Cassazione civile, Sez. V, ordinanza 7 ottobre 2022, n. 29241
- Preliminarmente deve rilevarsi come l’istanza del difensore del Di Lello datata 28 dicembre 2021, volta a sollecitare la declaratoria di cessazione della materia del contendere per intervenuta definizione agevolata dei carichi relativi ‘anche’ all’avviso di accertamento oggetto del presente giudizio (“[…] è pendente procedimento avente rg 25972/2016 a cui è collegato [il] procedimento 10596/2013 [ossia il presente giudizio]” ed “in virtù di detti accertamenti venivano notificate le seguenti cartelle […]”) non possa trovare accoglimento. Detta istanza è infatti pressoché totalmente identica a quella in data 5 maggio 2020, con riferimento alla quale, in evasione degli incombenti di cui all’ordinanza interlocutoria di questa Sezione del 14 ottobre 2020, l’Avvocatura generale dello Stato ha fatto richiesta di prosecuzione del giudizio, rappresentando come, alla stregua di quanto verificato dalla competente Direzione Provinciale dell’Agenzia delle entrate, la definizione agevolata allegata dal Di Lello in realtà non si riferisca all’avviso di accertamento oggetto del presente giudizio, ma ad altro, pur prendente in cassazione (“[…] non esiste nessuna domanda di definizione di questa controversa, ma di altra”: ossia quella “sub” rg 25972/2016). Fermo quanto precede, merita per chiarezza di precisare che l’istanza dell’Avvocatura, nell’intestazione (“Istanza di prosecuzione del giudizio a seguito di diniego condono ex art. 6 d.l. 119/2018”), pare fare erroneamente riferimento ad un diniego di condono ai sensi dell’art. 6 d.l. n. 119 del 2018, conv. con mod. dalla I. n. 136 del 2018. Invero, alla stregua della documentazione depositata dal difensore del Di Lello, la dichiarazione di adesione era stata formulata il 20 aprile 2017, ossia sulla base dell’art. 6 d.l. n. 193 del 2016. Sotto altro profilo, siffatta dichiarazione – pure allegata – menziona i tre carichi definiti, necessariamente riguardanti la controversia “sub” rg 25972/2016, poiché, avuto riguardo all’avviso 4 Corte di Cassazione – copia non ufficiale oggetto del presente giudizio, in ragione del superiore rapporto informativo della Direzione Provinciale, era intervenuto sgravio dei ruoli ex art. 68 D.Lgs. n. 546 del 1992, in ragione dell’esito del grado d’appello sfavorevole all’Ufficio (in effetti la Direzione Provinciale scrive che per “l’avviso di accertamento parziale n. TK7011801664-2010 per l’anno di imposta 2005”, oggetto del presente giudizio, “alcun ruolo attualmente risulta formato[,] avendo [l’Ufficio] provveduto allo sgravio delle seguenti iscrizioni con identificativo partita: AUTK70118016642020/1-ruolo 860/2011 AUTK70118016642020/2-ruolo 956/2012 […]”, e soggiunge che “la circostanza che il contribuente abbia depositato nel procedimento rubricato R.G. 25972/16 documentazione afferente la definizione agevolata dei carichi affidati all’Agente della riscossione non può considerarsi in alcun modo relazionata con il presente contenzioso, in quanto trattasi di carichi afferenti altro avviso di accertamento che nulla hanno a che vedere con quello qui oggetto di controversia, come meglio esposto nella narrativa che precede”). Talché, in definitiva, stanti le emergenze documentali riversate in atti, è da escludere che il contribuente – il quale d’altronde non formula alcuna precisa e documentata allegazione in tal senso – abbia formulato dichiarazione di definizione agevolata ex art. 6 d.l. n. 193 del 2016 di carichi scaturenti dall’avviso di accertamento oggetto del presente giudizio. In ragione di ciò, pertanto, legittima è la richiesta dell’Avvocatura di prosecuzione del giudizio. Del resto, a fronte di essa, il difensore del Di Lello non formula repliche in senso contrario, limitandosi, come visto, con l’istanza del 28 dicembre 2021, a reiterare tal quale quella del 5 maggio 2020. 2. Occorre pertanto procedere alla disamina del ricorso
- 3. Con il primo motivo si denuncia omessa od insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio – oltreché, in subordine, alla stregua di un ‘sub-motivo’ individuato, 5 Corte di Cassazione – copia non ufficiale nel contesto dell’illustrazione del motivo in disamina, come “1-bis”, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. 3.1. La motivazione della sentenza impugnata è in parte omessa perché l’Ufficio aveva ribadito anche in appello che l’accertamento era fondato – come si evince dalla motivazione dello stesso – non solo su dichiarazioni di terzi, ma anche su circostanze documentate, come il fatto che la parte avesse contratto un mutuo di euro 230.000,00 per un’immobile formalmente pagato solo euro 100.000,00. La motivazione è altresì insufficiente ed illogica per travisamento delle risultanze processuali: è insufficiente, perché non spiega la ragione per cui le puntuali e circostanziate deduzioni dell’Ufficio non siano state ritenute valide e decisive, ed è illogica, laddove, osservando che l’Ufficio non ha fornito indicazioni estimative sull’effettivo valore dell’immobile oggetto di accertamento, confonde l’accertamento ai fini dell’imposta di registro con l’accertamento ai fini delle imposte dirette e dell’Iva. 3.1.1. I superiori vizi motivazionali rilevano – in via subordinata, come dedotto dalla ricorrente Agenzia sotto il motivo “1-bis” – anche ai sensi della nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. 4. Con il secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare dell’art. 7 D.Lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. 4.1. È da annullare la sentenza impugnata resa dalla CTR sull’erroneo presupposto in diritto che gli elementi probatori raccolti durante la fase amministrativa e posti dall’Agenzia delle entrate a base dell’avviso di accertamento, avuto segnatamente riguardo alle dichiarazioni dei terzi acquirenti, fossero invalidamente acquisiti e quindi inutilizzabili. Per costante giurisprudenza, invece, siffatte 6 Corte di Cassazione – copia non ufficiale dichiarazioni non integrano il divieto di prova testimoniale che caratterizza il processo tributario ai sensi del comma 4 dell’art. 7 D.Lgs. n. 546 del 1992. 5. Il primo ed il secondo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente per l’evidente comunanza di censure, sono fondati e meritano accoglimento, con conseguente assorbimento del motivo indicato come “1-bis”.
5.1. Nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, trovasi costantemente affermato il principio a termini del quale, “nel processo tributario, le dichiarazioni rese da un terzo, inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione e recepite nell’avviso di accertamento, hanno valore indiziario e possono assurgere a fonte di prova presuntiva, concorrendo a formare il convincimento del giudice anche se non rese in contraddittorio con il contribuente, senza necessità di ulteriori indagini da parte dell’Ufficio” (cfr. da ultimo Sez. 6-5, n. 9316 del 20/05/2020, Rv. 657774-01).
Già in epoca meno recente consta essersi affermato che, “in tema di accertamento parziale di tributi diretti, ai sensi dell’art. 41-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, tra gli elementi indiziari che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parziale dichiarato, che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile, rientrano anche le dichiarazioni rilasciate da terzi alla polizia tributaria, a prescindere dal fatto che tale maggior reddito non risulti dalle scritture contabili, facendo le stesse prova contro l’imprenditore, ma non a suo favore (art. 2709 cod. civ., con l’eccezione stabilita dal successivo art. 2710), ed essendo, quindi, contestabili con qualunque mezzo di prova, non necessariamente documentale” (Sez. 5, n. 3573 del 16/02/2010, Rv. 611762-01). In relazione ad una fattispecie analoga a quella per cui si procede, si rinviene, inoltre, il principio secondo cui, “in tema di accertamento dell’imposta sui redditi, le dichiarazioni rese da terzi in ordine ad un contratto di compravendita di un immobile, raccolte 7 Corte di Cassazione – copia non ufficiale dai verificatori ed inserite in un processo verbale di constatazione, ben possono essere utilizzate per l’accertamento tributario, ai sensi dell’art. 32, primo comma, n. 8 bis, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, richiamato dall’art. 39, primo comma, lett. d) dello stesso atto normativo, avuto riguardo alla posizione di fatto che i predetti soggetti abbiano assunto nella fase di formazione del contratto ed alla conoscenza che quindi essi abbiano potuto acquisire dei relativi elementi” (Sez. 5, n. 16845 del 20/06/2008, Rv. 603954-01, con riferimento ad un caso in cui “la S.C. ha respinto il ricorso con il quale il contribuente lamentava che l’Ufficio e la CTR, al fine di accertare un corrispettivo maggiore di quello dedotto nel rogito, avrebbero valorizzato le dichiarazioni rese da soggetti totalmente estranei al contratto”). Nel caso di specie, la CTR ha fatto malgoverno dei superiori insegnamenti, a misura che ha ritenuto non ritualmente acquisite e dunque sostanzialmente non valutabili – prima ancora che in sede processuale, finanche in sede amministrativa, ai fini di un’idonea motivazione dell’avviso di accertamento – le dichiarazioni delle controparti contrattuali del contribuente nelle due operazioni oggetto di verifica, siccome rese soltanto ai militari della Guardia di Finanza durante le indagini e dai medesimi rassegnate nel pvc, cui l’avviso si sarebbe – secondo la CTR medesima – limitato a far richiamo, “senza fornire alcun elemento probatorio a sostegno della maggior pretesa”, neppure indicando (quanto peraltro soltanto alla prima delle due operazioni) il valore estimativo dell’immobile. In tal guisa, ha pretermesso la CTR il valore pacificamente indiziario delle dichiarazioni assunte dalla Guardia di Finanza, riversate nel pvc e transitate nella motivazione dell’avviso giusta il richiamo di questo al pvc: dichiarazioni che, viepiù, sull’ulteriore piano propriamente processuale, non incorrono “ex se” nel divieto di prova testimoniale di cui all’art. 7, comma 4, D.Lgs. n. 546 del 1992, poiché tale disposizione, “in quanto limitativa dei poteri delle commissioni tributarie e non pure dei poteri degli organi 8 Corte di Cassazione – copia non ufficiale amministrativi di verifica, disciplinati da altre disposizioni, vale soltanto per la diretta assunzione, da parte del giudice tributario, nel contraddittorio delle parti, della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, ovverosia per quella narrazione che, in quanto richiedente la formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste, acquista un particolare valore probatorio. Le dichiarazioni, invece, dei terzi raccolte dai verificatori, quand’anche [“rectius”: finanche] nell’ambito di un procedimento penale, e inserite nel processo verbale di constatazione, hanno natura di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, pienamente utilizzabili quali elementi di prova” (Sez. 5, n. 20032 del 30/09/2011, Rv. 619267-01; negli stessi termini, altresì, Sez. 5, n. 21812 del 05/12/2012, Rv. 624483-01, a termini della quale “le dichiarazioni del terzo, raccolte da verificatori o finanzieri e inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione, a sua volta recepito nell’avviso di accertamento, hanno il valore indiziario di un mere riformazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, utilizzabili dal giudice quale elemento di convincimento, sebbene esse non siano state assunte o verbalizzate in contraddittorio con il contribuente, da nessuna norma richiesto”). 5.2. Fermo quanto precede, come correttamente fatto rilevare dall’Agenzia ricorrente (che, ai fini dell’autosufficienza, riproduce avviso ed atti processuali di parte), la CTR è incorsa in un ulteriore errore, consistente, in parallelo all’illegittima svalutazione delle superiori dichiarazioni, nella totale pretermissione dell’apprezzamento della valenza probatoria della prova documentale rappresentata dalla stipula, da parte degli acquirenti dell’immobile nella prima delle operazioni economiche oggetto di accertamento, di un mutuo corrispondente al prezzo effettivo di euro 230.000,00, siccome riferito dal Petriglia, in luogo di quello meramente ‘formale’ di euro 100.000,00. 9 Corte di Cassazione – copia non ufficiale Detto errore, alla luce della giurisprudenza dianzi analizzata, si riverbera ulteriormente sulla già di per se stessa erronea considerazione, compiuta dalla CTR, delle dichiarazioni assunte dalla Guardia di Finanza. Tali dichiarazioni, infatti, proprio in quanto dotate di valore indiziario, avrebbero dovuto essere dalla CTR apprezzate in un quadro valutativo unitario e coerente. Talché, quanto in particolare a quelle del Petriglia, il loro contenuto avrebbe dovuto essere rapportato, ai fini di un riscontro di corrispondenza, alle risultanze documentali, in guisa da verificarne l’idoneità ad assurgere a prova presuntiva (Sez. 6-2, n. 2482 del 29/01/2019, Rv. 652386-02; Sez. 5, n. 15454 del 07/06/2019, Rv. 654383-01). Ulteriormente, le dichiarazioni dello Zerilli avrebbero dovuto essere sottoposte a vaglio critico sia di per sé sia in rapporto al contesto, ricomprendente, pur nella diversità di situazioni, anche quelle del Petriglia. 6. In ragione di quanto precede, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla CTR del Lazio, in diversa composizione, per nuovo esame e per la regolazione tra le parti delle spese di lite, anche in relazione al presente grado di legittimità.