Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, Ordinanza 31 maggio 2024, n. 15278
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’intervento delle Sezioni Unite, in sede di controllo di giurisdizione, nemmeno può essere giustificato dalla violazione di norme dell’Unione o della CEDU e l’«eccesso di potere giudiziario» va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, configurabili solo quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta «invasione» o «sconfinamento»), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto «arretramento»); nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione. Il concetto di controllo di giurisdizione, così delineato, non ammette soluzioni intermedie, secondo cui la lettura estensiva dovrebbe essere limitata ai casi di sentenze «abnormi» o «anomale» ovvero di uno «stravolgimento», a volte definito radicale, delle «norme di riferimento» perché attribuire rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio è, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriero di incertezze, in quanto affidato a valutazioni contingenti e soggettive.
TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA
- La richiesta di parte ricorrente di fissazione di trattazione del ricorso in pubblica udienza ex art.375 cod.proc.civ. va disattesa poiché, come si vedrà, le questioni di diritto proposte dal ricorso sono state già ampiamente scrutinate dalla giurisprudenza di queste Sezioni Unite.
- Tutti i motivi di ricorso attengono, sotto vari profili, alla prospettazione di un eccesso di potere giurisdizionale in cui sarebbe incorso il Consiglio di Stato con riguardo al mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE e alla ipotizzata violazione del diritto euro-unitario.
12.1. Più in particolare, con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’insegnamento della Corte di Giustizia Europea formato con la celebre decisione «Cilfit» (C-283/81) e ribadito dalla successiva pronuncia «Consorzio Italiano Management» (C-561/91) del 6.10.2021.
La ricorrente ravvisa un diniego dell’ammissione alla tutela giurisdizionale costituita dal sindacato della Corte di Giustizia, così come consentito (e, peraltro, imposto) dall’art. 267 del T.F.U.E., perché:
- a) la questione era senz’altro rilevante rispetto al caso da decidere, trattandosi, infatti, di stabilire se e in quali termini sia possibile ritenere il diritto interno compatibile con quello della UE nella parte in cui si pretende di privare di rilevanza l’accertamento amministrativo di negazione della compatibilità ambientale al ricorrere della esenzione di soglia;
- b) la questione, lungi dall’essere stata già decisa in modo inequivoco dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, era stata esaminata in senso favorevole alla prospettazione della odierna parte ricorrente, allorquando la CGUE aveva stabilito che il sistema di esenzione per soglie deve comunque consentire la valutazione dell’impatto che l’impianto ha presentato (o presenta) per l’ambiente;
- c) la medesima questione, nel senso di confermare il difetto del requisito dell’atto chiaro (acte clair) e ben lungi dall’essere risolvibile sulla base della dottrina dell’atto chiaro, era stata già oggetto di cognizione della Corte Costituzionale italiana, che aveva rilevato come la legislazione della Regione Marche si ponesse appunto in violazione del diritto UE.
12.2. Con il secondo motivo la ricorrente contesta la valutazione di irrilevanza opposta dal Consiglio di Stato, considerata un mero espediente retorico, perché sarebbe proprio l’effetto della «sopravvenienza normativa» quello di «omettere in toto l’esperimento di tale procedimento ai fini del rilascio dell’autorizzazione», allorquando l’Autorità amministrativa competente ha comunque condotto l’accertamento ed il medesimo ha dato esito negativo. In tal modo il Consiglio di Stato aveva mostrato di avere ben chiaro che oggetto dello scrutinio era proprio la compatibilità della «sopravvenienza normativa» con il diritto della UE.
12.3. Con il terzo motivo la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sottovaluta le indicazioni della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea del 28.2.2018 (nella causa C-117/17). Infatti, sarebbe proprio la stessa sentenza impugnata a ricordare che la pronuncia della Corte di Giustizia ha ritenuto legittima – ma solo a «determinate condizioni» – la sottoposizione a una verifica preliminare di assoggettabilità a V.I.A. di un impianto già realizzato, inizialmente non sottoposto a tale esame in virtù di disposizioni nazionali successivamente dichiarate incompatibili con la normativa europea. La sentenza conclude che in tal modo «la Corte, nell’ammettere un esame postumo rispetto ad un impianto già portato ad esecuzione, ha confermato che, nell’ambito del procedimento autorizzativo e in particolare del procedimento di valutazione di impatto ambientale, assumono rilevanza le modifiche normative sopraggiunte, al pari di quanto, del resto, è stato affermato ai fini della soluzione del caso di specie».
La sentenza impugnata peraltro trascurerebbe il fatto che tra le «determinate condizioni» di cui alla pronuncia della Corte di Giustizia U.E. richiamata (che legittimano la rilevanza delle «sopravvenienze normative») ci sia che non debbano sussistere pregiudizi significativi all’ambiente.
12.4. Con il quarto motivo la ricorrente contesta di aver modificato la questione interpretativa precedentemente sollevata, come ipotizzato dal Consiglio di Stato, e con il quinto, consequenziale, lamenta che la sentenza impugnata abbia omesso di pronunciare in senso corrispondente al quesito interpretativo sottoposto.
- I primi tre motivi appaiono inammissibili, così come opinato nella proposta di decisione anticipata, perché essi, pur apparentemente volti a prospettare un eccesso di potere giurisdizionale con riguardo al mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE e alla ipotizzata violazione del diritto dell’Unione, si risolvono nella contestazione dell’esercizio del potere giurisdizionale in modo illegittimo, cioè nella deduzione di errores in iudicando incensurabili in sede di legittimità, in quanto inerenti ai limiti interni alla giurisdizione amministrativa, poiché l’art. 111, comma 8, della Costituzione, come è noto, consente il ricorso per cassazione avverso le decisioni del Consiglio di Stato per i soli motivi inerenti la giurisdizione.
- Infatti, secondo i principi scanditi dalla giurisprudenza di questa Corte, non è sindacabile sotto il profilo della violazione del limite esterno della giurisdizione la decisione con la quale il Consiglio di Stato abbia motivatamente escluso la necessità di disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
L’insindacabilità, da parte della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, per eccesso di potere giurisdizionale, ai sensi dell’art. 111, comma, 8 Cost., delle sentenze del Consiglio di Stato pronunciate in violazione del diritto dell’Unione europea, non si pone poi in contrasto con gli artt. 52, par. 1 e 47, della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea, in quanto l’ordinamento processuale italiano garantisce comunque ai singoli l’accesso a un giudice indipendente, imparziale e precostituito per legge, come quello amministrativo, non prevedendo alcuna limitazione all’esercizio, dinanzi a tale giudice, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione; costituisce, quindi, ipotesi estranea al perimetro del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione la denuncia di un diniego di giustizia da parte del giudice amministrativo di ultima istanza, derivante dallo stravolgimento delle norme di riferimento, nazionali o unionali, come interpretate in senso incompatibile con la giurisprudenza della CGUE, risultando coerente con il diritto dell’Unione la riferita interpretazione in senso riduttivo degli art. 111, comma 8, Cost., 360, comma 1, n. 1, e 362, comma 1, cod.proc.civ.
Il diritto dell’Unione, come interpretato della giurisprudenza costituzionale ed europea, è ispirato a esigenze di limitazione delle impugnazioni e ai principi del giusto processo, idoneo a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, tenuto conto che è rimessa ai singoli Stati l’individuazione degli strumenti processuali per assicurare tutela ai diritti riconosciuti dall’Unione (in questo senso, fra le altre: Sez. U, n. 21641 del 28.7.2021; Sez. U,
- 25503 del 30.8.2022; Sez. U, n. 1996 del 24.1.2022).
- In proposito si è espressa chiaramente la Corte costituzionale con la sentenza del 24.1.2018, n. 6, secondo la quale la tesi che il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, previsto dall’ottavo comma dell’art. 111 Cost. avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, comprenda anche il sindacato su errores in procedendo o in iudicando non può qualificarsi come una interpretazione evolutiva, poiché non è compatibile con la lettera e lo spirito della norma costituzionale. Deve così considerarsi inammissibile ogni interpretazione che consenta una più o meno completa assimilazione del ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti per «motivi inerenti alla giurisdizione» con il ricorso per cassazione per violazione di legge.
L’intervento delle Sezioni Unite, in sede di controllo di giurisdizione, nemmeno può essere giustificato dalla violazione di norme dell’Unione o della CEDU e l’«eccesso di potere giudiziario» va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, configurabili solo quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta «invasione» o «sconfinamento»), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto «arretramento»); nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione. Il concetto di controllo di giurisdizione, così delineato, non ammette soluzioni intermedie, secondo cui la lettura estensiva dovrebbe essere limitata ai casi di sentenze «abnormi» o «anomale» ovvero di uno «stravolgimento», a volte definito radicale, delle «norme di riferimento» perché attribuire rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio è, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriero di incertezze, in quanto affidato a valutazioni contingenti e soggettive.
- Il predetto orientamento trae ulteriore e decisivo conforto dalla decisione della Corte di Giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, 21.12.2021, C-C-497/20, «Randstad Italia», secondo la quale non osta al diritto dell’Unione, sotto il profilo della garanzia di una tutela effettiva ed equivalente rispetto alle posizioni soggettive garantite dal diritto interno, una normativa nazionale che impedisce di contestare davanti alla Corte di Cassazione la conformità al diritto europeo di una sentenza del giudice amministrativo di ultimo grado.
Infatti l’art. 4, par. 3, e l’art. 19, par. 1, TUE, nonché l’art. 1, par. 1 e 3, della direttiva 89/665/CEE, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non ostano a una disposizione del diritto interno di uno Stato membro che, secondo la giurisprudenza nazionale, produce l’effetto che i singoli non possono contestare la conformità al diritto dell’Unione di una sentenza del supremo organo della giustizia amministrativa di tale Stato membro nell’ambito di un ricorso dinanzi all’organo giurisdizionale supremo di detto Stato membro. Fatta salva l’esistenza di norme dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascun Stato membro, in forza del principio dell’autonomia procedurale, stabilire le modalità processuali dei rimedi giurisdizionali, a condizione che tali modalità, nelle situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe disciplinate dal diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’Unione (principio di effettività).
- All’indomani della sentenza «Randstad» questa Corte ha precisato che il ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione è ammissibile nei casi di difetto assoluto e relativo di giurisdizione e, quindi, non può estendersi al sindacato di sentenze abnormi o anomale o che abbiano stravolto le norme di riferimento, neppure se direttamente applicative del diritto UE, né può essere accolta la richiesta di rimettere alla Corte di giustizia UE questioni volte a fare emergere errori in cui sia incorso il Consiglio di Stato nell’interpretazione e applicazione di disposizioni di diritto interno applicative del diritto UE, non attenendo queste a motivi di giurisdizione (Sez. U, n. 1454 del 18.1.2022).
In motivazione è stato allora chiarito che il contrasto delle decisioni giurisdizionali del Consiglio di Stato con il diritto europeo non integra, di per sé, l’eccesso di potere giurisdizionale denunziabile ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost., atteso che anche la violazione delle norme dell’Unione europea o della CEDU dà luogo ad un motivo di illegittimità, sia pure particolarmente qualificata, che si sottrae al controllo di giurisdizione della Corte di cassazione, né può essere attribuita rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio (SSUU 29085/2019; nello stesso senso, SSUU 6460/2020). Con l’ulteriore precisazione che la non sindacabilità, da parte della Corte di cassazione ex art. 111, comma 8, Cost., delle violazioni del diritto dell’Unione europea ascrivibili alle sentenze pronunciate dagli organi di vertice delle magistrature speciali (nella specie, il Consiglio di Stato) è compatibile con il diritto dell’Unione, come interpretato della giurisprudenza costituzionale ed europea, in quanto correttamente ispirato ad esigenze di limitazione delle impugnazioni, oltre che conforme ai principi del giusto processo ed idoneo a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, tenuto conto che è rimessa ai singoli Stati l’individuazione degli strumenti processuali per assicurare tutela ai diritti riconosciuti dall’Unione (cfr. SSUU 32622/2018).
Le successive ordinanze delle Sezioni Unite n. 1996 del 24.1.2022 e n. 25503 del 30.8.2022 hanno ripetuto questi principi e negato la sussistenza di un contrasto con gli artt. 52, par. 1 e 47, della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea, in quanto l’ordinamento processuale italiano garantisce comunque ai singoli l’accesso a un giudice indipendente, imparziale e precostituito per legge, come quello amministrativo, non prevedendo alcuna limitazione all’esercizio, dinanzi a tale giudice, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione; costituisce, quindi, ipotesi estranea al perimetro del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione la denuncia di un diniego di giustizia da parte del giudice amministrativo di ultima istanza, derivante dallo stravolgimento delle norme di riferimento, nazionali o unionali, come interpretate in senso incompatibile con la giurisprudenza della CGUE, risultando coerente con il diritto dell’Unione la riferita interpretazione in senso riduttivo degli artt. 111, comma 8, Cost., 360, comma 1, n. 1, e 362, comma 1, c.p.c.
Il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione non comprende, dunque, anche il sindacato su errores in procedendo o in iudicando, il cui accertamento attiene invece ai limiti interni della giurisdizione.
- I tre primi motivi non offrono valide ragioni per mutare questo fermo indirizzo, recentemente ancora riconfermato da numerose successive pronunce di queste Sezioni Unite (n.11547 e 11549 dell’8.5.2022;n.36044 del 7.12.2022; n.9861 del 13.4.2023; n.9988 del 14.4.2023; n.11444 del 2.5.2023; n. 29105 del 19.10.2023; n.34483 dell’11.12.2023; n.3763 del 12.2.2024), posto che i mezzi in questione denunciano sotto diversi profili l’errore di giudizio in cui i Supremi Giudici amministrativi sarebbero incorsi nell’applicare la giurisprudenza europea «Cilfit», nel valutare la rilevanza della questione e nell’applicare la teoria dell’atto chiaro. Poiché il Consiglio di Stato ha esaminato in modo specifico la questione pregiudiziale interpretativa che gli era stata sottoposta e ha ritenuto, tra l’altro motivando ampiamente nel rispetto dei «criteri CILFIT», che essa non fosse rilevante ai fini del decidere e che comunque il diritto europeo, così come interpretato alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia, fornisse una risposta chiara, appare evidente che nella fattispecie, a tutto concedere, potrebbe essere ravvisato un insindacabile errore nel giudicare (perché in ipotesi la risposta, secondo la ricorrente, avrebbe dovuto essere diversa), ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale.
- Il quarto motivo incorre nelle stesse obiezioni, quand’anche fosse vero quanto afferma la ricorrente e cioè che la richiesta di rinvio pregiudiziale era rimasta sempre la stessa e non era stata variata in sede di discussione orale, come invece si assume nella sentenza impugnata nel § 11, allorché viene affermato «parte appellante, nel corso dell’odierna udienza di discussione, sembrerebbe aver sollevato oralmente una questione differente da quella precedentemente formulata ex actis, peraltro omettendo di chiedere la relativa verbalizzazione, in particolare volta a sindacare la compatibilità con la normativa europea del d.m. del 30 marzo 2015 e del relativo sistema di esenzione per soglie».
In primo luogo, il Consiglio di Stato si riferisce al tenore della discussione orale non verbalizzata e la ricorrente non fornisce alcun elemento che smentisca l’affermazione circa la sua condotta in sede di discussione orale.
Appaiono comunque dirimenti, da un lato, il rilievo che la censura non attiene alla giurisdizione, ma semmai al contenuto della domanda e a un presunto error in procedendo, e, dall’altro e soprattutto, il fatto che, stando alla stessa ricorrente, sulla questione effettivamente proposta, rimasta immutata, vi è stata pertinente risposta da parte del Consiglio di Stato.
- Il quinto motivo non ha autonoma consistenza e ha natura meramente consequenziale. Cade, quindi, con il cadere degli altri motivi.
- La memoria illustrativa depositata da parte ricorrente non offre validi argomenti per opinare diversamente.
La Provincia ricorrente sostiene che nel caso di specie il Consiglio di Stato avrebbe negato la giurisdizione della Corte di Giustizia europea, apertamente disapplicando i criteri che governano l’accesso a quella giurisdizione, invadendo l’ambito di giurisdizione riservata alla Corte di Giustizia Europea, violando i criteri di obbligatorietà della remissione ex art. 267 TFUE, pietra angolare dell’unità dell’ordinamento europeo e della primazia del diritto dell’Unione (sentenza CGUE, 6.10.1982, C283/81, «Cilfit», ma anche CGUE, 11.9.2008, da C-428/06 a C-434/06, UGT-Rioja; CGUE 2.4.2009, C-260/07, Pedro IV Servicios).
L’assunto è manifestamente infondato: la sentenza impugnata ha fatto puntuale riferimento a due dei tre criteri Cilfit e li ha applicati alla fattispecie concreta, affermando, da un canto, che la questione pregiudiziale interpretativa era irrilevante agli effetti della decisione, e, dall’altro, che il diritto europeo, sì come interpretato dalla Corte di Giustizia, forniva una risposta chiara ed univoca. Così facendo, i Supremi Giudici amministrativi non hanno affatto disconosciuto la giurisdizione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e hanno mostrato di volersi conformare alle sue indicazioni.
Quel che contesta la Provincia di Ancona è il risultato di tale operazione e l’errore di giudizio asseritamente compiuto: il che, come più volte evidenziato, è censura non attinente ai limiti esterni della giurisdizione.
La ricorrente sostiene altresì che il tema non sarebbe quello della legittimità del sistema delle soglie – in ragione del quale il mancato superamento della soglia rilevante esonera (con evidente effetto di semplificazione amministrativa) dal procedimento di valutazione di impatto ambientale – bensì quello diverso di impedire all’Amministrazione, titolare del potere amministrativo di valutazione di impatto ambientale, di giudicare l’insediamento carente di compatibilità ambientale, anche qualora il sistema delle soglie collochi l’insediamento medesimo al di sotto della soglia di rilevanza.
Tesi questa – non condivisa dai giudici amministrativi -che attiene al merito della controversia e non ai limiti esterni della giurisdizione.
- La ricorrente insiste ancora nel richiamare la pronuncia della Corte Costituzionale n.93 del 22.5.2013, che non appare per nulla pertinente al tema del decidere, anche senza considerare il fatto che la disciplina regionale marchigiana, colpita dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale su ricorso del Governo, riguardava il mancato allineamento della regolamentazione dell’esenzione per soglie dalla necessità della valutazione di impatto ambientale ai criteri generali fissati dalla direttiva euro-unitaria e non il sistema delle soglie in sé, del resto poi adottato anche a livello nazionale.
- Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo, a carico della ricorrente e in favore delle parti controricorrenti, che hanno entrambe resistito al ricorso.
- Ai sensi dell’art.380-bis, comma 3, cod.proc.civ., se la parte ha chiesto la decisione dopo la comunicazione della proposta di definizione anticipata e la Corte definisce il giudizio in conformità alla proposta, debbono trovare applicazione il terzo e il quarto comma dell’articolo 96 cod.proc.civ.
Secondo questa Corte, la novità normativa [introdotta dall’art. 3, comma 28, lett. g), d.lgs. 10.10.2022, n. 149, a decorrere dal 18.10.2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 52, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 149/2022] contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore, della sussistenza dei presupposti per la condanna di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96, terzo comma, cod.proc.civ.) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad € 500,00 e non superiore ad € 5.000,00 (art. 96, quarto comma).