del c.d. contraddittorio tecnico.
Ed infatti, alla luce delle richiamate disposizioni, il giudice deve ora – ai sensi dell’art. 191 cod. proc. civ. – già con l’ordinanza di nomina formulare i quesiti cui l’ausiliare deve rispondere; in tal modo, all’udienza fissata per il giuramento, le parti e lo stesso consulente possono interloquire sulle richieste del giudice relative al contenuto del quesito.
Il nuovo terzo comma dell’art. 195 cod. proc. civ. prevede che all’atto del conferimento dell’incarico, il giudice fissi tre termini, anteriori all’udienza successiva; nel primo termine, il consulente deve trasmettere alle parti la relazione; nel secondo, le parti possono svolgere le deduzioni sulla consulenza; nell’ultimo il consulente può controdedurre alle deduzioni di parte.
In tal modo, all’udienza successiva al deposito della relazione, il giudice può disporre di un elaborato tecnico già frutto del contraddittorio tra le parti e il consulente; così, egli, all’udienza successiva al deposito della relazione, conosce i rilievi delle parti avverso i risultati degli accertamenti peritali nonché le repliche e le controdeduzioni dell’ausiliare ed è, quindi, posto in grado di esercitare tempestivamente i poteri attribuitigli dall’art. 196 cod. proc. civ., ossia di valutare la necessità o l’opportunità – qualora ritenesse fondate le critiche mosse dalle parti all’elaborato del c.t.u. – e decidere immediatamente se procedere a chiedere chiarimenti a^ consulente nominato, disporre una rinnovazione della consulenza, oppure sostituire il consulente d’ufficio, avendo a disposizione gli elementi necessari per compiere siffatta valutazione.
A loro volta, le parti sono messe nella condizione di conoscere preventivamente il contenuto della consulenza e, nei termini come scanditi nell’ordinanza, svolgere deduzioni e muovere eventuali censure.
- È bene sin da ora osservare che le modifiche apportate dalla I. 69/2009 alle norme di rito citate trovano applicazione, in base a quanto previsto dall’art. 58, comma 1, della I. n. 69 del 2009, ai soli processi iniziati dopo il 4 luglio 2009 e quindi – come rilevato dall’ordinanza di rimessione – non al presente giudizio.
Tuttavia, ciò non esclude, da un lato, che, nell’esercizio dei poteri di direzione del processo assegnati dall’art. 175 cod. proc. civ., il giudice già in precedenza potesse procedere a scadenzare le attività del consulente tecnico e delle parti (e, d’altra parte, si è già evidenziato che le modifiche introdotte nel 2009 danno seguito proprio a tale prassi formatasi nei Tribunali) e, dall’altro, che il principio del contraddittorio – costituzionalmente irrinunciabile – trovasse piena applicazione anche prima della riforma (basta avere riguardo alla possibilità per le parti di intervenire anche a mezzo di propri consulenti e di presentare osservazioni e istanze di cui all’art. 194, secondo comma, cod. proc. civ., né va sottaciuto che già l’art. 92 disp. att. cod. proc. civ., in particolari situazioni, prevede un subprocedimento in cui le parti e lo stesso C.T.U. possono interloquire con il giudice circa i poteri o i limiti del consulente tecnico d’ufficio).
- È noto che il legislatore nel codice di procedura civile del 1940 ha fatto assurgere la perizia – che il codice del 1865 considerava^ come un mezzo di prova e che all’art. 253 rimetteva alle parti nomina del perito, prevedendo l’intervento del giudice al riguardo solo in caso di disaccordo tra queste – a consulenza tecnica, intesa quale ausilio per il giudice. Le norme di rito vigenti sono ispirate, sin dalla loro originaria stesura degli anni 40 del secolo scorso, al criterio secondo cui il giudice- senza essere condizionato a tale proposito dalla volontà delle parti – ben può giovarsi, qualora lo ritenga necessario, della collaborazione di un soggetto che abbia, nella materia del thema decidendum una particolare competenza tecnica. Ma non si tratta più di un mero “perito” posto di fronte al giudice per esprimere un parere, bensì di un consulente tecnico, di un ausiliare del giudice che non solo è in grado di rispondere a quanto di tecnico gli viene richiesto ma che, in quanto tecnico, è posto “accanto” al giudice e assiste quest’ultimo, che si avvale della sua particolare esperienza tecnica in campi specifici quando lo reputi necessario ai fini della definizione della lite.
Nell’attuale ordinamento processuale civile, in cui risulta rafforzata la “centralità” del giudice, il consulente ben può considerarsi ausiliare della giustizia proprio in quanto il giudice può pronunciare la sua decisione anche in base alle conoscenze tecniche specifiche acquisite per il tramite del consulente d’ufficio.
Tale posizione peculiare dell’ausiliare in parola, ancillare rispetto alle finalità di giustizia – tanto che in dottrina si parla al riguardo di “investitura pubblicistica” -, viene sottolineata dall’estensione al C.T.U. delle garanzie di imparzialità, applicabili in virtù della previsione dell’astensione e della ricusazione (art. 63 cod. proc. civ. in cui è peraltro espressamente richiamato l’art. 51 cod. proc. civ.) e si evince pure dalla collocazione, nel codice di rito, della disciplina della consulenza tecnica posta sì nell’ambito della sezione dedicata all’istruzione probatoria, ma in un paragrafo distinto rispetto a quelli contenenti la disciplina relativa all’assunzione dei mezzi di prova, tendenzialmente riservati all’iniziativa delle parti.
- Fatta questa premessa in ordine alla funzione svolta e alla posizione assunta dal consulente tecnico nell’ambito del processo civile, si osserva – ai fini che più strettamente rilevano in questa sede – che queste Sezioni Unite, con la sentenza 3/06/2013, n. 13902 hanno affermato che la consulenza tecnica di parte deve considerarsi un mero atto difensivo, la cui produzione non può essere ricondotta al divieto di cui all’art. 345 cod. proc. civ. e la cui allegazione nel procedimento è regolata dalle norme che disciplinano tali atti. Secondo le Sezioni Unite, infatti, la natura tecnica del documento non vale ad alterarne l’essenza, che resta quella di atto difensivo a contenuto tecnico, privo di autonomo valore probatorio sicché la sua produzione è conseguentemente e logicamente ammissibile anche in appello; tale principio è stato ribadito anche da successive pronunce , v. Cass., ord., 24/08/2017, n. 20347; Cass., ord., 17/10/2019, n. 26487); in particolare, con la sentenza n. 259 del l’8/10/2013 questa Corte ha pure precisato che la consulenza tecnica di parte, costituendo una semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio, può essere prodotta sia da sola che nel contesto delle difese scritte della parte e, nel giudizio di appello celebrato con il rito ordinario, anche dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni.
Ci si deve porre, a questo punto, il quesito se tale principio possa essere applicato anche ai rilievi critici svolti con la consulenza tecnica di parte nei confronti della consulenza tecnica d’ufficio ovvero alle critiche mosse nella medesima direzione dai consulenti tecnici di parte riportate, anche con trascrizione integrale, all’interno di atti difensivi (comparsa conclusionale, memoria di replica, atto di appello). È evidente, infatti, che la natura delle critiche formulate dai consulenti tecnici di parte non muta in ragione del loro inserimento, anche in ipotesi per trascrizione integrale, all’interno dei richiamati atti difensivi.
- Con specifico riferimento alla questione che rileva in questa sede – e cioè se le critiche alla consulenza tecnica d’ufficio possano essere sollevate per la prima volta in comparsa conclusionale – e premesso che allorquando, attraverso l’inserimento di rilievi di natura tecnica nei confronti della consulenza tecnica d’ufficio, la parte intenda introdurre in giudizio nuovi fatti costituivi modificativi o estintivi, domande, eccezioni e prove, essi debbono ritenersi inammissibili se svolti per la prima volta in sede di comparsa conclusionale, ritiene il Collegio che occorre operare una distinzione tra, da una parte, le censure che attengono a violazioni procedurali e, dall’altra, le censure inerenti al “merito”, cioè a contestazioni “valutative” delle indagini peritali.
- Tale distinzione è, evidentemente, di notevole importanza, poiché solamente le censure relative al procedimento della c.t.u., in quanto nullità relative, sono soggette al regime di preclusione di cui all’art. 157 cod. proc. civ., che impone alla parte nel cui interesse è stabilito un requisito dell’atto di opporre la relativa nullità per la mancanza del requisito stesso entro il termine di decadenza costituito dalla prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso.
- Va al riguardo osservato che, con decisione assunta in questa medesima udienza con riferimento al ricorso NRG 2259/2017, queste Sezioni Unite hanno confermato, con le precisazioni di seguito riportate, l’orientamento tradizionalmente invalso nella giurisprudenza in materia di questa Corte secondo cui i vizi ch# infirmano l’operato del CTU sono fonte di nullità relativa e rifluiscono tutti invariabilmente sotto il dettato dell’art. 157, secondo comma, cod. proc. civ..
Si osserva che il principio su cui si impernia orientamento in parola – per un’analitica ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali in tema di poteri accordati al C.T.U. dall’art. 194 cod. proc. civ. e dei loro limiti, v. Cass. 6/12/2019, n. 31886 – e alla luce del quale le nullità che inficiano il risultato della c.t.u. restano sanate se non eccepite dalla parte interessata nella prima istanza o difesa successiva all’atto viziato o alla notizia di esso aveva trovato inizialmente applicazione in relazione all’ipotesi del tutto circoscritta dell’omesso avviso del consulente alle parti della data di inizio delle operazioni peritali; in seguito tale principio, che nell’ipotesi di partenza trovava giustificazione nella tutela del diritto di difesa, della cui violazione non avrebbe potuto dolersi se non il titolare di esso, tenuto perciò ad attivarsi prontamente se non avesse voluto vedere prodotti in suo danno gli effetti sananti della mancata contestazione, venne esteso anche ad altre ipotesi di nullità, a cominciare da quelle ravvisabili in conseguenza dell’estensione del sindacato peritale all’accertamento di fatti estranei al tema decisionale o all’acquisizione di documenti non ritualmente prodotti in giudizio dalle parti, e da lì si era poi propagato, per effetto di naturale inerzia, a qualsiasi ipotesi di invalidità peritale sino a divenire affermazione generalizzata e priva di sostanziali distinzioni.
Queste Sezioni Unite, con la già richiamata decisione, coeva alla presente, nel confermare l’orientamento tradizionale, hanno però precisato che, in materia di consulenza tecnica d’ufficio, l’accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a( fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste- ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio, o l’acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti, è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all’atto viziato o alla notizia di esso, mentre l’accertamento di fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio, che il consulente nominato dal giudice accerti nel rispondere ai quesiti sottopostigli dal giudice viola il principio della domanda ed il principio dispositivo ed è fonte di nullità assoluta rilevabile d’ufficio o, in difetto, di motivo di impugnazione da farsi a valere ai sensi dell’art. 161 cod. proc. civ..
- L’ordinanza interlocutoria si è problematicamente riferita all’applicazione dell’art. 157, secondo comma, cod. proc. civ., alla luce della difficoltà che può sorgere quando in concreto si cerchi di distinguere tra i vizi che attengono al procedimento e quelli che attengono al contenuto della consulenza tecnica. In particolare, è individuato quale emblematico di tali casi dubbi quello in cui la parte si dolga che il consulente abbia esteso l’indagine oltre ì limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente. Ma, come si è già evidenziato, tale ipotesi è stata esaminata funditusproprio dalla sentenza coeva alla presente e già richiamata che è pervenuta alle conclusioni sopra riportate.
- Ritengono queste Sezioni Unite di dover affermare il principio secondo cui le nullità procedimentali della consulenza tecnica sono, in generale e quando non ridondano in nullità rilevabili anche d’ufficio^ soggette all’applicazione dell’art. 157, secondo comma, cod. proc. civ., essendo possibile ormai distinguere agevolmente tra i vizi d’attività processuale e procedimentale compiuti dal consulente, dal giudice o dalle parti, e i vizi “di contenuto”, attinenti in ultima istanza a questioni scientifiche e/o comunque valutative e, quindi, connessi al tema della ricerca di una giusta soluzione della controversia.
In questa ottica, la preclusione a muovere contestazioni alla c.t.u. per la prima volta nella comparsa conclusionale non può farsi discendere dall’applicazione del secondo comma dell’art. 157 cod. proc. civ. a qualunque censura alla consulenza, trovando la disposizione appena menzionata applicazione alle sole nullità processuali (e procedimentali) da cui devono essere tenute distinte, a mezzo dell’interpretazione, ad opera del giudice, nell’esercizio dei suoi poteri, della doglianza mossa in concreto dalla parte, le critiche attinenti al “merito” delle indagini e conclusioni dell’ausiliare del giudice.
- Una volta che si è ritenuto, per le ragioni sopra esplicitate, che l’art. 157, secondo comma, cod. proc. civ. e la relativa preclusione trovi applicazione alle sole censure inerenti al procedimento di formazione della consulenza tecnica, bisogna chiedersi se altre disposizioni del codice di rito fissino un limite temporale allo svolgimento delle critiche rivolte al “contenuto” della c.t.u..
Il riferimento è all’art. 195, ultimo comma, cod. proc. civ. così come riformulato dalla legge 69/2009, che ha “procedimentalizzato” l’espletamento della c.t.u., norma peraltro sicuramente non applicabile, ratione temporis, al caso di specie, ma a cui, ben consapevole di quanto si è appena detto, ha espressamente fatto riferimento il Collegio remittente nell’O.I. n. 1990/20.
Al riguardo va precisato se dalla procedimentalizzazione della consulenza tecnica d’ufficio possa derivare l’obbligo, per le parti, di contenere tutte le attività difensive di natura tecnica (e comunque di “merito”) all’interno dei tempi fissati dal giudice all’udienza di nomina del consulente tecnico.
Deve ritenersi che i termini previsti dell’art. 195, ultimo comma, cod. proc. civ., abbiano natura meramente ordinatoria e funzione acceleratoria e svolgano ed esauriscano, la loro funzione nel sub-procedimento che si conclude con il deposito della relazione dell’ausiliare, sicché, in difetto di esplicita previsione in tal senso, la mancata prospettazione al consulente tecnico di ufficio di rilievi critici esplica le sue conseguenze negative nell’ambito del solo subprocedimento – sicché il C.T.U. non dovrà depositare nel termine a lui assegnato la sintetica valutazione delle osservazioni rese dalle parti tardivamente rispetto al termine alle stesse all’uopo fissato – ma non preclude alla parte di arricchire e meglio specificare le relative contestazioni difensive nel successivo corso del giudizio (Cass., ord. 8/09/2020, n. 18657).
Reputa, infatti, il Collegio che la riforma del 2009 abbia procedimentalizzato, assoggettandola a precisi termini, la sola facoltà delle parti di interloquire con il perito, così da incidere già direttamente sul contenuto della consulenza e non, tout court, la possibilità di svolgere qualunque deduzione o osservazione nel corso del giudizio.
- Aconclusioni analoghe queste Sezioni Unite ritengono debba pervenirsi nel caso in cui, in procedimenti cui non si applica, ratione temporis, il novellato art. 195 cod. proc. civ., tuttavia il G.I. si sia avvalso della facoltà, diffusa nella prassi, di fissare, sulla base dei suoi generali poteri di organizzazione e direzione del processo ex art. 175 cod. proc. civ., un termine per il deposito di osservazioni.
- Proprio dalla già ricordata possibilità di poter produrre una consulenza tecnica di parte, in quanto mero atto difensivo (Cass., Sez. un., n. 13902/2013 già richiamata) anche per la prima volta in sede di appello, non si può ritenere che è precluso alle parti di svolgere deduzioni, osservazioni e critiche nuove alla consulenza tecnica oltre i termini fissati dal giudice ai sensi dell’art, dell’art. 195 cod. proc. civ. nel giudizio di primo grado.
Ne consegue che deve ammettersi, anche per la prima volta in sede di comparsa conclusionale, la possibilità di svolgere critiche al contenuto della consulenza tecnica d’ufficio, poiché, trattandosi di mere difese, esse non incontrano alcuna particolare preclusione.
È evidente che, dette censure devono essere relative a contestazioni “valutative” e/o “di merito”, come già sopra precisato, anche alla luce della funzione meramente illustrativa della comparsa conclusionale in relazione alle ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fondano le domande e le eccezioni già proposte (Cass. 7/04/2004, n. 6858; Cass. 7/12/2004, n. 22970; Cass. 14/03/2006, n. 5478). Ed invero il secondo comma dell’art. 190 cod. proc. civ., nel prescrivere che le comparse conclusionali devono contenere le sole conclusioni già precisate dinanzi al giudice istruttore e il compiuto svolgimento delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano, mira ad assicurare che non sia alterato, nella fase decisionale del procedimento, in pregiudizio dei diritti di difesa della controparte, l’ambito obiettivo della controversia, quale precisato nella fase istruttoria. Tale norma non impedisce, pertanto, che la parte, senza apportare alcuna aggiunta o modifica alle conclusioni precisate in precedenza, e, soprattutto, senza addurre nuovi fatti, esponga, nella comparsa conclusionale, una nuova ragione giustificativa della domanda o delle’ eccezioni rivolte al giudice adito, basate su fatti in precedenza accertati o su acquisizioni processuali mai oggetto di contestazione tra le parti (Cass., ord., 2/05/2019 n. 11547; Cass. 25/10/2010, n. 21844; Cass. 13/10/2005, n. 19894), il che non esclude, quindi, neppure la sollecitazione – sulla base di argomentazioni difensive, anche in senso critico, con riferimento alle risultanze istruttorie acquisite – del potere valutativo del Giudice in relazione alle risultanze istruttorie e, in particolare e per quanto qui rileva, della c.t.u.
- Non appare poi condivisibile la tesi secondo cui, svolgendo le osservazioni critiche alla c.t.u. per la prima volta in comparsa conclusionale, la parte le sottrarrebbe al contraddittorio, atteso che dopo le comparse conclusionali le parti si scambiano le memorie di replica, nelle quali ben possono trovare spazio le argomentazioni e le controdeduzioni della controparte senza che si verifichi alcuna lesione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, non rappresenta un vulnus al principio del contraddittorio il fatto che la parte possa addurre una nuova causa petendi (per i diritti autoindividuati, configurandosi altrimenti una inammissibile mutatio libelli), sempre che, ovviamente, ciò non si fondi sull’introduzione in giudizio di fatti nuovi e non si determini un mutamento delle conclusioni già rassegnate nel giudizio. Non si vede allora perché, alle medesime condizioni (senza, cioè, ammettere fatti nuovi né mutamenti delle conclusioni già rassegnate), non dovrebbe essere consentito lo svolgimento delle critiche alla c.t.u. per la prima volta nella comparsa conclusionale.
- La proposizione di censure alla c.t.u. nei termini appena delineati anche in comparsa conclusionale e pure in appello, va ribadito, deve ritenersi ammissibile sia nel corso di un processo cui sia applicabile ratione temporisla normativa relativa alla consulenza tecnica d’ufficio così come novellata ed attualmente vigente, sia nel caso in cui sia applicabile tale normativa nella sua precedente formulazione, anche se, come per prassi invalsa e nell’ambito dei poteri di poteri di organizzazione e direzione del processo ex art. 175 cod. proc. civ., il Giudice istruttore abbia assegnato un termine per il deposito di osservazioni alla c.t.u..
- Sostanziandosi in un comportamento processuale l’aver le parti proposto le rispettive osservazioni oltre i termini concessi e, quindi, anche per la prima volta in comparsa conclusionale o in appello, il Giudice ben potrà valutare, alla luce delle specifiche circostanze del caso, se tale comportamento sia stato o meno contrario al dovere di comportarsi in giudìzio con lealtà e probità di cui all’art. 88 cod. proc. civ., tenuto conto che proprio il principio del giusto processo e le ripetute riforme del codice di rito che si sono susseguite ad iniziare dagli anni ’90 del secolo scorso, in senso acceleratorio e propulsivo, impongono alle parti un dovere di collaborazione anche al fine di pervenire, in tempi ragionevoli, alla decisione della causa; pertanto, in caso di ritenuta trasgressione al dovere di collaborazione delle parti di cui alla norma appena richiamata ciò potrà riverberarsi sulla regolamentazione delle spese di lite, ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ..
- Possono, quindi, affermarsi i principi di diritto che seguono.
«Le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d’ufficio, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., costituiscono argomentazioni difensive, sebbene di carattere non tecnico-giuridico, che possono essere formulate per la prima volta nella comparsa conclusionale e anche in appello, purché non introducano nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove ma si riferiscano alla attendibilità e alla valutazione delle risultanze della c.t.u. e siano volte a sollecitare il potere valutativo del Giudice in relazione a tale mezzo istruttorio».
«In tema di consulenza tecnica d’ufficio, il secondo termine previsto dall’ultimo comma dell’art. 195, c.p.c., così come modificato dalla I. n. 69 del 2009, ovvero l’analogo termine che, nei procedimenti cui non si applica, ratione temporis, il novellato art. 195 c.p.c., il giudice, sulla base dei suoi generali poteri di organizzazione e direzione del processo ex art. 175 c.p.c., abbia concesso alle parti ha natura ordinatoria e funzione acceleratoria e svolge ed esaurisce la sua funzione nel subprocedimento che si conclude con il deposito della relazione da parte dell’ausiliare; pertanto la mancata prospettazione al consulente tecnico di osservazioni e rilievi critici non preclude alla parte di sollevare tali osservazioni e rilievi, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., nel successivo corso del giudizio e, quindi, anche in comparsa conclusionale o in appello».
«Qualora le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d’ufficio, non integranti eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., siano stati proposti oltre i termini concessi all’uopo alle parti e, quindi, anche per la prima volta in comparsa conclusionale o in appello, il giudice può valutare, alla luce delle specifiche circostanze del caso, se tale comportamento sia stato o meno contrario al dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità di cui all’art. 88 c.p.c. e, in caso di esito positivo di tale valutazione, trattandosi di un comportamento processuale idoneo a pregiudicare il diritto fondamentale della parte ad una ragionevole durata del processo ai sensi dell’art. III Cost. e, in applicazione dell’art. 92, primo comma, ultima parte c.p.c., può tenerne conto nella regolamentazione delle spese di lite».
- Alla luce dei principi sopra riportati il primo motivo risulta fondato.
- Dall’accoglimento del primo motivo resta assorbito l’esame del secondo.
- Conclusivamente va accolto il primo motivo e va dichiarato assorbito l’esame del secondo motivo; la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.
Stante l’accoglimento del ricorso, va dato atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.