Corte Costituzionale, sentenza 28 luglio 2023 n. 177
Vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 18 e 18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri), sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Milano, sezione quinta penale.
Vanno dichiarate non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 18 e 18-bis della legge n. 69 del 2005, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 32 e 111 Cost., dalla Corte d’appello di Milano, sezione quinta penale.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– Con l’ordinanza di cui in epigrafe (reg. ord. n. 194 del 2020), la Corte d’appello di Milano, sezione quinta penale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 18 e 18-bis della legge n. 69 del 2005, in riferimento agli artt. 2, 3, 32 e 111 Cost., nella parte in cui non prevedono quale motivo di rifiuto della consegna, nell’ambito delle procedure di mandato d’arresto europeo, «ragioni di salute croniche e di durata indeterminabile che comportino il rischio di conseguenze di eccezionale gravità per la persona richiesta».
2.– Le questioni sono ammissibili.
2.1.– Non è fondata, anzitutto, l’eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo cui dall’ordinanza di rimessione non emergerebbe quale vulnus potrebbe prospettarsi rispetto al diritto alla salute della persona ricercata, dal momento che la possibilità di sospensione dell’esecuzione garantita dall’art. 23, comma 3, della legge n. 69 del 2005 scongiurerebbe in radice ogni possibile pregiudizio alla sua salute.
In realtà, il giudice a quo fornisce puntuale motivazione circa le ragioni per cui, a suo avviso, la possibilità di sospensione dell’esecuzione ai sensi dell’art. 23, comma 3, della legge n. 69 del 2005 non sarebbe idonea a garantire piena tutela al diritto alla salute della persona ricercata. Tanto basta ai fini dell’ammissibilità delle questioni, attenendo invece al merito la valutazione di questa Corte circa l’effettiva idoneità di tale rimedio.
2.2.– Neppure è fondata l’ulteriore eccezione svolta dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo cui l’ordinanza di rimessione non avrebbe adeguatamente illustrato le patologie di cui soffrirebbe la persona ricercata nel caso oggetto del giudizio a quo, con conseguente insufficiente motivazione sulla rilevanza delle questioni.
Il giudice a quo ha infatti plausibilmente argomentato, sulla base delle risultanze documentali acquisite e della perizia psichiatrica svolta, le ragioni per le quali l’interruzione della terapia cui la persona ricercata è attualmente sottoposta e il suo eventuale collocamento in un carcere in Croazia potrebbero determinare un aggravamento delle patologie psichiatriche di cui è affetta, con conseguente significativo rischio suicidario. Ciò che deve ritenersi sufficiente ai fini dell’apprezzamento della rilevanza delle questioni prospettate.
2.3.– Né, infine, è fondata l’eccezione – pure formulata dall’Avvocatura generale dello Stato – secondo cui l’ordinanza di rimessione non avrebbe considerato la possibilità di seguire la procedura indicata dalla Corte di giustizia nelle sentenze Aranyosi e Căldăraru, LM, ML e Dorobantu (supra, punto 2 del Ritenuto in fatto), e assumere informazioni presso l’autorità giudiziaria emittente al fine di individuare una collocazione idonea per la persona richiesta durante la celebrazione del processo a suo carico, ponendo termine alla procedura ove una tale soluzione non potesse essere individuata in tempi ragionevoli.
Tutte le sentenze della Corte di giustizia menzionate concernono, infatti, situazioni caratterizzate dalla presenza di deficit sistemici nello Stato emittente – relativi, in particolare, a situazioni di generalizzato sovraffollamento carcerario o di insufficienti garanzie di indipendenza del potere giudiziario – che non vengono, invece, in considerazione, nel caso oggetto del procedimento a quo; di talché i principi in tali sentenze enunciati non avrebbero potuto sic et simpliciter – in difetto almeno di chiarimenti interpretativi da parte della Corte di giustizia – essere applicati dal rimettente alla diversa ipotesi in cui le condizioni patologiche, di carattere cronico e di durata indeterminabile, della singola persona richiesta siano suscettibili di aggravarsi in modo significativo nel caso di consegna, in particolare laddove lo Stato di emissione ne dovesse disporre la custodia in carcere.
3.– Si deve altresì escludere la necessità di restituire gli atti per una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni alla luce dello ius superveniens rappresentato dalle modifiche apportate alle due disposizioni censurate, nonché all’art. 2 della legge n. 69 del 2005, dal decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 10 (Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra stati membri, in attuazione della delega di cui all’articolo 6 della legge 4 ottobre 2019, n. 117). E ciò per le ragioni già illustrate nell’ordinanza n. 216 del 2021 (punti 3 e 4 del Considerato in diritto), che debbono intendersi qui integralmente richiamate.
4.– Nel merito, devono anzitutto essere dichiarate non fondate le censure formulate in riferimento all’art. 3 Cost., che assumono come tertium comparationis l’art. 705, comma 2, lettera c-bis), cod. proc. pen., il quale prevede che la corte d’appello pronunci sentenza contraria all’estradizione «se ragioni di salute o di età comportino il rischio di conseguenze di eccezionale gravità per la persona richiesta».
Il tertium comparationis evocato non è, tuttavia, omogeneo. La decisione quadro 2002/584/GAI ha inteso, infatti, sostituire alle tradizionali procedure di estradizione un sistema semplificato di consegna imperniato sul rapporto diretto tra le autorità giudiziarie degli Stati membri, ispirato al principio della «libera circolazione delle decisioni giudiziarie» (considerando n. 5) fondato a sua volta sull’idea, enunciata nelle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, del loro «riconoscimento reciproco» (considerando n. 6). Tale sistema «si basa su un elevato livello di fiducia tra gli Stati membri» (considerando n. 10), in particolare per ciò che concerne il rispetto, da parte di ciascuno Stato membro, dei diritti fondamentali riconosciuti dal diritto dell’Unione (Corte di giustizia, sentenza E. D.L., paragrafo 30, e ivi ulteriori riferimenti).
Come da ultimo osservato nella sentenza E. D.L, proprio questa fiducia reciproca preclude, di regola, «che le autorità giudiziarie dell’esecuzione possano rifiutare di eseguire un mandato d’arresto europeo per il solo fatto che la persona colpita da tale mandato d’arresto è afflitta da gravi patologie, di carattere cronico e potenzialmente irreversibili. In considerazione del principio di fiducia reciproca sotteso allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, sussiste, infatti, una presunzione secondo cui le cure e i trattamenti offerti negli Stati membri per la presa in carico, segnatamente, di tali patologie sono adeguati» (paragrafo 35); tale presunzione potendo essere vinta, nel singolo caso, soltanto alle tassative condizioni enunciate dalla stessa Corte di giustizia, su cui si tornerà tra qualche istante.
Del tutto differente è, invece, il contesto in cui operano i tradizionali strumenti di estradizione, in cui la presunzione in parola in radice non opera: ciò che rende impraticabile la comparazione tra le due tipologie di strumenti di cooperazione.
5.– Quanto invece alle questioni di legittimità sollevate in riferimento agli artt. 2, 32 e 111 Cost., alla luce della sentenza E. D.L. esse devono essere ritenute non fondate nei sensi di seguito precisati.
5.1.– Secondo il giudice rimettente, la mancata previsione, da parte della legge n. 69 del 2005, di un motivo di non esecuzione del mandato di arresto europeo, laddove sussista un «rischio di conseguenze di eccezionale gravità» in caso di consegna, connesso a «ragioni di salute croniche e di durata indeterminabile» che riguardano la persona ricercata, contrasterebbe con il suo diritto inviolabile alla salute, fondato sugli artt. 2 e 32 Cost.
Per scongiurare un simile rischio non sarebbe sufficiente il rimedio della sospensione dell’esecuzione di cui all’art. 23, comma 3, della legge n. 69 del 2005, dal momento che tale rimedio – in ragione proprio del carattere cronico della patologia di cui soffre la persona richiesta – comporterebbe una paralisi processuale di durata indeterminabile, con conseguente pregiudizio, in particolare, per il diritto dell’interessato a veder definita in un lasso di tempo ragionevole la propria posizione processuale.
5.2.– Con ordinanza n. 216 del 2021 questa Corte ha, anzitutto, condiviso la valutazione del rimettente circa l’inidoneità del rimedio di cui all’art. 23, comma 3, della legge n. 69 del 2005, rispetto alla necessità di tutela del diritto alla salute della persona ricercata. Si è in proposito sottolineato che nella disciplina della decisione quadro, alla luce della quale la disposizione italiana deve essere interpretata, il differimento «a titolo eccezionale» della consegna sembra previsto in relazione a situazioni di carattere meramente “temporaneo” e appare un rimedio incongruo in relazione a patologie croniche e di durata indeterminabile. In simili ipotesi – si è ancora osservato nell’ordinanza n. 216 del 2021 – «il differimento dell’esecuzione del mandato di arresto europeo […] rischierebbe di protrarsi nel tempo per una durata indefinita», da un lato impedendo allo Stato di emissione di esercitare l’azione penale o di eseguire la pena nei confronti dell’interessato; e dall’altro costringendo quest’ultimo a far valere le proprie patologie croniche non nel procedimento di consegna – nel quale si dispiegano appieno le sue garanzie di difesa – ma in una fase procedimentale successiva, destinata a sfociare in un provvedimento del presidente della corte o di un suo delegato, mantenendo peraltro l’interessato «in una situazione di continua incertezza circa la propria sorte, in contrasto con l’esigenza di garantire un termine ragionevole di durata in ogni procedimento suscettibile di incidere sulla sua libertà personale» (punto 6.3. del Considerato in diritto).
Si è quindi sottolineata l’impossibilità di rifiutare la consegna, nella situazione all’esame, sulla base della clausola generale del rispetto dei «principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato» e dei «diritti inalienabili della persona» contenuta oggi nell’art. 2 della legge n. 69 del 2005, come riformulato dal d.lgs. n. 10 del 2021 (ovvero sulla base della previgente formulazione – applicabile ratione temporis nel giudizio a quo – degli artt. 1 e 2 della legge n. 69 del 2005, che condizionavano l’esecuzione del mandato di arresto europeo nell’ordinamento italiano, tra l’altro, ai «principi e [al]le regole contenuti nella Costituzione»). Simili clausole, infatti, non possono essere interpretate nel senso di autorizzare la corte d’appello competente a rifiutare la consegna al di fuori dei casi previsti dal diritto dell’Unione, come interpretato dalla Corte di giustizia; spettando poi unicamente alla Corte costituzionale «la verifica della compatibilità del diritto dell’Unione, o del diritto nazionale attuativo del diritto dell’Unione, con tali principi supremi e diritti inviolabili» (punto 7.5. del Considerato in diritto).
L’ordinanza n. 216 del 2021 ha, tuttavia, rammentato come lo stesso diritto dell’Unione non possa «tollerare che l’esecuzione del mandato di arresto europeo determini una violazione dei diritti fondamentali dell’interessato riconosciuti dalla Carta e dall’art. 6, paragrafo 3, TUE» (punto 8 del Considerato in diritto), come si evince del resto dall’art. 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584/GAI.
Questa Corte ha, pertanto, ritenuto di chiedere alla Corte di giustizia se i principi già da quest’ultima enunciati con riferimento ai casi in cui la consegna della persona richiesta potrebbe esporla al serio rischio di violazione dei suoi diritti fondamentali in conseguenza di carenze sistemiche nello Stato di emissione – come, segnatamente, situazioni di sovraffollamento carcerario o di difetto di indipendenza del potere giudiziario – siano suscettibili di essere estesi anche a una ipotesi come quella ora in esame. Ciò al fine di consentire una diretta interlocuzione tra le autorità giudiziarie dello Stato di emissione e quello di consegna, onde individuare una soluzione in grado di evitare il rischio di grave pregiudizio alla salute della persona richiesta connesso alla consegna stessa, nonché di porre fine alla procedura di consegna, qualora la sussistenza di un tale rischio non possa essere esclusa entro un termine ragionevole (punto 8.2. del Considerato in diritto e dispositivo). Il tutto in un’ottica di contemperamento tra le ragioni di salvaguardia della salute della persona richiesta – che è oggetto di tutela tanto nell’ordinamento costituzionale nazionale, ai sensi degli artt. 2 e 32 Cost., quanto nell’ordinamento dell’Unione, ai sensi degli artt. 3, 4 e 35 CDFUE (punti 9.1. e 9.2. del Considerato in diritto) – così come dell’«interesse a perseguire i sospetti autori di reato, ad accertarne la responsabilità e, se giudicati colpevoli, ad assicurare nei loro confronti l’esecuzione della pena» nello spazio giuridico europeo: interesse, quest’ultimo, che è sotteso alla disciplina dell’Unione e a quella nazionale sul mandato d’arresto europeo (punto 9.3. del Considerato in diritto).
Un tale contemperamento – ha concluso questa Corte – potrebbe essere al meglio perseguito mediante la ricerca, condivisa tra le autorità giudiziarie dello Stato emittente e di quello dell’esecuzione, di «soluzioni che permettano, nel caso concreto, di sottoporre a processo l’interessato nello Stato di emissione garantendogli la pienezza dei diritti di difesa e al contempo evitino di esporlo al pericolo di grave danno alla salute, ad esempio attraverso la sua collocazione in idonea struttura nello Stato di emissione durante il processo» (punto 9.5. del Considerato in diritto).
5.3.– In risposta alla questione così formulata, la Corte di giustizia ha anzitutto ribadito, nella sentenza E. D.L. (su cui più ampiamente supra, punto 6 del Ritenuto in fatto), che le autorità giudiziarie dello Stato di esecuzione possono in linea di principio rifiutare la consegna della persona richiesta soltanto nei casi previsti dalla decisione quadro 2002/584/GAI, dovendosi in particolare presumere che ciascuno Stato membro sia in grado di garantire trattamenti adeguati per le patologie di cui soffra la persona richiesta.
Tuttavia, la Corte di giustizia ha altresì rammentato che, ai sensi dell’art. 23, paragrafo 4, della decisione quadro, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può sospendere la consegna della persona richiesta, allorché essa possa comportare per quest’ultima «un rischio reale di essere esposta ad un declino grave, rapido e irreversibile del proprio stato di salute o ad una riduzione significativa della propria aspettativa di vita», o a maggior ragione un pericolo per la sua stessa vita, anche in considerazione della mancanza di cure adeguate alle sue condizioni patologiche nello Stato di emissione. Qualora, infatti, la consegna della persona richiesta la esponesse a simili rischi, la sua effettiva esecuzione risulterebbe incompatibile con il diritto di tale persona a non subire trattamenti inumani o degradanti, sancito dall’art. 4 CDFUE (paragrafi da 39 a 41).
Conseguentemente, la stessa Corte di giustizia ha affermato che, ove l’autorità giudiziaria dell’esecuzione abbia, «alla luce degli elementi oggettivi a sua disposizione, motivi seri e comprovati» di ritenere che la consegna della persona ricercata, gravemente malata, la esporrebbe a un simile rischio, essa è tenuta a disporre la sospensione della consegna ai sensi dell’art. 23, paragrafo 4, della decisione quadro 2002/584 (paragrafo 42).
Così come ipotizzato da questa Corte nell’ordinanza n. 216 del 2021, la Corte di giustizia ha chiarito che in tale ipotesi l’autorità giudiziaria dell’esecuzione dovrà «chiedere all’autorità giudiziaria emittente di trasmettere qualsiasi informazione necessaria per assicurarsi che le modalità con le quali verranno esercitate le azioni penali all’origine del mandato d’arresto europeo o le condizioni dell’eventuale detenzione di tale persona permettono di escludere il rischio» (paragrafo 47).
Laddove l’autorità giudiziaria dello Stato emittente fornisca, «entro un termine ragionevole», assicurazioni relative ai trattamenti e alle cure cui la persona richiesta sarà sottoposta – in ambiente carcerario o nel contesto di misure non detentive –, che consentano di escludere tale rischio, il mandato di arresto dovrà essere eseguito (paragrafi 48 e 49).
Nell’ipotesi invece in cui, in esito alle interlocuzioni, non sia possibile escludere tale rischio entro un termine ragionevole, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione non potrà che «astenersi, in via eccezionale e a seguito di un esame appropriato, dal dare seguito ad un mandato d’arresto europeo», e conseguentemente «rifiutare di eseguir[lo]», tenendo conto del generale divieto di violare i diritti fondamentali della persona richiesta sancito dall’art. 1, paragrafo 3, della decisione quadro (paragrafi 52 e 53 e dispositivo). Non potrebbe infatti tollerarsi, secondo la Corte di giustizia, una situazione di sospensione dell’esecuzione che lasci l’interessato esposto, per un tempo indefinito, a una procedura potenzialmente limitativa dei suoi diritti fondamentali malgrado l’assenza di alcuna prospettiva realistica di consegna all’autorità giudiziaria emittente (paragrafo 51).
5.4.– Questa Corte condivide la valutazione, espressa concordemente dal giudice rimettente e dalla stessa Corte di giustizia, secondo cui l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo – emesso ai fini tanto dell’esercizio dell’azione penale, quanto dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà personale – non dovrebbe mai comportare l’esposizione della persona richiesta a un rischio di deterioramento rapido, significativo e irrimediabile del proprio stato di salute, e a fortiori di una riduzione dell’aspettativa di vita.
Dare seguito al mandato di arresto in tali circostanze comporterebbe – come la stessa Corte di giustizia sottolinea – una violazione dell’art. 4 CDFUE, esponendo l’interessato al rischio di un trattamento inumano e degradante; e determinerebbe in ogni caso, dal punto di vista del diritto costituzionale, una lesione del diritto inviolabile alla salute della persona ricercata, tutelato dagli artt. 2 e 32 Cost.
D’altra parte, il rimedio originariamente prospettato dall’Avvocatura generale dello Stato – rappresentato da una mera sospensione dell’esecuzione, di durata potenzialmente indefinita, in presenza di una grave patologia cronica che affligga la persona ricercata – risulterebbe incompatibile con il diritto di quest’ultima, tutelato dall’art. 111, secondo comma, Cost., a una sollecita definizione della propria vicenda processuale.
La soluzione individuata dalla Corte di giustizia nella sentenza E. D.L. permette, ora, di scongiurare un simile scenario, attraverso un percorso che si snoda in tre tappe essenziali: (a) la sospensione della decisione sulla consegna, finalizzata a consentire (b) una diretta interlocuzione tra le autorità giudiziarie, allo scopo di individuare una soluzione che consenta di evitare gravi rischi alla salute della persona ricercata; interlocuzione a sua volta suscettibile di sfociare (c) nell’esecuzione della consegna, ovvero in una decisione finale di rifiuto della consegna medesima, nell’ipotesi residuale in cui una tale soluzione non possa essere individuata, neppure in esito a tale interlocuzione.
5.5.– Resta, a questo punto, da precisare come la soluzione indicata dalla Corte di giustizia con lo sguardo rivolto all’intero spazio giuridico dell’Unione debba inserirsi nello specifico contesto normativo italiano, rappresentato dalla legge n. 69 del 2005 di recepimento della decisione quadro 2002/584/GAI, in modo da escluderne i profili di contrarietà alla Costituzione paventati dal rimettente, oltre che agli stessi diritti fondamentali riconosciuti dal diritto dell’Unione.
5.5.1.– Al riguardo, occorre in limine considerare che le indicazioni interpretative fornite dalla Corte di giustizia sono relative a uno strumento – la decisione quadro 2002/584/GAI – «vincolant[e] per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi», e comunque privo di efficacia diretta, ai sensi dell’art. 34, paragrafo 2, lettera b), del Trattato sull’Unione europea, nella versione risultante dal Trattato di Amsterdam vigente al momento della sua adozione.
Pertanto, nell’integrare nell’ordinamento italiano il meccanismo procedurale individuato dalla Corte di giustizia, non potrà non tenersi conto del peculiare contesto normativo rappresentato dalla legge n. 69 del 2005, nella quale il legislatore nazionale ha fatto uso dell’ampio spazio discrezionale, quanto alla scelta della «forma» e dei «mezzi», concessogli dalla decisione quadro per adeguare le indicazioni di scopo contenute in quest’ultima alle caratteristiche specifiche del processo italiano.
Sicché anche le indicazioni ora fornite dalla Corte di giustizia relativamente al risultato da raggiungere – evitare la lesione dei diritti fondamentali di una persona ricercata gravemente malata, attraverso una diretta interlocuzione tra le autorità giudiziarie dello Stato emittente e di quello dell’esecuzione – vanno calibrate e precisate in modo da inserirsi armonicamente in quel contesto normativo.
5.5.2.– La sentenza E. D.L. focalizza la propria attenzione sull’art. 23, paragrafo 4, della decisione quadro, il quale consente all’«autorità giudiziaria dell’esecuzione» di differire temporaneamente la consegna in presenza di «gravi motivi umanitari, ad esempio se vi sono valide ragioni di ritenere che essa metterebbe manifestamente in pericolo la vita o la salute del ricercato». La Corte di giustizia interpreta tale clausola alla luce dell’art. 1, paragrafo 3, della decisione quadro, nel senso che la medesima «autorità giudiziaria dell’esecuzione» dovrebbe chiedere informazioni alle autorità giudiziarie di emissione per individuare una soluzione idonea a evitare rischi per la salute della persona ricercata, ed eventualmente rifiutare la consegna, qualora una tale interlocuzione si riveli infruttuosa.
Il legislatore italiano ha trasposto l’art. 23, paragrafo 4, della decisione quadro mediante l’art. 23, comma 3, della legge n. 69 del 2005. Tale disposizione attribuisce la competenza a sospendere la consegna con decreto motivato – in presenza, tra l’altro, di «gravi ragioni per ritenere che la consegna metterebbe in pericolo la vita o la salute della persona» – non già all’autorità competente per la decisione sulla consegna (e cioè la corte d’appello nell’ordinaria composizione collegiale, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 69 del 2005), ma al solo «presidente della corte d’appello», ovvero a un «magistrato da lui delegato», cui la legge attribuisce in linea generale la competenza a curare l’esecuzione del mandato d’arresto dopo la decisione favorevole alla consegna assunta dalla corte d’appello.
Ebbene, questa Corte ha già avuto modo di chiarire nell’ordinanza n. 216 del 2021 che tale rimedio – affidato a un’autorità giurisdizionale monocratica diversa da quella, a composizione collegiale, che ha disposto la consegna, e sfociante in un provvedimento che la giurisprudenza di legittimità considera non impugnabile per cassazione (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 26 aprile – 10 maggio 2018, n. 20849) – non è idoneo a garantire adeguata tutela al diritto inviolabile alla salute, e a fortiori alla stessa vita, della persona richiesta, in ipotesi come quella ora all’esame. La natura del diritto fondamentale in gioco esige, infatti, una cognizione piena da parte del giudice, nell’ambito di un procedimento rispettoso di tutte le garanzie del giusto processo e puntualmente regolato dalla legge; un procedimento necessariamente destinato a concludersi con un provvedimento ricorribile per cassazione, secondo quanto previsto dall’art. 111, settimo comma, Cost.
D’altra parte, la logica della decisione quadro – e della stessa sentenza E. D.L. – riposa sull’assunto dell’identità tra l’«autorità giudiziaria dell’esecuzione», competente a decidere sulla sussistenza dei presupposti della consegna ai sensi degli artt. 3, 4 e 4-bis della medesima decisione quadro, e quella competente a decidere sull’eventuale sospensione della stessa ai sensi del successivo art. 23, paragrafo 4, parimenti denominata «autorità giudiziaria dell’esecuzione». In quest’ottica, in effetti, ben si spiega perché la Corte di giustizia affidi a questa medesima autorità il potere di “rifiutare” l’esecuzione del mandato, allorché la fase di interlocuzione prefigurata dalla sentenza E. D.L. risulti infruttuosa.
Ne deriva che, al fine di garantire al meglio l’effetto utile della decisione quadro 2002/584/GAI, come interpretata dalla sentenza E. D.L., la competenza ad assicurare il rimedio procedurale articolato dalla Corte di giustizia deve necessariamente essere affidata, nell’ordinamento italiano, alla medesima autorità giurisdizionale già competente per la decisione sulla consegna ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 69 del 2005: e dunque alla corte d’appello in composizione collegiale, cui il legislatore italiano ha affidato, in linea di principio, le decisioni in materia di mandato di arresto europeo suscettibili di incidere direttamente sui diritti fondamentali della persona ricercata, a cominciare dalla sua libertà personale, nonché le eventuali decisioni sul rifiuto della consegna; decisioni, tutte, contro le quali è prevista la possibilità di ricorso per cassazione, in conformità al menzionato vincolo discendente dall’art. 111, settimo comma, Cost.
5.5.3.– Il dettagliato procedimento delineato dalla sentenza E. D.L. trova pertanto la propria collocazione naturale, nel sistema della legge n. 69 del 2005, all’interno del procedimento di decisione sulla richiesta di esecuzione, disciplinato dai suoi artt. 17 e seguenti; e potrà ivi utilmente collocarsi dopo il vaglio delle condizioni positive e negative previste in particolare dagli artt. 17, 18 e 18-bis, ma prima della decisione finale sulla consegna, la quale resterà così soggetta a un unico ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 22 – evitandosi in tal modo il rischio di dover instaurare, a valle del ricorso per cassazione esperito contro la decisione sulla consegna, un nuovo procedimento avanti alla corte d’appello, ai soli fini della verifica delle condizioni per la consegna stabilite dalla sentenza E. D.L.; procedimento destinato anch’esso a concludersi con un provvedimento nuovamente ricorribile per cassazione. Una tale soluzione determinerebbe, all’evidenza, un inutile allungamento dei tempi di definizione del procedimento, in diametrale contrasto con la finalità – sottesa all’intero impianto della decisione quadro 2002/584/GAI – di assicurare una più spedita esecuzione alle decisioni di consegna rispetto alle tradizionali procedure di estradizione.
Dunque, una volta accertati tutti i presupposti che legittimano la consegna, così come l’assenza di cause ostative ai sensi degli artt. 18 e 18-bis della legge n. 69 del 2005, la corte d’appello dovrà valutare l’eventuale sussistenza di una situazione di grave malattia della persona ricercata, nonché di «motivi seri e comprovati di ritenere che [la] consegna esporrebbe la persona in questione ad un rischio reale di riduzione significativa della sua aspettativa di vita o di deterioramento rapido, significativo e irrimediabile del suo stato di salute» (Corte di giustizia, sentenza E. D.L., secondo alinea del dispositivo).
Nel caso in cui la corte riscontri l’effettiva sussistenza di tali condizioni, essa dovrà – secondo quanto stabilito, ancora, nel secondo alinea del dispositivo della sentenza E. D.L. – sospendere la decisione sulla consegna, e «sollecitare l’autorità giudiziaria emittente a trasmettere qualsiasi informazione relativa alle condizioni nelle quali si prevede di perseguire o di detenere detta persona, nonché alle possibilità di adeguare tali condizioni allo stato di salute della persona stessa al fine di prevenire il concretizzarsi di tale rischio», secondo le modalità previste dall’art. 16 della legge n. 69 del 2005 e già utilizzate dalle corti d’appello per effettuare gli accertamenti circa l’effettiva sussistenza di un «rischio concreto di trattamento inumano o degradante» in conseguenza di situazioni di sovraffollamento carcerario nello Stato emittente, in conformità alla sentenza Aranyosi e Căldăraru, ovvero di un «rischio reale di violazione del diritto fondamentale a un equo processo», in conformità alla sentenza LM.
Laddove le interlocuzioni così realizzate consentano di individuare una soluzione idonea a evitare tale rischio, la corte d’appello emetterà decisione favorevole alla consegna.
Nell’ipotesi invece in cui non sia stato possibile pervenire «entro un termine ragionevole», in esito alle interlocuzioni con l’autorità giudiziaria emittente, all’individuazione di una soluzione adeguata allo scopo, la stessa corte d’appello dovrà pronunciare decisione di rifiuto della consegna, in conformità a quanto stabilito dal terzo alinea del dispositivo della sentenza E. D.L.
Resta ferma, ovviamente, la competenza del presidente della corte d’appello, o del giudice da questi delegato, ai sensi dell’art. 23, commi da 2 a 4, della legge n. 69 del 2005, per l’eventuale sospensione della consegna per le ragioni ivi indicate, comprese eventuali situazioni di pericolo per la vita o per la salute di natura transitoria, o comunque sorte successivamente alla decisione favorevole alla consegna da parte della corte d’appello: situazioni cui si riferisce il primo alinea del dispositivo della sentenza E. D.L., in cui la Corte di giustizia in sostanza riprende quanto già previsto in via generale dall’art. 23, paragrafo 4, della decisione quadro.
5.6.– Al complessivo risultato appena delineato è possibile pervenire in via interpretativa, senza che sia necessaria la dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 18 e 18-bis della legge n. 69 del 2005 sollecitata dal giudice rimettente.
L’esecuzione dei mandati d’arresto europeo è, infatti, condizionata dal rispetto dei diritti fondamentali della persona richiesta, ai sensi dell’art. 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584/GAI: disposizione, quest’ultima, alla quale il legislatore italiano aveva dato originariamente attuazione con gli artt. 1 e 2 della legge n. 69 del 2005, nella versione antecedente alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 10 del 2021, e dà ora attuazione – successivamente a tali modifiche – con la nuova formulazione dell’art. 2.
Questa Corte ha già avuto modo di precisare che tali disposizioni non autorizzavano – e non autorizzano – l’autorità giudiziaria italiana a rifiutare la consegna delle persone richieste sulla base di «standard puramente nazionali di tutela dei diritti fondamentali […] laddove ciò possa compromettere il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione (Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 26 febbraio 2013, in causa C-617/10, Fransson, paragrafo 29; sentenza 26 febbraio 2013, in causa C-399/11, Melloni, paragrafo 60)». I diritti fondamentali al cui rispetto la decisione quadro e – conseguentemente – le legislazioni nazionali di trasposizione sono vincolati, ai sensi dell’art. 1, paragrafo 3, della stessa decisione quadro, «sono, piuttosto, quelli riconosciuti dal diritto dell’Unione europea, e conseguentemente da tutti gli Stati membri allorché attuano il diritto dell’Unione: diritti fondamentali alla cui definizione, peraltro, concorrono in maniera eminente le stesse tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (artt. 6, paragrafo 3, TUE e 52, paragrafo 4, CDFUE)» (ordinanza n. 216 del 2021, punto 7.3. del Considerato in diritto; analogamente, ordinanza n. 217 del 2021, punto 7 del Considerato in diritto).
Tuttavia, le disposizioni in parola ben possono, e anzi debbono, essere lette in conformità all’art. 1, paragrafo 3, della decisione quadro, ed operare pertanto come valvole di sicurezza funzionali a evitare che l’esecuzione dei mandati di arresto conduca a risultati contrari ai diritti fondamentali nell’estensione loro attribuita dal diritto dell’Unione, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
Ne consegue che la corte d’appello – una volta verificata, in sede di decisione sulla consegna, l’impossibilità di individuare una soluzione idonea a tutelare la salute della persona ricercata nello Stato emittente, in esito al procedimento indicato dalla sentenza E. D.L. – sarà tenuta a rifiutare la consegna medesima, in applicazione delle clausole generali appena menzionate, alla luce delle puntuali indicazioni della stessa Corte di giustizia sull’estensione dei diritti fondamentali in gioco (così, rispetto all’ipotesi di rifiuto di consegna da parte della corte d’appello in presenza di un rischio di trattamento inumano o degradante connesso a sovraffollamento carcerario, nel senso indicato dalla sentenza Aranyosi e Căldăraru, anche Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 16-18 novembre 2022, n. 44015).
5.7. – In definitiva, le questioni sollevate in riferimento agli artt. 2, 32 e 111 Cost. non sono fondate, essendo possibile ovviare alla mancata previsione, nelle disposizioni censurate, di un motivo di rifiuto fondato sul grave rischio per la salute dell’interessato attraverso un’interpretazione sistematica della legge n. 69 del 2005 alla luce della sentenza E. D.L.; interpretazione che – nei termini appena precisati – ne assicura la conformità ai parametri costituzionali evocati.